La scorsa settimana, (maggio
2011) nella mia qualità di
Rappresentante dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in
Europa) per la lotta al razzismo, alla xenofobia e all’intolleranza e
discriminazione contro i cristiani, sono stato relatore a un grande evento
organizzato dalla Presidenza ungherese dell’Unione Europea al Castello Reale di
Gödöllo, presso Budapest, sul tema del dialogo interreligioso fra cristiani,
ebrei e musulmani.
Vi hanno partecipato, fra l’altro, il cardinale Péter Erdö,
presidente dei vescovi europei, il custode di Terrasanta padre Pierbattista
Pizzaballa, l'arcivescovo Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio
Consiglio per i Migranti, l'arcivescovo maronita di Beirut Paul Matar, il
metropolita Hilarion, “ministro degli esteri” della Chiesa Ortodossa Russa, il
rappresentante del Congresso Ebraico Europeo Gusztáv Zoltai, quello
dell'Organizzazione della Conferenza Islamica Ömür Orhun, il segretario
generale del Comitato per il dialogo islamo-cristiano in Libano, Hares Chakib
Chehab.
Dal mio intervento e dalla discussione che ne è seguita i
giornalisti presenti hanno ricavato soprattutto la mia affermazione secondo cui
ogni anno i cristiani uccisi nel mondo per la loro fede sono 105.000, uno ogni
cinque minuti. Come avviene nell’epoca di Internet, dalle auree volte del
Castello Reale di Gödöllo la citazione è rimbalzata su quotidiani e siti di
tutti i continenti. È certamente servita a risvegliare le coscienze sul tema
dei cristiani perseguitati. Di questo sono molto contento: sono all’OSCE per
questo. Ma – com’è naturale – una minoranza di coloro che hanno riferito la
notizia ha sollevato dubbi su una cifra che a prima vista può sembrare
eccessiva. In Italia si è distinta per un’ironia fuori luogo quando si parla di
morti la solita UAAR, l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti. In
queste reazioni c’è già di per sé una lezione: si sottovaluta talmente il
problema dei cristiani perseguitati che le cifre – quando sono citate –
sembrano a prima vista incredibili.
Da dove vengono, dunque, le statistiche che ho citato in
Ungheria? La base è costituita dai lavori del principale centro mondiale di
statistica religiosa, l’americano Center for Study of Global Christianity,
diretto da David B. Barrett, che pubblica periodicamente la notissima World
Christian Encyclopedia e l’Atlas of Global Christianity. I lavori di Barrett e del suo centro sono i
più citati nel mondo accademico, e non solo, per le statistiche internazionali
sui membri delle diverse religioni. Nel 2001 Barrett e il suo collaboratore
Todd M. Johnson iniziarono a raccogliere statistiche anche sui martiri
cristiani. Nella loro importante opera World Christian Trends AD 30 – AD
2200 (William Carey Library, Pasadena 2001) cercarono di calcolare il
numero totale di martiri cristiani – e per la verità anche di altre religioni –
nei primi due millenni cristiani, fino all’anno 2000.
Naturalmente, Barrett e Johnson avevano anzitutto bisogno di
una definizione di martiri cristiani. Sceslero
“credenti in Cristo che hanno perso la loro vita prematuramente, nella
situazione di testimoni, come risultato dell’ostilità umana”. Avvertivano che perdere la propria vita “nella
situazione di testimoni” non implica alcun giudizio sulla santità personale del
martire ma comporta che sia stato ucciso perché cristiano, non come vittima di
una guerra o di un genocidio con motivazioni prevalentemente politiche o
etniche e non religiose. Il volume del
2001 concludeva che i martiri cristiani nei primi due millenni erano stati
circa settanta milioni, di cui quarantacinque milioni concentrati nel solo
secolo XX. Una robusta parte metodologica, che – aggiungo – è uscita semmai
rafforzata da dieci anni di discussione sul volume, spiegava i criteri di
calcolo adottati.
Da allora, Barrett e Johnson hanno aggiornato annualmente i
loro calcoli, senza modificare criteri e definizioni.
Negli anni 2000 il numero di martiri è cresciuto fino a
raggiungere verso la metà del decennio il tasso allarmante di 160.000 nuovi
martiri all’anno.
Nel 2010 – come spiegano in un articolo intitolato
“Christianity 2011: Martyrs and the Resurgence of Religion” pubblicato sul
numero di gennaio 2011 (vol. 35, n. 1) della rivista del loro centro,
l’“International Bulletin of Missionary Research” – il numero di martiri è
diminuito rispetto alla metà del decennio precedente, principalmente perché “la
persecuzione dei cristiani nel Sud del Sudan si sta placando come effetto degli
effetti degli accordi di pace nel 2005”. Tuttavia rimangono, o si aggravano, altri
focolai di martirio, in particolare la Repubblica Democratica del Congo e la
Corea del Nord. Considerati questi fattori una stima prudenziale per il 2011,
che Barrett e Johnson propongono “con fiducia”, è di circa “centomila martiri
in un anno”.
Questa cifra è considerata eccessivamente prudente in un
volume importante che mi propongo di recensire in altra occasione per i lettori
della Bussola Quotidiana, “The Price of Freedom Denied” dei sociologi
statunitensi Brian J. Grim e Roger Finke (Cambridge University Press, Cambridge
2011), dove la teoria sociologica detta dell’economia religiosa è applicata
allo studio statistico delle persecuzioni religiose e delle loro conseguenze
sociali. Grim e Finke citano altri dati
secondo cui il numero di martiri cristiani che perdono la vita ogni anno
potrebbe essere più alto, fra 130.000 e 170.000.
Nel mio intervento di Budapest ho voluto adottare una
revisione minima della stima di Barrett e Johnson, supponendo che dalle 100.000
vittime circa del 2010 si passi a 105.000 nel 2011: una cifra molto minore di
quella proposta da Grim e Finke. 105.000 morti all’anno significano fra 287 e
288 morti al giorno e dodici all’ora, cioè uno ogni cinque minuti. Può darsi
che si debba seguire la stima più bassa di Barrett e Johnson e che i minuti
siano cinque e mezzo anziché cinque. O che abbiano ragione invece Grim e Finke
e muoia un cristiano ogni quattro minuti, non ogni cinque. La linea di tendenza
rimane comunque spaventosa.
Se non si gridano al mondo le cifre della persecuzione dei
cristiani, se non si ferma la strage, se non si riconosce che la persecuzione
dei cristiani è la prima emergenza mondiale in materia di violenza e
discriminazione religiosa, il dialogo tra le religioni e le culture produrrà
solo bellissimi convegni, ma nessun risultato concreto. Chi nasconde le cifre
forse semplicemente preferisce non fare nulla per fermare il massacro.
Fonte: srs di di Massimo Introvigne, da CESNUR
Center for Studies on New
Religions, del 9 giugno 2011, (Document Size: 11103)
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