CUMUNICATU STAMPA
MOVIMENTO PER L'INDIPENDENZA DELLA SICILIA
fondato nel 1943
Sono iniziate le celebrazioni per il 200° anniversario della nascita dell'avventuriero nizzardo Giuseppe Garibaldi. Come prevedibile, ancora all'insegna delle falsificazioni e delle agiografie risorgimentalistiche.
Il Movimento per l'Indipendenza della Sicilia si dichiara profondamente deluso e parzialmente sorpreso dalle parole del Capo dello Stato Italiano, Giorgio Napolitano, che ha ricordato Garibaldi definendolo «espressione di idealità ancora vive della democrazia italiana». Quali idealità? Quelle di sentirsi italiani solo davanti ad un piatto di pasta o ipnotizzati dal televisore ad assorbire gli ammorbanti messaggi del regime mediatico che ci ha imposto una letale identità fittizia ed allogena? Quale democrazia italiana? Quella che in Sicilia gestisce e controlla il voto, tutt'altro che «personale, libero, segreto» ma invece palesemente gestito in maniera strettamente e scientificamente clientelare legandolo non alla pura espressione di volontà e pensiero, ma esclusivamente al bisogno impellente di sopravvivenza dovuto alla situazione di gravissimo degrado cui la Sicilia e i Siciliani sono costretti con la forza?
Ci ha delusi il Presidente Napolitano, dopo averci incoraggiati con le sue recenti parole favorevoli all'applicazione piena dello Statuto Speciale di Autonomia per la Regione Siciliana, facendoci credere che veramente, come gli augurammo all'indomani della sua elezione, avrebbe potuto essere «un valido, saggio e sapiente traghettatore, l'ultimo presidente dello Stato Italiano per come lo conosciamo oggi: lo stato degli inganni, dell'alienazione culturale, della prigionia mentale, dei consumi compulsivi dell'altrui produzione, della depressione economica e produttiva, dell'ambiente negato, delle nazioni represse, lo Stato Italiano centralista, colonizzatore, assimilazionista, oppressore».
Eppure il Capo di questo Stato Italiano ha intelligentemente e scientemente glissato sulla figura storica dello stesso Garibaldi, definito «un personaggio sul cui operato si addensano numerose ombre» dall'on. Reina dell'Mpa. E allo stesso partito appartiene il sen. Pistorio, protagonista di una querelle al Senato ove, secondo il regolamento, non gli è stata data la possibilità di esprimere la propria visione sulle «contraddizioni profonde del processo di unificazione nazionale», protestando per il mancato «cenno al tema ancora aperto dell'unità sostanziale del nostro Paese».
Tema molto caro allo stesso Pistorio, in passato già dichiaratamente desideroso di voler «promuovere davvero l'unità del Paese», ed al partito di cui è membro. Ma è chiaro che ci troviamo, da parte di personaggi che non più di alcuni mesi addietro non osavano porre dubbio su Garibaldi e la nascita dello Stato Italiano, di una errata individuazione tanto della Patria di appartenenza (a prescindere dal riconoscerla o meno come propria), che è e sarà sempre quella Siciliana, quanto di una innegabile confusione, nonostante i manifesti intenti "revisionistici", circa la nascita dello Stato Italiano.
Ebbene quella italiana non fu e non può essere considerata una "unificazione" tanto per le modalità violente e impositive che la caratterizzarono nel suo essere una espansione territoriale (corroborata da un plebiscito non democratico di facciata) di uno stato già esistente, quello piemontese, e non un consesso di realtà statuali liberamente unitesi, quanto per la palese inesistenza, a tutt'oggi, una "nazione italiana" storica in nome della quale compiere "ad ogni costo" la nascita dell'Italia non più come mera indicazione geografica della penisola italiana, ma come Stato sotto le insegne della monarchia sabauda, per la cui sopravvivenza economica la conquista del Regno delle Due Sicilie, Stato tra i più economicamente e tecnologicamente più progrediti del mondo di allora sebbene in difetto di libertà politiche nei confronti della Sicilia che già con esso perse la propria statualità, fu provvidenziale e necessaria.
