“Specchio” del 16 ottobre 2004, ha dedicato la copertina a “Il cibo da salvare” con l’obiettivo di promuovere una nuova coscienza alimentare(Torino, Salone del Gusto, 21- 25 ottobre 2004) attraverso la presenza di 1194 comunità che vanno dai maestri birrai tedeschi, ai produttori di cacao e caffè del Sudamerica, dagli allevatori polacchi, ai coltivatori della vainiglia del Madagascar…
Ciò significa che tuttora nel mondo, l’alimentazione riveste
un ruolo non indifferente cui senz’altro le religioni hanno dato il loro
contributo, a seconda del credo professato.
Se solo riflettiamo sulla religione cristiana, bisogna dire
che un suo evento sacro (l’istituzione dell’Eucarestia) si svolge attorno a un
tavolo, mentre si sta celebrando la pasqua ebraica con il consumo dei suoi
elementi tipici (l’agnello, il pane azzimo, le erbe amare, frutta varia).
Però nelle le tre religioni abramitiche, esistono notevoli
differenze nell’assunzione dei cibi. Ne elenco le più comuni.
Per gli ebrei: la questione degli alimenti è assai
complessa; infatti essi dividono i cibi in puri ed impuri: tutto ciò che è
vegetale è puro, mentre per la carne vi sono severe disposizioni. Innanzi tutto
non mangiano carne di maiale o di altro animale che non abbia lo zoccolo
tagliato, niente selvaggina, crostacei e molluschi. Sono permessi i pesci e tra
i volatili solo alcune categorie come il pollo, il tacchino, l’oca.
La carne animale può essere consumata solo se prima viene
sottoposta alla macellazione rituale, immersa nell’acqua per mezz’ora, quindi
sotto sale per un’ora e poi risciacquata.
Essi, poi, non consumano nello stesso pasto carni e
latticini e non è previsto cuocerli insieme. Persino le stoviglie con cui vengono
cotti vanno tenute separate (tutte le prescrizioni alimentari sono nel
Levitico).
Per i cristiani: non
ci sono limitazioni, l’unico divieto è per la carne e gli insaccati nei venerdì
di Quaresima, il mercoledì delle ceneri e il venerdì santo. In questi due
giorni, è incluso anche il digiuno.
Per i musulmani: non si mangia carne di maiale, di cammello
o di animale trovato senza vita, né ci si ciba del sangue di alcun animale.
E’ proibito l’uso di bevande fermentate; non vi sono freni
al consumo di legumi o cereali e non esistono divieti riguardo l’abbinamento
dei cibi.
Bisogna osservare il digiuno completo nel mese del Ramadan (da:
ramada= ardente), da due ore prima dell’alba a due ore dopo il tramonto.
Durante lo svolgimento dei pasti è consigliabile utilizzare
la mano destra, perché la sinistra è considerata impura. È bene ricordare che è
necessario lavarsi le mani cominciando dalla destra.
Tra le altre religioni, gli induisti ritengono che ogni
forma di vita animale sia sacra, sono, così, rigorosamente vegetariani.
I buddhisti, osservano una regola stabilita dal Buddha, non
hanno limitazioni particolari, solo i monaci che vivono nei monasteri, non
assumono cibi solidi la sera.
In generale, la carne di qualsiasi animale è la
discriminante tra le varie religioni.
VEGETARIANI SÌ, VEGETARIANI NO?
Più si percorre
all'indietro la storia e maggiore è il rispetto e la compassione manifestata
per ogni essere vivente.
Questo sentimento d'amore universale, questa ricchezza
morale e spirituale è andata gradualmente affievolendosi, specialmente nei
paesi occidentali, a causa della filosofia aristotelica, agostiniana,
d'aquiniana, cartesiana …, i cui principi antropocentrici se da una parte hanno
posto l'uomo al centro della creazione dall'altra lo hanno staccato dalle sue
origini naturali causando un progressivo disprezzo per tutto ciò che era ed è
dissimile da lui.
Così nell’EBRAISMO,
le regole relative all'alimentazione riguardano esclusivamente gli alimenti a
base di carne. Gli animali consentiti devono essere erbivori e devono avere lo
zoccolo aperto. Non è lecito mangiare la carne con il sangue (anche se questo sembra impossibile dal
momento che se si può drenare il sangue dalle arterie non viene eliminato dai
capillari).
Tra i vari richiami alla compassione verso gli animali vale
ricordare:
"Non essere tra quelli che s'inebriano di vino né tra
coloro che sono ghiotti di carne" Pr, 23.30.
"Fino a quando
sarà in lutto la terra e seccherà tutta l'erba dei campi? Per la malvagità dei
suoi abitanti le fiere e gli uccelli periscono" Ger, 12.4.
A questo c'è da aggiungere che in molte circostanze Dio si
serve degli animali per attuare i suoi programmi di salvezza: l'asina di
Balaam, la colomba dell'Arca, il cane di Tobia, la balena di Giona, i leoni di
Daniele ecc.
Ma anche se questo aspetto della Legge è stato ampiamente
disatteso dalla dottrina ufficiale, la popolazione israelita ha la più alta
percentuale di vegetariani nel mondo, con l'eccezione dell'India. Anche oggi
alcuni noti rabbini ed alcuni premi Nobel della cultura ebraica (come Isac B.
Singer e Shuel Y. Agnon) sono convinti assertori dell'alimentazione
vegetariana.
Nell’ISLAM, è
nota la compassione di Maometto verso la condizione degli animali;
significativo è l'episodio in cui preferì tagliarsi un lembo del mantello,
piuttosto che svegliare un gatto, sul quale si era addormentato. Il profeta
vietò l'uso di uccelli per il tiro al bersaglio. Egli preferiva cibi
vegetariani, però alla popolazione permise l'alimentazione carnea, consigliando
coloro che l’avevano mangiata di lavarsi la bocca prima di mettersi a pregare.
Per il profeta gli animali hanno un'anima: secondo lui gli
animali non sono nostri schiavi ma creature che Dio ci ha affidato e delle
quali ci chiederà conto nel giorno del Giudizio. Alcuni discepoli gli chiesero
se esistesse una ricompensa per chi fa del bene agli animali: "Esiste una
ricompensa per chi fa del bene a qualunque essere vivente" rispose.
Alcuni gruppi islamici, come gli Sciiti ed i Sufi, hanno in
alta considerazione l’alimentazione vegetariana, come regola di vita. Una santa
sufi, quando si isolava in una foresta a pregare molti animali le si facevano
intorno. Un giorno andò a trovarla un altro sufi ma gli animali scapparono e
questi ne chiese il motivo. "Che cosa hai mangiato oggi?" gli
domandò: "Aglio fritto e lardo" rispose. "Ti mangi il loro corpo
e vuoi che non scappino?"
Nel BUDDHISMO, i
cui due principi fondamentali istituiscono la sua filosofia la saggezza e la
compassione, per il raggiungimento dell'una e dell'altra è indispensabile
essere vegetariani.
