Adriano Olivetti l'imprenditore che non aveva un buon rapporto con la politica del tempo e nemmeno con il sindacato, ala sua morte finisce anche una certa Italia prestigiosa e d'avanguardia tecnologica!
OLIVETTI ADDIO,
CHIUDE ANCHE L’ULTIMA FABBRICA
Adriano Olivetti l'imprenditore che non aveva un buon rapporto con la
politica del tempo e nemmeno con il sindacato, ala sua morte finisce anche una
certa Italia prestigiosa e d'avanguardia tecnologica!-
La Olivetti I-Jet di Arnad, in liquidazione, ha ormai
davanti poco più di un mese di vita. Dava lavoro a 162 persone e non tutte
saranno ricollocate. A rischio sono i livelli alti e i ricercatori, perché
serve manovalanza da call center. Intanto, a Ivrea, si gira la fiction su
Adriano, e c’è ressa per fare le comparse.
ARNAD (AOSTA) –
Arnad è famosa per il lardo. L’unico lardo dop d’Italia. Ma, se lavorate in
ufficio, forse avrete avuto maggior confidenza con l’altro prodotto tipico di
questo Comune valdostano di 1.300 abitanti: un fax o una stampante Olivetti
I-Jet. La Olivetti I-Jet Spa, però, è in liquidazione. Così, con la fine di
questo 2012, chiuderà i battenti l’ultimo stabilimento produttivo della grande
azienda fondata nell’ottobre 1908 a Ivrea dall’ingegner Camillo Olivetti, poi
resa dal figlio Adriano, nella seconda metà del Novecento, una protagonista
assoluta dello sviluppo informatico mondiale. Tra caldarroste e vin brulé un
gruppo di lavoratori si è riunito nel parcheggio di fronte allo stabilimento.
Hanno anche piazzato, in vista sulla statale 26, un lenzuolo di protesta con su
scritto: «Telecom liquida la tecnologia. No alla chiusura di Olivetti I-Jet».
Protesta dei lavoratori di fronte alla Olivetti I-Jet di
Arnad (Aosta)
«È una fine
immeritata», dice Rinaldo Ferrarotti, uno dei lavoratori. «Per parecchi
anni Olivetti è sopravvissuta grazie a noi della I-Jet, quando già tutto il
resto era andato in malora. Producevamo 10 milioni di accessori all’anno,
impiegando 300 persone». E poi? «Poi il nostro segmento di mercato è diventato
sempre più aggressivo. A un certo punto si è deciso di chiudere il settore
delle multifunzionali (gli apparecchi che fanno assieme da fax, stampante e
scanner), perché lì la concorrenza era estrema. Bisognava vendere sottocosto e
guadagnare negli anni con gli accessori di ricambio. Con questa scelta di
politica industriale siamo scesi a 5 milioni di pezzi. Infine, quest’anno, si è
deciso di uscire anche dal mercato del fax, dicendo che tanto il fax sta
morendo. Sì, può darsi. Di certo, però, non c’è stato accanimento terapeutico.
La spina l’hanno staccata subito. Crollo a un milione di pezzi, e fine della
storia».
Il comunicato aziendale con il de profundis porta la data del 1° giugno
scorso. Eccolo:
Olivetti, preso atto
dell’inarrestabile e sempre più accentuato calo del mercato dei fax e della
contestuale difficoltà di raggiungere, in tempi economicamente compatibili,
risultati apprezzabili nei settori di mercato adiacenti dove la tecnologia
i-jet avrebbe potuto essere utilizzata, ha deciso di cessare le attività
industriali e commerciali nel settore e ha avviato l’iter per la liquidazione
della sua controllata Olivetti i-Jet. La decisione si inquadra all’interno del
piano di riposizionamento di Olivetti sul mercato dell’Information Communication
Technology, avviato negli ultimi anni, che ha visto la Società proporsi in
misura sempre più rilevante come solution provider nei settori tecnologicamente
più avanzati di tale mercato. L’evoluzione della nuova offerta richiede
peraltro una forte focalizzazione e la necessità di concentrare su di essa
tutte le risorse disponibili. Olivetti, a conferma del suo impegno nei
confronti delle persone coinvolte, si attiverà con l’obiettivo di individuare
opportunità di ricollocazione all’interno del Gruppo, attivare azioni rivolte
all’orientamento e alla realizzazione di percorsi formativi e di agevolare il
reperimento di nuove occasioni di lavoro anche attraverso politiche attive di
outplacement. A tal proposito è già stato avviato il confronto con le organizzazioni
sindacali per individuare un piano di gestione condiviso.