La "unificazione" o "riunificazione" non aveva ragion d'essere, nemmeno quale riedizione di quello che viene solitamente considerato il "precedente": l'Impero Romano. Che peraltro, va ricordato, venne costruito con la violenza, l'imposizione, la guerra, al pari stesso del Regno d'Italia (anche nel suo "ritorno in Sicilia" del 1944). Impero Romano che iniziò, tra le altre deleterie politiche, il disboscamento della Sicilia i cui effetti in tema di erosione, approvvigionamento idrico, clima, si sentono forti oggi. Impero Romano che però non osò annettere la Sicilia al "territorio metropolitano", ma di cui fu invece la prima Provincia, ovverosia la prima colonia extraterritoriale. Impero Romano che, nonostante l'apparente "forza", finì di esistere, come è destinato a cessare ogni imperialismo.
Compreso quello dello Stato Italiano, a cui oggi, nonostante la lettera dello Statuto Speciale che è parte integrante della Costituzione della Repubblica Italiana, è oggi annessa al 100% la colonia Sicilia. Invasa e conquistata brutalmente con la forza e ingenti denari dal mercenario Giuseppe Garibaldi.
Del quale si suole tacere, o tutt'al più accennare in termini accondiscendenti, dei suoi trascorsi di schiavista e ladro di bestiame («tratto negri e cavalli», egli stesso affermò), di persona incline alla delinquenza e allo stupro (cosa che gli costò l'orecchio sinistro) o di tutt'altro che intrepido corsaro al soldo di una "repubblica delle banane", la "Republica do Rio Grande do Sul" voluta dal proprietario terriero Bento Gonçalves da Silva a partire da una concessione bananiera e diventata un centro di corruzione e violenza arbitraria.
Così come si tace dell'ampia copertura dell'Impero Britannico, che agevolò lo sbarco dei "circa Mille" a Marsala con gli "sloops" Argus e Intrepid, da centinaia di bocche da fuoco e pieni zeppi di Royal Marines, oltre le altre imbarcazioni ove verranno corrotti i vertici militari duosiciliani. Così come si tace delle decine di migliaia di mercenari-macellai, in gran parte ungheresi, che fecero il "lavoro sporco" al posto dei "volontari garibaldini", inventando al loro posto la figura dei "picciotti", invero manovalanza mafiosa inviata da chi aveva "fiutato l'affare" nell'opportunità dell'annessione piemontese, ottenendone denari, terre (promesse e mai assegnate ai contadini siciliani) che saranno la base economica della nascente mafia, e l'incarico di dare inizio all'oppressone colonialista, divenendo struttura e strumento dello Stato Italiano.
E poco o nulla si dice delle stragi perpetrate con scientifica crudeltà dal luogotenente di Garibaldi, Nino Bixio, "'u cani arraggiatu", al quale anche in Sicilia sono incredibilmente intitolate strade e piazze.
In tal senso, il nostro gradimento e plauso va forte all'iniziativa del Sindaco di Capo d'Orlando, Enzo Sindoni, che ha deciso di dare una svolta in direzione della verità e della gloriosa storia di Sicilia alla toponomastica del proprio comune, iniziando da piazza Blasco Alagona, nuova denominazione della già piazza Ruggero di Lauria, definito (al pari, aggiungiamo, dello stesso Garibaldi e dei suoi compagni di scorrerie e di altri più recenti e attuali personaggi tristi protagonisti degli ultimi scenari bellici) alla cerimonia di ridenominazione della piazza un «criminale di guerra» dal Prof. Corrado Mirto, il più importante esperto di Storia della Sicilia medievale e in gioventù membro della Lega Giovanile Separatista del MIS, di cui il Prof. Mirto ha più volte salutato con favore la attuale rivitalizzazione.
Ma tali indispensabili e coraggiose iniziative non bastano perché si metta ancora a tacere a chi grida allo "scandalo" e alla "lesa maestà" quando si osa dire la semplice realtà fattuale su Garibaldi e sui fatti che portarono alla conquista militare del Regno delle Due Sicilie, mascherata da "liberazione" quando invece fu un autentico saccheggio, di cui, con lacrime di Coccodrillo (giacché egli stesso derubò il Banco di Sicilia delle riserve auree strategiche del Regno) lo stesso Garibaldi ebbe quasi a pentirsi, dicendo «veggo succedere il vituperio della Sicilia mia seconda terra d'adozione», aggiungendo: «Non rifarei la via del Sud, temendo di essere preso a sassate!».