Il primo dei precetti buddhisti recita: "Non uccidere, anzi tutela ogni forma di
vita".
L'unico testo ritenuto scritto di proprio pugno dal Buddha
dice:
"Le creature senza piedi hanno il mio amore, e così lo
hanno quelle a due piedi e anche quelle a molti piedi. Possano tutte le
creature, tutte le cose che hanno vita, tutti gli esseri di qualunque specie, non
avere mai nulla che possa danneggiarle. Possa non accadere loro mai nulla di
male".
Dopo la sua morte i discepoli incominciarono a dare maggiore
importanza all'intenzione più che all'azione. I monaci accettarono di mangiare
carne a condizione che l'animale non fosse stato ucciso per loro.
Il
vegetarismo era ritenuto da Buddha una pratica essenziale per il risveglio
spirituale dell'individuo.
Gosvami, famoso maestro spirituale del XII sec. nella sua
Gita Govinda, in omaggio alle 10 principali incarnazioni di Dio dice: "O
mio Signore, o Persona Suprema. tutte le glorie a Te. Per la tua grande
compassione sei apparso nella forma di Buddha per condannare i sacrifici di
animali raccomandati dai Veda".
Oggi della grande famiglia buddhista solo i monaci Zen hanno
mantenuto inalterata la loro originale tradizione di vegetariani.
In Cina ed in Giappone, dove fin dai tempi più antichi
esistevano dei veri e propri codici di corretta alimentazione vegetariana, il
consumo di carne, che era considerato negativo e quindi bandito, cessò del
tutto intorno al 58 d.C.
Nei templi e nei monasteri si diffuse l'abitudine di non
mangiare alcun tipo di carne. Certi cibi, specialmente la carne di maiale, si
diceva rendessero il respiro sgradevole agli antenati. Secondo la tradizione
shinto (Giappone) per ottenere la verità suprema era essenziale consumare cibi
puri, cioè vegetariani.
L’INDUISMO, che è
la più antica delle religioni asiatiche è anche il più forte sostenitore del
vegetarismo.
I testi Vedici, scritti in sanscrito circa 3000 anni a.C.,
contengono migliaia di ingiunzioni contro il consumo della carne.
"Si diventa degni della salvezza quando non si uccide
alcun essere vivente" (Manusmrti, 6.60).
Particolarmente sentita è la legge dei karma. "Coloro
che ignorano il vero Dharma e, pur essendo ignoranti e malvagi, si ritengono
virtuosi uccidendo gli animali senza alcun rimorso o timore di essere puniti,
in seguito, nelle loro vite future, questi peccatori saranno mangiati dalle
stesse creature che hanno ucciso in questo mondo" (Srimad Bhagavatam
11.5.14).
In seguito l'alimentazione vegetariana divenne sempre meno
comune soprattutto a causa delle dominazioni straniere. Tuttavia ancora oggi
l'83% della popolazione indiana è induista e nella stragrande maggioranza è
vegetariana.
I cibi impuri impediscono l'ascesi spirituale: la carne
degli animali uccisi è considerata come la carne dei propri figli e colui che
ne mangia è reputato il peggiore degli uomini. La violenza sugli animali è
infatti stimata la causa della violenza dell'uomo verso il suo simile.
I Veda riconoscono l'anima ad ogni creatura dotata della
stessa dignità umana, e la medesima possibilità di raggiungere alti livelli di
spiritualità: indipendente dal corpo in cui risiede l'anima, dal momento che
tutti gli esseri viventi sono spiritualmente uguali.
I Veda descrivono le varie incarnazioni di Dio in forme non
umane: il cavallo, il cinghiale, la tartaruga, il pesce. Ucciderli significa
rendersi colpevoli verso di Lui.
I sacri testi non condannano soltanto coloro
che mangiano la carne, ma chi uccide l'animale, chi vi partecipa, chi la
compra, chi la prepara e chi la serve.
Solo rispettando tutte le forme di vita si può rispettare lo spirito che le
contiene e l'uomo può raggiungere la genuina spiritualità e la reale saggezza.
L'Ahimsa (il principio della non - violenza verso tutti gli
esseri viventi che ha appunto la sua origine nei Veda, è il fondamento del
Jainismo al quale i fedeli sono rimasti pienamente conformi per tutta la loro
storia. Originatosi da Mahavira nel 600
a.C. circa, oggi conta 4 milioni di fedeli, tutti strettamente vegetariani.
Famosi per i loro ospedali per animali e perché più rigorosi dei buddhisti
nell'applicazione dell'ahimsa, usano portare bende davanti alla bocca per
evitare di ingerire moscerini) è tutt'oggi un aspetto centrale delle religioni
orientali e ispiratrice delle grandi iniziative di pace da Gandhi a M.L. King.
Il principio comune alle grandi dottrine religiose e
filosofiche "Non fare ad altri ciò che non vorresti ti fosse fatto"
non può prescindere dall'alimentazione vegetariana, pena il subire le
conseguenze del male causato secondo la legge del karma.
Zarathustra, da cui ZOROASTRISMO,
era un fervente sostenitore dell'alimentazione vegetariana. Condannò i
sacrifici di animali ed i banchetti cruenti: "Chi ha cura del suo bestiame
e non si nutre delle sue carni martoriate avrà lo spirito santo e la
verità". E ancora: "Colui che uccide un cane uccide la propria
anima".
Oggi i Parsi (i seguaci di Zarathustra) che vivono in India,
sono per la maggioranza vegetariani (Cfr.:
Franco Libero Manco, Biocentrismo, l'alba della nuova civiltà umana)
REGOLE ALIMENTARI Di ALCUNE RELIGIONI
Di seguito, elenco i fedeli delle religioni più diffuse nel
mondo ed alcune domande cui, secondo l’ordine, si risponde sinteticamente:
1) Cattolici
2) Protestanti
3) Ortodossi
4) Ebrei
5) Musulmani
6) Induisti
7) Buddhisti
A) LIMITAZIONI AL CONSUMO DI CARNE
1) NO
2) NO
3) NO
4) SI'.
Macellazione rituale, proibite carni di maiale, crostacei, molluschi.
5) SI'.
Macellazione rituale. Proibita la carne di maiale.
6) SI'. Proibita
carne di mucca, molti sono vegetariani.
7) SI'. Quasi
tutti sono vegetariani
B) LIMITAZIONI AL
CONSUMO DI LEGUMI O CEREALI
1) NO
2) NO
3) NO
4) SI'. Proibiti
i frutti di un albero, piantato da meno di 3 anni.
5) NO
6) SI'. Bramini e
caste elevate mangiano cereali puri.
7) NO
C) E' PROIBITO
MANGIARE INSIEME CERTI CIBI?
1) NO
2) NO
3) NO
4) SI'. Proibito
consumare insieme carne e latticini
5) NO
6) NO
7) SI. Niente legumi
con la carne per i monaci.
D) IL CONSUMO DI
BEVANDE, È LIMITATO?
