lunedì 19 settembre 2011

LA MAGIA CHE STREGÒ IL PROF. FRANCESCO TAGLIENTE

Lo scavo al Riparo  Tagliente in una  foto del 1995

Archeologo prima per passione che per studi, Francesco Tagliente fu lo scopritore dell'oggi celebre sito di Stallavena. Affrontò lo scetticismo e l'iniziale chiusura degli esperti, in un'avventura che sa il sapore della passione, dell'amore per la scoperta e dello studio delle nostre origini.

Tre anni fa usciva di scena, con discrezione come gli piaceva fare quando non indossava i panni del docente il professor Francesco Tagliente, lo scopritore del Riparo di Stallavena. "Checchino" era stato fra i primi in Italia ad iscriversi a una facoltà universitaria dopo il pensionamento, per seguire un corso regolare di studi archeologici.  Si era laureato brillantemente discutendo una tesi di paletnologia (è la scienza che studia la cultura delle civiltà umane preistoriche e protostoriche attraverso l'analisi dei reperti materiali, ndr) proprio sulla sua esperienza con il riparo sotto roccia di Stallavena.
La sua scoperta si è rivelata di una straordinaria ricchezza anche sotto il profilo della storia dell'arte, poiché il giovane inumato che gli scavi hanno portato alla luce era stato onorato dal suo clan con la deposizione, a contatto con i femori, dei suoi graffiti: una leonessa, un bisonte e uno stambecco, giudicato il capolavoro dell'arte mobiliare paleolitica mediterranea.
Quegli animali, magistralmente delineati dodicimila anni fa dal cacciatore artista di Stallavena, nel periodo interglaciale avevano alimentato le famiglie dei primi abitatori della Valpantena, come dimostrano le ossa, anche parzialmente combuste, recuperate nel Riparo Tagliente: bovide, cervide, camoscio e capriolo, alce, marmotta, orso e cinghiale.

Il professor Tagliente mi parlava di una forza misteriosa che lo aveva spinto, nella primavera del 1958, verso la base di quella parete oggi nascosta alla vista dagli edifici industriali.  Il sito, abitazione e officina per generazioni di cacciatori e di artigiani, aveva conservato nella propria sacralità un che di magico, fino a trasmettere un irresistibile messaggio telepatico allo studioso che lo avrebbe rivelato alla scienza.
«Ogni volta che percorrevo in macchina la strada della Valpantena» mi diceva «sia all'andata che al ritorno, una inspiegabile attrazione, come una forza misteriosa, mi induceva a fermare l'auto per qualche istante, in quel punto. Non rispondevo a chi viaggiava con me, chiedendomi il motivo dell'improvvisa fermata: ero ammaliato da quello strapiombo scuro di roccia calcarea, contornato dalla fitta vegetazione, e riprendevo il viaggio ripromettendomi di fermarmi la volta successiva, per raggiungere a piedi la base della parete. Quando mi decisi a farlo, mi resi conto subito di aver messo i piedi in una stazione preistorica, che era sfuggita a tutti gli studiosi. Arrivato al riparo sottoroccia» continuava «fui colpito dall'abbondanza di materiale litico in superficie, sparso uniformemente e frammisto ad ossa fossilizzate. Portai i manufatti, con un campione di terreno, al prof. Francesco Zorzi del Museo di Storia Naturale. Sulle prime si mostrò scettico, preferendo pensare a scarti della produzione di acciarini, abbondanti in Lessinia nel Settecento».

Tagliente obiettò che una datazione molto più antica andava desunta dalla presenza di ossa quasi pietrificate e dalla totale assenza di elementi in ceramica. Zorzi consigliò di analizzare le pareti e l'ingresso della grotta, e Tagliente non  si fece ripetere il suggerimento tornando più volte al riparo, raccogliendo selci e ossa, e facendo anche un piccolo scavo vicino all'ingresso, fino a che trovò della terra nera, attestante un'antica attività dell'uomo.

Sarebbero passati quattro anni prima che il direttore del Museo Civico, davanti a quel pugno di terra nera, diventasse improvvisamente pensieroso. Il professor Zorzi chiamò subito Franco Mezzena, il suo giovane collaboratore per la preistoria, e si fece accompagnare a Stallavena.
«Erano le undici del mattino del 2 febbraio 1962» ricorda Tagliente «nell'interno del riparo rimasi zitto, mentre il Zorzi, con una lampada ad acetilene, esaminava attentamente il terreno, le pareti, e raccoglieva selci e ossa. Mezzena scattava continuamente fotografie con le lampade al magnesio. Tornati al museo, il professore, che era sempre stato zitto, cominciò a parlare. Era entusiasta, e nell'atto di riporre il materiale raccolto dentro un contenitore scrisse sull'etichetta "Riparo Tagliente".
Sapevo che aveva dato il nome di "Riparo Mezzena" ad un ritrovamento del suo discepolo, e conscio di non essere all'altezza di questo per preparazione, suggerii di adottare il nome della località “Còalo delle Tessare”, ma Zorzi insistette e dovetti accettare il lusinghiero riconoscimento. Si succedettero negli anni gli scavi scientifici, coordinati dal professor Broglio dell'Università di Ferrara, con la collaborazione del museo di Verona.

Con il procedere delle ricerche, il Riparo Tagliente si andava rivelando la più antica testimonianza del lavoro dell'uomo, fornendo indicazioni preziose anche sull'ambiente e la fauna in età lontane. Vennero alla luce alcuni focolari, e poi le opere d'arte, con lo scheletro di un giovane sepolto in posizione supina, al quale l'antropologo Cleto Corrain ha attribuito un'età di 24 anni». Per il professor Corrain la sepoltura era attribuibile ad una fase avanzata dell'epigravettiano medio.

Secondo lui si trattava della prima sepoltura paleolitica trovata nella Valle padana. Il corpo del giovane cacciatore era stato ricoperto di pietre, due delle quali recavano delle incisioni. Erano le più grandi di tutto il complesso ed erano state posate intenzionalmente con i graffiti a contatto con i femori. Il corredo funebre comprendeva un corno di bisonte ed una conchiglia forata. La piccola galleria d'arte del Riparo era formata da un mezzo ciottolo con la figura di stambecco, l'intera sagoma di una leonessa ed un bisonte. Le figure erano state incise dodicimila anni fa.

FRANCESCO TAGLIENTE

Francesco Tagliente ad El Alamein

Il prof. Tagliente era animato da uno sviscerato amor di patria. Nel 1992, per il 50° anniversario della battaglia del deserto, volle partecipare al pellegrinaggio veronese a El Alamein. Nella foto, davanti al mausoleo, regge e accarezza il labaro dei decorati al valor militare. Accanto a lui il col. Pilota Vittorio Organo, pluridecorato al valore in Africa Settentrionale, presidente dei decorati veronesi. Il dottor Organo, nella vita civile, è stato per decenni titolare della farmacia di Poiana.


Fonte: srs di Gianni Cantù; da Pantheon di  maggio 2011-09-17

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