Anoressia e bulimia nervosa sono la prima causa di morte per malattia tra le ragazze, soprattutto tra i 12 e i 25 anni, le più esposte ai disturbi del comportamento alimentare. Disturbi di cui soffrono in Italia tra le 150 e le 200mila giovani. È il quadro allarmante tracciato dalla Società italiana per lo studio dei disturbi del comportamento alimentare, Sisdca, che oggi a Roma, al Policlinico Umberto I, ha presentato alla stampa le più recenti statistiche su anoressia e bulimia nervosa e le proposte per migliorare la cura di queste patologie. Perché la parte più difficile è proprio convincere le ragazze a curarsi, ovvero a mangiare e a farlo con serenità. Sono ragazze lucide, intelligenti, studiano con profitto o lavorano bene, sono capaci di spiegare la propria situazione e comprendono in pieno i rischi della loro scelta, eppure continuano a dire di no alle cure, preferendo morire che aumentare di peso o perdere il controllo sul proprio corpo.
I disturbi del comportamento alimentare sono - sottolineano i medici - patologie gravi, invalidanti, con elevato indice di mortalità. Colpiscono abitualmente giovani donne in età compresa tra i 12 e i 25 anni, richiedono cure prolungate il cui esito è favorevole nel 70% dei casi, mentre nel 30% dei casi si parla di malattia molto resistente alle cure e cronicità. Attualmente, la prevalenza di anoressia nervosa e bulimia nervosa nella popolazione generale è dello 0.2% - 0.3%: ovvero in Italia, su circa 60 milioni di abitanti, si possono calcolare 150-200 mila ragazze malate. A queste vanno aggiunti casi atipici e i casi di non altrimenti classificati (Ednos), per cui i numeri si possono triplicare. È forte inoltre il rischio di cronicizzazione con l’insorgenza di complicanze mediche e psichiatriche. La mortalità per suicidio o per complicanze somatiche conseguenti alla malnutrizione è del 10% a dieci anni dall’esordio e del 20% a venti anni: costituisce la prima causa di morte per malattia nella fascia di età compresa tra i 12 e i 25 anni, in pazienti di sesso femminile, ovvero 0,56% all’anno.
“Si tratta di patologie in continuo aumento” ha dichiarato Roberto Ostuzzi, presidente di Sisdca “tanto da rappresentare ormai un vero allarme socio sanitario”, e il dato è ancora più preoccupante perché “fare accettare una terapia a chi soffre di un disturbo alimentare è particolarmente difficile per la natura stessa della malattia ed è proprio questo elemento che determina la frequente cronicizzazione”. Il primo problema è quindi riuscire a convincere le giovani a curarsi e garantire una continuità di trattamento. “La terapia per essere accettata ha bisogno di un preciso percorso che cerchi di coinvolgere le ragazze e creare con loro la necessaria relazione”, continua Ostuzzi, che però avverte: “Nelle situazioni più gravi a volte è necessario ricorrere a trattamenti salvavita coercitivi”. Ma questo è molto difficile, con le norme che regolano il trattamento sanitario obbligatorio”.
Il percorso di trattamento sanitario obbligatorio (Tso) dedicato, per i casi più gravi di anoressia, è infatti una delle ipotesi allo studio nell’ambito della revisione della legge 180 sull’assistenza psichiatrica. “L’anoressia è una patologia in crescita” ha detto oggi il sottosegretario al Welfare Francesca Martini. “Non si può pensare ad una sua applicazione tout court, bensì ad una forma di Tso specifico che preveda la disponibilità di accoglienza in centri specializzati e non il passaggio attraverso i servizi di salute mentale, che a questo riguardo risulterebbero inadeguati”. Martini ha inoltre sottolineato come l’attuale Tso sia già un passo in avanti rispetto al ricovero coatto previsto 30 anni fa per le malattie psichiatriche. Oggi, ha sottolineato, è necessario un ulteriore passo per snellire le procedure del Tso, per una maggior flessibilità nell’applicazione, una maggior capacità di attuarlo in casi di urgenza e una maggior attenzione alla persona dal punto di vista clinico. Martini ha quindi posto l’urgenza di strutture dedicate, in cui ci sia la continuità di trattamento per le pazienti, ricordando come in Italia non tutte le regioni siano dotate di strutture specifiche.
Fonte: Panorama.it del 12 marzo 2009
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