1) NO. Occorre
però evitare l'eccesso di alcol
2) NO. Ma niente
eccessi.
3) NO, tranne
durante il digiuno
4) SI'. I vini
devono essere preparati secondo particolari regole
5) SI'. Proibite
le bevande alcoliche
6) SI'. L'alcol è
proibito ai bramini, per gli altri consumo limitato
7) SI'. Proibite
le bevande alcoliche
E) UOMINI E DONNE,
DEVONO OSSERVARE REGOLE DIVERSE?
1) NO. Le donne
incinte sono esentate dal digiuno
2) NO
3) NO
4) NO
5) NO. La donna
mestruata o incinta non digiuna
6) SI'. Le donne
mestruate non possono entrare in cucina
7) NO
F) I BAMBINI HANNO
REGOLE PARTICOLARI?
1) NO. L'obbligo
del digiuno dai 14 anni
2) NO
3) NO. Fino agli
8 anni sono esentati dal digiuno
4) NO. L'obbligo
del digiuno comincia a 13 anni
5) NO. Dispensati
dal digiuno fino alla pubertà
6) NO
7) NO
G) ESISTONO REGOLE
ALIMENTARI LEGATE AL LUTTO?
1) NO
2) NO
3) NO
4) SI'. Tra la
morte e la sepoltura i parenti non mangiano carne e non bevono vino.
5) NO
6) SI'. Nei
giorni dopo la morte di un parente, si preparano piatti crudi e si beve solo
acqua
7) SI'. Se il
defunto era vegetariano, non si mangia carne dopo il funerale
H) Esistono regole
per lo svolgimento dei pasti?
1) SI'. Bisogna
ringraziare Dio prima e dopo i pasti
2) SI'. Bisogna
ringraziare Dio prima e dopo i pasti
3) NO
4) NO
5) SI'.E'
consigliabile utilizzare la mano destra
6) SI'. Prima del
pasto si fa il bagno e ci si cambia
7) SI'. I
venerabili mangiano prima degli altri
I) ESISTONO
PARTICOLARI REGOLE DI "GALATEO"?
1) NO. Ma non
bisogna sprecare il cibo
2).NO, però sono
proibiti gli sprechi.
3) NO
4) SI' : abluzione
obbligatoria, e benedire ciascun elemento
5) SI': lavarsi
le mani cominciando dalla destra
6) SI'. La cucina
è un luogo sacro, si mangia in silenzio
7) NO
L) SI OSSERVANO
PERIODI DI DIGIUNO?
1) SI'. La carne
è proibita il venerdì di Quaresima e il Mercoledì delle Ceneri
2) SI'. Digiuno
all'inizio della Quaresima
3) SI'.
Astensione dalla carne il mercoledì e il venerdì. In Quaresima niente carne,
latticini, vino e olio .
4) SI'. Molti
periodi di digiuno, durante lo Yom Kippur, digiuno per tutto il giorno.
5) SI'. Durante
il Ramadan, digiuno dall'alba al tramonto
6) SI'. Si
digiuna in molte occasioni, durante le vigilie di ricorrenze sacre.
7) NO
In base
poi al clima, alle proprie tradizioni etniche che hanno sempre un fondamento religioso,
seppure nel nostro tempo se n’è perso il ricordo, potremmo raggruppare i vari
modi di cucinare sotto alcune denominazioni.
LA CUCINA ARABO-MEDIORIENTALE (EGITTO, MAROCCO, TUNISIA,
IRAQ, LIBANO, SIRIA, TURCHIA).
Essa ha le proprie radici nelle diverse tradizioni
alimentari delle popolazioni che nei secoli si sono insediate sulle sponde
orientali del Mediterraneo.
Il Medio Oriente, centro di scambi commerciali e culturali,
rappresenta gastronomicamente un ambiente piuttosto omogeneo grazie soprattutto
alla comune cultura islamica.
La legge del Corano detta precisi precetti riguardo la vita
quotidiana e le abitudini alimentari; infatti è vietato il consumo di carne di
maiale, di sangue animale e delle bevande alcoliche, ma la varietà degli alimenti
disponibili compensa ampiamente questi divieti.
Verdure, legumi e frutta sono gli elementi essenziali di
questa cucina caratterizzata da un moderato uso di grassi e da un elevato
utilizzo di spezie e di erbe aromatiche
LA CUCINA
GIAPPONESE(GIAPPONE ED ISOLE LIMITROFE)
I piatti giapponesi vengono presentati in modo molto
ornamentale con l’utilizzo di poche spezie e privilegiando l’esaltazione del
sapore naturale dei singoli ingredienti.
Gli ingredienti fondamentali sono:
• il dashi, brodo a base di pesce ed alghe secche
• il mirin, vino di riso dolce
• il sakè, vino di riso secco
• il miso, pasta di soia fermentata
• la salsa giapponese ed il tofu, entrambi derivati dai semi
di soia
LA CUCINA DEL SUD–EST
ASIATICO(INDONESIA, MALESIA, TAILANDIA E VIETNAM).
Per il particolare clima, l’alimentazione di questi luoghi
si basa essenzialmente sul riso. Si varia, infatti, dalla pasta di riso al
dessert, dal pane di riso ai distillati alcolici.
A differenza della cucina cinese, la cucina del sud–est
asiatico richiede tempi di preparazione molto più lunghi: si pensi, ad esempio,
al NUOC–MAM, pesce fermentato in salamoia o salsa di pesce, che necessita di
almeno tre anni di invecchiamento e che costituisce un condimento tradizionale
sia per piatti a base di carne che per quelli a base di verdure.
Il mare, inoltre, fornisce abbondante materia prima per
piatti di pesce: granchi, aragoste, gamberetti e addirittura meduse che possono
essere serviti in brodi di carne insieme a verdure fresche.
La pianta di cocco è da ritenersi un ingrediente di primo
piano: mentre il frutto della noce viene utilizzato come elemento rinfrescante
di piatti piccanti o su spiedini e zuppe, il latte è impiegato nella
preparazione di salse e condimenti oppure in delicati dessert.
LA CUCINA INDIANA( INDIA, SRI LANKA, BANGLADESH,
PAKISTAN).
Questa cucina è stata influenzata dalle invasioni di popoli
come i Mogul che, nel XVI secolo, introdussero i fondamenti della cucina
islamica asiatica coniugando il kebab con le verdure cotte al vapore. I piatti
si fondono tra di loro assumendo elementi della cucina musulmana,
prevalentemente basata sulla carne, con quella induista strettamente
vegetariana.
I principali cibi sono:
il CHAPATI, un pane piatto non lievitato
il GHEE, burro di bufalo
il MASALA secco o in salsa, arricchito da spezie ed erbe
In
questo tipo di cucina le spezie costituiscono una componente fondamentale per
l'esaltazione dei sapori, per la presentazione estetica dei piatti, nonché per
la conservazione degli alimenti.
