martedì 30 gennaio 2018

FINALMENTE EMERGE LA VERITÀ SU SREBRENICA: I CIVILI NON FURONO UCCISI DAI SERBI MA DAGLI STESSI MUSULMANI BOSNIACI PER ORDINE DI BILL CLINTON





Dopo la confessione shock del politico bosniaco Ibran Mustafić, veterano di guerra, chi restituirà la dignità a Slobodan Milošević, ucciso in carcere, a Radovan Karadžić e al Generale Ratko Mladić, ancora oggi detenuti all’Aja?

Lo storico russo Boris Yousef,  in un suo saggio del 1994, scrisse quella che ritengo una sacrosanta verità: «Le guerre sono un po’ come il raffreddore: devono fare il loro decorso naturale. Se un ammalato di raffreddore viene attorniato da più medici che gli propinano i farmaci più disparati, spesso contrastanti fra loro, la malattia, che si sarebbe naturalmente risolta nel giro di pochi giorni, rischia di protrarsi per settimane e di indebolire il paziente, di minarlo nel fisico, e di arrecare danni talvolta permanenti e imprevedibili».

Yousef scrisse questa osservazione nel Luglio del 1994, nel bel mezzo della guerra civile jugoslava, un anno prima della caduta della Repubblica Serba di Krajina e sedici mesi prima dei discussi accordi Dayton che scontentarono in Bosnia tutte le parti in campo, imponendo una situazione di stallo potenzialmente esplosiva. E ritengo che tale osservazione si adatti a pennello al conflitto jugoslavo. Un lungo e sanguinoso conflitto che, formalmente iniziato nel 1991, con la secessione dalla Federazione delle repubbliche di Slovenia e Croazia, era stato già da tempo preparato e pianificato da alcune potenze occidentali (con in testa l’Austria e la Germania), da diversi servizi segreti, sempre occidentali, da gruppi occulti di potere sovranazionali e transnazionali (Bilderberg, Trilaterale, Pinay, Ert Europe, etc.) e, per certi versi, anche dal Vaticano.

La Jugoslavija, forte potenza economica e militare, da decenni alla guida del movimento dei Paesi non Allineati, dopo la morte del Maresciallo Tito, avvenuta nel 1980, era divenuta scomoda e ingombrante e, di conseguenza, l’obiettivo geo-strategico primario di una serie di avvoltoi che miravano a distruggerla, a smembrarla e a spartirsi le sue spoglie.

Si assistette così ad una progressiva destabilizzazione del Paese, avviata già nel biennio 1986-87, destabilizzazione alla quale si oppose con forza soltanto Slobodan Milošević, divenuto Presidente della Repubblica Socialista di Serbia, e che toccò il culmine con la creazione in Croazia, nel Maggio del 1989, dell’Unione Democratica Croata (Hrvatska Demokratska Zajednica o HDZ), partito anti-comunista di centro-destra che a tratti riprendeva le idee scioviniste degli Ustascia di Ante Pavelić, guidato dal controverso ex Generale di Tito Franjo Tuđman.

Sarebbe lungo in questa sede ripercorrere tutte le tappe che portarono al precipitare degli eventi, alla necessità degli interventi della Jugoslosvenska Narodna Armija dapprima in Slovenia e poi in Croazia, alla definitiva scissione dalla Federazione delle due repubbliche ribelli e all’allargamento del conflitto nella vicina Bosnia. Si tratta di eventi sui quali esiste moltissima documentazione, la maggior parte della quale risulta però essere fortemente viziata da interpretazioni personali e di parte degli storici o volutamente travisata da giornalisti asserviti alle lobby di potere mediatico-economico europee ed americane. Giornalisti che della Jugoslavija e della sua storia ritengo che non abbiano mai capito niente.

Come ho scritto poc’anzi, ritengo che la saggia affermazione di Boris Yousef si adatti molto bene al conflitto civile jugoslavo. A prescindere dal fatto che esso è stato generato da palesi ingerenze esterne, ritengo che sarebbe potuto terminare ‘naturalmente’ manu militari nel giro di pochi mesi, senza le continue ingerenze, le pressioni e le intromissioni della sedicente ‘Comunità Internazionale’, delle Nazioni Unite e di molteplici altre organizzazioni che agivano dietro le quinte (Fondo Monetario Internazionale, OSCE, UNHCR, Unione Europea e criminalità organizzata italiana e sud-americana). Sono state proprio queste ingerenze (i vari farmaci dagli effetti contrastanti citati nella metafora di Yousef) a prolungare il conflitto per anni, con la continua richiesta, dall’alto, di tregue impossibili e non risolutive, e con la pretesa di ridisegnare la cartina geografica dell’area sulla base delle convenienze economiche e non della realtà etnica e sociale del territorio.

Ma si tratta di una storia in buona parte ancora non scritta, perché sono state troppe le complicità di molti leader europei, complicità che si vuole continuare a nascondere, ad occultare. Ed è per questo che gli storici continuano ad ignorare che la Croazia di Tuđman costruì il suo esercito grazie al traffico internazionale di droga (tutte quelle navi che dal Sud America gettavano l’ancora nel porto di Zara, secondo voi cosa contenevano?). È per questo che continuano a non domandarsi per quale motivo tutto il contenuto dei magazzini militari della defunta Repubblica Democratica siano prontamente finiti nelle mani di Zagabria.

Si tratta di vicende che conosco molto bene, perché ho trascorso nei Balcani buona parte degli anni ’90, prevalentemente a Belgrado e a Skopje. Parlo bene tutte le lingue dell’area, compresi i relativi dialetti, e ho avuto a lungo contatti con l’amministrazione di Slobodan Milošević, che ho avuto l’onore di incontrare in più di un’occasione. Sono stato, fra l’altro, l’unico esponente politico italiano ad essere presente ai suoi funerali, in una fredda giornata di Marzo del 2006.

Sono stato quindi un diretto testimone dei principali eventi che hanno segnato la storia del conflitto civile jugoslavo e degli sviluppi ad esso successivi. Ho visto con i miei occhi le decine di migliaia di profughi serbi costretti a lasciare Knin e le altre località della Srpska Republika Krajina, sotto la spinta dell’occupazione croata delle loro case, avvenuta con l’appoggio dell’esercito americano.

Ho seguito da vicino tutte le tappe dello scontro in Bosnia, i disordini nel Kosovo, la galoppante inflazione a nove cifre che cambiava nel giro di poche ore il potere d’acquisto di una banconota. Ho vissuto il dramma, nel 1999, dei criminali bombardamenti della NATO su Belgrado e su altre città della Serbia. Ed è per questo che non ho mai creduto – a ragione – alle tante bugie che riportavano la stampa europea e quella italiana in primis. Bugie e disinformazioni dettate da quell’operazione di marketing pubblicitario (non saprei come altro definirla) pianificata sui tavoli di Washington e di Langley che impose a tutta l’opinione pubblica la favoletta dei Serbi ‘cattivi’ aguzzini di poveri e innocenti Croati, Albanesi e musulmani bosniaci. Favoletta che ha però incredibilmente funzionato per lunghissimo tempo, portando all’inevitabile criminalizzazione e demonizzazione di una delle parti in conflitto e tacendo sui crimini e sulle nefandezze delle altre.

La guerra, e a maggior ragione una guerra civile, non è ovviamente un pranzo di gala e non vi si distribuiscono caramelle e cotillon. In guerra si muore. In guerra si uccide o si viene uccisi. La guerra significa fame, sofferenza, freddo, fango, sudore, privazioni e sangue. Ed è fatta, necessariamente, anche di propaganda. Durante il lungo conflitto civile jugoslavo nessuno può negare che siano state commesse numerose atrocità, soprattutto dettate dal risveglio di un mai sopito odio etnico. Ma mai nessun conflitto, dal termine della Seconda Guerra Mondiale, ha visto un simile massiccio impiego di ‘false flag’, azioni pianificate ad arte, quasi sempre dall’intelligence, per scatenare le reazioni dell’avversario o per attribuirgli colpe non sue. Ho già spiegato il concetto di ‘false flag’ in numerosi miei articoli, denunciando l’escalation del loro impiego su tutti i più recenti teatri di guerra.

Fino ad oggi la più nota ‘false flag’ della guerra civile jugoslava era la tragica strage di civili al mercato di Sarajevo, quella che determinò l’intervento della NATO, che bombardò ripetutamente, per rappresaglia, le postazioni serbo-bosniache sulle colline della città. Venne poi appurato con assoluta certezza che fu lo stesso governo musulmano-bosniaco di Alija Izetbegović a uccidere decine di suoi cittadini in quel cannoneggiamento, per far ricadere poi la colpa sui Serbi.


Srebrenica


E quella che io ho sempre ritenuto la più colossale ‘false flag’ del conflitto, ovvero il massacro di oltre mille civili musulmani avvenuto a Srebrenica, del quale fu incolpato l’esercito serbo-bosniaco comandato dal Generale Ratko Mladić, che da allora venne accusato di ‘crimi di guerra’ e braccato dal Tribunale Penale Internazionale dell’Aja fino al suo arresto, avvenuto il 26 Maggio 2011, si sta finalmente rivelando in tutta la sua realtà. In tutta la sua realtà, appunto, di ‘false flag’.

I giornali italiani, che all’epoca scrissero titoli a caratteri cubitali per dipingere come un ‘macellaio’ il Generale Mladić e come un folle criminale assetato di sangue il Presidente della Repubblica Serba di Bosnia Radovan Karadžić, anch’egli arrestato nel 2008 e sulla cui testa pendeva una taglia di 5 milioni di Dollari offerta dagli Stati Uniti per la sua cattura, hanno praticamente passato sotto silenzio una sconvolgente notizia. Una notizia a cui ha dato spazio nel nostro Paese soltanto il quotidiano Rinascita, diretto dall’amico Ugo Gaudenzi, e fa finalmente piena luce sui fatti di Srebrenica, stabilendo che la colpa non fu dei vituperati Serbi, ma dei musulmani bosniaci.

Ibran Mustafić, veterano di guerra e politico bosniaco-musulmano, probabilmente perché spinto dal rimorso o da una crisi di coscienza, ha rilasciato ai media una sconcertante confessione: almeno mille civili musulmano-bosniaci di Srebrenica vennero uccisi dai loro stessi connazionali, da quelle milizie che in teoria avrebbero dovuto assisterli e proteggerli, durante la fuga a Tuzla nel Luglio 1995, avvenuta in seguito all’occupazione serba della città. E apprendiamo che la loro sorte venne stabilita a tavolino dalle autorità musulmano-bosniache, che stesero delle vere e proprie liste di proscrizione di coloro a cui «doveva essere impedito, a qualsiasi costo, di raggiungere la libertà».

Come riporta Enrico Vigna su RinascitaIbran Mustafić ha pubblicato un libro, Caos pianificato, nel quale alcuni dei crimini commessi dai soldati dell’esercito musulmano della Bosnia-Erzegovina contro i Serbi sono per la prima volta ammessi e descritti, così come il continuo illegale rifornimento occidentale di armi ai separatisti musulmano-bosniaci, prima e durante la guerra, e – questo è molto significativo – anche durante il periodo in cui Srebrenica era una zona smilitarizzata sotto la protezione delle Nazioni Unite.

