Fiume Po, 15 settembre 1996
di GILBERTO ONETO –
«La mia patria è
ovunque si combatta la mia battaglia», sia che lo si faccia con
gli strumenti pacifici della democrazia, o che ci sia bisogno di
lotte molto più energiche.
La battaglia per la libertà e per l’indipendenza dei popoli
si combatte oggi un po’ dappertutto, dal Quebéc ai Paesi Baschi, dal
Darfour al Tibet. Ovunque ci sia qualcuno che lotta per la libertà,
l’identità e l’indipendenza, là – in termini ideali – “è Padania”.
Ma c’è una modalità tutta europea di lotta, una sorta
di indipendentismo post-moderno che ha caratteri tutti propri e che
avvicina ancora di più fra di loro tutte le nazioni negate del vecchio
continente, che sono per questo, ancora “più Padania.
L’oppressione europea degli ultimi decenni non è quasi
mai esplicita o brutale, non è l’imposizione conclamata di una etnia, di
una religione o di un gruppo umano su un altro. Si tratta quasi
sempre di oppressioni striscianti e subdole, che si nascondono dietro il
paravento della legalità, del riconoscimento democratico (ma
limitato) delle alterità. Sono fatte in nome di un interesse
superiore, di identità inventate di Stati inventati; sono nascoste dietro
il paravento di processi storici che cercano rispettabilità nella
loro antichità, sono acquattate dietro a grandi ideali di solidarietà
imposte in nome di valori etici. A farne le spese sono comunità
civili, evolute, economicamente avanzate, che in genere sono la parte
più ricca dello Stato che devono sostenere.
In Europa si è ribaltato il rapporto
del colonialismo classico: non sono i ricchi più forti che sfruttano
i poveri e li tengono in povertà, ma sono i più forti che si fanno
arricchire da chi produce di più tenendoli in una sorta di semi-ricchezza
controllata in grado di prolungare all’infinito i loro privilegi. Così –
ad esempio – la Catalogna e la Padania sono le parti più ricche
dello Stato di cui fanno parte proprio come lo erano stati in un
recente passato la Slovenia e i Paesi Baltici.
Il rapporto economico “rovesciato” è fortemente
percepito anche dalle Nazioni negate dove i numeri della differenza
economica sono meno evidenti. La Scozia, il Galles, l’Occitania,
la Bretagna e la Corsica che soffrono di evidente oppressione
culturale, la associano quasi automaticamente a una deprivazione economica
anche se questa è molto meno stridente che in altri casi.
Hanno comunque ben chiaro di fronte a sè l’esempio di
situazioni economicamente analoghe che sono evolute a grande
vantaggio della Nazione che ha finalmente ottenuto la propria
indipendenza, come in Irlanda o in Slovacchia.
Tutte le nazioni negate sono parte di identità
inventate, imposte con la forza come dogmi intoccabili e codificate da un
sistema autoreferenziale internazionale che non mostra dubbi sulla loro
legittimità: Spagna, Francia, Gran Bretagna, Belgio, Italia, come un tempo
Unione Sovietica, Cecoslovacchia e Iugoslavia hanno passaporti, bandiere,
rappresentanza diplomatiche, partecipano alle Olimpiadi, ai “Giochi senza
frontiere” e ai concorsi di Miss Universo.
Un altro forte elemento di comunanza è costituito dal
grado di partecipazione della gente alla lotta di liberazione. A fronte di
sentimenti di disagio molto diffusi c’è sempre solo una
piccola minoranza che spinge per l’indipendenza. Lo scontento per
l’oppressione fiscale, l’invasione immigratoria, l’insicurezza, la
deprivazione culturale viene incanalato nella protesta istituzionale
all’interno dei tabù unitari, oppure viene blandito con condivisioni di
responsabilità, con parziali e mirati ritorni di parte delle risorse
sottratte.
Un’epidemia della “sindrome di Stoccolma” paralizza le
pulsioni liberatorie delle maggioranze. Gli indipendentisti padani non sono
meno numerosi di quelli occitani o baschi. La malattia è la stessa. Il
vero compito degli indipendentisti è di scrollare gli altri dal loro stato
ipnotico, è di fare capire le origini dei loro guai, del malessere
sociale, economico e culturale e di fare scoprire la soluzione.
Per farlo occorre essere convinti, coerenti e credibili. Si
deve percorrere con decisione la stessa strada senza tentennamenti,
ripensamenti o giravolte. È già difficile condurre chi è accecato
dalla propaganda su un percorso diritto, è impossibile farlo se si
fanno incomprensibili evoluzioni, acrobazie e dietro-front.
Chi ha aperto gli occhi e vuole essere guida
per gli altri deve sapere bene quello che fa, essere motivato
dall’obiettivo e non farsi distrarre dalle lusinghe del potere. Non
si fa una rivoluzione (anche pacifica) con l’autorizzazione
della Questura.
(da il Federalismo)
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