ltalo Calvino nel 1954. Due anni prima pubblicò i pezzi da/l'Urss sull'Unità
Di Carlo Sala
Giorgio Nicolai raccoglie in un'antologia gli scritti di romanzieri e cronisti in viaggio in Russia. Spesso incapaci di vedere le mostruosità del regime
Quale paradiso in terra per gli operai avesse realizzato il comunismo si intuiva fin dall'inizio, appena la Rivoluzione d'ottobre in Russia mise in pratica le sue promesse.
Come aveva capito il futuro Nobel Bertrand Russell, il comunismo non aveva fatto altro che creare una nuova casta di privilegiati, quasi una sorta di nuova aristocrazia, con la scusa dell' egualitarismo e del trionfo del proletariato.
Boccone assai amaro per chi proletario era rimasto, come quell'italiano - uno dei tanti citati nell'antologia in cui Giorgio Maria Nicolai (Sovietlandia, BuIzoni, pp. 386, euro 25) raccoglie i racconti che svariati connazionali hanno scritto in occasione di viaggi in Russia dal 1917 agli anni '90 - il quale scopre che l'uguaglianza dei lavoratori in Urss consiste nell'essere tutti egualmente angariati dai servizi segreti.
Un po' di impegno in più dell'Occidente avrebbe stroncato sul nascere il passaggio del comunismo dal mondo delle teorie a quello della gente in carne e ossa. Ma la teorizzazione della democrazia come bene da esportare fatta dal presidente Usa Woodrow Wilson per l'osservatore della Russia nel 1917 non era minimamente fantasticabile.
Le lacrime
Ci vorranno anni prima che Enzo Biagi possa raccogliere una testimonianza di chi visse quegli anni e vide cosa furono: «Guardo gli occhi grigi di Antonina Nikolajevna che mentre parla si riempono di lacrime. “Perquisirono tutto e portarono via anche le lettere che lui (il marito, ucciso nel 1941, ndr) mi aveva mandato. Poi andai con lui fino al cortile della Lubjanka: Isaak mi abbracciò”» (la vedova venne a sapere di essere tale solo nel 1954).
Nel frattempo però la propaganda sovietica affina le sue arti, così Sibilla Aleramo finisce per credere a «un avvenire che i sovietici appena intravedono, che potrà forse un giorno chiamarsi paradiso».
Maurizio Ferrara non risparmia accenni critici, ma l'esponente comunista, corrispondente per l'Unità, non ha dubbi sulla validità del modello comunista e si limita a evidenziare le ulteriori migliorie possibili. «I segni di una produzione che è già nelle dimensioni dell’abbondanza sono evidenti», scrive visitando i mercanti di Minsk. «È questa allegria dello "spreco" che fa piacere controllare in un Paese in cui ancora si tira a non sprecare nulla e in cui il superfluo è ancora spesso difficile da trovare».
Italo Calvino, complice il fatto di essere inviato dell’Unità (tra il febbraio e il marzo del 1952 pubblicò una ventina di articoli), preferisce invece volgere lo sguardo sui «numeri comicissimi di una caricatura finissima e spietata» dei «fantocci di Mosca». Definisce poi quello sovietico un mondo in perpetuo movimento, «di cui non puoi mai dire “è così” perché sempre vedi insieme com'era e come sta diventando e come diventerà» e spiega che, in virtù di un certo «attaccamento nostalgico» alle antiche tradizioni, la Russia è dopotutto un Paese «conservatore in senso positivo», dove le donne hanno una certa «procacità angolosa» e in cui i palazzi «di ferro e cemento armato» sono «orgogliosi» e non «segneranno la fine della sommessa, familiare gaiezza della Russia».
Le ispezioni
Al reporter del Corriere della Sera Luigi Barzini senior non sfugge cosa c'è dietro quanto hanno visto la Aleramo e Ferrara: «Le ispezioni governative sono continue sui raccolti. Se i conti non tornano, qualcheduno parte per la Siberia o per il palo di esecuzione... La disperata speranza di un domani meraviglioso che anima gli operai non è sentita» dai contadini alle prese con la collettivizzazione di campagne e raccolti. Anche la vita in città non è certo meno grama.
Gli appartamenti garantiti dal regime sono sì spaziosi e addirittura forniti di radio, come riconosce un pur critico Giuseppe Saragat (futuro presidente della Repubblica), ma abitualmente suddivise tra più famiglie o con altri.