Mustafić racconta inoltre, con dovizia di particolari, dei conflitti tra musulmani e della dissolutezza generale dell’amministrazione di Srebrenica, governata dalla mafia, sotto il comandante militare bosniaco Naser Orić. A causa delle torture di comuni cittadini nel 1994, quando Orić e le autorità locali vendevano gli aiuti umanitari a prezzi esorbitanti invece di distribuirli alla popolazione, molti bosniaci fuggirono volontariamente dalla città. «Coloro che hanno cercato la salvezza in Serbia, sono riusciti ad arrivare alla loro destinazione finale, ma coloro che sono fuggiti in direzione di Tuzla ( governata dall’esercito musulmano) sono stati perseguitati o uccisi», svela Mustafić. E, ben prima del massacro dei civili musulmani di Srebrenica nel Luglio 1995, erano stati perpetrati da tempo crimini indiscriminati contro la popolazione serba della zona. Crimini che Mustafić descrive molto bene nel suo libro, essendone venuto a conoscenza già nel 1992, quando era fuggito da Sarajevo a Tuzla.

«Lì – egli scrive – il mio parente Mirsad Mustafić mi mostrò un elenco di soldati serbi prigionieri, che furono uccisi in un luogo chiamato Zalazje. Tra gli altri c’erano i nomi del suo compagno di scuola Branko Simić e di suo fratello Pero, dell’ex giudice Slobodan Ilić, dell’autista di Zvornik Mijo Rakić, dell’infermiera Rada Milanović. Inoltre, nelle battaglie intorno ed a Srebrenica, durante la guerra, ci sono stati più di 3.200 Serbi di questo e dei comuni limitrofi uccisi».

Mustafić ci riferisce a riguardo una terribile confessione del famigerato Naser Orić, confessione che non mi sento qui di riportare per l’inaudita crudeza con cui questo criminale di guerra descrive i barbari omicidi commessi con le sue mani su uomini e donne che hanno avuto la sventura di trovarsi alla sua mercé. Ma voglio citare il racconto di uno zio di Mustafić, anch’esso riportato nel libro: «Naser venne e mi disse di prepararmi subito e di andare con la Zastava vicino alla prigione di Srebrenica. Mi vestii e uscii subito. Quando arrivai alla prigione, loro presero tutti quelli catturati precedentemente a Zalazje e mi ordinarono di ritrasportarli lì. Quando siamo arrivati alla discarica, mi hanno ordinato di fermarmi e parcheggiare il camion. Mi allontanai a una certa distanza, ma quando ho visto la loro furia ed il massacro è iniziato, mi sono sentito male, ero pallido come un cencio. Quando Zulfo Tursunović ha dilaniato il petto dell’infermiera Rada Milanovic con un coltello, chiedendo falsamente dove fosse la radio, non ho avuto il coraggio di guardare. Ho camminato dalla discarica e sono arrivato a Srebrenica. Loro presero un camion, e io andai a casa a Potocari. L’intera pista era inondata di sangue».

Da quanto ci racconta Mustafić, gli elenchi dei ‘bosniaci non affidabili’ erano ben noti già da allora alla leadership musulmana ed al Presidente Alija Izetbegović, e l’esistenza di questi elenchi è stata confermata da decine di persone. «Almeno dieci volte ho sentito l’ex capo della polizia Meholjić menzionare le liste. Tuttavia, non sarei sorpreso se decidesse di negarlo», dice Mustafić, che è anche un membro di lunga data del comitato organizzatore per gli eventi di Srebrenica. Secondo Mustafić, l’elenco venne redatto dalla mafia di Srebrenica, che comprendeva la leadership politica e militare della città sin dal 1993. I ‘padroni della vita e della morte nella zona’, come lui li definisce nel suo libro.  E, senza esitazione, sostiene: «Se fossi io a dover giudicare Naser Orić, assassino conclamato di più di 3.000 Serbi nella zona di Srebrenica (clamorosamente assolto dal Tribunale Internazionale dell’Aja!) lo condannerei a venti anni per i crimini che ha commesso contro i Serbi; per i crimini commessi contro i suoi connazionali lo condannerei a minimo 200.000 anni di carcere. Lui è il maggiore responsabile per Srebrenica, la più grande macchia nella storia dell’umanità».

Ma l’aspetto più inquietante ed eclatante delle rivelazioni di Mustafić  è l’ammissione che il genocidio di Srebrenica è stato concordato tra la comunità internazionale e Alija Izetbegović , e in particolare tra Izetbegović e il presidente USA Bill Clinton, per far ricadere la colpa sui Serbi, come Ibran Mustafić afferma con totale convinzione.

«Per i crimini commessi a Srebrenica, Izetbegović e Bill Clinton sono direttamente responsabili. E, per quanto mi riguarda, il loro accordo è stato il crimine più grande di tutti, la causa di quello che è successo nel Luglio 1995. Il momento in cui Bil Clinton entrò nel Memoriale di Srebrenica è stato il momento in cui il cattivo torna sulla scena del crimine», ha detto Mustafić. Lo stesso Bill Clinton, aggiungo io, che superò poi se stesso nel 1999, con la creazione ad arte delle false fosse comuni nel Kosovo (altro clamoroso esempio di ‘false flag’), nelle quali i miliziani albanesi dell’UCK gettavano i loro stessi caduti in combattimento e perfino le salme dei defunti appositamente riesumate dai cimiteri, per incolpare mediaticamente, di fronte a tutto il mondo, l’esercito di Belgrado e poter dare il via a due mesi di bombardamenti sulla Serbia.

Come sottolinea sempre Mustafić, riguardo a Srebrenica ci sono inoltre state grandi mistificazioni sui nomi e sul numero reale delle vittime. Molte vittime delle milizie musulmane non sono state inserite in questo elenco, mentre vi sono stati inseriti ad arte cittadini di Srebrenica da tempo emigrati e morti all’estero. E un discorso simile riguarda le persone torturate o che si sono dichiarate tali. «Molti bosniaci musulmani – sostiene Mustafić – hanno deciso di dichiararsi vittime perché non avevano alcun mezzo di sostentamento ed erano senza lavoro, così hanno usato l’occasione. Un’altra cosa che non torna è che tra il 1993 e il 1995 Srebrenica era una zona smilitarizzata. Come mai improvvisamente abbiamo così tanti invalidi di guerra di Srebrenica?».

Egli ritiene che sarà molto difficile determinare il numero esatto di morti e dei dispersi di Srebrenica. «È molto difficile  – sostiene nel suo libro – perché i fatti di Srebrenica sono stati per troppo tempo oggetto di mistificazioni, e il burattinaio capo di esse è stato Amor Masović, che con la fortuna fatta sopra il palcoscenico di Srebrenica potrebbe vivere allegramente per i prossimi cinquecento anni! Tuttavia, ci sono stati alcuni membri dell’entourage di Izetbegović che, a partire dall’estate del 1992, hanno lavorato per realizzare il progetto di rendere i musulmani bosniaci le permanenti ed esclusive vittime della guerra».

Il massacro di Srebrenica servì come pretesto a Bill Clinton per scatenare, dal 30 Agosto al 20 Settembre del 1995, la famigerata Operazione Deliberate Force, una campagna di bombardamento intensivo, con l’uso di micidiali bombe all’uranio impoverito, con la quale le forze della NATO distrussero il comando dell’esercito serbo-bosniaco, devastandone irrimediabilmente i sistemi di controllo del territorio. Operazione che spinse le forze croate e musulmano-bosniache ad avanzare in buona parte delle aree controllate dai Serbi, offensiva che si arrestò soltanto alle porte della capitale serbo-bosnica Banja Luka e che costrinse i Serbi ad un cessate il fuoco e all’accettazione degli accordi di Dayton, che determinarono una spartizione della Bosnia fra le due parti (la croato-musulmana e la serba). Spartizione che penalizzò fortemente la Republika Srpska, che venne privata di buona parte dei territori faticosamente conquistati in tre anni di duri combattimenti.

Alija Izetbegović, fautore del distacco della Bosnia-Erzegovina dalla federazione jugoslava nel 1992, dopo un referendum fortemente contestato e boicottato dai cittadini di etnia serba (oltre il 30% della popolazione) è rimasto in carica come Presidente dell’autoproclamato nuovo Stato fino al 14 Marzo 1996, divenendo in seguito membro della Presidenza collegiale dello Stato federale imposto dagli accordi di Dayton fino al 5 Ottobre del 2000, quando venne sostituito da Sulejman Tihić. È morto nel suo letto a Sarajevo il 19 Ottobre 2003 e non ha mai pagato per i suoi crimini. Ha anzi ricevuto prestigiosi premi e riconoscimenti internazionali, fra cui le massime onorificenze della Croazia (nel 1995) e della Turchia (nel 1997). E ha saputo bene far dimenticare agli occhi della ‘comunità internazionale’ la sua natura di musulmano fanatico e fondamentalista ed i suoi numerosi arresti e le sue lunghe detenzioni, all’epoca di Tito, (in particolare dal 1946 al 1949 e dal 1983 al 1988) per attività sovversive e ostili allo Stato.

Nella sua celebre Dichiarazione Islamica, pubblicata nel 1970, dichiarava: «non ci sarà mai pace né coesistenza tra la fede islamica e le istituzioni politiche e sociali non islamiche» e che «il movimento islamico può e deve impadronirsi del potere politico perché è moralmente e numericamente così forte che può non solo distruggere il potere non islamico esistente, ma anche crearne uno nuovo islamico». E ha mantenuto fede a queste sue promesse, precipitando la tradizionalmente laica Bosnia-Erzegovina, luogo dove storicamente hanno sempre convissuto in pace diverse culture e diverse religioni, in una satrapia fondamentalista, con l’appoggio ed i finanziamenti dell’Arabia Saudita e di altri stati del Golfo e con l’importazione di migliaia di mujahiddin provenienti da varie zone del Medio Oriente, che seminarono in Bosnia il terrore e si resero responsabili di immani massacri.

Slobodan Milošević, accusato di ‘crimini contro l’umanità’ (accuse principalmente fondate su una sua presunta regia del massacro di Srebrenica), nonostante abbia sempre proclamato la sua innocenza, venne arrestato e condotto in carcere all’Aja. Essendo un valente avvocato, scelse di difendersi da solo di fronte alle accuse del Tribunale Penale Internazionale, ma morì in circostanze mai chiarite nella sua cella l’11 Marzo 2006. Sono insistenti le voci secondo cui sarebbe stato avvelenato perché ritenuto ormai prossimo a vincere il processo e a scagionarsi da ogni accusa, e perché molti leader europei temevano il terremoto che avrebbero scatenato le sue dichiarazioni.

Radovan Karadžić, l’ex Presidente della Repubblica Serba di Bosnia, e il Generale Ratko Mladić, comandante in capo dell’esercito bosniaco, sono stati anch’essi arrestati e si trovano in cella all’Aja. Sul loro capo pendono le stesse accuse di ‘crimini contro l’umanità’, fondate essenzialmente sul massacro di Srebrenica.