LA CUCINA CINESE
Nella vastità cinese le cucine variano in relazione alle
diverse zone.
Nella cucina del nord è rilevante la presenza di carni di
montone, agnello e animali da cortile cotte al barbecue o tagliate in fette
sottili e scottate in brodo bollente.
La cucina del sud, ritenuta in occidente la vera cucina
cinese, è caratterizzata dalla presenza del riso la cui coltivazione è favorita
dal clima subtropicale.
La cucina dell’ovest ha la particolarità di essere
decisamente piccante, grazie all’uso di una varietà di pepe, il FAGARA.
La cucina dell’est è invece maestra nell’arte di mantenere
il sapore originario di un cibo anche dopo la cottura.
LA CUCINA FILIPPINA
La cucina delle Filippine risulta essere molto legata alle
attività ed alle risorse marittime: infatti ogni giorno grandi quantità di
pesce vengono portati a riva in bilancieri di legno e cucinati in pentole di
argilla.
Nell'antichità il sopraggiungere di mercanti cinesi e di
colonizzatori spagnoli su queste isole portò alla diffusione di nuove abitudini
alimentari.
Vennero introdotti gli "involtini primavera" e la
pasta glutinata ad opera dei mercanti cinesi, mentre i colonizzatori spagnoli
importarono le "empanadas" e lo "chorizo", cioè salsiccia
piccante di maiale ed aglio.
I piatti filippini vengono spesso marinati in aceto o succo
di agrumi e ciò li rende particolarmente agri.
LA CUCINA AFRICANA (SUDAN, BURKINA FASO, CIAD, GAMBIA,
NIGER, SENEGAL, LIBERIA, MALI, ETIOPIA, SOMALIA, CAMERUN, KENYA, TANZANIA,
UGANDA, MALAWI, LESOTHO, SUD AFRICA).
Pur essendo l'Africa un Paese molto vasto, vi è una
caratteristica alimentare comune a tutte le regioni che la compongono:
l'abbondante uso di salse e spezie. L'elevata povertà dei popoli africani ha
contribuito alla scoperta di ricette originali costituite da pochi ingredienti
di base, quali spezie, manioca e miglio. Quest'ultimo, insieme alla tapioca, è utilizzato
nella preparazione delle polentine che, in sostituzione del pane, accompagnano
i pasti.
Altro apprezzabile elemento di base di questa cucina è
rappresentato dalle arachidi. Da esse si ricava l'olio, spesso utilizzato nella
fritture e, tra le specialità più conosciute, ricordiamo il "mafè"
del Senegal, costituito da salsa di arachidi e pomodoro, carne di manzo,
verdure e riso bianco.
CUCINA SUDAMERICANA (ARGENTINA, BOLIVIA, CILE, ECUADOR,
PERÙ E BRASILE).
Considerando le dure condizioni ambientali dell’altopiano
andino, occorre evidenziare che le popolazioni incaiche hanno saputo sviluppare
una straordinaria capacità di adattamento coltivando molteplici forme vegetali
ricche di proteine e calorie.
Un‘eredità precolombiana è possibile ritrovarla nell’uso
delle patate (oltre un centinaio di tipi) conservate utilizzando la tecnica del
freddo naturale che non ne permette la degenerazione.
In Brasile, invece, è presente un piatto tipico che
rispecchia la mescolanza dei gusti del paese, terra di razze e tradizioni
variegate.
Questo piatto è la FEIJOADA ed è composto da lingua di
manzo, carne secca e salsiccia di maiale bollite separatamente e stufate con
fagioli neri: tutto ciò servito con riso, cavolo verde, manioca, peperoncino,
succo di limone e fette di arancia.
Il condimento più utilizzato è senza dubbio il peperoncino,
mentre un apporto fresco e nutriente per contorni ed insalate è rappresentato
dal cuore di palma.
La frutta, infine, propone un tripudio di gusti: avocados,
maracuja, papaye, manghi, noci di cocco, mamao, cedri, cherimoyas e banane.
LA CUCINA GRECA
La cucina greca è forte e semplice, non raffinata, fatta
perlopiù di ingredienti freschi: verdure, pesce, carne di montone e formaggio
di capra. Il tutto insaporito con delicato olio di oliva creato in un clima
mite quasi tutto l’anno.
Tra le verdure troviamo: le melanzane, con cui si prepara la
famosa MUSSAKA, i pomodori e i cetrioli per l’ottima insalata greca
impreziosita dalla FETA e dalle olive nere.
Il pesce viene cucinato alla brace, così come gli spiedini
di agnello da gustare intinti nello TZATZIKI, la salsa a base di yogurt.
Una cucina gioiosa e saporita, spesso accompagnata dal
caratteristico sapore di un bicchiere di RETSINA, lo splendido vino bianco
greco.
LA CUCINA CENTROAMERICANA (MESSICO, CARAIBI, HAITI, REP.
DOMINICANA, NICARAGUA, GUATEMALA).
Al momento della scoperta dell’America erano già conosciute
più di duecento varietà di mais che furono importate in Europa ed in seguito
diffuse in Medio Oriente ad opera dei veneziani.
Gli elementi che costituiscono la base delle abitudini
alimentari centroamericane sono ancor oggi mais, fagioli e pomodori.
Per la preparazione di TORTILLAS e TAMALES, piatti tipici di
questi Paesi, il mais viene macinato dopo essere stato bollito con del lime.
Le tortillas, pane maya e azteco, farcite con salsiccia
grigliata e guarnite con formaggio a cubetti ed insalata o presentate con carne
insaporita con salsa di avocado, sono un versatile accompagnamento per ogni
sorta di preparazione gastronomica.
Occorre però specificare che il vero piatto forte è a base
di carne, stufata, bollita o grigliata: maiale alle arance o tacchino alle erbe
aromatiche. Il contorno è a base di fagioli, bianchi, neri o rossi, cotti con
riso, soffritti con aglio e cipolle.
Elementi maya, indigeni, spagnoli, francesi ed inglesi si
mescolano felicemente in una cucina tropicale ricca ed originale con un gusto
spiccato per i sapori piccanti.
Al giorno d’oggi, si estende e intensifica il fenomeno della
globalizzazione, riguardante sia la sfera economica e finanziaria sia quella
della comunicazione mondiale.
Vivendo in un villaggio globale, ossia in un mondo in cui
l’intensità degli scambi culturali ed economici cresce rapidamente nel tempo,
la variabile “consumi”, intesa come acquisto di beni e servizi da parte delle
famiglie, assume un’importanza rilevante.
In questo contesto, utilizzando il
cibo come punto di riferimento, si sono potute notare le differenze nelle
abitudini alimentari insite nelle diverse culture.
A Torino, per
esempio, esistono alcuni ristoranti etnici che realizzano
MENU MULTICULTURALI.
