lunedì 9 marzo 2009

Negrar di Verona: Appunti sulla storia vera dell'epiteto del vino Amarone




La Bottaia della Cantina Valpolicella di Negrar -foto archivio Vini dal Veneto

«Il nuovo epiteto Amarone per indicare il Recioto Amaro nasce nella primavera del 1936 nella Cantina Sociale Valpolicella, istituita nel 1933 in Villa di Novare Mosconi-Simonini, attualmente Bertani. 
Il direttore Dall’Ora dr. Gaetano, i cui meriti in argomento sono poco conosciuti anche in Valpolicella, trasferì nel 1948 la Cantina Sociale a San Vito, nella vecchia cantina Quintarelli Cav. Antonio. 

“Ci lavorai dall’autunno 1948 all’ottobre 1949”.  

Gaetano  Dall’Ora usava abitualmente l’epiteto Amarone in etichetta e mi dichiarò che nella primavera del 1936 spillando il Recioto Amaro dal fusto di fermentazione il mezzadro capocantina Adelino Lucchese, palato e fiuto eccezionali, uscì in una esclamazione entusiastica: “Questo non è un Amaro, è un Amarone”.  Quel contadino aveva regalato alla Valpolicella la parola magica e il dr. Dall’Ora la usò subito in etichetta. 

La Cantina Sociale di Negrar nell’ingresso attuale ostenta giustamente una lettera di spedizione del 1942 con descrizione di “Fiaschetti di Amarone 1938”. 
Fare del nome e della sua commercializzazione una storia inesatta non contribuisce certo alla nobiltà del “campionissimo della scuderia enologica veneta”.
 E non solo veneta. (…)
Perché l’Amarone esisteva anche prima, da qualche tempo se Catullo nel Carme n. 27 (49 circa a.C.) reclama “calices amariores” (bicchieri più amari). 

Ma ben altri documenti ne danno testimonianza.


Cassiodoro nei primi anni del 500 ricerca l’Acinatico della Valpolicella, rosso e bianco: si ritiene che fosse un “recchiotto amaro”, scrive G. B. Peres nel 1900, opinione coincidente con quella del Panvinio, che nell’Acinàtico di Cassiodoro riconosce il Rètico di Augusto e del Sarayna (1543) che parla dei vini della Valpolicella “neri, dolci, racenti e maturi”. Per giungere a Scipione Maffei che esalta il vino amaro della Valpolicella. 
Ma forse più di ogni altro vale il giudizio emesso da assaggiatori francesi a Parigi nel 1845 su una partita di vino “Rosso Austero Costa Calda” di S. Vito di Negrar vecchio di 11 anni: “Supremo vino d’Italia … preferibile a diversi Bordeaux ed Hermitage”. 

Diffuso il nome Reciòto, sulla fine del 1800 Antonio Quintarelli mescola foglie di pesco al passito in fermentazione, per “darghe l’amaro al vin” e nel 1903 alla Esposizione Enologica e gastronomica di Milano ottiene il Premio Medaglia d’Oro per il “Recciotto Amaro di Negrar”. 
Il premio più antico che si conosca per l’Amarone, che nel corso di 2000 anni ha solo cambiato i nomi, ma è rimasto sempre quello, perché il passito d’insufficiente titolo zuccherino sempre continuò a fermentare in damigiana, diventando più volte amarotico se non amaro.
Non per nulla gli antenati lo imbottigliavano in “luna vècia de agosto”, a fermentazione completata. E se non era molto dolce, era quello “da la mandola amara” o “da ‘na veneta sconta”, o “tondo”, il “vin da òmeni”.


E il “Recioto scapà”? 

Nato nel 1922, cresciuto sulla collina di Negrar e introdotto nei “misteri” dell’avita cantina fin da bambino, non ho mai sentito quella definizione prima del 1997.
Uno non può conoscere tutto, anche se ha passato 70 anni della sua vita tra uve e vini.

Il ripasso poi è pratica multisecolare. 
Sulle vinacce del passito (dolce o amaro) si sono sempre fatti “rebojir” i vini spillati in autunno con due o tre passate diverse, ottenendo il “mèso Recioto” e altro. 
L’ultimo ripasso era di acqua per avere la “graspìa”, l’acidulo e cenerognolo beveraggio di tutto l’inverno. Perché una prima pigiatura de l’ua da granar”, non “da taolon”, si faceva anche a San Martino, per “rebjoir” i “torcolè”.


Quanto alle categorie merceologiche di 50 anni fa, forse un approfondimento non guasterebbe.

Nel 1945-48 frequentavo il mercato del vino “sotto la Costa” e la Fiera di Verona.
Sentii parlare di Recioto, di “Mèso Recioto”, di vino buono o meno buono.
Non so bene cosa sia il “ripasso moderno”; so che da secoli si “rebojiva” altro vino sulle vinacce del passito.

Quanto all’epiteto “Amarone” anche personaggi di competenza vitivinicola elevata, non credono più a storie diverse da quella del contadino Adelino Lucchese.
 
Nel 1963 al Palio del Recioto di Negrar fu istituito il “Premio Speciale per l’Amarone”.

E i divergenti scritti di firme illustri su periodici assai diffusi ? 
Nessun stupore; nulla di nuovo sotto il sole: “quandoque bonus dormitat Homerus”.


PS. La mia stirpe coltiva vigne e produce vino in Valpolicella almeno dal 1510. Divisa in più rami ha sempre mantenuto e seguito tradizioni vitivinicole. Il rappresentante più famoso attualmente è Giuseppe Quintarelli, giustamente conosciuto in tutto l’orbe terracqueo. Merito di capacità e fedeltà alla tradizione. Peccato che la divisione tra i nostri due rami familiari risalga alla seconda metà del 1500! (Archivio Parrocchiale - Negrar)»


http://www.internetgourmet.it
Cantina Valpolicella Negrar
http://guide.supereva.com/ristoranti/interventi/2006/07/263420.shtml
Nell'immagine La Bottaia della Cantina Valpolicella di Negrar -foto archivio Vini dal Veneto (MS)


Fonte: srs di Di Francesco Quintarelli/Enogastromima

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