Adesso che su Srebrenica è finalmente venuta fuori la verità, dovrebbe essere facile per loro arrivare ad un’assoluzione, a meno che qualcuno non abbia deciso che debbano fare la fine di Milošević.

Ma chi restituirà a loro e al defunto Presidente Jugoslavo la dignità e l’onorabilità? Tutte le grandi potenze occidentali, dagli Stati Uniti all’Unione Europea, dovrebbero ammettere di aver sbagliato, ma dubito sinceramente che lo faranno.

Nicola Bizzi

Fonte: srs di Nicola Bizzi; da Russia News del  24 febbraio 2014



venerdì 26 gennaio 2018

L’ AMERICA ERA PRONTA AD ANNIENTARE PRAGA, BERLINO EST, VARSAVIA, ALTRE CAPITALI...



Documento Eccezionale: Tutta l’Europa dell’est cancellata




Generale Curtis Lemay,  comandante dell’Air Force……Quando i militari ( ieri come oggi) sognavano il primo colpo.




27 dicembre 2015

Wayne MADSEN  Strategic-Culture.org     





Documenti di targeting nucleari del 1959, recentemente declassificati, descrivono come Washington previde di cancellare le capitali degli attuali alleati NATO dell'America in Europa centrale e orientale. La rivelazione mette in dubbio l'impegno, preso nel periodo della guerra fredda, da Washington di proteggere ciò che venne indicato come «nazioni prigioniere» in Europa. I documenti sono contenuti in un rapporto intitolato, «SAC (Strategic Air Command) Atomic Weapons - requisiti di studio per il 1959». [che pubblichiamo in inglese a parte]



Lo studio US Air Force ha chiesto la «distruzione sistematica» di tali centri abitati, importanti come Varsavia, Berlino Est, Praga, Bucarest, Tallinn, e altri, così come Peiping (Beijing), Leningrado (San Pietroburgo), e Mosca.

Bombe atomiche otto volte più grandi per forza distruttiva di quelle usate dagli Stati Uniti su Hiroshima sono state preparate per una serie di obiettivi a Mosca e San Pietroburgo. Ci sono stati 179 «designed ground zero» per bombe atomiche a Mosca e 145 a San Pietroburgo.




Le armi atomiche degli Stati Uniti avrebbero devastato Wittstock, a poca distanza dalla città natale del cancelliere tedesco Angela Merkel, di Templin nel Brandeburgo nella ex Germania dell'Est. E 'più che certo che se gli Usa avessero lanciato un attacco atomico in Europa, la Merkel, i suoi genitori Horst e Herlind Kasner, e il fratello Marc sarebbero stati vaporizzati nel massiccio attacco di pre-targeting per Berlino Est e le regioni che lo circondano.

Budapest città natale di George Soros (grande finanziere ungaro-americano) sarebbe stata completamente distrutta dopo l'attacco degli Stati Uniti all'aeroporto militare Tököl sulle rive del Danubio, con una delle sue armi nucleari «città-busting». L'esplosione avrebbe reso il Danubio un canale di scolo radioattivo e chiunque esposto alle acque velenose del Danubio a valle avrebbe ceduto a una morte agonizzante da radiazioni. Aggiungendo alla miseria di chi vive lungo il Danubio è stato il fatto che Bratislava, pur essa sulle rive del Danubio, è stata presa di mira per l'annientamento nucleare. Le prime vittime principali del centro urbano al di fuori dell'Ungheria, e allora Cecoslovacchia, dal Danubio radioattivo sarebbero stati a Belgrado, la capitale della Jugoslavia neutrale.




L'obiettivo nucleare di Vyborg al confine con la Finlandia avrebbe portato distruzione e morte nella regione di confine della Finlandia neutrale. Quattro bombe atomiche sono state previste per l'ex città finlandese: Koyvisto, Uras, il campo d'aviazione Rempeti, e Vyborg Orientale.

Le armi nucleari, come gli Stati Uniti sapevano, nel 1959 (e ancora di più oggi) non sono «munizioni a guida di precisione».




Con tutta la loro propaganda verso l'Europa orientale, su Radio Free Europe e Radio Liberty, gli Stati Uniti erano disposti a sacrificare gli stessi popoli che proclamavano di voler «liberare» dal blocco sovietico. «Distruzione reciproca assicurata» questa era la politica americana che si è basata sull'aumento della «mega-morte» per poter contare in tutto il mondo grazie alla sua capacità di colpire il nemico con maggiore «peso di tiro» nucleare.



Per aumentare il numero di mega-morte gli Stati Uniti presero di mira centri abitati di grandi dimensioni come Peiping (Pechino), Shanghai, Mukden (Shenyang), e Tientsin in Cina. L'attacco alla metropolitana di Mosca con le bombe atomiche è stato progettato anche per aumentare il numero di vittime. Nell'ex documento Top Secret  nucleare sono elencate le seguenti aree di Mosca per il bombardamento nucleare: Bykovo, centro di Mosca, Chertanovo, Fili, Izmaylovo, Khimki, Kuchino, Lyubertsy, aeroporto Myachkovo, siti aeroportuali Orlovo, Salarevo, Shchelkovo, e Vnukovo.

Diciotto obiettivi nucleari sono stati programmati per Leningrado: Leningrad centrale (compresa la storica Hermitage), Alexandrovskaya, Beloostrov, Gorelovo, Gorskaya, Kamenka Nord, Kasimovo, Kolomyagi, Kolpino, Krasnaya Polyana, Kudrovo, Lesnoy, Levashovo, Mishutkino, Myachkovo, Petrodvorets, Pushkin , Sablino, Sestroretsk, Tomilino, Uglovo, e Yanino.



Il telefono rosso


Bucarest, in Romania, venne considerato il bersaglio per tre città a Baneasa, Otopeni, e Pipera. Ulan Bator, la capitale del presente favore dell'America per la Mongolia, non sarebbe stata risparmiata. L'elenco bersaglio nucleare del Pentagono non ha nemmeno elencato la Mongolia come un paese a sé stante. La voce per l'attacco nucleare si legge: «Ulaan Baatar, la Cina».

Due fatti emergono nella divulgazione della lista di targeting. In primo luogo, gli Stati Uniti rimangono l'unico paese nella storia che ha usato le armi nucleari in guerra - colpendo le città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki nel 1945.
In secondo luogo, alcuni funzionari del Pentagono, in particolare il Capo di Stato Maggiore dell'Air Force generale Curtis LeMay e il presidente degli Stati Maggiori riuniti generale Lyman Lemnitzer, avevano chiesto un primo attacco nucleare contro l'Unione Sovietica e i suoi alleati del Patto di Varsavia.




Infatti, mentre l'Unione Sovietica, la Cina, e la Francia avevano respinto il primo uso di armi nucleari, la NATO e gli Stati Uniti, d'altro canto, hanno deciso per il primo uso di armi nucleari tattiche in caso di un'invasione sovietica dell'Europa occidentale.
Ma, come si è visto con  i progetti di LeMay, Lemnitzer, e altri, un primo colpo nucleare massiccio (first strike) contro l'Unione Sovietica e i suoi alleati, tra cui la Cina, era sulla lista dei desideri dei vertici del Pentagono.

Poiché l'Unione Sovietica era praticamente senza missili balistici intercontinentali (ICBM) nel 1959 e aveva imperniato le sue capacità di guerra nucleare sui bombardieri strategici, gli ufficiali del Pentagono avrebbero voluto colpire l'Unione Sovietica in un attacco preventivo prima di raggiungere la parità missilistica con gli Stati Uniti.

Al centro del folle ragionamento del Pentagono era quello che i fans della guerra nucleare chiamato il «gap missilistico».

Non c'è molta differenza tra la «commedia nera» nucleare o Armageddon del film «Il Dottor Stranamore» e le reali riunioni della "Guerra Fredda" su attacchi nucleari preventivi tenuti alla Casa Bianca e al Pentagono.

Il procuratore generale Robert Kennedy uscì da una di queste riunioni con disgusto, mentre il segretario di Stato Dean Rusk in seguito scrisse: «In nessun caso avrei partecipato ad un ordine di lanciare un first strike».




Nel 1961, il presidente John F. Kennedy in dubbio sulle motivazioni dei suoi generali e ammiragli, dopo un discorso di incoraggiamento degli ufficiali del Pentagono su questo tipo di guerra nucleare, dichiarò: «E ci chiamiamo genere umano».

Kennedy e suo fratello Robert avevano tutte le ragioni per temere che il Pentagono avrebbe aggirato le autorità civili e lanciato un attacco nucleare o contro Cuba, l'Unione Sovietica, o sia durante la crisi dei missili di Cuba del 1962.
Secondo le memorie di Nikita Kruscev, Robert Kennedy disse all'ambasciatore sovietico a Washington Anatoly Dobrynin durante il culmine della crisi che «il Presidente non è sicuro che l'esercito non lo distruggerà per prendere il potere. L'esercito americano potrebbe andare fuori controllo».

Oggi, i popoli dell'Europa centrale e orientale continuano con la loro storia d'amore con la NATO e gli americani. Tuttavia, è stata la stessa NATO e gli antenati degli attuali interventisti militari a Washington che una volta volevano far piovere fuoco nucleare sulla città di Varsavia (sei zeri sottosuolo: Ozarow, Piastow, Pruszkow, Boernerowo, Modlin, e Okecie), Praga (14 ground zero al Beroun, Kladno, Kralupy nad Vltavou, Kraluv Dvor, Neratovice, Psary, Radotin, Roztoky, Slaky, Stechovice, Velvary, Kbely, Ryzyne, e Vodochody), Budapest, Bucarest, Sofia (tre zeri sottosuolo: Bozhurishte, Kumaritsa, e Vrazhdebna), Bratislava, Kiev (tre obiettivi nucleari: Bortnichi, l'aeroporto Post-Volynskiy, e Svyatoshino aeroporto di), Lipsia (dove sette bombe atomiche sono stati mirate su Altenhain, Boehlen, Delitzsche, Grimma, Pegau, Wurzen, e Brandis), Weimar, e Wittenberg.

La distruzione nucleare non avrebbe risparmiato Potsdam, Vilnius (cinque zeri a terra nucleari: Novo Vilnya, Novaya Vileyka, Vilnyus (Centro), Vilnyus Oriente, e Vilnyus Southwest), Lepaya (Lettonia), Leninakan (Gyumri) in Armenia, Alma Ata (Kazakistan), Poznan, Lvov (tre zeri sottosuolo: Gorodok, Lvov Northwest, e Sknilov), Brno, Plovdiv in Bulgaria, Riga (quattro zeri sottosuolo: Salaspils, Skirotava, Spilve, e Riga Ovest), Ventspils in Lettonia (due bersagli : Ventspils Sud e Targale), Tallinn (due zeri sottosuolo: Lasnamae e Ulemiste), Tartu, Tirana, Vlone (Albania), Berat / Kucove (Albania), Kherson (Ucraina), Baku / Zabrat, Birobidzhan nella Repubblica Autonoma Ebraica, Syktyvkar nella Repubblica autonoma di Komi, Nakhichevan Repubblica autonoma al confine con l'Iran, Osh in Kirghizistan, Stalinabad (Dushanbe) in Tagikistan, Tashkent in Uzbekistan, e Tbilisi (sette zeri terra a: Tbilisi centrale, Agtaglya, Orkhevi, Sandar, Sartichala, Soganlug , e Vaziani).