«Ma quale gestione
condivisa?», protesta Ferrarotti, mentre il traffico della statale rallenta
nell’imboccare la rotonda dove sta scritto “Arnad – Città del lardo”. «I
sindacati hanno fatto troppo poco. E noi non abbiamo notizie. L’azienda non ci
dice niente, rinvia le comunicazioni su possibili acquirenti. Prima la data
chiave doveva essere il 30 settembre, poi il 15 novembre… È il momento di
sollecitarla in modo più energico. Cosa fanno i sindacalisti? Se si vuole
bloccare la produzione dobbiamo farlo subito, altrimenti sarà troppo tardi!
Sono sei mesi che ci hanno chiesto il doppio turno e produciamo a più non
posso. Vogliono riempirsi il magazzino, prima di chiudere. A loro servono solo
i ricambi, averne ancora a disposizione per alcuni anni, fintanto che Olivetti
Spa esisterà ancora. Per il resto, comprano un po’ di hardware nel Far East;
tablet come l’Olipad, chiavette e computer per Telecom».
Lo stabilimento della
Olivetti I-Jet dall’area di sosta “Arnad” sull’autostrada A5
Al 31 dicembre 2011
la perdita di esercizio di Olivetti I-Jet Spa era di 6.541.527 euro (con un
risultato ante gestione straordinaria di -8.823.755 euro). Con i ricavi in
picchiata (-44,2%), stava erodendo il patrimonio netto (-54,6%), sceso a
5.438.977 euro. Olivetti Spa, che la controlla al 100%, ha così deciso di
metterla in liquidazione il 13 giugno scorso. Ora, la fabbrica che si affaccia
sull’autostrada A5 langue. Ha sussulti di superlavoro. Ma è già morta. Qualcuno
è già a casa, in cassa integrazione, qualcuno in fabbrica a continuare a
riempire il magazzino. Ad Arnad lavoravano 204 persone. Quarantadue, però, che
fanno testine a impatto per stampanti bancarie (una produzione risicata che
resterà in piedi), sono dipendenti della Olivetti Spa, e quindi non risentono
di questa crisi aziendale. A essere coinvolti sono in 162 (di cui, due
dirigenti). Di questi, 100 persone saranno riassorbite da Telecom (30 entro il
giugno 2013, 70 entro il giugno 2014), 20 dalla Olivetti Spa di Ivrea (anche se
bisognerà vedere come, perché pure lì c’è un pesante contratto di solidarietà e
non si possono certo fare assunzioni). Per gli altri 42, invece, il futuro è
ancora più incerto, e il loro destino è nelle mani di una società di
outplacement.
«Un anno fa Telecom
ha chiuso i rubinetti», spiega Enrico Monti, segretario della Fiom di
Aosta. «Dal 2005 a oggi ha versato in Olivetti I-Jet circa 100 milioni di euro.
Negli ultimi anni sempre almeno 10 milioni all’anno per sostenere la ricerca.
Su 162 lavoratori, meno di 50 sono operai. Il grosso sono ricercatori,
prototipatori. I quadri ora sono i più inferociti, perché è per loro che il
futuro è più nebuloso».
«Eh sì», conferma Edy
Paganin, responsabile industria del Savt, Syndicat Autonome Valdôtain des
Travailleurs, il potente sindacato nato all’ombra dell’Union Valdôtaine negli
anni Cinquanta, «la situazione è preoccupante per i quadri: i sesti, i settimi
livelli, ad alto stipendio; quelli che fanno ricerca e sviluppo. Più sono
specializzati più è difficile reinserirli, perché costano e l’azienda ha
bisogno di figure meno specializzate e più a basso costo, per il caring. Sì,
insomma, per call center e simili».
Anche Paganin, nella
monotonia di questa crisi che si mangia tutto, dipinge la fine della
Olivetti I-Jet Spa come ineluttabile e dice che, di questi tempi, 120
ricollocazioni a tempo indeterminato sono un grande successo: «Questo era
l’ultimo polo produttivo di una Olivetti morta e sepolta vent’anni fa. Quando
nel 2009 ci sono stati i festeggiamenti del centenario del gruppo, tutti
pensavano che cessasse definitivamente già allora. Poi, per volontà degli eredi
e del cda, c’è stato un nuovo rilancio con capitali messi a disposizione da
Telecom, che come sappiamo controlla al 100% Olivetti. Ma qua, ad Arnad, con i
soldi con cui Telecom foraggiava ricerca e sviluppo si coprivano appena le
spese di gestione. La soluzione poteva essere un nuovo partner
commerciale-industriale, ma le trattative non sono andate a buon fine. Si sono
ventilati diversi accordi, nel tempo. Si parlò a lungo di Kodak, già nel 2008,
come possibile salvatrice; poi abbiamo visto che fine ha fatto: ha chiuso… Fin
dall’inizio del 2012 ci aspettavamo la brutta notizia in autunno, invece
l’azienda ha anticipato i tempi e a giugno ha annunciato la messa in
liquidazione. Visto che la riforma del lavoro e le mosse della Fornero stavano
per travolgere tutto, ci siamo affrettati a firmare l’accordo in tempi record».