Su tutto, come nota Giorgio Bocca, aleggia una cappa di brutto: «Non è giusto che molte, troppe città sovietiche appaiano come la somma di 3 brutti distinti. II più antico è lo staliniano... Il secondo brutto è il kruscioviano... E infine il terzo è il brezneviano».
Il grigiore delle città non è che lo specchio del grigiore calato fin nell'intimità domestica. La famiglia è ridotta a prodotto da catena di montaggio, il matrimonio a procedura, come può testimoniare il futuro direttore del Corsera Piero Ostellino: «I due firmano e la bella signora li dichiara marito e moglie. Di nuovo, meccanicamente, l'orchestrina riattacca a suonare... Gli sposi si scambiano le fedi nuziali. Fine. Durata della cerimonia: 3-4 minuti... Ogni giorno, mi dice la direttrice sono celebrati 40-45 matrimoni».
QUEI GENI FOLLI INNAMORATI DEI DITTATORI
Il filosofo e storico Paul Michel Foucault (Poitiers, 15 ottobre 1926 – Parigi, 25 giugno 1984) difensore della rivoluzione proletaria
Di Francesco Borgonovo
Heidegger e Schmitt legati al nazzismo, Foucault pronto a giustificare sanguinose rivolte proletarie: Un libro di Mark Lilla racconta l’asservimento degli intellettuali alle tirranie
Nel suo splendido libro su Stalin intitolato Koba il terribile, lo scrittore britannico Martin Amis inserisce una lettera indirizzata all'amico giornalista Christopher Hitchens. «Sai già che il bolscevismo vanta un repertorio di meschinità e insensatezze inesprimibili a parole, davanti al quale persino il cielo trattiene il fiato. Fatico dunque ancora a comprendere perché tu non voglia mettere più distanza tra te e quegli eventi, la tua ammirazione per Lenin e la tua mai pentita militanza come seguace di Trockij».
In quel volume, Amis cercava di capire come mai tanti intellettuali si fossero fatti stregare dal comunismo. Il suo amico Hitch, per esempio, ma anche suo padre, il famoso romanziere Kingsley Amis, che per quindici anni fu iscritto al partito salvo poi cambiare idea e trasformarsi in un conservatore ritenuto dai progressisti (assieme allo storico Robert Conquest, considerato nemico numero uno dell'Ursss per averne svelato il lato oscuro) un vero fascista.
STRANI PASSAGGI
La fascinazione di scrittori, filosofi, storici e pensatori di ogni genere per le grandi dittature è ancora un problema sul piatto.
Trovare una risposta sembra da un lato troppo semplice, dall' altro impossibile. Il vicedirettore del Corriere della Sera Pierluigi Battista ha documentato in alcuni libri (Cancellare le tracce e il recente I conformisti) il passaggio di tanti uomini di pensiero italiani dalla seduzione del fascismo regime a quella esercitata dal Pci filosovietico. E basta leggere le citazioni presenti nell'articolo qui a fianco per rendersi conto di che cosa riportavano grandi nomi della nostra letteratura in visita nell'inferno russo. Tuttavia, assistiamo ancora a casi di infatuazione per sistemi politici sconfitti dalla storia.
Il filosofo Gianni Vattimo, ostinàtamente, pubblicò qualche tempo fa un pamphlet intitolato Ecce comu, sull'importanza di essere comunisti oggi. Lo scorso anno il suo collega Slavoj Zizek (pensatore amatissimo nei salotti radical) neppure un anno fa ha dato alle stampe il corposo libro In difesa delle cause perse. Materiali per la rivoluzione globale. In quel volume, spiegava che nelle «politiche totalitarie della modernità» è comunque possibile rintracciare fondamenti di verità e i regimi di terrore che le "cause perse" hanno creato negli anni non devono obbligarci a sostenere una «misera terza via» democratica e liberale.
INTERESSE CONTINUO
Insomma, il tempo passa, ma l'interesse per certe idee non viene meno. Ecco perché è interessante leggere The e Reckless Mind: lntellectuals and Politics, il saggio di Mark Ulla in uscita prossimamente per Baldini e Castoldi (col titolo Il genio sconsiderato. Heidegger, Schmitt, Benjamin, Kojève, Foucault, Derrida e i totalitarismi, pp. 256, euro 17,50).
L'autore è uno degli intellettuali americani più noti: storico delle idee alla Columbia University, editorialista di New Republic e New York Times, è considerato uno fra i più lucidi e influenti pensatori liberali di questi anni.
