di GIANFRANCESCO RUGGERI
Oggi, 20 novembre, ricorre il primo anniversario dalla scomparsa di
Gilberto Oneto e durante questi mesi la sua mancanza si è fatta sentire, i
suoi saggi consigli ci sarebbero stati infatti estremamente utili in questo
complicato periodo.
Oggi Gilberto verrà ricordato in vari modi, ci sarà
chi ricorderà l’uomo, chi ne riproporrà le idee, chi parlerà del paesaggista,
chi elencherà i suoi tanti libri invitando a leggerli e rileggerli, cosa
sacrosanta e doverosa: io credo invece che il miglior modo per ricordarlo sia
quello di applicare il cosiddetto “metodo Oneto”.
Come sapete Gilberto da solo ha riscoperto il patrimonio
identitario, linguistico, culturale e storico di un intero popolo, in
pratica tutto quello che sappiamo sulla Padania ce l’ha insegnato lui, dopo
averlo riscoperto. Nel corso degli anni con pazienza ha sollevato il velo di italianità,
ha soffiato via quella polvere tricolore che abbiamo lasciato depositare su di
noi e sulla nostra terra, ha riscoperto l’essenza padana dei nostri luoghi e
delle nostre tradizioni, di noi stessi.
Per farvi capire di cosa parlo vi citerò l’esempio di
Halloween. Ho sempre creduto che questa festa fosse solo una stupida
americanata, perché così mi dicevano i tg della Rai (odio la Rai!!!), poi su La
Padania dei tempi d’oro ho letto un articolo di Oneto che parlava delle lömere, la zucche di Halloween, che a
suo dire non erano una americanata d’importazione, ma una antichissima
tradizione padana di origine celtica. La festa di Halloween e le zucche
sarebbero state diffuse in America dagli immigrati irlandesi, ma per me la
notizia vera stava nel fatto che secondo Gilberto le lömere erano state un
tempo diffuse anche da noi!
Ammetto di non avergli creduto, da lassù mi perdonerà,
ammetto di aver pensato tra me e me che questa volta l’aveva sparata grossa.
Per scrupolo, ho comunque chiesto a mia nonna, cui restava solo un mese di
vita, se per caso non avesse mai sentito parlare di zucche intagliate la notte
di tutti i Santi, ben preparato però a ricevere una risposta negativa. Altro
che averne sentito parlare, le faceva direttamente lei da piccola e con grande
certezza e limpidissima memoria mi ha raccontato come le svuotava, come
intagliava naso, bocca e occhi, come metteva della carta colorata sugli occhi e
un lumino all’interno. Quando le ho chiesto il perchè lo facesse non ha
saputo rispondermi, era una tradizione, tutti facevano così alla sua epoca.
Ho poi chiesto ad altre persone e ho constatato come, almeno fino agli anni ’40
– ’50 le lömere erano un fatto comunissimo per lo meno nella bergamasca, ma
credo anche altrove. Gilberto aveva ragione anche questa volta!
E allora perchè questa tradizione nel corso di pochi
decenni è stata dimenticata ed è diventata una stupida americanata?
Semplicemente perchè i padani hanno fatto tacere la loro voce e nel nostro
silenzio ha risuonato forte il verso dell’i-taglianità, che ha diffuso una
visione della realtà che ci è estranea.
Gilberto ha fatto tanto, ma neppure lui ha potuto far
tutto, quindi adesso tocca a noi soffiar via la polvere tricolore, tocca a
noi applicar il suo metodo di lavoro a qualunque aspetto della nostra vita.
Voglio dar il buon esempio: avrete forse notato che quando si costruisce una
casa e si arriva al tetto o comunque quando si rifà un vecchio tetto e la
struttura portante è finita i muratori appongono sulla cima dell’edificio una
bandiera, quella bandiera, quella con quei tre colori nefasti. Con perfetto
stile onetiano mi son chiesto perchè, ma soprattutto mi son chiesto cosa si
metteva sui tetti prima dell’unità d’i-taglia, meglio ancora, cosa i metteva
sui tetti prima che quella bandiera venisse inventata?
Sollevata la polvere tricolore ho scoperto che una volta
giunti al tetto si “faceva Ferragosto”, ovvero il padrone di casa offriva
il pranzo ai muratori direttamente nella casa ancora da finire, le assi di
cantiere diventavano una lunga tavolata con tanto di panche su cui sedersi e
tutti insieme si festeggiava la posa del tetto. E cosa si metteva sulla cima
della casa al posto della bandiera? Un ramo di abete, dalle mie parti detto pegheröl, da peghéra nome dato
all’abete.
Ecco applicato il metodo Oneto, ecco ricomparire un altro
tassello della nostra identità che scioccamente avevamo dimenticato,
lasciando che una parvenza di i-taglianità ne prendesse il posto. Credo che
applicare il suo insegnamento e continuare il suo lavoro sia un ottimo modo per
ricordare Gilberto, forse il migliore, e così oggi mi piace immaginarlo
aggirarsi sorridente per la Padania tutto intento a distribuire lömere sui
nostri davanzali e a piantar pegheröi sui nostri tetti. E noi con lui.
Grazie Gilberto. Ciao Gilberto. Padania libera.
PS: E guai a voi se la prima volta che rifate il tetto
lascerete mettere quella bandiera al posto del nostro pegheröl!
Fonte: da
Miglioverde del 20 novembre 2016
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