In effetti i
sindacati confederali (qui la confederazione comprende anche il Savt) hanno
fatto le cose di corsa per ottenere il massimo possibile prima delle
riforme volute dal governo Monti. Una fretta considerata da alcuni cattiva
consigliera, e che ha provocato frizioni nella Fiom. Il segretario aostano
Enrico Monti ha firmato subito. Il responsabile della Fiom canavesana, Fabrizio
Bellino, che essendo titolare di Ivrea, sede storica del gruppo, ha la delega
nazionale su Olivetti, non ha gradito per niente. E lo conferma ancora oggi:
«Ritenevamo e riteniamo che fossero necessarie condizioni più chiare, prima di
chiudere la trattativa. Non solo per le 42 persone rimaste al momento a spasso,
ma anche per tutte le altre 120 di cui si diceva troppo genericamente che
sarebbero state riassorbite, restando sul nebuloso. Avremmo voluto attendere un
po’ di più, perché le proposte dell’azienda non erano chiare e le certezze
erano davvero poche. Questo non è successo e, in meno di quindici giorni, la
trattativa è stata chiusa. Abbiamo messo in evidenza le nostre perplessità con
i valdostani, pur nel rispetto dell’autonomia della Fiom locale. Sempre con
loro e con gli aquilani (c’è una sede giù a Carsòli), per la questione Advalso
(altra controllata di Olivetti passata, con cessione di ramo d’azienda, a
Telecontact center) avevamo espresso dubbi simili e, a differenza loro, non
avevamo firmato. Insomma, secondo noi, la cosa doveva essere gestita come
discussione complessiva, di gruppo. Invece l’azienda l’ha portata sul livello
locale, del singolo stabilimento (ad Arnad grazie anche alle prerogative della
regione autonoma); il sindacato ha seguito l’azienda, e così ci siamo visti
sfogliare in mano la margherita, con Olivetti che, in sei mesi, ha scaricato
più di cinquecento persone».
«Adesso so di
lavoratori in presidio che si autorganizzano», conclude. «Qualcuno si è
accorto, forse troppo tardi, che le cose non erano proprio come gliele avevano
raccontate, che le informazioni sono state parziali, le assemblee poche e
venute solo alla fine del percorso e non all’inizio».
Il panorama
industriale della Valle d’Aosta si svuota. Qua un tempo non c’erano solo
monti e baite. Grazie alla presenza di acqua in quantità (la regione produce
molta più energia idroelettrica di quanta ne consumi) e di minerali nel
sottosuolo alpino, l’industrializzazione fu precoce. Poi, negli anni Ottanta,
la prima moria: quella delle grandi aziende da migliaia o centinaia di addetti:
l’Ilssa Viola di Pont-Saint-Martin, La Soie Montefibre di Châtillon, la
Brambilla Filatura e la Guinzio-Rossi di Verrès… E il calo continuo di addetti
anche nel gigante di Aosta, la Cogne Acciai Speciali.
La Regione autonoma
intervenne, comprando le aree, i capannoni industriali, e offrendoli gratis
o a bassissimo costo a chi volesse portare lavoro in Valle. Fu l’inizio di
quello che gli esperti (si veda ad esempio il bel libro di Elio Riccarand
Storia della Valle d’Aosta contemporanea 1981-2009) definiscono il «benessere
senza sviluppo». Un sistema tenuto in piedi da finanziamenti a pioggia, «un
intreccio al ribasso fra economia locale e presenza della Regione che ha
contribuito a una sostanziale deresponsabilizzazione degli operatori
economici». Le cause? Regole molto discutibili, per quanto implicite, che hanno
assecondato le domande di agevolazione senza meccanismi di selezione, senza
esplicitazione di obiettivi qualificanti, senza ammodernamento strutturale e
organizzativo delle aziende.
E ora, con i tagli e
le spending review, anche quel castello assistenzialista crolla. Ha fatto
una brutta fine, dopo lunga agonia, la Tecdis Spa (all’inizio della sua storia
joint venture tra Olivetti e Seiko per la produzione di schermi piatti a
cristalli liquidi, a cui la Regione costruì la fabbrica, gliela concesse in
locazione gratuita per 5 anni e, attraverso FinAosta Spa, erogò pure un mutuo
agevolato per coprire fino all’80% dei costi dei macchinari). Ha chiuso il suo
stabilimento di Pont-Saint-Martin la Xerox Spa (facevano stampaggio e
imbustamento per le Poste; secondo i sindacati hanno poi subappaltato in
Calabria). E l’elenco potrebbe continuare. Altri numeri significativi: tra gli
occupati, la quota percentuale del terziario è salita dal 64,8% del 1991 al
71,1% del 2008. Ma, anche in questo caso, scarso è l’impulso del mercato. A far
girar questa economia postindustriale è quasi solo la pubblica amministrazione.