E a gridare alla "lesa maestà" si è messo, alcuni mesi addietro, ad esempio il Coordinatore estero di "Italia dei Valori", Massimo Bernacconi, che ha lanciato velenosi strali contro il nostro Movimento reo di aver sottolineato quanto Garibaldi realmente fosse violento e inaffidabile, cosa confermata anche dalle parole di Vittorio Emanuele II rivolte a Cavour circa le ruberie del pirata nizzardo: «Come avrete visto, ho liquidato rapidamente la sgradevolissima faccenda Garibaldi, sebbene - siatene certo - questo personaggio non è affatto così docile né così onesto come lo si dipinge, e come Voi stesso ritenete. Il suo talento militare è molto modesto, come prova l'affare di Capua, e il male immenso che è stato commesso qui, ad esempio l'infame furto di tutto il denaro dell'erario, è da attribuirsi interamente a lui, che s'è circondato di canaglie, ne ha seguito i cattivi consigli e ha piombato questo infelice paese in una situazione spaventosa».
E Bernacconi va ad aggiungersi alla triste e lunga schiera di personaggi che, in nome delle falsità istituzionalizzate a fini propagandistici, si oppongono al giusto corso della ricerca storica, che come ci insegna giusto il Prof. Mirto è e deve sempre essere pronta a "rivedere se stessa" in nome della verità dei fatti (un "revisionismo" necessario in presenza di enormi falsità), ed alla sacrosanta rivendicazione di quei siciliani che rivendicano il diritto all'autodeterminazione ed al pieno e diretto esercizio della sovranità per la Nazione Siciliana con l'obiettivo della piena indipendenza e in collaborazione paritaria con i popoli italici, di tutta l'Europa e del Mediterraneo.
Una schiera di personaggi come Mussolini, che definì il separatismo siciliano «conati separatistici di spregevoli mercenari del nemico», mentre Pietro Nenni lo ritenne «un movimento vandeano sostenuto dalle vecchie forze fasciste», con Togliatti che gli fece eco definendolo «fascismo», quando alla Assemblea Costituente più volte il fondatore del MIS, Andrea Finocchiaro Aprile, venne provocato da deputati italiani con l'invettiva «perché non fece il separatismo sotto Mussolini?», ottenendone la risposta «perché non faceste voi la democrazia sotto Mussolini?», o Ferruccio Parri, che definendo il nord «superiore democraticamente» al sud, intimò ai siciliani di «metter da parte ogni impazienza autonomistica», come se la naturale rivendicazione dell'indipendenza da parte di un popolo glorioso potesse o possa essere ridotta e minimizzata ad un qualunque autonomismo!
E oggi la classe politica italiana non fa altro che confermare simili invettive, mantenendo questo stato di violenta colonizzazione, di tentata assimilazione, di ostinata falsificazione. E ad essa, ai suoi esponenti italiani e ai traditori siciliani al suo servizio, rivolgiamo ancora la parole del nostro grande leader Finocchiaro Aprile: «Si è fatta la voce grossa in Italia contro l'indipendentismo siciliano, sorto in difesa della nostra terra; noi non siamo che le avanguardie di un popolo che ormai muove alla riscossa e che nulla più fermerà. Non vi opponete alle sue giuste rivendicazioni. Voi avete il dovere di evitare una catastrofe. L'indipendenza della Sicilia è la sola soluzione del conflitto tra la Sicilia e l'Italia, e la Sicilia la conquisterà».
Catania, 7 Jugnettu 2007
FONTE:
A cura dell'Ufficio Stampa, Comunicazione e Propaganda del M.I.S.
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«Noi vogliamo difendere e diffondere un'idea della cui santità e giustizia siamo profondamente convinti e che fatalmente ed ineluttabilmente trionferà».
Andrea Finocchiaro Aprile, 1944
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