NATO e propagandisti neo-conservatori continuano a dipingere la Russia come un nemico dei popoli dell'Europa centrale e orientale.  Tuttavia, non è stata la Russia che ha avuto le armi nucleari puntate sulle città del territorio euroasiatico ma gli Stati Uniti.  
I generali del Pentagono e gli ammiragli avevano la "loro strada", oggi il fronte orientale di una NATO in rapida espansione non sarebbe altro che un fumante deserto nucleare radioattivo, grazie all'arsenale nucleare dello Zio Sam.


Fonte: http://www.strategic-culture.org/news/2015/12/27/america-was-prepared-annihilate-prague-warsaw-other-capitals.html




IL DOCUMENTO ORIGINALE IN ITALIANO



Secondo un programma del 1956, le bombe H dovevano essere usate sui principali obbiettivi “Air Power” in Unione Sovietica, Cina ed Est Europa. Importanti città del blocco sovietico, come Berlino Est, erano fra i principali bersagli di ordigni nucleari per una “Systematic Distruction”. 

L’individuazione di bersagli civili violava le Leggi Internazionali.

Il  SAC voleva una bomba da 60 Megaton, equivalente ad oltre 4.000 bombe Hiroshima.



Dalla Sintesi Elettronica del National Security Archive, Libro n.538
Curato da William Burr
Postato il 22 Dicembre 2015




Per ulteriori informazioni contattare William Burr 202.994.7000 or nsarchiv@gwu.edu



Washington, D.C., 22 Dicembre 2015–  Il SAC [Strategic Air Command] Atomic Weapons Requirements Study for 1959, stilato nel Giugno 1956 e pubblicato ora per la prima volta dal National Security Archive, costituisce la più ampia e dettagliata lista di obbiettivi nucleari e reti di obbiettivi che sia mai stata dissigillata. Per quanto ne sappiamo, nessun documento di simile portata riguardante il periodo della Guerra Fredda è mai stato pubblicato prima. 

Lo studio SAC include dettagli agghiaccianti. Secondo i suoi autori, i bersagli e le tattiche di bombardamento avrebbero coinvolto la popolazione civile e le “forze amiche”, esponendole a letali contaminazioni radioattive.

Inoltre, la “Systematic Destruction” di obbiettivi urbani ed industriali nel blocco sovietico prevedeva, in modo esplicito e specifico, il bombardamento della popolazione di città importanti come Pechino, Mosca, Leningrado, Berlino Est e Varsavia. Includere la popolazione civile tra gli obbiettivi da bombardare contrastava direttamente con le norme internazionali del tempo, che proibivano di colpire le persone in quanto tali (e non in quanto parte di bersagli militari o di zone civili ad essi limitrofe).
  
Il National Security Archive, con sede presso la George Washington Univeristy, è entrato in possesso di questo studio (oltre 800 pagine) grazie ad un programma della Mandatory Declassification Review (MDR).

Il documento SAC include liste elencanti oltre 1.100 basi aeree del blocco sovietico, ognuna contrassegnata da un numero che ne stabiliva l’importanza. Avendo come obbiettivo principale di un attacco nucleare la forza aerea sovietica (e questo accadeva prima dei ICBMs), i primi due obbiettivi della lista SAC erano le basi aeree bielorusse di Bykhov e Orsha. In entrambi gli impianti l’aereonautica sovietica custodiva bombardieri Badger (TU-16) a medio raggio, minaccia per gli alleati NATO e per le forze statunitensi in Europa Occidentale. 

Una seconda lista comprendeva aree urbane ed industriali destinate ad una “Systematic Destruction”. Qui il SAC elencò oltre 1.200 città del blocco sovietico, dalla Germania Est alla Cina, stabilendo anche in questo caso un ordine d’importanza, con Mosca e Leningrado rispettivamente al primo ed al secondo posto. A Mosca erano stati individuati 179 DGZ  , a Leningrado 145, tra cui anche bersagli civili. 

In entrambe le città la SAC aveva individuato forze aeree - come i centri di comando dell’aeronautica sovietica - da distruggere con armi termonucleari nella prima fase della guerra.

Secondo lo studio, la SAC intendeva colpire gli obbiettivi Air Power con bombe che andavano dai 1.7 ai 9 megatoni. Far esplodere tali ordigni a rasoterra, come era stato deciso, avrebbe comportato significative minacce di contaminazioni radioattive per la popolazione circostante. 

Inoltre, la SAC voleva una bomba da 60 megatoni, necessaria come deterrente, ma che avrebbe anche prodotto “risultati significativi” nell’eventualità di un attacco Sovietico a sorpresa. Un megatone equivarrebbe a 70 volte il rilascio esplosivo della bomba che distrusse Hiroshima. 


LA PIANIFICAZIONE NUCLEARE SAC PER L’ANNO 1959


Di William Burr


La priorità assoluta del SAC era la distruzione del “Air Power” sovietico, in quanto i bombardieri sovietici sembravano costituire un’immediata minaccia per le forze statunitensi in Europa e nell’Asia dell’Est. Come spiega la dettagliata introduzione del rapporto, per la priorità assegnata loro, gli obbiettivi Air Power (BRAVO), tra cui figuravano anche basi aeree dell’Est Europeo, dovevano essere distrutti con bombe termonucleari ad alto rilascio fatte esplodere al suolo. Questa tecnica avrebbe prodotto fuoriuscite radioattive maggiori rispetto a quelle di ordigni fatti esplodere in aria. Secondo lo studio “la necessità di vincere la battaglia aerea è superiore rispetto ad ogni altra considerazione”.

Il “fattore tempo” – ovvero il pericolo di un improvviso attacco Sovietico e conseguente contrattacco – incoraggiò coloro che studiavano gli obbiettivi ad esigere l’esplosione in superficie di armi nucleari ad alto rilascio. Secondo la SAC, far esplodere le bombe in aria avrebbe “comportato una diminuzione dell’effetto esplosivo”. L’esplosione al suolo, o in sua prossimità, avrebbe massimizzato gli effetti esplosivi, distrutto l’obbiettivo, e disperso particelle radioattive che, trasportate dai venti, sarebbero poi ricadute vicino e lontano. 

Secondo lo studio, i responsabili della SAC facevano “massimo affidamento” sugli effetti esplosivi, ritenendo che gli effetti termici e le radiazioni fossero “relativamente inefficaci”. Come ha dimostrato Lynn Eden inWorld on Fire, l’esperienza dell’Air Force durante la seconda guerra mondiale incoraggiava, nel tracciare una stima dei danni, ad enfatizzare gli effetti esplosivi di un ordigno nucleare. Tale mentalità sorvolava i danni causati dagli altri effetti delle armi nucleari, come le radiazioni e gli incendi diffusi. 

Ritenendo che “un risultato favorevole può essere raggiunto negli stadi iniziali”, la SAC considerava essenziale ottenere alti livelli di distruzione. Di conseguenza, i responsabili degli obbiettivi volevano impiegare una potenza di fuoco tale da garantire una probabilità di successo del 90% nella distruzione degli obbiettivi aerei nelle loro strutture superficiali o sotterranee.

Il SAC stimò quante e quali armi nucleari sarebbero servite per la distruzione di ogni DGZ. Tuttavia, la parte del rapporto contenente queste informazioni è totalmente mancante, rendendo quindi impossibile sapere quante armi il SAC riteneva necessarie per la distruzione dei vari obbiettivi. In ogni caso, entro il 1959 il SAC poteva contare su un’ampia riserva di armi nucleari con cui colpire gli obbiettivi principali. In quel periodo infatti le riserve di armi nucleari raggiungevano numeri molto alti: da oltre 2.400 nel 1955 a più di 12.000 nel 1959 fino a raggiungere i 22.229 nel 1961.

Le liste “Air Power” e “Systematic Destruction” NON riportavano gli effettivi e definitivi obbiettivi di un piano militare: infatti, i piani di guerra nucleare cambiavano a seconda delle informazioni di intelligence, fondamentali per la scelta degli obbiettivi. Nelle sue liste, il SAC non faceva che cercare di anticipare questi possibili cambiamenti.


In tutte le aree coinvolte (Unione Sovietica, Cina e paesi satelliti dell’Europa dell’Est), la pianificazione degli obbiettivi prevedeva un linguaggio che “dava un nome” a quei bersagli necessari per la distruzione delle forze belliche ed aereonautiche (Air Power).


Gli obbiettivi “Air Power”


Il SAC aveva come priorità assoluta la distruzione delle forze aeree sovietiche (Air Power), che costituivano una complessa rete di bersagli. Prima che l’Unione Sovietica acquisisse la bomba atomica e la capacità di colpire bersagli su lunghe distanze, il SAC aveva come priorità la distruzione di complessi urbani ed industriali; tuttavia, verso la metà degli anni cinquanta la pressione del “fattore tempo” provocò un cambiamento.

Nel SAC Atomic Weapons Requirements Study for 1959, il SAC definì ampiamente cosa si intendeva per obbiettivi “Air Power”: basi aeree e missilistiche con ruolo strategico e tattico, sia difensive che offensive, ma anche centri di controllo governativi e militari che avrebbero potuto dirigere la battaglia aerea, depositi di armi nucleari, industrie aeronautiche, industrie atomiche, e depositi di lubrificanti a petrolio (POL). 

Questa definizione di “Air Power” sorvolava le categorie sviluppate dal Pentagono nei primi anni cinquanta: in tali categorie gli obbiettivi nucleari (BRAVO) erano distinti dagli obbiettivi militari convenzionali (ROMEO) o urbano/industriali (DELTA).

Secondo questa ampia definizione di “Air Power”, città come Mosca o Leningrado sarebbero stati probabilissimi bersagli di bombe H, in quanto entrambe ricche di obbiettivi “Air Power”.

Per esempio, lo studio SAC localizzava nell’area di Mosca 12 basi aeree: nessuna di loro rientrava fra i primi 400 obbiettivi della lista, e magari non sarebbero state bombardate immediatamente. Tuttavia, attorno a Mosca c’erano obbiettivi di importanza ben maggiore: 7 depositi di stoccaggio ed un centro di controllo dell’aeronautica; un centro di comando governativo (presumibilmente il Cremlino); 4 basi per missili guidati (Produzione R&D); 5 centri di ricerca sull’energia atomica; 11 impianti di copertura aerei; 6 impianti di motori aerei; 2 impianti e 16 magazzini di carburante liquido, raffinerie incluse.