Burocrazia e scartoffie, altro che ricerca e sviluppo. Se i dipendenti pubblici
erano 12.119 nel 1991, 15 anni dopo erano già 17.200. Ma anche qui il sistema
non regge più, come dimostrano gli esuberi e le proteste degli operai forestali
valdostani.
«Dai finanziamenti a
pioggia siamo passati ai tagli a pioggia che aggraveranno ulteriormente
l’emergenza lavoro in Valle d’Aosta», si lamenta il Pd regionale. «In
particolare la mortificazione dei finanziamenti per la ricerca è un brutto
segnale per le già esigue possibilità di sviluppo del nostro sistema. E una
doccia fredda definitiva per la Olivetti I-Jet di Arnad». L’Union Valdôtaine,
partito egemone dal dopoguerra, soffre (ha anche – fatto storico – perduto un referendum
sul pirogassificatore) e scarica la sua rabbia sui tagli imposti dal governo
Monti. Ormai, per l’apprezzamento ricevuto in Europa, lo paragona (in
editoriali di fuoco come quello apparso sul suo organo ufficiale, Le Peuple
Valdôtain, nel settembre scorso) ai successi del fascismo, tanto amato da chi,
«all’estero, è convinto che gli italiani siano incapaci di governarsi con un
normale regime democratico». Ecco l’editoriale:
Les lecteurs qui, sur
la vague de consensus qui entoure l’actuel Président du Conseil des Ministres,
s’enthousiasment des articles paraissant chaque jour dans la presse, et
témoignant de la popularité dont l’actuel gouvernement italien jouirait à
l’étranger, devraient lire ce que Federico Chabod écrivait:
«[…]
Il est bon de remarquer aussi que de l’étranger s’élèvent des voix, parfois
très importantes et très autorisées, à la louange du fascisme. Il y aurait
matière pour un gros volume si l’on rassemblait toutes les déclarations faites
en faveur du fascisme, surtout peut-être dans le monde anglo-saxon; l’ordre
règne maintenant en Italie, les trains marchent, il n’y a plus de grèves
ennuyeuses”. […] Il est permis de soupçonner que les chancelleries étrangères,
plutôt qu’à la capacité de M. Monti & C.ie de gouverner les Italiens, croient
aujourd’hui comme alors à l’incapacité des Italiens de se gouverner par un
régime démocratique normal». (clicca qui per il giornale completo).
Arnad, la scritta in
patois «Na a l’Italie» non ha bisogno di traduzione
Quando hanno chiesto,
a margine di un convegno, a Laura Olivetti, figlia di Adriano, cosa ne pensasse
della messa in liquidazione dell’azienda di Arnad, ultimo pezzo produttivo
rimasto della storica azienda, lei si è fatta scura in volto e ha risposto:
«Sono molto dispiaciuta, soprattutto perché si perdono nuovi posti di lavoro.
Non capisco le decisioni prese, anche se la famiglia Olivetti è fuori ormai da
anni».
Proprio in questi
giorni, a Ivrea, sono iniziate le riprese di una fiction su Adriano Olivetti
che sarà trasmessa dalla Rai nel 2013 (la regia è di Michele Soavi, il film-tv
sarà prodotto dalla Casanova Multimedia di Luca Barbareschi). Dopo il
commissario Montalbano e Paolo Borsellino, a impersonare l’Ingegnere sarà Luca
Zingaretti. Quando, pochi giorni fa, nella Sala Santa Marta, si è tenuto il
casting per reclutare le comparse, è successo un finimondo. Una fila
incredibile, del tutto superiore a ogni aspettativa. Uomini, donne, bambini;
centinaia di persone si sono messe in coda sia la mattina che il pomeriggio,
facendo entrare in crisi i responsabili della selezione, che a un certo punto
hanno dovuto bloccare l’afflusso, invitando chi ancora non era stato schedato a
inviare la richiesta via email. Appena due anni fa, per l’ultima grande
produzione filmica in città (Tutta colpa della musica, con Ricky Tognazzi ed
Elena Sofia Ricci) il casting era andato deserto.
Il pienone di oggi è
segno, ovviamente, del grande affetto degli eporediesi per il paterno
industriale e la sua eredità storica, ma anche, senza caricare troppo le
tinte, campanello d’allarme della terribile crisi di una zona dove si è
verificata una desertificazione imprenditoriale, e dove anche il gettone per la
comparsata diventa un’occasione per fare due soldi. Forse l’ultima, postuma,
offerta da Olivetti alla sua gente.
Fonte: srs d Paolo
Stefanini, da LINKIESTA del 21 novembre 2012
Fonte: Da Luigi Pellini del 21 novembre 2012
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