Eccone alcuni:
CUCINA AFRICANA
Datteri allo yogurt (Tunisia)
Risotto con gamberetti e piselli (Egitto)
Torta di manioca e formaggio (Zanzibar)
Pollo al tegame (Marocco)
CUCINA EUROPEA
Shepherd's pie (Gran Bretagna)
Paella (Spagna)
Zuppa Gulasch
(Ungheria)
Moussaka (Grecia)
Torta Sacher (Austria)
Isola galleggiante - Ile flottante
(Francia)
CUCINA LATINO-AMERICANA
Guacamole - Purea di avocado al pomodoro e coriandolo
(Messico)
Empanadas Criollas (Argentina)
Feijoada (Brasile)
CUCINA ORIENTALE
Riso cantonese (Cina)
Sashimi - Antipasto di pesce crudo (Giappone)
Chapati (India)
Maiale in salsa agrodolce (Giappone)
CUCINA
NORD-AMERICANA
Hamburger made in USA
Country Pie – Timballo rustico (Canada)
Bistecche stelle e strisce (U.S.A.)
CUCINA AUSTRALIANA
Filetto di canguro ai capperi (Australia)
Gelato alla pesca con macadamia (Australia)
CUCINA ITALIANA
Lasagne Verdi alla Bolognese (Emilia Romagna)
Pizza Margherita (Campania)
Orecchiette alle cime di rapa (Puglia)
Seppie ripiene (Abruzzo)
Fonduta al tartufo (Piemonte)
Cardo gobbo di Nizza in bagna caöda (Piemonte).
(Il materiale è
tratto da una sperimentazione della scuola.T.C. SPERIMENTALE “BLAISE PASCAL” ,
VIA CARDUCCI, 4 – 10094 GIAVENO (TO), TEL. 011/9378193 –
FAX 011/9377478 che
ha utilizzato anche i volumi: Centro Nuovo Modello di Sviluppo,
“Geografia del
Supermercato Mondiale” EMI, Bologna 1998, Guida al consumo critico” EMI,
Bologna settembre 2000, Carta di Peters più video illustrativo, Daviddi G., De
Lorenzini D., Lisi G. “Prodotti del Sud, consumi del Nord” Editrice
Consumatori, Bologna 1994).
LA STORIA DEL VINO.
A Torino, al Salone del gusto da me già citato (21- 25
ottobre 2004), oltre alle numerose comunità internazionali che sono il “meglio”
delle produzioni alimentari del pianeta che vogliono proteggere e valorizzare i
loro cibi e vini che hanno una storia sociale e religiosa dietro le spalle,
saranno presenti 2500 “etichette” italiane, tra cui risulteranno premiati 264
produttori che hanno ottenuto “3
bicchieri” dalla “Guida dei vini d’Italia”, edita da Slow Food e Gambero
Rosso.
La storia del vino si confonde con le origini
dell'umanità.
Le prime notizie non risalgono a Noè, ma ai sumeri ( Mesopotamia), gli inventori
della scrittura cuneiforme che influì sul sorgere di altre scritture come
l'egizia.
Durante recenti scavi in Mesopotamia, è stato rinvenuto un
inno che risale al 4000 a. C. (quindi in epoca pre-biblica) composto in
occasione dell'inaugurazione del tempio di Enki,
dio della sapienza nella città di Eridu:
«Enki s'avvicinò alle
provviste delle bevande inebrianti, s'accostò al vino:
Vino nei vasi di
bronzo versò;
Mischiò con generosità
birra di spelta;
In una botte apposita,
che la bevanda rende buona, mischiò;
La sua bocca con miele
e datteri in parti (uguali) trattò;
Nel suo interno, miele,
con generosità, sciolse in acqua fresca;
Enki, al padre, in
Nippur,
A suo padre Enlil, pane
diede a mangiare (preparò un banchetto)
An sedette al posto
d'onore,
A fianco di An si pose
Enlil;
Nintu sedette su una
poltrona,
Gli Anunanki per ordine
presero posto,
Gli inservienti
offrono birra, preparano vino. .ecc.
»
LE MISTURE NELL'ANTICHITA'
I Sumeri che conoscevano vino e birra già avevano provato a
rendere queste bevande più inebrianti miscelandole con datteri e miele.
La tradizione era continuata anche nei secoli successivi.
Infatti, qualche millennio più tardi, in Grecia, troviamo ancora questa usanza
con il mulsum, ce lo ricorda Omero il quale riferisce che Aristeo di Tracia
(figlio di Apollo e della ninfa Cirene) lo otteneva mescolando vino e miele
Ai tempi di Ulisse si produceva il maroneo, che era servito
all'eroe per ubriacare il ciclope Polifemo. Esso era un vino forte, nero e
profumato che con l'invecchiamento diventava ancora più corposo. Sia questo sia
tutti gli altri vini erano allungati con l'acqua nella misura di un sestario di
vino e otto di acqua. I greci ritenevano infatti che solo agli dei era
consentito bere il vino puro e non agli uomini che, per punizione sarebbero
impazziti. Alcuni vini invece che con acqua semplice, erano allungati con acqua
di mare.
Lo si faceva con il clazomene (che aveva preso il nome dalla
omonima città di Lidia in Asia minore), patria del filosofo Anassagora, (IV
sec. a.C.) e con il famoso vino di Cos, che era allungato con acqua di mare che
era presa al largo.
Si racconta che questa usanza sarebbe derivata dalle bevute
furtive di uno schiavo il quale colmava la misura di quello rubato,
aggiungendovi acqua di mare.
Il vino di Lesbo la famosa Lesbo dalle bianche case, aveva
invece sapore di mare naturale, in quanto assorbiva l'aria di mare. E ancora,
molto conosciuto era il vino di Efeso che era trattato con acqua di mare e
defrutum (vin cotto ottenuto facendo bollire il mosto fino a ridurlo alla
metà). Il defrutum in Italia si otteneva
nella zona di Atri con il pretuziano.
In Frigia con il vino di Apanea si otteneva il
melato
Nell'antica Roma era diventata celebre l'annata <121> (a.C.) i n
quanto quell'annata aveva avuto un sole splendente. Questo vino era stato
ritrovato duecento anni dopo ridotto però a una sorta di miele amaro (il gusto
amaro era la caratteristica dei vini invecchiati), ma fu utilizzato ugualmente
in piccole dosi con vini nuovi rendendoli diversi nel sapore e di miglior
qualità.
121>
Augusto fra tutti i vini preferiva quello di Sezze (in
prossimità delle paludi Pontine) che era considerato un forte digestivo. Esso
seguiva per fama quelli dell'agro di Falerno di cui il più noto era il
faustiniano del quale esistevano tre qualità, il forte, il dolce e il
leggero.
I famosi vini Albani avevano come caratteristica la leggerezza ed
erano consigliati per i convalescenti.
Quelli invece di Segni (sulla via Appia) erano fortemente
aspri, tanto che erano usati come astringenti per l'intestino. Si cercava di
mitigare i sapori forti, usando il defrutum oppure con altre soluzioni come la
pece crapulana, in Italia (resina
trattata con acqua calda o esposta al sole facendo evaporare l'olio
essenziale); in Africa si utilizzava il gesso o la calce; in Grecia l'argilla,
polvere di marmo, il sale o l'acqua di mare.