Questo saggio (scritto nel 2001), fa riferimento a un celebre volume di Czeslaw Milosz, poeta premio Nobel per la Letteratura, intitolato La mente prigioniera. Il quale cercava di mostrare «come operi il pensiero umano nelle democrazie popolari», cioè nei regimi comunisti. In particolare, Milosz si soffermava sull'ambiente da lui meglio conosciuto: quello degli artisti e degli scrittori. E analizzava le dinamiche del loro asservimento al potere dittatoria le stalinista. Lilla fa un passo avanti. Nelle “democrazie popolari” e nei Paesi della Cortina di ferro, essere anticomunisti significava mettere a rischio la propria vita e quella dei propri famigliari. Ma come possiamo, si chiede lo studioso americano, «spiegare il fatto che un coro per la tirannia è esistito anche in Paesi dove gli intellettuali non affrontavano alcun pericolo ed erano liberi di scrivere quello che più gli aggradava?».
Ulla prende in esame alcuni casi molto noti, ad esempio quelli di Martin Heidegger, Carl Schmitt e i loro rapporti col nazismo. Non c'è dubbio che si trattasse di grandi menti del secolo passato, ma alcuni episodi fanno rabbrividire.
Per esempio lo scambio tra Jaspers e Heidegger. Il primo, costernato: «Come può un uomo incolto come Adolf Hitler governare la Germania?... Risposta di Martin: «La cultura non importa. Guarda soltanto le sue mani meravigliose».
Ormai le storie sul nazismo di Heidegger e Schmitt sono note ai più e di polemiche se ne sono consumate fin troppe (per esempio all'uscita dei saggi sull'autore di Essere e tempo firmati dal filosofo cileno Victor Farìas).
Più interessanti - anche perché più attuali - sono le parti del saggio dedicate a autori come Michel Foucault e Jacques Derrida. I quali, sul piano dell'elaborazione di pensiero, di certo sono infinitamente inferiori a mostri sacri come Schmitt e Heidegger.
Per inquadrare Foucault basterebbe questa vicenda: nel 1971, il filosofo francese partecipò a un dibattito pubblico con Noam Chomsky. E disse, molto chiaramente: «Quando il proletariato prende il potere, può esercitare nei confronti delle classi sulle quali ha trionfato un potere violento, dittatoriale e anche sanguinario. Non vedo che obiezione si possa fare a tutto ciò».
Lilla rintraccia in Foucault un singolare parallelismo fra la vita e gli scritti. Sul piano privato, il filosofo indulgeva in frequentazioni “trasgressive”: era omosessuale con una smaccata tendenza al sadomasochismo. Contrasse l'Aids e continuò ad avere rapporti non protetti fino alla morte.
Sul piano delle idee, Foucault celebrò la trasgressione alle strutture del potere, sostenne la rivoluzione degli Ayatollah in Iran (con articoli pubblicati anche sul Corriere della Sera).
Per quanto riguarda Derrida, beh, Lilla lo massacra: il fatto che sia considerato un filosofo importante da molti intellettuali americani, spiega, dice molto sullo stato della cultura occidentale.
FORZA EROTICA
Alla fine, da The Reckless Mind sembra emergere la seguente conclusione: la stessa forza, quasi erotica, che ha spinto questi intellettuali a misurarsi con la filosofia, li ha poi gettati nelle braccia del totalitarismo.
In entrambi i casi, spiega, essi cercavano di «produrre il bello». «Gratificati dal vedere le loro idee realizzarsi, questi intellettuali diventavano servili adula tori dei tirarmi».
Alcuni critici harmo accusato Lilla di facile psicologismo. La sua risposta, tuttavia, resta importante. Anche perché, in parte, coincide con quella fornita da testi di cui abbiamo parlato recentemente: Straborghese di Sergio Ricossa e Anatomia dell'anticapitalismo di Luciano Pellicani.
Entrambi mettono in luce un aspetto fondamentale: l'odio per la “normalità” e le convenzioni borghesi, il disprezzo per il grigio della democrazia liberale, certo meno coinvolgente rispetto al rosso o al nero dei regimi.
Ecco perché l'asservimento dei pensatori ai tirarmi sembra destinato a proseguire. E la lista delle “menti sconsiderate” continua ad allungarsi.
Con una battuta, Illa ha spiegato a Libero che potrebbero comparire nel suo libro anche autori come Noam Chomsky, Gabriel Garcìa Màquez e forse Saramago, «tutti compagni di viaggio e apolegeti dei tiranni».
Fonte: srs di Carlo Sala e Francesco Borgonovo; da Libero del 17 marzo 2010
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