martedì 20 settembre 2011

GRADASSATE O INSUREZZIONE POLITICA; LA VERA LOTTA DI LIBERAZIONE DEI CONTADINI DELLA VALPANTENA DOPO IL 1866


Prosegue il viaggio di Pantheon dentro ai protagonisti, le storie e le leggende dell’Unità d’Italia rilette con un occhio di attenzione per Grezzana di Verona, la Valpantena e la Lessinia.
La vera lotta di liberazione dei contadini dopo il 1866

Il 25 aprile del 1867 su un albero nei pressi delle chiesa locale di Azzago viene affisso un cartello. Su di esso è riportato un messaggio offensivo contro la Guardia Nazionale. Bernardo Birtele e Antonio Leso, accusati di essere gli autori responsabili, sono arrestati.
Il 20 giugno dello stesso anno, nel caffè di Giuseppe Tacchella a Lugo, Luigi Francesco Dal Corso è arrestato dai Carabinieri Reali per un motivo simile, con l’aggravante di avere oltraggiato con molteplici imprecazioni la «sacra persona del re».
Solo un mese più tardi a Grezzana i contadini si scontrano con la polizia. Questa volta non si trattava solo di parole, si era passati all’azione, alla rivolta vera e propria.

Tre episodi. Tre paesi della Valpantena.  Cosa avevano in comune oltre all’anno, il 1867?
A pochi mesi di distanza dalla tanto faticata annessione al Regno d’Italia, nel Veneto il clima di tensione non si era ancora placato.
Certamente il potere centrale provvide alla “nazionalizzazione delle masse”, costruendo strumenti educativi che fossero capillarmente diffusi, “insegnando la nazione a tutti”. Il potere comunicativo era forte ed efficace, e in grado di imporre il “discorso nazionale”. Ma il popolo si lasciò persuadere? Quanto e in quale maniera percepì il passaggio di governo?

Luigi Messedaglia scrisse che i contadini non presero par te alcuna al Risorgimento, e anzi parteggiarono per l’Austria, che cercava di favorirli avvilendo i signori, ciò che è tipico dei governi dispotici.
Nelle campagne viveva un volgo senza nome e senza ideali, e il 1866 non avrebbe segnato una svolta, almeno secondo don Stegagnini.
Eppure si deve constatare che, se il Risorgimento non visse a Verona pagine di grande partecipazione popolare, comunque dopo l’annessione fu espresso pieno consenso al nuovo regno, come è testimoniato dal plebiscito, che vide solo 50 voti contrari a fronte di quasi 89mila favorevoli. Forse si sperava in un cambiamento vero, questa volta.
Un detto popolare che allora circolava rivela efficacemente il clima dei decenni in cui la vita veronese era stata condizionata dai “francesi assassini” e dai “tedeschi lurchi”.
«E’ andà via el re de denari e è vegnù quel de bastoni!» Così si diceva. E ora, si sarebbe avuto semplicemente un nuovo re? E di quale segno? Quale futuro avrebbe riservato la nuova dominazione italiana?

“IL RE DEI ME COGLIONI”

Già nel febbraio del 1867 a Verona si era verificata una manifestazione di protesta durante la processione del Corpus Domini. E proprio mentre si discorreva su tale evento, tra i muri del Caffé Tacchella, il signor Dal Corso, detto Bagatella, era sbottato esclamando per ben tre volte «Il nostro re è il re dei miei coglioni!». Ma si trattava di un personaggio veramente pericoloso? Seppur uomo «af fatto incensurato», secondo Zanella, sindaco di Grezzana, Dal Corso non avrebbe offeso nessuno, ma si sarebbe solo lamentato dell’inerzia delle Guardie Nazionali, che non furono in grado di impedire i disordini a Verona. Lo stesso poteva dirsi per gli altri accusati di Azzago. «La dimostrazione sunnominata può qualificarsi unicamente una gradassata, anziché un’insurrezione politica contro l’attuale governo, come tale è ritenuto in questo paese e comuni limitrofi (...). Ed è a credersi che, ignoranti come sono, non abbiano inteso di offendere il governo e la Guardia Nazionale, se non forse per beffarsi di alcuni loro compaesani che erano stati proposti come graduati nella Guardia stessa». E ancora assicura il sindaco, rivolgendosi al Tribunale Reale di Verona, che Antonio Brunelli e Giovanni Ederle, coinvolti anch’essi nel processo, sebbene «di temperamento bisbetico e poco operosi, hanno fondamenti politici che quantunque ignoranti sono affatto contrari all’attuale ordine di cose». E non solo loro.