Vini dal sapore intermedio tra il vino normale e quello
dolce erano ottenuti arrestando la fermentazione mettendo il mosto in orci
messi a loro volta in acqua e lasciati lì fino al solstizio d'inverno (21
dicembre).
In questa categoria famoso era il protopo che era una specie
di Porto secco ottenuto dal mosto di prima pigiatura, immediatamente
imbottigliato e fatto fermentare e cuocere al sole per quaranta giorni
nell'estate successiva.
Il miglior passito era ottenuto con uve messe a seccare per
sette giorni al sole su graticci in luogo riparato e protetto dall'umidità
della notte e pigiate all'ottavo giorno.
Il vino così ottenuto era profumato e
di eccellente sapore.
ENOTRIA COLONIA FONDATA DA ENOTRO
Si è sempre pensato che il nome di Enotria dato all'Italia
nell'antichità, derivasse dal fatto che essa fosse ritenuta terra del vino.
Invece per Enotria era originariamente designata la parte della Lucania bagnata
dal Tirreno, cui i coloni greci che arrivarono nell'VIII sec. a.C. la
denominarono così, derivando il suo nome da un personaggio, Enotro, il quale, a
capo di un gruppo di greci e di arcadi si trasferì in Italia, sbarcando sulle
coste della Calabria, dove fondò una colonia, i cui abitanti da lui presero il
nome di enotri.
Ciò avvenne (come ci riferisce Dionisio di Alicarnasso circa
150/200 anni prima della guerra di Troia).
LE LIBAGIONI SACRIFICALI
La libagione è una forma di sacrificio diffusa nelle
religioni primitive. Consisteva nel versare vino o altre bevande sull'altare,
sul fuoco o sulle vittime da sacrificare oppure bevendo dopo aver invocato la
divinità (libamen era il liquido versato goccia a goccia). Presso i romani
libamina erano le offerte sacrificali e aspersioni fatte con acqua, vino,
latte, miele ecc.. Nell'antica Grecia si praticava anche per sancire tregue o
alleanze, bevendo vino misto ad acqua.
Le origini di questa forma di sacrificio si fanno risalire,
in base a ritrovamenti, all'età del Bronzo, ma essa era sicuramente precedente.
Andando ad epoche più recenti (2000 a. C), vediamo che in Oriente era praticata
con recipienti detti situle che assumevano varie forme in base alle libagioni
cui erano destinati; ad esempio, in Egitto e Mesopotamia per libagioni con il
latte le coppe avevano la forma di mammella.
I Celti, quando uccidevano i propri nemici, usavano
conservare il cranio che ricoprivano d'oro, per servirsene nelle loro libagioni
rituali. Le antiche leggende germaniche, raccontano che i guerrieri che
morivano in battaglia, quando giungevano nel Valhalla (aldilà), banchettavano
con le carni di cinghiale soehrimnir (che non si esauriva mai) e con l'idromele
attinto dalla capra heidrhrun, serviti dalle bellissime valchirie che avevano
il compito di tenere le coppe sempre piene di birra spumeggiante.
Presso gli Slavi del litorale baltico, si usava sacrificare
alla divinità (Svantovit), i buoi o i montoni (quei popoli praticavano anche il
sacrificio umano) ed il sacerdote chiudeva il rito libando con sangue delle
vittime, seguito dal festino al quale partecipavano i fedeli.
I sacrifici dei persiani del periodo achemenide (da
Achamanisch 700 a C.) si svolgevano nella maniera più semplice. Erodoto
racconta che i sacrifici li eseguivano senza altari e senza accendere fuochi,
non usavano libagioni, flauti, corone o focacce, ma andavano in un luogo puro,
portandovi una bestia e invocando il dio al quale volevano sacrificare. Chi
operava sacrifici non poteva chiedere benefici per se solo ma la prosperità per
tutti i persiani e per il re.
Sempre Erodoto riferisce una strana usanza dei persiani i
quali pare fossero grandi bevitori: amavano prendere le loro decisioni dopo
essersi ubriacati; ciò che decidevano in tali condizioni era riesaminato il
giorno dopo quando erano sobri. Se erano
soddisfatti della decisione la eseguivano, altrimenti, d'accordo, la lasciavano
perdere.
Tra i persiani la libagione fu successivamente introdotta
nel culto parsi (riservata ai soli zoroastriani) e fatta esclusivamente con
haoma; questa era una bevanda inebriante ricavata dalla pianta hom, considerata
sacra .
Mi piace riportare la leggenda (XII sec.) sulle bevande inebrianti
del Vecchio della montagna, raccontata da Marco Polo nel Milione.
Costui mandava i suoi adepti (hasciscin-assassini, coloro
che fumavano hascish) ad eseguire i delitti commissionati, facendosi ammazzare o ammazzandosi se non
erano in grado di tornare da lui.
Il Vecchio addestrava in modo singolare i
giovani audaci e disposti alle armi, dai dodici ai vent'anni. Ne prendeva
alcuni che drogava e facendoli poi accompagnare nel giardino che era pieno di
delizie, con donzelle che cantavano e li sollazzavano a tal punto, che quei
ragazzi non volevano più andarsene. Poi, addormentati, erano trasferiti nel
castello e svegliandosi si meravigliavano che le belle visioni fossero sparite.
Il Vecchio li convinceva che essi avevano visto il Paradiso, per cui non
dovevano temere la morte, perché morendo sarebbero andati a godere quelle
meraviglie. Per questo essi nel compiere le loro missioni l’ affrontavano
volentieri in quanto li aspettava il Paradiso (cosa questa che pensano ancora
gli islamici e, in modo tragico, i Kamikaze, di cui si conoscono le crudeli
gesta).
Gli Assiro- Babilonesi (4000 anni fa, circa) nelle loro
offerte utilizzavano sia il vino sia la birra
Essi ritenevano (come tutti gli altri popoli), che gli dei
avessero le stesse esigenze degli uomini e quindi offrivano loro cibi e bevande
di vario genere, per piegarli ai loro voleri.
In Cina, in epoca Chou (primo millennio a C.) nei sacrifici
operati dall'imperatore a Shang-ti, tra le varie oblazioni (incenso, seta,
cartoncini con scritti) vi era anche il vino e il sangue di giovenca.
Nell'antico Perù si spargeva sulle vivande, come la Chichia,
le foglie di coca, anche nelle tombe e sull'ara e le libagioni erano precedute
(l'usanza dura tuttora) dalla particolare forma di offerta (che si chiamava
tinca), che si svolgeva introducendo tre dita nella coppa da cui si beveva -
con un movimento delle dita - spruzzando le gocce della bevanda verso le
montagne o dove si credeva vi fosse lo spirito da propiziare.