Inoltre, Mosca aveva una gran varietà di obbiettivi non aerei che sarebbero potuti risultare importanti allo scoppiare della guerra, come per esempio: la sede militare dell’Esercito, depositi militari di Esercito e Marina e centri di ricerca sulla guerra batteriologica.

Anche Leningrado era un importante bersaglio di armi nucleari secondo la lista “AirPower”. Nelle sue vicinanze erano infatti situate 12 basi aeree e diversi impianti di industria bellica quali: un impianto per la produzione di carrozzeria aereonautica, uno di motori aerei, 2 centri di ricerca atomica, 2 impianti per missili guidati, 3 di carburante liquido, e quattro depositi dell’aereonautica militare.

Il cuore della lista “Air Power” era costituito dalle basi aeree, missilistiche e di difesa aerea. Il SAC Atomic Weapons Requirement Study elencò alfabeticamente più di 1.100 basi aeree, assegnando a ciascuna un numero di importanza.


Come abbiamo notato prima, le due basi più importanti di questa lista erano in Bielorussia - BykhoveOrsha (conosciuta anche come Balbasova)— come lo erano anche altre quattro fra le prime venti: Baranovichi, Bobruysk (Babruysk), Minsk/Machulische, e Gomel/Prybytki. Sette fra le prime venti erano in Ucraina: Priluki (Pryluky), Poltava, Zhitomir/Skomorokhi, Stryy, Melitpol, Melitpol, eKhorol. Sei in Russia: Pochinok (Shatalovo), Seshcha, Ostrov (Gorokhov), Soltsy, SpasskDalniy, and Vozdenzhenka. Al terzo posto della lista, la base aerea di Tartu, in Estonia.

Alcuni documenti della CIA (ormai resi pubblici) suggeriscono come mai le città di Bykhove Orsha ricoprissero posti così importanti.

Mesi prima della compilazione della lista un articolo pubblicato dalla CIA nel Current Intelligence Bullettin riportava l’avvistamento da parte di esperti militari di jet bombardieri Bison (M-4) siaa Bykhovche a Orsha, anche se in questo caso era incerto se si trattasse di bombardieri Badger [Tu-16] oppure Bison.

Orsha stava infatti diventando un centro di bombardieri Badger, che sarebbero stati impiegati nei vicini teatri di guerra, come in Europa occidentale, dove avrebbero costituito una minaccia per gli alleati NATO e per le forze statunitensi.

Tuttavia, nonostante le paure di Washington, i Bison M-4 non potevano raggiungere gli Stati Uniti in missioni di andata e ritorno (mancava infatti la tecnologia necessaria per il rifornimento in volo); eppure, le formazioni aeree esibite durante una parata militare nella Pizza Rossa nel 1954 crearono a Washington la paura di un “bomber gap”.

Bykhov era una base per bombardieri Badger, ma divenne poi importante come base di missili balistici a medio-raggio (MRBMs) ed era quindi ovviamente destinata a rimanere un obbiettivo primario.

Il modello 3M (Bison-B), successoredel M-4, e il modello Tu-95M (Bear), diedero ai sovietici il loro “primo vero potere su distanze intercontinentali”. Nonostante alcuni significativi problemi tecnici, il bombardiere Bear stava allora diventando operativo, ma le basi dell’aereonautica sovietica che lo custodivano erano ancora poche: tuttavia, esse rientravano tutte fra i primi 100 obbiettivi della lista SAC, come per esempio la base aerea di Mozdok (al numero 34) e quella di Semipalitinsk (al numero 69) .

Secondo lo studio SAC, ogni base aereacostituiva un DGZ. Tuttavia, alcuni bersagli rientravano fra gli obbiettivi di reparti diversi. Secondo il SAC queste ripetizioni erano “desiderabili e necessarie” per assicurarsi la distruzione di bersagli urgenti, nel caso di eventuali fallimenti da parte di un reparto. Per questo, tali ripetizioni riguardavano “le basi aere di elevata importanza”. 

Se i combattimenti fossero continuati anche dopo la distruzione degli obbiettivi “Air Power”, la seconda fase della Guerra avrebbe previsto la “Systematic Distruction”del potenziale bellico sovietico.

I bombardamenti finali avrebbero colpito le “industrie primarie” – quelle industrie e attività economiche che contribuivano all’incremento del potenziale bellico.

Le idee sostenute dalla Air Force fin da prima della Seconda Guerra Mondiale legittimavano il principio secondo il quale la distruzione di industrie primarie poteva causare il collasso di una società industriale. Per raggiungere questo obbiettivo il SAC avrebbe sganciato una grande quantità di ordigni atomici (non Bombe H) su bersagli specifici nelle aree urbano-industriali.

Come indicato dallo studio SAC alla missione “Sytematic Destruction” erano destinati ordigni atomici ad implosione con rilascio esplosivo fino a 160 kiloton – ovvero quasi 8 volte più potenti della bomba Fat Man che distrusse Nagasaki. Tali ordigni avevano un potenziale esplosivo smisurato rispetto al fine a cui erano destinati, ovvero la distruzione di impianti energetici o snodi di trasporto.

Mosca, il bersaglio urbano numero uno, possedeva più di 180 strutture destinate alla distruzione: alcune rientravano nella categoria Air Power, altre fabbricavano prodotti di vario tipo come pezzi meccanici, attrezzi da taglio/perforazione, equipaggiamenti per l’estrazione del petrolio e la più vitale delle medicine, la penicillina.

Importanti bersagli erano anche le infrastrutture come dighe e chiuse, tralicci dell’alta tensione, rotaie ferroviarie e centri di riparazione tramviaria. Il SAC non doveva necessariamente assegnare una bomba ad ognuno di questi obbiettivi, ma poteva definire delle “target islands” dove il bombardamento di un’area specifica avrebbe distrutto anche gli impianti ad essa vicini. Tuttavia, il SAC avrebbe potuto usare più ordigni sulle zone industriali di vasta ampiezza, dato che queste erano sede di diversi impianti.

Ciò che è particolarmente sconcertante nello studio SAC è il ruolo dei bersagli umani (PopulationTargeting). Mosca e i suoi dintorni, come anche l’area di Leningrado, comprendeva obbiettivi chiamati “Population Target” (categoria 275) e non definiti ulteriormente. Lo stesso valeva per tutte le altre città incluse nelle due liste.

In altre parole, le persone in quanto tali – e non in quanto parte di attività belliche od industriali - dovevano essere distrutte. Quali fossero le coordinate esatte di questi bersagli civili è tutt’ora ignoto: infatti, lo studio SAC identifica questi obbiettivi con i numeri di riferimento della Bombing Encyclopedia, la quale rimane però un documento segreto (anche se ne è stata richiesta la pubblicazione).

Lo studio SAC non presenta alcuna spiegazione rispetto alla scelta di obbiettivi civili. Tuttavia, considerare l’impatto morale dei bombardamenti sulla popolazione poteva benissimo essere una tattica ereditata dalla Air Force e dalla Army Air Force.

Per esempio, in una lezione del 1940 alla Air Corps Tactical School, il Maggiore Mui Fairchild spiegò come un attacco alla struttura economica di un paese “deve essere tale da abbattere il morale della popolazione nemica attraverso la paura per la morte o il ferimento di sé stessi e dei propri cari, [in modo che] la gente preferisca accettare le nostre condizione di pace piuttosto che continuare a combattere, spingendo quindi il governo a fare lo stesso.”
Questa linea di pensiero continuò anche nel dopo guerra, in un periodo in cui le scienze sociali studiavano il possibile impatto morale di un bombardamento nucleare sulla popolazione civile.

Qualsiasi cosa i tecnici della SAC avessero in mente, gli attacchi sulla popolazione civile in quanto tale contrastavano con la linea seguita dai comandanti Air Force. Questi ultimi infatti, sebbene fossero disposti ad accettare un gran numero di vittime civili come conseguenza di attacchi ad obbiettivi militari (come nel caso della guerra in Corea), avevano tuttavia bandito gli attacchi “intenzionali” alla popolazione.

Inoltre, gli attacchi ai civili violavano le norme internazionali del tempo, che erano riassunte nell’allora non ancor rettificato regolamento Hague sulla guerra aerea (1923). Tuttavia, queste norme non vennero attuate fino all’accordo del 1977 sui Protocolli Aggiuntivi alla Convenzione di Genova del 1949. In ogni caso, gli Stati Uniti respinsero tassativamente la proposta di applicare la normativa dei Protocolli Aggiuntivi anche alle armi nucleari.

La categoria “Systematic Destruction” prevedeva l’utilizzo esclusivo di armi atomiche: tuttavia, ciò non avrebbe fatto molta differenza per città ricche di bersagli Air Power come Mosca o Leningrado, che sarebbero comunque state rase al suolo, assieme alla loro popolazione, da armi termonucleari.

Questi possibili piani d’azione erano stati fatti anni prima che gli ufficiali statunitensi decidessero di risparmiare Mosca, in modo da lasciare qualcuno con cui negoziare.

Per quanto tempo e fino a che punto i tecnici SAC, nell’individuare le fasi Air Power e Systematic Destruction, seguissero i piani di guerra rimane ignoto. La priorità data alla lista Air Power prevedeva la distruzione termonucleare di obbiettivi militari a Mosca e Leningrado; tuttavia, questi bombardamenti avrebbero comportato l’abbattimento simultaneo anche di quelle strutture attigue che avrebbero dovuto essere distrutte dai bombardamenti “Systematic Destruction” solamente in una fase successiva del conflitto.

Qualora i tecnici SAC considerassero o meno questa sovrapposizione come un problema, entro la fine degli anni cinquanta il Pentagono stava sviluppando piani di guerra “optimum mix”, i quali prevedevano la distruzione rapida – ma simultanea – degli obbiettivi militari, urbani ed industriali più importanti, pur dando la precedenza a quei bersagli Air Power più ricchi di DGZ.


Obbiettivi dell’Est Europa


Il SAC Atomic Weapons Requirements Study for 1959 stipulò che, con qualche eccezione, il SAC avrebbe usato bombe atomiche a bassa resa contro gli obbiettivi dell’Est Europa. Ciò era stato deciso per ragioni “politiche” e “psicologiche”: infatti, attraverso bombardamenti in qualche modo meno distruttivi, si voleva sottolineare la differenza che intercorreva tra l’Est Europa e l’Unione Sovietica. Le eccezioni riguardavano gli obbiettivi Air Power: data la loro importanza, questi obbiettivi sarebbero stati bersagli di armi termonucleari ad alta resa anche in Europa dell’Est. Per esempio, le basi aeree di Brieg e Modlin, vicino Varsavia, occupavano rispettivamente il trentunesimo e ottantesimo posto nella lista SAC per attacchi nucleari. Allo stesso modo, l’aeroporto Tokol, vicino a Budapest, occupando il centoventicinquesimo posto della lista, era un probabile obbiettivo. Di conseguenza veniva meno la distinzione iniziale tra bombardamenti in Unione Sovietica e in Est Europa: in entrambi i casi la popolazione sarebbe stata colpita dalle radiazioni e dagli altri effetti dei bombardamenti termonucleari.
  
