El prete dal Sheré : una vita autentica guidata dall'amore per la cultura, la scienza e il territorio con i suoi abitanti. La forza di non sottomettersi mai, la coerenza, il coraggio di un grande precursore. Tutte le sue esperienze raccontate dai libri, i pensieri e gli oggetti raccolti nella casa-museo di Ceredo (Sherè).
Occhiali rotondi da intellettuale, grossi scarponi da montanaro e una vecchia Renault 4. Così la gente di Ceredo ricorda Don Berto, quel prete speciale, uomo di scienza e cultura che si definiva anarchico, che non celebrava più la messa nella chiesa del paese ma nella sua casa e che tuttavia continuava a considerarsi membro della Chiesa.
Don Alberto nasce a Ceredo nel 1911 da una famiglia molto povera. Il padre parte per le Americhe quando il figlio ha solo tre anni, episodio che segna la sua vita in maniera molto forte. Dapprima infatti, divenuto sacerdote, don Alberto decide di diventare missionario per poter aiutare gli emigranti all'estero, cosi come avevano fatto i missionari di Padre Bonomelli con il genitore.
«Cambia idea dopo il bombardamento del Seminario, fatto che gli fa perdere fiducia nei conclamati valori della scienza, della civiltà e della morale» ci racconta l'insegnante Nadia Massella, curatrice degli scritti e amica di don Benedetti per molti anni.
«Diventa anarchico perché gli Stati non possono distruggere la cultura dei popoli» prosegue la professoressa
«Da quel momento riconosce solo le leggi della natura, non quelle scritte da altri uomini alle quali si riserva il diritto di disobbedire quando in disaccordo».
Don Alberto si ritira quindi a Ceredo, il paese natale. E' la Lessinia del dopoguerra, impoverita dalla forte emigrazione, una terra in crisi d'identità, in bilico fra due ere: il passato ricco di fatica e tradizione e il futuro alla ricerca della modernità a fondovalle, in città, all'estero. Per don Alberto è in questo territorio che c'è da lavorare, per impedire che la gente debba abbandonare la propria famiglia e il proprio paese, staccarsi dalla cultura che l'ha generato e quindi perdere le proprie radici.
Don Benedetti è un uomo di azione, crede fermamente che l'uomo debba operare nel mondo per migliorare le proprie condizioni, nel rispetto dell' ambiente che gli ha dato la vita e nei confronti del quale ha un grande debito. Non a caso sulla facciata dell'isba (capanna russa, ndr), l'abitazione da lui stesso costruita, campeggiano la visualizzazione della fotosintesi clorofilliana, la formula della relatività di Einstein e la famosa frase pronunciata dal Faust di Goethe: Im Anfang war die Tat (in principio era l'azione,).
«L'azione degli agenti chimici, la reazione, il fare come principio dell'essere, Dio» precisa Nadia. Azioni quelle di don Alberto volte a preservare la cultura della piccola comunità montana nei confronti dell' omogeneizzazione della civiltà dei consumi, dei mass media e dell'allora globalizzazione.
Don Alberto si adopera, anche lavorando fisicamente, per collegare il paesino con la strada provinciale che scende nella Valpantena e prosegue a Verona, si interessa alla costruzione dell' acquedotto affinché a Ceredo ci sia l'acqua corrente, costituisce delle cooperative per la lavorazione della pietra locale. Ma è nell'istruzione che don Alberto vede il più importante punto di partenza. Per questo, insieme ai professori Giovanni Solinas e Lorenzo Giacopini dà il via, nei primi anni '70, alla scuola media serale che ha riunito per un anno 45 partecipanti adulti fra Ceredo, Fosse, Cerna, permettendo così a molte persone di ottenere il diploma della scuola dell'obbligo.
Don Alberto è un personaggio controverso, non vota, neppure DC, perché non si fida di nessun governo e non sempre è d'accordo con i suoi concittadini. Decide ad esempio di non celebrare più la messa in chiesa dopo il restauro, di cui avrebbe voluto occuparsi lui stesso. Non vi metterà più piede, preferendo officiare il servizio liturgico nella sua isba dedicandosi a studi e ricerche.
Il sacerdote ci lascia nel 1997 e insieme alla vita lascia nella sua casa migliaia di libri di scienza, tecnica, filosofia, letteratura italiana e soprattutto tedesca che sono stati alla base del suo credo. Lascia volumi di tecnica, paleontologia e preistoria che ne testimoniano la passione per la capacità di trasformazione dell'uomo nel suo divenire storico. Rimangono reperti bellici, oggetti metallici costruiti dal sacerdote stesso, la sua bicicletta con la quale perlustrava strade e sentieri. E' una casa che è divenuta testimone del suo vissuto che la nipote Maria ha voluto preservare, anche grazie all'aiuto di Nadia Massella che ha curato l'archiviazione dei volumi della biblioteca. Maria vorrebbe rendere fruibile la casa al pubblico ed è soprattutto disponibile a far consultare i preziosi libri a chiunque fosse interessato. Per questo ne pubblichiamo il numero telefonico: 0457535063.