Presso i Greci le libagioni si attuavano nelle occasioni più
disparate, come quando stringevano patti. Famoso quello per il duello tra
Paride e Menelao (Iliade)
I sacrifici agli dei avvenivano più o meno alla stessa
maniera, come racconta Omero. Si ornavano d'oro le corna di una giovenca, le si tagliavano i peli del collo che erano
gettati sul fuoco con chicchi d'orzo; dopo averla sgozzata, si tagliavano le
cosce che erano ricoperte di grasso; sul fuoco erano disposte le primizie, poi
versato il vino, poi, quando le cosce erano bruciate, i sacrificanti mangiavano
i visceri, e facendo il resto a pezzi li infilzavano cuocendoli, dopodiché
banchettavano (Odissea).
LA LEGGE DI NUMA POMPILIO
Nella Roma arcaica nelle libagioni si adoperava latte; ciò
però non toglie che l'uso sacrale del vino fosse altrettanto antico.
Romolo libava col latte e Numa Pompilio (secondo re di Roma,
715- 673) aveva stabilito con una legge di non cospargere di vino il rogo. Con
la stessa legge egli aveva dichiarato empie le libagioni agli dei, fatte con
vino di vite non potata, escogitando così uno stratagemma per far potare le
viti.
Queste, infatti, in alcune zone erano fatte arrampicare sui
pioppi, per cui salivano tanto in alto che i contratti con chi era ingaggiato
per la vendemmia prevedevano anche le spese del funerale e della sepoltura nel
caso di caduta e di morte.
Proprio perché scarso, l'uso del vino era molto parco, tanto
che il comandante Papirio che si apprestava a combattere contro i Sanniti,
aveva fatto voto a Giove, in caso di vittoria, dell'offerta di una piccola
coppa di vino.
Alle donne, proprio per questa scarsità era proibito berne,
e l'apoteca (dispensa che normalmente era il locale situato nella parte
superiore della casa - stanza riscaldata e fumosa - dove era tenuto il vino
perché maturasse e diventasse bevibile), era sotto chiave.
In proposito Plinio ricorda che una matrona romana, per aver
aperto la cassetta che conteneva le chiavi dell'apoteca, fu costretta dai
parenti a morire d'inedia.
I parenti delle donne poi usavano dar loro il bacio (da qui
l'usanza del bacio per salutarsi) soltanto per verificare se sapessero di
temetum (l'antico nome del vino, da cui temulentia l'ubriachezza).
IL VINO IN EGITTO
Gli Egizi normalmente bevevano birra, che Erodoto chiama
vino di orzo, precisando che essi usavano questa bevanda perché nelle loro
terre non esistevano viti.
Egli ignorava che invece in Egitto si produceva il vino che
era offerto con vivande ai sacerdoti.
La testimonianza è
data dal ritrovamento di affreschi, nella tomba di Nakt della XVIII dinastia
(1420-1411) con riproduzione della vendemmia e nella tomba di Userhat, regno di
Amenofi (1450-1425), con riproduzione della pigiatura e registrazione delle
giare.
Gli Egizi accendevano il fuoco e versavano il vino sulla
vittima (normalmente si usavano bovini o, in alcune occasioni, il maiale)
uccidendola e invocando il dio.
Era poi tagliata la testa, sulla quale erano indirizzate
imprecazioni.
Queste si eseguivano dicendo che i mali, che potevano
ricadere sui sacrificanti o sull'Egitto, dovevano ricadere su di essa (per
questo motivo gli egiziani non mangiavano mai la testa di alcun animale).
Alla fine del sacrificio, la testa era venduta ai mercanti
elleni (ai quali le maledizioni poco interessavano) o era buttata nel fiume.
Gli animali normalmente sacrificati erano buoi puri o
vitelli, non le vacche che erano sacre a Iside.
In alcune zone dell'Egitto erano invece sacrificate capre,
in altre pecore.
Il maiale invece era considerato animale impuro, tanto che
se un egiziano lo sfiorava, doveva immergersi nel fiume con tutte le vesti per
purificarsi. I porcari, poi, erano considerati intoccabili. Non avevano accesso
in alcun tempio e normalmente i matrimoni avvenivano nella loro cerchia perché
nessuno osava sposarne le figlie.
La stessa sorte dei porcari toccava, come si sa (dal famoso
romanzo di Mika Waltari e film Sinhue l'egiziano), agli imbalsamatori di
cadaveri, che vivevano tutta la loro esistenza nelle case dei morti.
LA FESTA DI BUBASTI
Dioniso, per eccellenza il dio del vino, era venerato anche
in Egitto.
Tra le varie festività, la più celebre era quella di Bubasti, in onore
di Artemide, dove gli egiziani si recavano in gran numero su imbarcazioni. Durante la navigazione, le donne suonavano i
crotali, gli uomini il flauto, e altri cantavano e ritmavano battendo le mani.
Passando dalle varie città, le imbarcazioni attraccavano e le donne schernivano
quelle della città, mostrando loro il sedere. Giunti a Bubasti, si eseguivano
grandi sacrifici e si consumavano enormi quantità di vino d'uva.
L'ABDALA'
Nella religione ebraica, le libagioni erano di vino di pura
uva, versando il vino alla base dell'altare e con offerta dell'agnello (che
doveva essere di un anno ed esente da imperfezioni fisiche) oppure con fior di
farina intrisa di olio vergine.
Nell'abdalà, la particolare cerimonia familiare che segna il
passaggio dal giorno sacro (sabato) a quello feriale, la libagione consiste in
una coppa di vino puro, accompagnata da un recipiente contenente spezie
profumate o rametti di albero o arbusto odoroso (mirto, rosmarino) e delle
fiammelle luminose e si pronunciano benedizioni a Dio Creatore del frutto della
vite, degli aromi e delle sorgenti luminose.
Per la cerimonia del sabato, il pasto è preparato nel
pomeriggio del venerdì, poco prima del tramonto, disponendo sulla tavola due
pani interi e vino di pura uva; il capo famiglia, o chi per lui, solleva il
calice del vino nel momento del Kiddush, all'altezza del petto, e dopo aver
recitato le benedizioni, beve un sorso porgendo il calice agli altri.
La stessa bevanda è spruzzata e bevuta nella Pasqua di
azzime, quando gli Ebrei festeggiano e ricordano l'Esodo (l'uscita dall'Egitto
degli antenati tenuti in schiavitù dal Faraone).
Per la cena pasquale si prepara la mensa in maniera
particolare. Oltre alle candele accese, davanti al posto del capofamiglia, vi
sono il sedano, l'insalata amara, l’aceto o acqua salata, un uovo sodo, uno
zampino di agnello e un impasto di frutta secca triturata e amalgamata con il
vino, oltre a tre pezzi di pane azzimo (la cerimonia è chiamata seder).
Ogni commensale ha davanti a sé un bicchiere di vino che
sarà bevuto successivamente e sarà riempito solo quattro volte.
