E L’OMBRELLO FU FATALE
Barba nera, brutto d’aspetto, dell’età di trent’anni: Giovanni Andrioli si trovava lì, in mezzo alla folla, alla confusione, alla rivolta. L’unica arma a disposizione: il proprio ombrello. Senza esitazione, il giovane afferrò l’oggetto dalla sommità e con un gesto fulmineo lo scagliò sul capo dell’uomo che gli stava di fronte, Antonio Bernardi. Non un uomo qualunque, ma il vice brigadiere delle guardie di Questura. Non un gesto isolato ed estemporaneo, quello di Giovanni, ma il gesto condiviso da un intero paese.
I DISORDINI DI GREZZANA
Questi i fatti secondo il resoconto del sindaco Zanella: “il 7 luglio del 1867 alle ore 5 e mezza post meridiane, mentre passava per Grezzana una carrozza con entrovi 3 impiegati di questura e un real Carabiniere vennero questi insultati da alcuni giovinastri, con il dir loro “abbasso le canne e viva l ’Austria”. Questi impiegati allora procedevano all ’arresto di 3 individui. Il popolo allora adiratosi maggiormente voleva a viva forza riprendere loro i detenuti, a tal punto che i suddetti impiegati dovettero trar fuori i loro revolver per fare allontanare la folla. (...) Dopo di ciò sopravvennero sul luogo vari altri carabinieri coi signori ufficiali e praticarono l’arresto di altre persone del paese sia complici che sospetti.”
Stando alla versione ufficiale, gli impiegati si sarebbero presentati in carrozza travestiti da signorotti, scatenando così l'ira di chi signore non lo era affatto. Solo una questione di fame e miseria, e di contadini maldestri? E' vero, Giovanni Andrioli di “Marzana, famiglio presso certo Luigi Salvagno detto Bigotta e mezzadro a Novaglie di Stelle, non godeva di una gran fama. La di lui condotta quando dimorava in questo comune non fu certo delle lodevoli, perché poco operoso, dedito al vagabondaggio, e scostumato.”
Ma quanti, di temperamento diverso dal suo, parteciparono alla sommossa, ispirati da un sentimento comune, intriso di delusione. «Del resto», affermò lo stesso sindaco di Grezzana, rivolgendosi al Tribunale Provinciale «i detenuti sono tutte persone oneste e d'animo tranquillo».
Feliciano Bellini e poi l'Adamoli, il Turrini, il Gonzato e il Marastoni, sono solo alcuni nomi dei 13 personaggi che alla fine furono incarcerati, perché considerati tra i più attivi e pericolosi nella sommossa. Addirittura qualche d'uno, come il mugnaio Giovanni Saletti, fu arrestato erroneamente.
Ancora una volta, dunque, Zanella si propose come difensore dei suoi compaesani. Ma il suo comportamento, volto a presentare l'ammutinamento popolare come un fenomeno di poco conto, non passò tanto liscio. Egli, in fondo, come sottolineò senza indugio il questore, con un sottile tono accusatorio, «se non prese parte diretta alloro operato era però in posizione, ove l'avesse creduto opportuno, di poterlo conoscere».
Forse le autorità veronesi non avevano poi così torto a temere le reazioni contadine. Forse non si trattava di banali episodi e tanto meno di gente ignorante e ignara della grave responsabilità a cui andava incontro, come ebbe a dire il sindaco Zanella. In fondo, proprio quest'ultimo era consapevole della situazione delicata, tanto da non attardarsi a raccomandare vivamente alla popolazione la massima quiete e tranquillità onde non solo smentire le tracce di un paese reazionario ma anche per evitare ulteriori sinistre conseguenze.
L’ EROE DEL PAESE
Il sindaco fece di più: per eludere la gravità della rivolta, spostò l'attenzione sull'impresa di un personaggio in particolare, che in essa fu coinvolto. Tra i rivoltosi e gli uomini della legge, non mancò infatti l'eroe, il martire. Spettò a Remigio Rossi ricoprire questo ruolo.
Mentre la folla, nonostante la reazione armata degli agenti pubblici, non si dileguava, il segretario Remigio Rossi, che era accorso sul luogo del tafferuglio, per sedarlo rimaneva ferito di una palla di revolver, senza sapere di dove venisse.
Zanella credette per questo che il signor Rossi fosse meritevole di una ricompensa per una tale azione al valore civile, e domandò alla questura la conferma se «la di lui posizione abbia realmente contribuito ad impedire un male maggiore e se finalmente in questo fatto calamitoso egli abbia esposto la sua vita». Né vincitori, né vinti, nella ricostruzione della memoria dell' abile sindaco di Grezzana.
Quell' abbasso le canne e viva l'Austria, che scatenò il finimondo, fu allora solo una provocazione? O rispecchiava piuttosto un sentimento reale? I tre singoli episodi, quello di Lugo, di Azzago e di Grezzana, solo apparentemente scollegati tra loro, si potrebbero facilmente ricondurre a un carattere più generale di sostanziale apatia proprio delle campagne dell'Italia centro-settentrionale, scosse solo da «occasionali scoppi di protesta, contro la tassa sul macinato o contro i rincari dei prezzi di prima necessità» (Banti). Eppure ci si potrebbe domandare se non si sia trattato di manifestazioni di un'idea condivisa dalla popolazione nei confronti dell'annessione al Regno d'Italia.
In un fenomeno conflittuale quale fu il Risorgimento, in cui gli stessi soggetti promotori solo idealmente marciavano verso una meta comune, la formazione cioè di uno stato per la nazione italiana, è difficile discernere realtà e ideologia, che insieme si contendono il campo della memoria e dell'interpretazione storica. Chiaro, a tale proposito, è il titolo di un saggio di Sergio Noto, riferito al Veneto post-unitario: "L'annessione all'Italia. Realtà e speranze". Ed è lecito pensare che proprio la speranza delusa dalla dura realtà abbia agitato gli animi della gente della Valpantena. Una valle, oltretutto, che come tante altre aree marginali sarebbe stata raggiunta con una certa difficoltà dal linguaggio nazionale.
Ma nonostante ciò e nonostante i dissensi all'interno delle stesse classi dirigenti, il discorso nazionale avrebbe proseguito il suo cammino, allargando il proprio spazio di azione e arricchendosi di simboli, di valori e di concetti, che di lì a poco avrebbero sostenuto nuove esperienze, dalle spedizioni militari extra-europee dell'Italia alla Grande Guerra, fino a raggiungere la sua massima efficacia in quello che sarà il Ventennio fascista.
Fonte: srs di Giovanna Tondini, da Pantheon di luglio 2011.
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