Kevin Carter
fu un reporter Sudafricano che documentò per il Johannesburg Star
diverse circostanze in cui le condizioni di vita in Africa erano terrificanti,
immortalando pratiche come il Necklacing ma anche esecuzioni sommarie tipiche
di quegli anni di guerra.
Durante la sua breve vita scattò un’immagine che avrebbe
cambiato, probabilmente per sempre, la percezione dell’occidente nei
confronti delle condizioni di vita in Africa.
Era il 1993 e Kevin si trovava in un recente campo ONU
in Sudan vicino al villaggio di Ayod, una regione dilaniata dalla guerra
civile e dalle carestie che uccidevano gli abitanti locali.
Carter fotografò allora un bambino in evidenti condizioni di
malnutrizione che era osservato da un avvoltoio. La foto è di così grande
potenza visiva che è difficile, a parole, descrivere anche solo una delle
emozioni che riesce a scatenare. Carter scattò la fotografia ma non diede una
spiegazione circostanziata su quello che accadde prima e quel che successe dopo
il momento dello scatto.
Kevin fu accusato praticamente da tutto il mondo di
omissione di soccorso nei confronti di quel bambino, che fu creduto, sino all’inchiesta
condotta da “El Mundo” nel 2011, una bambina.
Dopo che l’immagine fu pubblicata sul New York Times nel
Marzo del 1993, la vita di Carter divenne un’inferno, e a poco servì il premio Pulitzer
del 1994: Carter si suicidò il 27 luglio del 1994. Aveva 33 anni.
Le ultime parole che scrisse furono:
“Sono depresso…senza telefono…soldi per l’affitto…soldi
per il mantenimento dei figli…soldi per i debiti…soldi !!!…Sono ossessionato
dai ricordi vividi di omicidi e cadaveri, della rabbia e del dolore…di bambini
che muoiono di fame o feriti, di pazzi dal grilletto facile, spesso membri
della polizia, di carnefici assassini…vado ad unirmi a Ken (il suo amico e
collega Ken Oosterbroek, morto durante un reportage qualche mese prima) se sono
così fortunato”.
Il suicidio di Carter fu certamente causato da una
commistione di ragioni e non, come spesso indicato da numerosi media occidentali,
una singola conseguenza dei sensi di colpa. Il fotografo abusava di droghe,
aveva una bambina che riusciva a vedere pochissimo e si trovava costantemente
immerso in scenari di guerra e devastazione, tipici delle regioni Africane di
quel periodo. La pressione mediatica che gli venne fatta contribuì certamente
all’estremo gesto, ma non ne fu l’unica causa.
Il bambino della foto però, contrariamente ai pronostici dei
lettori occidentali, sopravvisse alla carestia, come raccontò Florence
Mourin, allora coordinatrice dell’ospedale dell’ONU. Al polso il bimbo
aveva un braccialetto che reca la dicitura T3, che significava “gravi
condizioni di malnutrizione” (la lettera S era invece per condizioni meno
gravi), e che era il terzo ammesso all’ospedale.
El Mundo nel 2011 volò sino in Sudan alla ricerca del
bambino, ma quello che raccontò è un epilogo egualmente tragico a questa triste
storia.
Il bimbo si chiamava Kong Nyong, e venne salvato
dai medici del campo ONU dalla denutrizione, riuscendo a vivere sino all’età di
17 anni, quando però fu ucciso da una febbre. La sua breve vita non fu
probabilmente caratterizzata dalla felicità, ma lui, l’Avvoltoio e,
naturalmente, Kevin Carter, cambiarono per sempre la percezione di
povertà e condizioni di vita in Africa da parte delle persone dei paesi
occidentali.
Kong Nyong
Non ho idea (forse nessuno ce l’ha) se questa fotografia
abbia potuto attivamente contribuire alla diminuzione del numero di persone che
soffrono la fame nel mondo, ma ad oggi il numero di individui che soffrono
questa terribile condizione è sceso a 795 milioni, 216 milioni
in meno rispetto al biennio 1990-92 (Fonte: Sito della FAO).
Se sia merito di questo strano trio nessuno lo sa, ma
è bello pensare che le loro vite non siano finite invano.
Se sia merito di questo strano trio
nessuno lo sa, ma è bello pensare che le loro vite non siano finite invano.
Fonte: srs di Matteo Rubboli, da Vanilla Magazine.it,
del 8 maggio 2016
Link: http://www.vanillamagazine.it/il-bambino-e-l-avvoltoio-la-vera-storia-di-una-fotografia-che-cambio-il-mondo/
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