giovedì 18 ottobre 2012

L’ITALIA È ALLO SFASCIO? TUTTA COLPA DEL FEDERALISMO CHE NON C’È



Finalmente è tutto molto chiaro e dobbiamo ringraziare un eroico e illuminato stuolo di geni italici che ci hanno svelato la vera causa di ogni nostro malessere sociale, morale ed economico: il federalismo! La salvifica diagnosi gode di uno straordinario unanimismo che travalica ogni steccato ideologico: lo dicono il compagno Napolitano, monsignor Bagnasco, il camerata Storace e il disciplinato  coro dei giornalisti più autorevoli. Tutti sono infiocchettati di tricolore, circondati da scolari che cantano l’inno di Mameli, tutti agitano al vento come fosse il libretto di Mao l’ultimo parto editoriale di Marcello Veneziani: “Dio Patria Famiglia”.  Come il Che, Mazzini non è mai morto e il suo spirito funesto e menagramo ha ripreso a volteggiare sui destini del felice Stivale.

Cosa rivelano tutti costoro?  Semplice: i guai della penisola derivano dalla riforma federalista ma ancora di più dal regionalismo e dal decentramento. Cosa si deve fare? Elementare Watson: abolire le Province, abolire le Regioni, accorpare i Comuni e magari spedirci un bel podestà di nomina governativa. Fare un bello Stato dei prefetti, tutto gagliardetti e grembiulini, da consegnare a Bruxelles come una tranquilla provincia pacificata,  saggiamente e sobriamente governata  da  Monty Python.

Su cosa si basa la Rivelazione? In alcune Regioni  e Province una allegra comitiva di trafficoni si è data da fare per arraffare i soldi dei contribuenti e questa è la dimostrazione che le autonomie locali sono fonte di corruttela e di incontrollabili porcherie. Ergo: autonomismo e federalismo sono la fonte di ogni nequizia. L’assioma sarebbe – a loro dire – ulteriormente dimostrato dal fatto che le nequizie siano by-partisan, che coinvolgano cioè amministratori di ogni colore politico: il cancro del federalismo sarebbe più forte di ogni benefico anticorpo ideologico.
Cominciamo dal fondo.

Che Er Batman, Cuffaro, qualche assessore vendoliano o ciellino, Penati e compagni appartengano a congreghe politiche diverse dimostra una sola cosa: che la corruzione è trasversale, che i manigoldi si sono infilati dappertutto. Questo non c’entra nulla col federalismo, anzi è reso possibile dal centralismo delle leggi e della cosiddetta giustizia. Forse i ladri sono di varia provenienza ma chi li dovrebbe controllare è sicuramente italianissimo.

Nonostante il clima di lassismo sia comune e generale, ci sono posti dove certi comportamenti avvengono con più allegra predisposizione, ci sono latitudini che sembrano favorire una più tranquilla e rilassata “comprensione” per talune dissolutezze considerate furberie. Roma e dintorni poi sono un caso storico a sé stante:  una antica e solida tradizione di elegante parassitismo ha qui solide radici.

Nella legislazione italiana non c’è proprio niente di federalista, neppure quella briciola di buon senso che sarebbe stata rappresentata dai “costi standard”, la cui legge di attuazione giace in un cassetto, ignorata dal fratello Monti e dal compagno Napolitano.

L’utilizzo disinvolto dei soldi pubblici è una bella tradizione castaiola che travalica i confini istituzionali e che è proporzionale al bottino di cui si dispone.  Mucchi piccoli attirano solo qualche striminzito parassita facile da individuare e liquidare; mucchi grossi e poco custoditi consentono la libera bisboccia di colonie di pantegane grasse e strafottenti. Quello che si ruba e spreca nello Stato è molto di più di quello che si ruba e spreca nelle Regioni ma di questi tempi non è opportuno ricordarlo. Il Quirinale costa ogni anno più di quanto 300 o 400 dei più efficienti Batman potrebbero “raggranellare”.

Il federalismo vero (non quello aggettivato e fasullo che da vent’anni viene raccontato in Italia) si basa su una serie di sacrosanti principi, uno dei quali è la coincidenza dei centri si prelievo e di spesa: ciascuno utilizza quello che produce e controlla come le risorse vengono impiegate. Ogni ente territoriale raccoglie le proprie tasse e se le spende come gli pare: oculatamente se il controllo è serio, con sprechi di ogni genere se ai cittadini sta bene così. Miglio sosteneva il paradosso che se una comunità locale decidesse democraticamente di scialacquare  tutte le sue risorse sarebbe libera di farlo. Naturalmente la cosa non potrebbe succedere per il prevalere del buon senso e per il diritto al dissenso, alla disobbedienza, all’emigrazione e alla secessione di chi sente i suoi diritti calpestati.

Ognuno deve gestire casa propria come gli pare purché lo faccia con i propri soldi. Diceva Gaetano Salvemini: «Ciascuno stia a casa sua, e ognuno si tenga i propri quattrini e se li spenda come meglio crede».

I soldi del Lazio provengono tutti dalle tasse pagate dai cittadini laziali? E quelle della Sicilia o della Puglia? Che federalismo è quello in cui uno Stato centrale prende i soldi di tutti e li distribuisce come gli pare, alla cavolo di cane, a seconda di vantaggi politici o di clientele elettorali? Che federalismo è quello in cui c’è qualcuno che paga quasi tutto il conto e riceve solo le briciole? Che federalismo è quello in cui chi è virtuoso deve mantenere un esercito di parassiti e di manigoldi solo perché lo impone un mantra patriottico imposto e salmodiato proprio da chi si fa mantenere?
Queste schifezze succedono qui  (e in qualche repubblica sudamericana o centrafricana) per due ragioni:
1 – Perché viviamo in un sistema centralista, socialista, statalista, inefficiente, corrotto e patriotticamente unitario. Altro che federalismo o decentramento! Tutto succede perché i contribuenti non possono controllare la destinazione dei loro quattrini.  Il federalismo non è  il problema, è la  soluzione!
2 – Perché viviamo in un paese levantino, che si è unificato verso il basso, distribuendo su tutto il suo territorio le peggiori pulsioni di alcune sue parti. Non esistono comunità perfette e anche quelle settentrionali hanno la loro giusta dose di mascalzoni e di balabiotti ma – prima di diventare italiane – avevano sempre messo in atto civili azioni di difesa. Era così facile rubare denaro pubblico nella Serenissima, nel Banco di San Giorgio, nel Granducato di Toscana o nel Lombardo-Veneto? È poco probabile che i furfanti si potessero permettere festini in costume ma è certo che non sarebbero mai riusciti ad arrivare alle più alte cadreghe del potere. L’indipendenza non è il problema,  è la soluzione!

Fonte: srs di Gilberto Oneto, da L’Indipendenza del 27 settembre 2012

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