UNA DELLE PREGHIERE CON LA QUALE, A VOLTE, TERMINAVA LA SANTA MESSA
AMA IL CREATORE
Ama la terra.
Lavora gratuitamente,
conta su quello che hai e sii povero.
Ama qualcuno che non se lo merita.
Non ti fidare del governo,
di nessun governo,
e abbraccia gli esseri umani,
nel tuo rapporto con ciascuno di loro
riponi la tua speranza politica.
Approva nella natura quello che non capisci
E loda quella speranza,
perché ciò che l'Uomo non ha razionalizzato non ha distrutto ...
Metti l'orecchio vicino alla terra e ascolta
I bisbigli delle canzoni future.
Aspettati la fine del mondo.
Sorridi,
il sorriso è incalcolabile.
GLI SCRITTI DI DON ALBERTO BENEDETTI
Insediamenti umani sulla montagna veronese, Taucias Gareida, Verona, 1983.
Montagne e montanari da Verona a Kufstein, La Grafica, Verona, 1987.
Storia naturale di faida, tipografia "La Grafica", Verona, 1988.
Storie de l'arbio, tipografia "La Grafica", Verona, 1991.
Aquile bianche del Monte Baldo, La Grafica, Verona, 1994.
Prediche inutili, "La Grafica", Verona, 1998.
Numerosi inoltre i contributi Sul Quaderno Culturale della Lessinia. Diversi anche gli scritti su don Alberto, fra i più importanti:
Il film - Lessinia Heimat des don Alberto- "Lessinia patria di don Alberto", regia di Josef Schwellensattl
A. Andreloni, Il prete dei castagnari, La Grafica, Verona, 2001
Fonte: srs di Debora Rollo, da Pantheon il magazine di Valpantena e Lessinia, (luglio 2011)
ANARCHICO E SOLITARIO, ECCO IL «PRETE SALVEGO» CHE AMAVA I MONTI
[di Vittorio Zambaldo • 2001]
Un libro di Alessandro Anderloni su don Benedetti. A quattro anni dalla sua morte il «prete dal Serè», don Alberto Benedetti, dal basso delle sue prediche inutili, continua a parlare con la voce degli amici che lo hanno conosciuto e di chi ne ha capito lo spirito e il messaggio...
Un libro di Alessandro Anderloni su don Benedetti. A quattro anni dalla sua morte il «prete dal Serè», don Alberto Benedetti, dal basso delle sue prediche inutili, continua a parlare con la voce degli amici che lo hanno conosciuto e di chi ne ha capito lo spirito e il messaggio...
Il giorno di Ferragosto 2001 nella chiesa della frazione Ceredo di Sant’Anna d’Alfaedo, don Luigi Adami, suo fraterno amico, lo ha ricordato in una messa animata con i salmi cantati dal coro La Falìa di Velo nella versione poetica di padre David Maria Turoldo e accompagnati all'organo da Bepi De Marzi. Il Vangelo della visita di Maria alla cugina Elisabetta è lo spunto per don Luigi per parlare delle strade percorse in montagna da don Alberto, del suo camminare per incontrare gli altri, nonostante si definisse «prete salvègo», «selvatico» per i più, «tramite per arrivare al vero Dio» invece per chi ne capiva l'anima e lo spirito.
È il succo anche del nuovo libro di Alessandro Anderloni «Il prete dei castagnari» (Edizioni La Grafica), presentato al termine della cerimonia religiosa dallo stesso autore e da Bepi de Marzi e che sarà oggetto di una nuova presentazione domani 19 alle 18 nel teatro parrocchiale di Velo.
Il libro prende lo spunto dalla tesi con la quale lo scorso anno Anderloni si era laureato in Lettere e quel materiale è servito per una rielaborazione e un ripensamento lungo 350 pagine sulla vita e le opere di don Alberto.
Il titolo è mutuato da una celebre frase del sacerdote: «Investi nel millennio. Pianta castagnari», un invito a considerare la vita un passaggio del quale dovremmo lasciare solo tracce positive per le generazioni future.
«Ho accelerato l'uscita del volume dopo i drammatici e tristissimi fatti di Genova nell'ambito del G8», rivela Anderloni, «perché anche don Alberto, a 77 anni, fu perseguito e perquisito dalle forze dell'ordine su mandato di qualcuno "in alto".
Gli contestarono ricettazione e detenzione di armi da fuoco, a 77 anni, dopo una vita passata a studiare e amare la sua montagna, lui che anche durante la Resistenza non aveva neppure voluto tenere con sé la rivoltella che gli avevano offerto i partigiani ed esiste ancora la ricevuta della sua riconsegna in municipio. Non gli perdonarono mai il coraggio di dire la verità. Per questo fu etichettato e lasciato da una parte, anche dalle gerarchie della Chiesa di cui condannava le collusioni con il sistema capitalistico. Un sistema che aborriva perché regolato solo dalla logica del denaro», ricorda Anderloni.
