di GILBERTO ONETO
Lo striscione della fotografia è comparso tempo fa
allo stadio di Roma e sembra sia riferito a un allenatore che proviene
dalla Repubblica Ceka. Niente di male. Ma si provi a immaginare se ci fosse
stato scritto roba come “Via il ghaniano”, e che magari lo stadio fosse stato –
un posto non scelto a caso – quello di Busto Arsizio. Sarebbe successo il
finimondo su giornali e televisioni, si sarebbero mobilitate frotte di antirazzisti
e progressisti a stigmatizzare l’odioso episodio di xenofobia.
Ed è anche andata bene che ormai solo i più anziani
ricordano il testo di una vecchia canzone di Dalida “Zingaro chi sei? Sei
figlio di Boemia”, altrimenti anche in questo specifico caso si sarebbe
scatenata la solita cagnara in difesa degli strolighi. Invece chiedere di
cacciare via un boemo è del tutto legittimo. Fosse stato un bergamasco o un
cuneese sarebbe stato anche meglio e sicuramente più “politicamente corretto”.
È un piccolo segno, apparentemente marginale, che
però da esattamente il polso di una situazione ormai malata e degenerata, di un
razzismo esercitato con sistematicità contro la nostra gente dietro l’ipocrita
paravento di accuse di veterorazzismo biologico che ci sono solo nella testa
del peggior becerume progressista, pieno di complessi di colpa per le sue
reali e pericolose pulsioni antisemite.
Non è solo materia da psicanalisti, è anche l’espressione di
un preciso disegno politico di annientamento della coscienza comunitaria delle
popolazioni dell’Occidente europeo e più in particolare dei padani. All’interno
di un più vasto progetto di demolizione della società occidentale e dei suoi
valori (buoni o cattivi che siano, ma “suoi”) si sviluppa infatti il coerente e
freddo disegno di distruzione del senso di appartenenza delle comunità
padane e delle loro residue capacità di reazione.
L’italianizzazione delle regioni settentrionali non è
riuscita con gli strumenti più “classici” della propaganda,
dell’imposizione violenta e del “ferro e fuoco” di una storia unitaria fatta di
guerre e aggressioni militari. Gli italianizzatori (ovvero quelli che di unità
italiana ci vivono in forma parassitaria) sono allora ricorsi alle grandi
migrazioni interne in grado di diluire ogni identità (dei locali e anche degli
immigrati) in una percezione di italianità artificiale che Miglio
definiva “finzione verbale e auspicio dell’impossibile”. Il perverso disegno è
in parte fallito anche grazie alla capacità e alla volontà di molti immigrati
meridionali di integrarsi e di diventare parte attiva nelle comunità in cui si
sono inseriti. È infatti vero che oggi molti dei più convinti autonomisti sono
proprio figli di immigrati.
Il tentativo è così stato riproposto in scala più
drammatica con l’immigrazione extracomunitaria, più massiccia nei numeri e
ben più devastante per gradiente di differenza culturale. I foresti sono oggi
uno dei principali problemi delle comunità padane (ma anche italiane) per il
loro enorme costo in termini economici e sociali. Così come è stata organizzata
e permessa, l’immigrazione è frutto di un disegno criminale di oppressione e
cancellazione delle identità padane. Non è un caso che i suoi principali
artefici – operatori economici senza scrupoli, comunisti, sindacalisti o
paolotti, o fascisti convertiti al dogma dei “nuovi italiani” – siano gli
stessi che difendono il sacro orpello dell’unità italiana e si agghindino di un
patriottismo becero e falso.
Il razzismo anti-padano (già in passato collaudato per le
migrazioni interne) viene oggi utilizzato come strumento di
colpevolizzazione di ogni resistenza e di appoggio ideologico alla creazione di
una società destrutturata, priva di identità, e di più facile controllo e
sottomissione.
Per questo, il sistema italo-fascio-catto-comunista
utilizza tutte le occasioni vere o inventate per colpevolizzare i padani e
accusarli di razzismo, egoismo e scarsa propensione all’accoglienza passiva. In
mancanza di atti più concreti e gravi (nonostante tutto i padani non sono né
razzisti né negatori di vera solidarietà), il sistema si attacca a scempiaggini
come i cori degli stadi e aggredisce ogni tentativo di reazione sia pur
esercitato solo a livello di comunicazione. Ne sono un esempio gli attacchi
scomposti che vengono portati a un sito come www.tuttiicriminidegliimmigrati.com
o come la trasmissione “Mai più senza” di Radio Padania Libera che si limitano
a registrare le malefatte dei foresti riportate dagli organi di stampa.
É anche tristemente significativo che il problema
dell’immigrazione sia completamente scomparso da tutti i programmi
elettorali, compresi quelli di partiti che dovrebbero essere molto attenti alla
tematica. Eppure questa immigrazione è una delle grandi voci passive nel
bilancio pubblico ed è la più preoccupante causa di disagio sociale. Vogliamo
ricominciare a parlarne?
Fonte: da l’Indipendenza del 5 novembre 2016
Link: http://www.lindipendenzanuova.com/limmigrazione-e-il-disegno-di-cancellare-la-nostra-identita/
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