Gli unici che capisco, in questa tragicomica vicenda del Giro di Padania, sono gli appassionati di ciclismo. A loro si può ben concedere che gli girino le scatole nel vedere appiccicata un’etichetta politica allo sport che amano. Ma i ciclofili dovrebbero mettersi l’anima in pace e riconoscere che, in una democrazia che si voglia liberale, qualsiasi espressione del pensiero, sia pure manifestata su due ruote, va lasciata libera senza eccezioni per nessuno. Questo principio basilare già basterebbe per spazzare via tutte le becere contestazioni, degne di miglior causa, che nell’assediare il tragitto padano stanno in realtà facendo il suo gioco attribuendogli un’importanza spropositata (come ha correttamente osservato lo scrittore Giancarlo Marinelli sul Giornale di Vicenza di oggi, in risposta al blitz tricolore di Paolo Rumiz).
Ad esempio: se i contestatori di sinistra organizzassero un loro giro (che so, il “Garibaldi tour” al Sud, sulle orme della conquista garibaldina del regno borbonico), non ci sarebbe motivo di obbiettare alcunché. Anzi, io semplicemente penserei: che facciano, chi se ne frega. Dice: ma l’oggetto degli attacchi è l’idea che esista una Padania. Ma allora, primo: se è di politica che stiamo parlando, invece di prendersela coi ciclisti si vada sotto le sedi della Lega, che di quell’idea è la titolare sul mercato; e secondo, soprattutto, si pensi piuttosto a occupare il tempo e le energie contro chi la sovranità dell’Italia l’ha svenduta ai nostri attuali padroni, Trichet Draghi e l’anonima sequestri finanziaria. Fra gli svenditori si troveranno, oltre agli stessi parolai leghisti e alla destra berlusconiana, gli entusiasti eurofili di sinistra, frange comuniste comprese.
Invece si inscenano scioperi generali che guardano al dito (il governo-marionetta Berlusconi) invece che alla luna (la dittatura Bce), e si scambia una gara ciclistica politicizzata per un evento terremotante che mette a rischio il Paese. La Padania, con corredo di ampolle, inni e giuramenti, è una mitologia di partito che certamente può e dev’essere messa alla berlina in quanto parodia dell’identità. Ma se si cerca di impedirne la versione ciclabile, per essere conseguenti bisognerebbe impedire anche le feste della Lega, anzi l’esistenza stessa della Lega.
Vogliamo mettere fuorilegge chi non la pensa come noi? Vi ricordate Voltaire? “Non condivido ciò che pensi ma…” eccetera eccetera.
Un branco di intolleranti: questo siete diventati, cari i miei democratici figli dell’Illuminismo.
Fonte: srs di Alessio Mannino, 10 settembre 2011
Lo scrittore e regista interviene sulla manifestazione : «Diventa una cosa seria solo se qualcuno protesta». «Il Papalismo è quella patina post sessantottesca che evoca Garibaldi, gli Alpini, la Costituzione e il Papa per dimostrare che "la storia siamo noi"»
Raccomanda il codice dei samurai, tanto caro a Mishima: "Prendi le cose leggere con pesantezza; prendi le cose pesanti con leggerezza". Ma guai - e non solo per i samurai - a prendere le cose inesistenti per esistenti; a trattare le nugae, direbbero i latini, e cioè le bagattelle, come se fossero macigni.
Ed è questo, a mio modesto avviso, l'errore compiuto dal peraltro bravissimo Paolo Rumiz (sia detto per inciso; il suo ultimo romanzo è una ballata struggente, finanche urticante tanto è sciabordante e pregna di bellezza la sua lingua).
L'errore è pensare davvero che il giro della Padania, che Miss Padania, che il Dio Po, che il mondiale della Padania contro la confederazione dei sottoquartieri della Lapponia, siano una cosa seria. Rischiano di diventarlo, invece, nel momento stesso in cui qualcuno organizza contro manifestazioni, piccoli o grandi sabotaggi, finendo magari per prendere a schiaffi qualche povero professionista della bicicletta, abituato, chissà, nel silenzio claustrale della cabina elettorale, a votare Rifondazione Comunista.
Veda, caro Rumiz; è questo in fondo che decreta il successo straordinario della Lega da queste parti; è quel che io ho ribattezzato il Papalinismo, in un non proprio esaltante omaggio alle gloriose gesta di un illuminato magistrato che ha tramutato un manipolo di poveracci pieni de ombre, in un commando di guerrieri "serenissimi" e lucidissimi; il papalinismo è quella patina - mi dispiace dirlo - ostinatamente sinistrorsa e post sessantottesca che evoca ora Garibaldi, ora gli Alpini, ora la Costituzione, ora persino il Papa, per dimostrare che "la storia siamo noi" anche quando la Storia sta guardando da un'altra parte; per dire che "il popolo siamo noi", quando magari quel popolo lo si conosce appena oppure non lo si conosce affatto.
È vero: la Lega, ogni tanto, la spara grossa e la fa ancora più grossa. I cialtroneschi proclami di Borghezio fanno rivoltare le stomaco e quando parlava il per fortuna dimenticato senatore Boso, persino il mio cane cominciava inspiegabilmente a leccarsi le parti intime con una misteriosa aria di sfida rivolta allo schermo. Poi però, dentro quello stesso partito che "vuol demolire l'Italia", ci sono anche amministratori preparati, politici che a questa regione e non solo, hanno fatto del bene: non penso tanto a Maroni, a Zaia, a Tosi, quanto al meno celebre Marzio Favero, sindaco di Montebelluna, che è di gran lunga uno degli ingegni politici più lungimiranti che il sottoscritto abbia conosciuto.
Chi scrive non hai mai votato Lega in vita sua; eppure questo assunto che vede la Lega, a rimorchio del Cavaliere Liftato e Bungabungato, corresponsabile del Titanic Italia, mi convince assai poco. Certa è una cosa; prima dell'avvento della Lega non mi sembra le cose andassero bene, visto che la mia generazione si ritrova a pagare i danni provocati da una classe dirigente eletta da chi, su per giù, oggi ha sessantatre anni. Chi ha fatto più disastri tra Dc, Pci, Psi, Banche, Sindacati e Vaticano? Io risponderei: tutti insieme.
Appassionatamente.
Così come appassionante, caro Rumiz, deve essere stata la sua carbonara incursione notturna, in quel di Montecchio; un vero spasso, da cui è scaturita una mirabile pagina di letteratura che terrò, come si conservano le cose preziose.
Anzi: la prossima volta che vorrà organizzare un'altra spedizione è obbligato a chiamarmi, tanto più che mio nonno Leonida avrebbe volentieri sacrificato la moglie piuttosto che una penna del suo adorato cappello. Ma proprio in memoria degli alpini, di Garibaldi e di tutti coloro che hanno voluto questo Paese libero e forte e unito, la invito a seguirmi in un'altra gita fuori porta, in un'altra biciclettata oltre oceano, tra i dossi delle nuvole.
Andiamo a piantare una bandiera italiana sul pennone più alto della Villa di Lula e di ogni altro palazzo governativo brasiliano. E perché no; rifiliamo pure nell'occasione qualche schiaffo e un paio di cazzotti, se necessario. Perché lì sì c'è la bagattella per un massacro che fa più male di un macigno. C'è Cesare Battisti. Un assassino che l'Italia ha provato a demolirla davvero.
Fonte: srs di Giancarlo Marinelli da iL Giornale di Vicenza del 10/09/2011
Link: http://www.ilgiornaledivicenza.it/
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