La cerimonia, ricorda l'Esodo, vale a dire la liberazione
dalla schiavitù egiziana; le azzime sono memoria del pane della afflizione che
avevano mangiato i padri (durante la fuga non c'era tempo per far lievitare il
pane, da ciò il rito dell'azzima).
Il primo bicchiere si beve alla benedizione d'apertura, dopo
aver benedetto il Creatore del frutto della vite, ricordando i precetti ebraici
e l'uscita dall'Egitto; si lavano le mani, si prende un pezzo di appio
(sedano), si intinge nell'aceto o nell'acqua salata e si mangia dopo aver
benedetto Dio che ha creato i frutti della terra distinti dagli alberi.
Dopo aver spezzato una delle tre azzime, ha inizio la
narrazione della fuga, poi si versa il secondo bicchiere, segue la fase delle
domande da parte dei figli sul significato delle cerimonie che si stanno
svolgendo. In questa occasione si spruzza con le dita il vino per scacciare i
mali che punirono gli oppressori. Si beve il secondo bicchiere, si mangiano poi
pezzetti di azzima, l'erba amara (in ricordo della antica schiavitù) che è
intinta nel dolce impasto di frutta (in memoria dell'antica liberazione;
l'impasto ricorda anche la calce e i mattoni con cui gli Ebrei lavoravano in
Egitto).
Si mangia ancora un piccolo pezzo di azzima e si bevono
infine gli altri due bicchieri e, fino al giorno successivo non si assume
altro.
Nella liturgia cristiana è ben noto l'uso simbolico del vino
dell'ultima cena di Cristo.
I paleocristiani brindavano tante volte ai defunti nella
ricorrenza della morte che per loro era invece dies natalis, cioè la nascita
della nuova vita.
Durante i banchetti funebri che si svolgevano nelle
catacombe, si brindava con vino riscaldato che, in sintonia con l'usanza dei
tempi, era allungato con l'acqua, in onore del defunto per il quale era lasciato
un posto libero ed imbandito.
Queste i riti nell'uso del vino, nel mito, nella
storia e nelle religioni.
Esse in ogni caso hanno sempre rispecchiato le abitudini
stesse delle popolazioni a seconda che fossero di guerrieri, di pastori o
agricoltori e che da cruente, come è stato nelle cerimonie sacrificali agli
albori della civiltà, sono diventate non cruente, fino a trasformarsi, in
epoche più recenti, in simboliche.
Ma gli integralisti odierni come brindano???
(da
:www.rivstoricavirt.com)
ALCUNE CURIOSITA’
In Occidente, ma anche in Oriente, il maiale è, forse,
l’animale più mangiato: in tutte le salse e in tutti i modi. Il suo nome deriva
dalla Dea Maia, figlia di Atlante e madre di Mercurio.
Poi “porcus” da “sporchus” per la sua nota predilezione del
fango.
Nel X libro dell’Odissea la maga Circe trasforma gli
spasimanti in porci, nel I secolo a. C. a Roma la salsiccia inventata in
Lucania (da cui tuttora luganega)e derivante anche da: salcictia= sale, assieme
ai prosciutti erano monete correnti per pagare le tasse( Varrone, De
Agricoltura, I secolo a. C).
Nel Vangelo è famoso l’episodio degli spiriti immondi che
entrano nei porci che si gettano a mare, mentre nel Corano è proibito
assolutamente di cibarsene. Divieto tuttora osservato dagli islamici.
n Inghilterra, in una scuola di Batley è stato proibita la
proiezione dei Tre porcellini della W.Disney perché offendono i bambini
musulmani(nel 2003!).
Nell’Africa subsahariana, non si mangiano assolutamente
ovini, né si fa bere ai neonati il colostro non “puro” perché li contamina (anche
in India e Asia).
La carne dei bovini deve essere Halal, cioè uccisa secondo
il rituale islamico: l’animale deve avere il capo rivolto verso la Mecca, deve
essere completamente dissanguato mentre si pronuncia la parola “Baslama”( cioè
si uccide in nome di Maometto).
La vacca, sacra agli induisti, non è commestibile. Occorrono
86 trasmigrazioni per far passare l’anima dal demone alla vacca e , quindi,
all’uomo. Chi la uccide, passa allo stadio più basso.
Di essa, però, si usano ben cinque prodotti: il latte, la
quagliata, il burro, l’urina e lo sterco. Quest’ultimo, essiccato, è usato come
combustibile.
Nella Cina bisogna sempre fare attenzione nel combinare gli
alimenti Yin (cibi che rinfrescano: frutta, aceto, piccante, zucchero…) con
quelli Yang (cibi che riscaldano: cereali, formaggi, carni…).
Il pane, il vino e l’olio, sono le basi dell’alimentazione
mediterranea che tutti ritengono la più corretta, qualora venga integrata con
verdura e frutta.
Per il bere, il vino è al primo posto nel mondo anche se
ricavato con tecniche diverse.
Le religioni monoteiste sono concordi nel considerarlo nella
sua duplice immagine di elemento buono, portatore di gioia e di elemento
cattivo, che trascina all’ubriachezza.
Mentre nell’ebraismo è permesso purché preparato secondo le
regole del Levitico, nel cristianesimo è il simbolo del sangue di Cristo
durante la messa e non c’è festa dove esso non venga libato abbondantemente.
Però è anche un elemento di divisione tra i cristiani:
infatti, i riformatori protestanti nell’eucaristia si cibano con il pane e il
vino, così gli ortodossi, mentre ai cattolici è concesso il solo pane.
Nel Corano vige la proibizione. Secondo una leggenda, pare
che esso sia stata causa del peccato dei primi uomini. Eva invece della mela,
offrì al suo compagno del vino, sicché Maometto lo vietò assolutamente, però,
sempre secondo il Corano, nel paradiso per i fedeli scorreranno fiumi di vino
prelibato.
E tanto, per non dimenticare che le donne sono state sempre
discriminate anche nel mangiare e nel bere sia socialmente che religiosamente,
termino raccontando un episodio tragicomico connesso al vino e risalente al
tempo di Numa Pompilio, secondo re di Roma.
Il vino era un prodotto piuttosto
scarso e gli uomini lo conservavano nell’ apoteca (questo nome è ancora vivo
nel dialetto napoletano ed indica la bottega) chiusa ermeticamente a chiave che
poi veniva custodita gelosamente lontana dagli occhi della matrona. Però,
essendo Eva più furba del diavolo, succedeva che fosse trovata, così il vino
era consumato anche da questa intrepida che, se scoperta, veniva bastonata e
messa a morte.
Avanti così non si poteva andare e allora, qualche patrizio
più intuitivo scoprì il modo di controllare le “bevute romane”. Come? Al
ritorno, i fieri tribuni baciavano sulle guance le loro spose, non per affetto
ma per sentire se” puzzavano” di vino! Da allora, il bacio sulle guance ha
cambiato connotazione…o no?
Fonte: srs di Maria De Falco Marotta,
da La Gazzetta di Sondrio.it, del 30
X 2004.
Link: www.gazzettadisondrio.it
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