In Est Europa si trovavano infatti importanti basi aeree sovietiche, e la stessa Berlino Est rientrava tra gli obbiettivi della “Systematic Destruction”. I primi 200 obbiettivi della lista SAC includevano numerose basi aeree sovietiche, alcune delle quali non erano molto distanti da Berlino. Tra queste vi erano Briesen (al 140°posto), Gross Dolln (Templin) (70° posto), Oranienberg (95°posto), Welzow (96°posto), Werneuchen (Verneuchen) (82°posto).

Per esempio Oranienberg, che era allora una base per bombardieri Il-28 (Beagle), si trova a sole 22 miglia (34 chilometri) a nord di Berlino. Gross Dolln (Templin), prima una base aerea per Il-28 e successivamente per gli aerei da combattimento sovietici, si trova 55 miglia (66 chilometri) a nord di Berlino, mentre Werneuchen (numero 82), una base per intercettatori e bombardieri/aerei da combattimento, è a circa 22 miglia (33 km) Nordest.

Presumibilmente, tutte queste basi aeree sarebbero state il bersaglio di armi termonucleari, che avrebbero esposto tutta l’area di Berlino ad un tremendo pericolo, come quello costituito dalle radiazioni.

La stessa Berlino Est figurava al 61° posto nella lista Systematic Destruction per gli obbiettivi urbani ed industriali.

Lo studio SAC identificò 91 DGZ situati a Berlino Est e dintorni: questi obbiettivi riguardavano un’ampia gamma di infrastrutture tra cui centrali elettriche, spazi ferroviari, depositi di carburante liquido, macchinari e stazioni audio televisive. Inoltre sia Berlino Est che Varsavia (priorità numero 62) comprendevano obbiettivi civili. Il bombardamento atomico di Berlino Est e della sua periferia avrebbe probabilmente causato, tra le tante altre cose, tempeste di fuoco disastrose anche per Berlino Ovest.

Qualora il SAC avesse condotto degli studi sulle conseguenze che un bombardamento atomico su Berlino Est (o su altri obbiettivi della Germania dell’Est) poteva causare a Berlino Ovest, rimane ignoto.


Cina


Che la Cina si schierasse o meno con l’Unione Sovietica, il SAC la considerò sempre e comunque parte del Blocco Sovietico e incluse le sue basi aeree e le sue città, come Pechino, nelle liste degli obbiettivi. Pechino [Peiping nella translitterazione Wade-Giles] infatti, ricopriva il 23° posto nella lista SystematicDestuction, con ben 23 DGZ. La lista includeva inoltre diversi obbiettivi Air Power, tra cui due centri di controllo e due depositi dell’aereonautica militare. La posizione di questi impianti suggerisce che anche Pechino sarebbe stata colpita da armi nucleari all’inizio della guerra.  Sia a Pechino sia nel suo attiguo distretto Fengtai, la SAC aveva infatti identificato diversi obbiettivi militari ed infrastrutturali, tra cui anche bersagli “Population”.


Sistemi di lancio


Per colpire gli obbiettivi, il SAC avrebbe usato missili e bombe. Per quanto riguarda il lancio di bombe, il SAC avrebbe impiegato B-47, stanziati nel Regno Unito, in Marocco ed in Spagna, e B-52 intercontinentali, che stavano appena iniziando ad essere usati negli Stati Uniti continentali.

IL SAC elencò quattro tipi di missili a testata nucleare: Snark, Rascal, Cross Bow e IRBM [Intermediate Range Ballistic Missile]. Lo Snark, uno dei primi missili crociera terra-aria, era stato soltanto brevemente usato nel 1959, in quanto si era rivelato un fiasco (le aree dell’Oceano Atlantico in cui questi missili erano caduti venivano chiamate “acque infestate Snark”). Il Rascal (sostituito dal Hound Dog nel 1958) e il Cross Bow erano entrambi missili bombardiere, dotati di radar per obbiettivi Crossbow. 

Il presidente Eisenhower aveva fatto degli IRBM e degli ICBM una priorità nazionale, ma nel 1956 il IRBM rimaneva un progetto per il futuro. Con una portata che raggiungeva le 1.700 miglia (1.500 miglia nautiche), sarebbero state necessarie postazioni di lancio oltreoceano; queste ultime, per volere della Air Force, dovevano collocarsi nel Regno Unito, ma in questo senso le trattative con gli inglesi dovevano ancora incominciare.
  
Alla fine la Air Force avrebbe impiegato missili IRBM Thor a carburante liquido negli anni 1960 – 63, mentre missili Jupiter trovarono posto in Italia e Turchia negli anni 1961-63 (per essere poi rimossi durante la Crisi Missilistica Cubana).
  
Il SAC identificò inoltre anche gli ordigni nucleari e termonucleari da abbinare ai rispettivi sistemi di lancio: ordigni atomici Mark 6 (B e C) e termonucleari Mark 15, 27 e 36.

Questi ultimi avevano un’impressionante capacità di rilascio esplosivo: l’MK 15 da 1.6 a 3.9 megatoni; l’MK 27 di 2 megatoni, el’ MK 36 da 9 a 10 megatoni. Questo tenendo conto della portata dei test nucleari statunitensi dell’Operation Castle nel 1954, quando il rilascio di esplosivo effettivo (escludendo eventuali fallimenti) spaziava da 1.7 a 15 megatoni.

Inoltre il SAC avrebbe voluto una bomba da 60 megatoni, ma ciò non era in programma per questo specifico studio. Secondo il SAC tale ordigno “era necessario non solo come deterrente, ma anche per assicurare, nel caso di un attacco sovietico a sorpresa, risultati significativi con il minimo dispiegamento di forze.”

Il dibattito sulle armi termonucleari ad altissimo rilascio continuò durante gli anni cinquanta e sessanta, e l’idea di un ordigno da 60 megatoni rimase attuale negli ambienti della AirForce. Invero, in un momento di particolare entusiasmo, Edward Teller propose un ordigno da 10 gigatoni e nei primi anni sessanta, in un momento simile al primo, arrivò a proporne uno da 1.000 megatoni. Si tenga conto che la bomba con il rilascio maggiore posseduta dagli Stati Uniti, la B-41, era un ordigno da 25 megatoni, che rimase in servizio sino agli anni settanta.  L’Unione Sovietica invece attuò il più grande test nucleare della storia nell’ottobre 1961, quando fece esplodere una bomba da 50 megatoni, la “Tsar Bomba”.


Problemi Interpretativi (aggiornato al 29 Dicembre 2015)


Grazie alla tabella dello studio SAC riportante i codici di categoria, è possibile risalire alla lista delle città individuate per la “Sytematic Destruction” e determinare quali e quanti obbiettivi il SAC aveva in mente per ogni città.  Tuttavia le due liste, quella integrale e quella sommaria, non sono identiche; per esempio, per quanto riguarda Mosca, le due liste presentano lievi variazioni riguardanti il tipo e il numero di impianti da colpire. Poco chiari sono anche le lettere della colonna DGZ; per esempio, all’inizio della lista dedicata a Mosca, troviamo le lettere A, AH, AM, AN, etc. 

Uno degli interrogativi che avevano colpito chi scrive, riguardava i numeri che apparivano all’inizio del catalogo degli obbiettivi di ogni città nelle due liste Systematic Destruction. Per esempio, nella lista integrale la sezione dedicata a Mosca è introdotta da sette codici numerici, dove il primo codice è 5545-03737.

Dopo la pubblicazione dello studio SAC il 22 Dicembre 2015, alcuni lettori hanno gentilmente aiutato a capire il probabile significato di questi codici: si tratterebbe infatti della latitudine e longitudine in gradi e minuti dei punti DGZ. Quindi 5545-03737 equivarrebbe a 55°45' N, 37°37' E (55.75° N, 37.61° E); se inserite in Google Maps queste coordinate identificano un punto in prossimità della Piazza Rossa di Mosca. Location simili possono essere individuate attraverso gli altri numeri del documento. Queste coordinate geografiche avrebbe potuto costituire precisi obbiettivi Systematic Destruction, ma tutto ciò rimarrà oscuro fino a quando non verranno resi noti i dettagli mancanti sulla distribuzione delle armi nucleari.




DOCUMENTO ORIGINALE IN INGLESE


U.S. Cold War Nuclear Target Lists Declassified for First Time


According to 1956 Plan, H-Bombs were to be Used Against Priority “Air Power” Targets in the Soviet Union, China, and Eastern Europe
Major Cities in Soviet Bloc, Including East Berlin, Were High Priorities in “Systematic Destruction” for Atomic Bombings
Plans to Target People (“Population”) Violated International Legal Norms
SAC Wanted a 60 Megaton Bomb, Equivalent to over 4,000 Hiroshima Atomic Weapons
National Security Archive Electronic Briefing Book No. 538

Edited by William Burr

Posted - December 22, 2015

For more information, contact:
William Burr: 202.994.7000 or nsarchiv@gwu.edu.




Washington, D.C., December 22, 2015 - The SAC [Strategic Air Command] Atomic Weapons Requirements Study for 1959, produced in June 1956 and published today for the first time by the National Security Archive www.nsarchive.org, provides the most comprehensive and detailed list of nuclear targets and target systems that has ever been declassified. As far as can be told, no comparable document has ever been declassified for any period of Cold War history.

The SAC study includes chilling details. According to its authors,  their target priorities and nuclear bombing tactics would expose nearby civilians and “friendly forces and people” to high levels of deadly radioactive fallout.  Moreover, the authors developed a plan for the “systematic destruction” of Soviet bloc urban-industrial targets that specifically and explicitly targeted “population” in all cities, including Beijing, Moscow, Leningrad, East Berlin, and Warsaw.  Purposefully targeting civilian populations as such directly conflicted with the international norms of the day, which prohibited attacks on people per se (as opposed to military installations with civilians nearby).

The National Security Archive, based at The George Washington University, obtained the study, totaling more than 800 pages, through the Mandatory Declassification Review (MDR) process (see sidebar). 

The SAC document includes lists of more than 1100 airfields in the Soviet bloc, with a priority number assigned to each base.  With the Soviet bomber force as the highest priority for nuclear targeting (this was before the age of ICBMs), SAC assigned priority one and two to Bykhov and Orsha airfields, both located in Belorussia. At both bases, the Soviet Air Force deployed medium-range Badger (TU-16) bombers, which would have posed a threat to NATO allies and U.S. forces in Western Europe.  

A second list was of urban-industrial areas identified for “systematic destruction.”  SAC listed over 1200 cities in the Soviet bloc, from East Germany to China, also with priorities established.  Moscow and Leningrad were priority one and two respectively.  Moscow included 179 Designated Ground Zeros (DGZs) while Leningrad had 145, including “population” targets.  In both cities, SAC identified air power installations, such as Soviet Air Force command centers, which it would have devastated with thermonuclear weapons early in the war.

According to the study, SAC would have targeted Air Power targets with bombs ranging from 1.7 to 9 megatons.  Exploding them at ground level, as planned, would have produced significant fallout hazards to nearby civilians.  SAC also wanted a 60 megaton weapon which it believed necessary for deterrence, but also because it would produce “significant results” in the event of a Soviet surprise attack. One megaton would be 70 times the explosive yield of the bomb that destroyed Hiroshima.