LA POSIZIONE DELLA CHIESA

Anche il partito clericale sarebbe stato «del tutto estraneo in questo affare». «Tanto più che il parroco sebbene sia stato favorito dal cessato governo austriaco di un sussidio per l’erezione della chiesa, non lo ritengo però contrario all’attuale governo e favorevole a simili dimostrazioni».
Come hanno messo in luce gli storici, a cominciare dal vescovo, la paura delle ritorsioni che potevano sorgere contro i filoaustriaci o chi ancora manifestava questa sua inclinazione, fece sì che il clero alla fine accettasse, almeno formalmente e pubblicamente, la nuova dominazione italiana.  All’interno del clero, però, c’era anche chi si era schierato apertamente a favore della causa italiana. Addirittura Radetzky aveva vietato ai soldati austriaci di confessarsi dai preti veronesi, perché ritenuti filo-italiani. Quale movente avrebbe allora spinto questa gente di campagna alla protesta?

Al di là dell’atteggiamento estremamente diplomatico del sindaco Zanella, nelle sue parole si nasconde anche la vera chiave per comprendere il sentimento che accomunava gli episodi di Azzago e di Lugo. «I loro mezzi», affermò infatti Zanella, «sono insufficienti a sostenere le spese processuali e alimentari nel caso di condanna (...), perché tutti mezzadri o piccoli possidenti».
Si trattava di persone che, nonostante i rivolgimenti ai vertici politici, non sperimentarono alcun cambiamento. Esse avrebbero espresso un malcontento anzitutto nei confronti di quei signori che, prima e dopo l’Unità d’Italia, continuarono a esercitare il loro potere coercitivo.
Ed è proprio la rivolta di Grezzana a confermarlo. Come vedremo sul prossimo numero, nessuna bandiera, nessuna nazionalità, nessuna lingua avrebbe contraddistinto i rivali contro cui si scagliarono i paesani. Essi apparivano semplicemente signori. E contro i signori si voleva lottare per la vera liberazione, per la difesa della propria dignità.

I PROCESSI DI AZZAGO E LUGO

Gli episodi citati nel presente articolo sono testimoniati da alcune carte conservate in Archivio di Grezzana e riportate in luce grazie al paziente lavoro di Fernando Zanini.
Si tratta di una corrispondenza avvenuta tra l’allora sindaco di Grezzana, Zanella (sotto la cui autorità erano anche Lugo e Azzago, ndr) e il Tribunale Reale di Verona, nel corso dell’anno 1867.
Nel processo di Azzago furono accusati anche altri giovani, di «buona fama e condotta»: Ederle Paolo e Giovanni,  Piero Angelo, Anganetti Domenico, Zanini Gaetano, Fusina Sante, Carcereri Giacomo.
Nel processo di Lugo i testimoni accusatori furono Stefanoni Felice, di Bosco, e Tacchella Antonio, oltre ad altri testimoni, tutti di Lugo: Zanini Giuseppe, Tacchella Santo, Tacchella Giacomo, Zanini Angelo. Purtroppo, le fonti sopravvissute non ci permettono di ripercorrere la storia completa di questi personaggi, il cui destino rimane a noi sconosciuto.

Fonte: srs di Giovanna Tondini, da Pantheon di giugno 2011


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