Di fronte alla violenza calcolata degli Stati e delle loro polizie, don Alberto sosteneva che ogni legge punitiva è ingiusta.
Deprecava ogni forma di violenza, condannava le guerre, anche le cosiddette guerre umanitarie, inventate, volute e benedette per il solo guadagno dei capitalisti, quelli che chiamava «dinosauri del Quaternario», cioè dei nostri giorni.
«Gridò contro le multinazionali, contro l'informazione controllata e censurata, contro la gestione del potere politico, che diventa la gestione della ricchezza di pochi e della povertà di molti».
È quanto volevano dire in modo pacifico e nonviolento anche migliaia di persone che sono andate a Genova e sono state aggredite e picchiate. Abbiamo visto solo scene di violenza, non abbiamo sentito nessuno parlare del perché esistano le ingiustizie nel mondo, perché si continuino a produrre armi e ci sia la maggioranza della popolazione mondiale sempre più povera e depredata», aggiunge Anderloni.
Il riferimento alla Lessinia è inevitabile, come lo è stato per don Alberto, ritiratosi sui monti di casa dove lo spirito anarchico poteva gridare la sua libertà: andando a caccia, costruendosi una casa con le sue mani (Isba la chiamava), avviando una cooperativa di lavoro, facendo anche il prete a modo suo.
«Cosa direbbe di una Lessinia che subisce l'oltraggio di cave sconsiderate, aperte per arricchirsi ed esportare marmi altrove e non per servire a chi vive sul posto; di un Parco che, pur avendolo a suo tempo contestato, è oggi diventato rifugio e casa per quella selvaggina che a lui tanto piaceva, ma che è depredata con sistemi illeciti o uccisa da bocconi avvelenati?», si chiede Anderloni.
Un preludio di Bepi De Marzi apre il volume ricordando i fatti di Genova, dove anche la Chiesa «che raramente mostra di opporsi all'arroganza della ricchezza, ha camminato nei cortei della nonviolenza, nel sorridente e disperato desiderio di giustizia e di pace: con le decine di associazioni cattoliche e cristiane c'erano anche suore, frati, preti, con l'appoggio dichiarato coraggiosamente da qualche raro prelato dissociato dall'opportunismo e dal servilismo vaticano.
Cosa direbbe don Alberto se fosse ancora qui, seduto ai piedi di un solenne castagnaro?», si chiede De Marzi e risponde: «Forse sarebbe turbato come noi davanti a una Chiesa che accetta un vescovo mago e tormenta cristiani coraggiosi». «Don Benedetti non ha fatto miracoli, non ha distribuito benedizioni e nemmeno ha tuonato in sermoni celebrativi o dissertato sulla fame dei poveri e sui vuoti meccanismi della fede seduto nei salotti mondani; don Alberto, dal potere ecclesiastico, dalle curie, dalle gerarchie che non ha mai voluto riconoscere, è stato tenuto sotto osservazione come un malato inguaribile. Perciò non verrà beatificato, in questo tempo che elargisce riconoscimenti e carriere, terrene e celesti, come mai era accaduto prima», commenta il compositore vicentino. Il prete dal Seré non richiamava folle con il pretesto del miracolo o degli effetti speciali, non aveva la smania della testimonianza, era piuttosto un "prete salvègo", di cui si può solo intuire il tormento e l'inquietudine del «silenzio di Dio", il vuoto angosciante di "non aver mani che accarezzino il volto», come recita una poesia di Turoldo.
Il prete dei castagnari di Alessandro Anderloni. Preludio di Bepi De Marzi. Edizioni La Grafica per informazioni sul libro: lefalie@cimbri.it www.lefalie.cimbri.it
4 commenti:
molto interessante ed illuminante.
approfondirò questa figura singolare e carismatica delle nostre montagne. meravigliosa la poesia di fine messa
Don Carlo Alberto, "il prete dei castagnari" incarna la libertà di pensiero che tanti di noi dividiamo con lui ma, spesso purtroppo,non esterniamo per il quieto vivere. A lui va il mio più profondo rispetto.
LO CONOSCIUTO MOLTI ANNI FA QUANDO IN ZONA VI ERA ANCHE IL MAESTRO GIOVANNI SOLINAS
E MI SONO MERAVIGLIATO COME QUESTI DUE " CULTURE"POTESSERO ANDARE D'ACCORDO ANCHE SE DI IDEE POLITICHE MOLTO DIVERESE .SONO RIMASTO SCONCERTATO QUANDO LESSI CHE LO AVEVANO DENUNCIATO X
POSSESSO DI ARMI E DI MATERIALE (REPERTI CHE AVEVA TROVATO DURANTE LA SUE ESCURSIONI SUI MONTI) SASSI ED ELMETTI O PEZZI DI BOSSOLI . LA CHIESA NON LO CONSIDERO' MAI UN PRETE X LORO
DEVE ESSERE FONTE DI QUADAGNO CIO' CHE DON BENEDETTI NON FECE MAI.
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