SAC Nuclear Planning for 1959

by William Burr


SAC’s top priority for destruction was Soviet “air power” because of the apparent immediate threat that Soviet bombers posed to the continental United States and to U.S. forces in Europe and East Asia.   The report’s detailed introduction explained that the priority given to Air Power (BRAVO) targets dictated the surface bursting of high-yield thermonuclear weapons to destroy priority targets, including airbases in Eastern Europe.  That tactic would produce large amounts of radioactive fallout compared to bursting weapons in the air.  According to the study, “the requirement to win the Air Battle is paramount to all other considerations.”

The “greatly compressed time factor”—the danger of a speedy Soviet attack and counterattack-- encouraged targeters to require the surface bursting of high-yield nuclear weapons. According to SAC, bursting the weapon in the air would “result in decrease of blast effect.” Detonating the weapon on or close to the ground would maximize blast effects, destroy the target, and disperse irradiated particles which would be picked up by winds and descend far and near.[1]  

According to the study, SAC planners placed “prime reliance” on blast effects, finding that thermal and radiation effects were “relatively ineffective.”  As Lynn Eden has demonstrated in her study, Whole World on Fire, the Air Force’s World War II experience encouraged target planners to emphasize blast effects when they tried to estimate the damage that nuclear weapons would cause. The resulting “blast frame” of mind overlooked the significant devastation caused by other nuclear weapons effect such as radiation and mass fires. [2]  

The Air Power and Systematic Destruction lists were not final lists of targets for a military plan. Nuclear war planning was always in a state of change because new intelligence information would become available and change the understanding of which targets had greater priority.  It is clear that SAC anticipated further refinement of target lists.  The target study included language about the “nomination” of objectives in all of the areas, Soviet Union, China, and the Eastern European satellites, which were responsive to the goal of destroying air power and “war-making” capability.  

Air Power Target System

SAC’s top priority for destruction, the Soviet bloc’s air power, was a complex target system.  Before the Soviet Union  acquired the atomic bomb and significant capability to deliver nuclear weapons at long distances,  SAC’s priority had been the destruction of the Soviet urban-industrial complex, but during the mid-1950s the “greatly compressed time factor” produced a reversal.[3]   In the SAC Atomic Weapons Requirements Study for 1959, SAC broadly defined the “Air Power” target: air and missile bases for strategic  and tactical forces, defensive and offensive, but also government and military control centers that would direct the air battle and nuclear weapons storage sites, air industry, atomic industry, and petroleum-oil-lubricants (POL) storage areas.  To this extent, the Air Power category cut across some of the major categories of target systems that Pentagon planners had developed in the early 1950s: strategic nuclear (BRAVO category), conventional forces (ROMEO category), and urban-industrial (DELTA).[4]

Given the expansive definition of Air Power, this suggested that targets in major cities such as Moscow and Leningrad could be subjected to H-bomb attack because both were rich in air power targets. For example, according to the SAC study, the Moscow area had 12 airbases. None of them were even in the top 400 airbases on the list so they may not have been attacked immediately, but Moscow had other potentially higher priority targets: 7 Air Force storage areas, 1 Air Force military control, 1 government control (presumably Kremlin and vicinity), 4 guided missile entities (R&D, production), 5 atomic energy research centers, 11 airframe entities, 6 aircraft engine entities, 2 liquid fuel plants, and 16 liquid fuel storage areas, including refineries. Moreover Moscow had a variety of other non-air military objectives, such as an Army military headquarters, Army and Navy military storage areas, and biological warfare research centers that might have been deemed worthy of attack at the opening of the war.  

Leningrad was also a prime candidate for high-yield nuclear weapons aimed at air power targets.  It had 12 airbases in the vicinity, as well as such installations as: 1 air frame , 1 aircraft engine, 2 atomic energy research, 2 guided missiles, 3 liquid fuel, 1 Air Force military control, and 4 Air Force military storage areas.

At the heart of the Air Power target system were bases for bombers, missiles, and air defenses. The SAC Atomic Weapons Requirement Study listed alphabetically over 1100 air fields, with a priority number assigned to each. As noted earlier, the number one and number two priority bases on the list were in Belarus—Bykhov and Orsha (a.k.a. Balbasova)—as were four others in the top 20:  Baranovichi, Bobruysk (or Babruysk), Minsk/Machulische, and Gomel/Prybytki. Seven of the top 20 were in the Ukraine:  Priluki (Pryluky), Poltava, Zhitomir/Skomorokhi, Stryy, Melitpol, Melitpol, and Khorol.  Six were in Russia: Pochinok (Shatalovo), Seshcha, Ostrov (Gorokhov), Soltsy, Spassk Dalniy, and Vozdenzhenka.  One airfield, Tartu (number 13 in priority), was in Estonia.

Declassified CIA documents suggest why Bykhov and Orsha had such high prominence on the target list.  Months before the list was prepared, the CIA’s Current Intelligence Bulletin published an article indicating “Western” military attachés had seen Bison (M-4) jet bombers at Bykhov and possibly also at Orsha, although uncertainty existed as to whether the espied aircraft were Badger [Tu-16] or Bison bombers.  In fact, Orsha was becoming a site for Badger bombers, which were slated for strike missions in nearby theaters, such as Western Europe, where they would have posed a threat to NATO allies and U.S. forces. Despite Washington’s fears, the M-4 could not reach the United States on two-way missions (it lacked the technology for aerial refueling), but multiple flyovers of Red Square during a 1954 military parade created fears of a “bomber gap” in Washington.  Bykhov was a base for Badger bombers but later became prominent as a base for medium-range ballistic missiles (MRBMs) so it was sure to remain a high priority target [5]

The 3M (Bison-B), successor to the M-4 and the Tu-95M (Bear), gave the Soviets their “first real intercontinental capability.”  The Bear was becoming operational, although it had significant technical problems.  The Soviet air force deployed Bears at only a handful of bases, but they were among the top 100 airfields targeted by SAC—for example, Mozdok (number 34) and Semipalitinsk (number 69).[6]

According to the SAC study, each airfield was one DGZ [designated ground zero].  Some targets, however, appeared in the war plans of more than one command. For SAC some element of duplication was “desirable and necessary” to assure the destruction of urgent targets in the event that one command or the other could not destroy them.  Therefore, the duplications were “confined to higher priority air fields.”


The “Final Blows”


Moscow, the number one urban target, had around 180 installations slated for destruction; some were in the air power category, but many involved a variety of industrial activities, including factories producing machine tools, cutting tools, oil extraction equipment, and a most vital medicine: penicillin.  Other targets involved significant infrastructural functions: locks and dams, electric power grids, railroad yards, and repair plants for railroad equipment. SAC might not have targeted each installation with a bomb but may have used the concept of “target islands” whereby adjacent installations were targeted at a central aiming point.  SAC may have assigned more than one weapon to large industrial complexes, however, because they were regarded as several installations. 

What is particularly striking in the SAC study is the role of population targeting.  Moscow and its suburbs, like the Leningrad area, included distinct “population” targets (category 275), not further specified.  So did all the other cities recorded in the two sets of target lists. In other words, people as such, not specific industrial activities, were to be destroyed.   What the specific locations of these population targets were cannot now be determined. The SAC study includes the Bombing Encyclopedia numbers for those targets, but the BE itself remains classified (although under appeal).

The SAC study does not include any explanation for population targeting, but it was likely a legacy of earlier Air Force and Army Air Force thinking about the impact of bombing raids on civilian morale. For example, in a 1940 Air Corps Tactical School lecture, Major Muir Fairchild argued that an attack on a country’s economic structure “must be to so reduce the morale of the enemy civilian population through fear—of death or injury for themselves or loved ones, [so] that they would prefer our terms of peace to continuing the struggle, and that they would force their government to capitulate.” Thinking along those lines continued into the post-war period when social scientists studied the possible impact of nuclear bombing on civilian morale.[8]

Whatever SAC planners had in mind, attacks on civilian population per se were inconsistent with the standards followed by Air Force leaders. While they were willing to accept mass civilian casualties as a consequence of attacking military targets, as was the case during the Korea War, they ruled out “intentional” attacks on civilians. Moreover, attacks on populations violated international legal norms of the day, which were summarized in the then-unratified Hague rules on aerial warfare (1923). Nevertheless, such targeting rules were not in force until the 1977 agreement on the Additional Protocols to the Geneva Convention (1949). The United States, however, has consistently refused to accept claims that the targeting standards of the Additional Protocols apply to the use of nuclear weapons.[9]  

The “systematic destruction” category would be struck with atomic weapons only. As suggested, that might not have made much difference for cities like Moscow and Leningrad which had numerous air power targets, along with the surrounding population, which may well have already been destroyed with thermonuclear weapons.  This planning occurred years before U.S. defense officials decided that there should be a “withhold” option to spare Moscow in order to leave someone to negotiate with.

How long, and to what extent, SAC planners followed  war plan with major phases of Air Power and Systematic Destruction is  unclear.   The priority given to Air Power priority posited the thermonuclear destruction of relevant military targets in Moscow and Leningrad, but that implied the simultaneous devastation of any nearby installations that had been slated for “Systematic Destruction” at a later stage of the conflict.  Whether SAC officers saw that as a problem or not, by the late 1950s, Pentagon planners were thinking in terms of an “optimum mix” war plan which sought rapid, but simultaneous, destruction of important military and urban-industrial targets, although giving priority to the Air Power target system in terms of numbers of DGZs.[10]  


Eastern European Targets


The SAC Atomic Weapons Requirements Study for 1959 stipulated that with exceptions SAC would use lower-yield atomic bombs against targets in Eastern Europe.  Apparently this was for “political” and “psychological” reasons, to differentiate those countries from the Soviet Union through somewhat less destructive bombing. The exception was air power targets: because of the primacy of that category, such targets in Eastern Europe were scheduled to be destroyed by high-yield thermonuclear weapons.  For example, according to the SAC target list, Brieg and Modlin airfields, located near Warsaw, were 31st and 80th in priority respectively.  Tokol airport near Budapest was 125th in priority, therefore a likely target.  Thus, urban populations in Eastern Europe would be exposed to the fallout and other effects of thermonuclear weapons, eroding much of the distinction between targets in that region and targets in the Soviet Union itself.

East Germany was the site of major Soviet airbases and East Berlin itself was a target for “systematic destruction.”  A sampling of the SAC airfields list finds more than a few Soviet-operated installations among the top 200, with some not very far from Berlin. Among them were Briesen (number 140), Gross Dolln (Templin) (number 70), Oranienberg (number 95), Welzow (number 96), Werneuchen (Verneuchen) (number 82).  For example, Oranienberg, which was then a base for Il-28 (Beagle) bombers, is only 22 miles (34 kilometers) north of Berlin. Gross Dolln (Templin), originally a base for Il-28 bombers and later for Soviet fighter aircraft, is 55 miles (66 kilometers) north of Berlin. Werneuchen (number 82), a base for interceptors and fighter/bombers, is about 22 miles (33 kilometers) northeast.  Presumably those bases would have been targeted with thermonuclear weapons which could have subjected the Berlin area to tremendous danger, including radiation hazards.

East Berlin had a priority ranking of 61 in the list of urban-industrial slated for “systematic destruction.”  The SAC study identified 91 DGZs in East Berlin and its suburbs: a wide range of industries and infrastructural activities including electric power, railroad yards, liquid fuel storage, machine tools, and radio and television stations.  In addition, East Berlin and its suburbs included “population” targets, as did Warsaw (target priority 62.) The atomic bombing of East Berlin and its suburbs would very likely have produced fire storms, among other effects, with disastrous implications for West Berlin.   Whether SAC conducted studies on the vulnerability of West Berlin to the effects of nuclear attacks on East Berlin or in other East German targets is unknown.


China


Whether China was fighting on the Soviet side or not in a war, SAC treated it as part of the Soviet bloc and listed Chinese airfields and cities in the target lists, including Beijing. Of the list of targets scheduled for “systematic destruction,” Beijing [Peiping in Wade-Giles transliteration] was in the top 20 (number 13) with 23 DGZs.  The list included several Air Power targets, including two Air Force military control centers and two Air Force storage areas. The location of those installations suggests that Beijing would have been targeted with thermonuclear weapons early in the war. For Beijing and its suburban district Fengtai, SAC identified various infrastructural and military DGZs, including “Population” targets.


Target Lists


SAC Atomic Weapons Requirements Study for 1959 provides two target lists. The Department of Energy has excised the numbers and types of weapons assigned to various DGZs in both of them but some general information about them has been declassified. The first list, Part I, consisted of 3400 DGZs—the “SAC Target System,” which suggested that it was the sum total of all targets then considered to be eligible.  The list was “unrestricted” apparently because  a large supply of fissionable material would be available for the weapons assigned to the targets    Taking into account duplicate targets in the Air Power category, the attack plan would have required more than 3400 weapons but that number remains classified.

The second list, Part II, consisted of 1209 DGZs targeted by a larger but classified number of nuclear weapons.  Part of the description for part II is excised so the reasoning behind it  cannot be explained, but it was a “restricted” target list.  According to the study, the “weapons are programmed against targets on the basis of 69,000 [kilograms] of oralloy equivalent (76 tons US).”  Oralloy [Oak Ridge alloy] was a term of art for highly-enriched uranium. “Oralloy equivalent” may refer to the total amount of HEU and plutonium (PU) that was available to fuel the atomic bombs and H-bombs slated to inflict the desired level of destruction.  Seventy-six tons conveys the significant quantities of fissile material required for the atomic bombs and the first generation of two-stage thermonuclear weapons. 

The 3400 and 1209 DGZs in the unrestricted and restricted lists are worth comparing with the first Single Integrated Operational Plan (SIOP), the war plan prepared in 1960 by the SAC-controlled Joint Strategic Target Planning Staff.  If the U.S. had strategic warning of a Soviet attack, it would preemptively strike with a full force of 3500 weapons against an “optimum mix” of 1050 DGZs, including strategic air, missile bases, air defenses, and 151 urban-industrial targets. Attrition and multiple weapons against priority targets accounted for the discrepancy between the number of weapons and the number of DGZs.[11]


Delivery Systems


To deliver the weapons to targets, SAC would use bombs and missiles. For bomber delivery systems, SAC would use B-47s, based in the United Kingdom, Morocco, and Spain, and intercontinental B-52s, which were just beginning to be deployed in the continental U.S.

SAC listed four missile types for delivering nuclear warheads: the Snark, the Rascal, the Cross Bow, and IRBM [Intermediate Range Ballistic Missile].  The Snark, an early intercontinental ground-launched cruise missile, was only briefly deployed, during 1959, because it was a fiasco (areas in the Atlantic Oceans where the missiles crashed were called “Snark infested waters”).  The Rascal (replaced by the Hound Dog in 1958) and Cross Bow were both bomber-launched missiles, with the Crossbow targeting radars.

President Eisenhower had made IRBMs, along with ICBMs, a national priority, but in 1956 the IRBM was still projected for the future. With a range of up to 1700 miles (1500 n.m.), deployment overseas would be necessary and the Air Force envisaged stationing them in the United Kingdom, although talks with the British had yet to begin. The Air Force would eventually deploy liquid-fueled Thor IRBMs in the United Kingdom during 1960-1963, while Jupiter missiles were stationed in Italy and Turkey during 1961-1963 (removed as part of the Cuban Missile crisis settlement).[12]

SAC also identified the atomic bombs and the thermonuclear weapons that would be mated to the delivery systems.  They would be Mark 6 (B and C) atomic weapons and Mark 15, 27, and 36 thermonuclear weapons. The latter had extraordinarily massive explosive yields: MK 15: 1.6 to 3.9 megatons; MK 27: 2 megatons, and MK 36: 9 to 10 megatons.  These compare with the size of the U.S. nuclear tests in Operation Castle during 1954, in which actual explosive yields (not counting one fizzle) ranged from 1.7 to 15 megatons.

SAC wanted a 60-megaton bomb, but it was not programmed for this particular study.  According to SAC, it was “essential, not only as a deterrent but also to ensure significant results even with a greatly reduced force in the event of a Soviet surprise attack.”  Discussion of ultra-high yield thermonuclear weapons continued during the 1950s and early 1960s so the concept of 60 megatons was not out of the ordinary in Air Force circles.  Indeed, in a moment of enthusiasm Edward Teller proposed a 10-gigaton device, and in the early 1960s, in another outburst, he suggested yields up to a 1,000 megatons. A 25-megaton bomb, the B-41, had the largest yield of any weapon in the U.S. stockpile and it stayed in service until the 1970s.  The Soviets staged the largest nuclear test in history in late October 1961 with the 50-megaton “Tsar bomba.”


Interpretative Problems (Updated 29 December 2015)


Using the category code table in the SAC study it is possible to go to the list of cities slated for the Systematic Destruction mission and determine how many installations and of what type SAC had in mind. For whatever reason, the two restricted and unrestricted target lists are not quite identical; for example, with respect to Moscow, there are minor variations in the types and numbers of installations itemized in the restricted and unrestricted target lists. Also unclear are the letters in the DGZ [Designated Ground Zeroes] column; for example, at the beginning of the Moscow list: A, AH, AM, AN, etc. One puzzle that initially stumped this writer had to do with numbers that appear at the beginning of the catalog of targets for all the cities identified in the two Systematic Destruction lists. For example, at the start of the Moscow section in the unrestricted list includes seven sets of numbers, beginning with this one: 5545-03737.

Since the posting of the SAC study on 22 December 2015 a number of readers have kindly pointed out what those numbers most likely signify: the latitude/ longitude of DGZs in degrees and minutes. Thus, 5545-03737 is 55°45' N, 37°37' E (55.75° N, 37.61° E); this number can be plugged into Google Maps, which shows that the approximate location is in //www.google.com/maps/@55.75,37.61,4071m/data=!3m1!1e3" target="_blank">Red Square Moscow. Similar location information can be found using the other numbers in the document. These geographic coordinates may have been specific targeting assignments in the Systematic Destruction mission, but that is likely to remain unclear until such time as the excised details on atomic weapons allocations become available.

Archival location of the SAC study: U.S. National Archives, College Park, Record Group 242, Operational Planning, box 147, file B 89351

Note to readers: Apparently the original version of SAC Atomic Weapons Requirements Study for 1959 was published as a compendium of spread-sheets.  To process this study for declassification, the National Archives and Records Administration scanned it so that the information would fit on 8 by 11 inch sheets of paper. To make this highly compressed PDF legible the reader will need to expand it to at least 150 percent of the text size.  Excerpts from this huge study, which is about 800 pages in length, are presented below. For ease of use, the document has been broken down into sections, as separate PDFs, as follows:


Notes


[1] .   The study’s authors mistakenly asserted that “worldwide contamination is minimized when the surface burst is utilized.” The anonymous authors may not have been scientists, but in light of the 1954 Castle Bravo test, which spread radioactive debris globally, they should have known better.
[2] .  Lynn Eden, Whole World on Fire: Organizations, Knowledge, and Nuclear Devastation (Ithaca: Cornell University Press, 2004).
[3] .  For targeting during the early 1950s and changes in priorities, see David A. Rosenberg, "A Smoking Radiating Ruin at the End Of Two Hours": Documents on American Plans for Nuclear War with the Soviet Union, 1954-1955,” International Security 6 (1981/82), 3-38.
[4] .  For useful background on developments in SAC targeting during the 1950s, see Edward Kaplan, To Kill Nations: American Strategy in the Air-Atomic Age and the Rise of Mutually Assured Destruction (Ithaca, Cornell University Press, 2015), especially chapter four, “The Fantastic Compression of Time,” at pages 77-107.
[5] .  Steven J. Zaloga, The Kremlin’s Nuclear Sword: The Rise and Fall of Russia’s Strategic Nuclear Forces, 1945-2000 (Washington, D.C.: Smithsonian Institution Press, 2002), 24; Oleg Bukharin, Pavel Podvig, et al., Russian Strategic Nuclear Forces (Cambridge: MIT Press, 2001), 342.
[6] . Zaloga, The Kremlin’s Nuclear Sword, 29.
[7] .   For World War II bombing concepts, see Tami Davis Biddle, Rhetoric and Reality in Air Warfare: The Evolution of British and American Ideas About Strategic Bombing, 1914-1945 {Princeton: Princeton University Press, 2002).
[8]. Ronald Schaffer, Wings of Judgment: American Bombing in World War II (New York: Oxford University Press, 1986), 31, 214.  On population targeting, see also Jeffrey Richelson, “Population Targeting and U.S. Strategic Doctrine,” in Desmond Ball and Jeffrey Richelson, eds., Strategic Nuclear Targeting (Ithaca: Cornell University Press, 1986), 234-249.
[9] .  Matthew Evangelista and Henry Shue, eds., The American Way of Bombing: Changing Ethical and Legal Norms from Flying Fortresses to Drones (Ithaca: Cornell University Press, 2014), 36-37, 39, 58-60, and 62-63; David A. Rosenberg, “Nuclear War Planning,” in Michael E. Howard et al., The Laws of War: Constraints on Warfare in the Western World (New Haven: Yale University Press, 1994), 165.
[10] .   David A. Rosenberg, “The Origins of Overkill: Nuclear Weapons and American Strategy 1945-1960,” 7 International Security (1983) 3-71.  For JCS thinking in terms of a two-phase attack plan, see Kaplan, To Kill Nations, 98.
[11] .  Rosenberg, “The Origins of Overkill,” 6.  See also Kaplan, To Kill Nations, 99, without citing source for numbers of weapons and targets.
[12] .  For the history of the U.S. IRBM program, see Philip Nash, The Other Missiles of October: Eisenhower, Kennedy, and the Jupiters, 1957-1963 (Chapel Hill: University of North Carolina Press, 1997).


Fonte: da Storia Vicentina