IL PROCESSO CONTRO MAROZIN GIUSEPPE DETTO "VERO" TENUTO
NEL DOPOGUERRA
Un partigiano valoroso o un killer spietato?
LA SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice Istruttore presso il Tribunale Civile e Penale di
Vicenza ha pronunciato la seguente
Sentenza nel procedimento penale contro
1) ANTEMI ANTENORE, nato il 28-6-1920 a
Ponzo (Padova), attualmente in Francia; partigiano "Tenore";
2) CAVALIERE UMBERTO MICHELE, nato a
Crespadoro il 10-10-1925, ivi residente; partigiano "Penna";
3) CHIAROTTO ILIO, nato a Monteforte
d'Alpone il 20 ottobre 1923, deceduto il 24-4¬1945; partigiano
"Fido";
4) COLANESI PELLEGRINO, nato a
Vestenanuova il 16 agosto 1922, deceduto il 17-10- 1952; partigiano
"Barba";
5) DE MOMI RINO, nato a Padova, deceduto
1'1-12-1944; partigiano "Ciccio";
6) FACCIN GIUSEPPE, nato a Valdagno il
6-6-1918, deceduto il 19-4-1944; partigiano "Ivo";
7) MASSIGNAN ANGELO, nato a Brogliano il
28-8-1915 e deceduto il 5-5-1945; partigiano "Finto';
8) INTELVI LUIGI, nato a Brogliano il
22-11-1917, e residente a Valdagno; partigiano "Tigre";
9) NARDI ANTONIO, nato a Chiampo il
4-1-1922, ed ivi residente; partigiano "Bandiera”
10) POZZA LUCIANO PIETRO, nato a Trissino il
30-1-1925, residente a Brogliano; partigiano;
11) TERRA GIOVANNI FRANCESCO, nato a Valdagno il
9 marzo 1923, deceduto il 13-9¬1947; partigiano "Poker";
12) MAROZIN GIUSEPPE, nato ad Arzignano il
18-9-1915, residente a Milano, Via Randaccio, 7; partigiano "Vero";
13) SPEROTTI MASSIMO, nato a Vicenza il
16-3-1921, ivi residente in Via Milano, 64; partigiano "Reno";
14) DE MEGNI GIULIO, nato a Monteforte d'Alpone
il 13 settembre 1921, ivi residente; partigiano "Rondine";
15) TESSAINER GIOVANNI, partigiano
"Nane", non meglio identificato;
16) VERONESE CESARE, nato ad Arzignano il
10-1-1891, deceduto il 9-7-1951; partigiano "Papà";
17) BERTELLI ALDO, nato a S. Michele Extra di
Verona 1'8-12-1921, deceduto il 2-9¬1944; partigiano "Avio";
18) CEOLINI ARDINEO, nato a Correzzo il
19-1-1920, deceduto 1'8-12-1944; partigiano "Danton";
19) TESSARI BRUNO, nato a Monteviale il
12-2-1924, residente a Vicenza strada Cattane, 22; partigiano "Vito";
20) DAL CERRO AURELIO, partigiano
"D'Artagnan"; non meglio identificato;
21) NEGRETTO PARIDE ANNUNZIO, nato a Roncà il
6-5-1923; partigiano "Orso";
22) PERAZZOLO LUIGI, nato a Roncà l'8-1-1923;
23) ZAVANELLA ERCOLE, nato a Cerea il 3-2-1917,
residente a Mantova, Via Conciliazione, 67; partigiano "Ventin";
24) MENIN SERGIO, nato a Verona il 18-6-1921, ed
ivi residente Via Zeviani di S. Michele Extra; partigiano "Uccello";
25) COFFELE ATTILIO, deceduto il 4-5-1945;
partigiano "Lingia";
26) MELOTTI FOCIONE, partigiano
"Italo"; nato l'11 giugno 1923 a Boscochiesanuova e residente a
Milano;
27) Partigiano "Kiki"; non meglio
identificato;
28) Partigiano "Forno"; non meglio
identificato;
29) RUDI ENRICO, partigiano "Raffica";
non meglio identificato;
30) Partigiano "Ercole"; non meglio
identificato;
31) Partigiano "Auto"; non meglio
identificato;
32) GUARIENTI FRANCESCO, residente a Verona, Via
Duomo, 15; partigiano "Casca"; nato il 6-9-1927 a Verona;
16) CATTALLO ADELINO, residente a Vestenanuova; partigiano
"Billi";
17) POMERASI GIUSEPPE, residente a Verona, Via
Bettalari, 78; partigiano "Fulmine";
18) CAVALIERE GIUSEPPE, residente a Arzignano,
Via Padre Giuliani; partigiano "Amleto"; nato il 15-1-1924 ad
Altissimo;
19) BALDISEROTTO GINO, residente ad Arzignano,
Via Costa; nato il 30-12-1923 ad Arzignano;
20) BALDISEROTTO TARCISIO, residente ad
Arzignano, Via Costa; nato il 27-10-1920 ad Arzignano;
21) ZANDERIGO BORTOLO, residente a Bolca di
Vestenanuova; nato il 21-1-1921 a Vestenanuova;
22) FIORIO RENZO, residente a Chiampo; nato il
13-3-1924 e deceduto in Belgio per infortunio sul lavoro;
Imputati
1) TURRA - FACCIN - ANTEMI - FLORIO -
MAROZIN:
di concorso in rapina aggravata, reato p. e p. dagli artt.
110, 628 cpv. n. I C.P., per essersi, agendo in concorso tra loro, in più
persone e travisate, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, impossessati
della somma di Lire 250.000 che sottraevano in danno di Nuvolari Giacomo,
mediante minaccia con armi, in Valdagno il 19-4-1944;
2) MAROZIN - INTELVI - ANTEMI - MASSIGNAN
- TURRA ed altri:
di concorso in omicidio, reato p.e p. dagli artt. 1 IO, 575
C.P. per avere, agendo in concorso tra loro, cagionato, mediante fucilazione la
morte di Faccin Giuseppe "Ivo", in Durlo di Crespadoro il 19-4-1944;
3) MAROZIN - DE MOMI -TURRA- CHIAROTTI- SPEROTTI -
DEMEGNI-TESSAINER - VERONESE - BERTELLI - MASSIGNAN:
a) di concorso in omicidio, reato p. e p. dagli arti
110, 575 C.P. per avere, agendo in concorso tra loro, cagionato la morte di
Visentin Lino detto "Treno" in Campo d'Albero di Crespadoro
l'1-8-1944;
b) di concorso in omicidio, reato p. e p.
dagli artt. 110, 575 C.P. per avere, agendo in concorso tra loro, cagionato la
morte di Simonelli Bernardo detto "Volpe" in Campo d'Albero di
Crespadoro, 1'1-8-194 4;
4) MAROZIN - DE MOMI - CEOLONI - COLANESI:
di concorso in omicidio, reato p. e p. dagli artt. 110, 575
C.P. per avere, agendo in concorso tra loro, cagionato mediante fucilazione la
morte di Pasini Adriano detto "Nane" in Durlo di Crespadoro il
5-7-1944;
5) MAROZIN - COLANESI - POMEROSI, ed altri
rimasti sconosciuti:
di concorso in omicidio, reato p. e p. dagli artt, 110, 575
C.P. per avere, in Durlo di Crespadoro il 27-4-1944, cagionato, mediante
pugnalate la morte di Ferro Tiberio;
6) MAROZIN - INTELVI - CAVALIERE UMBERTO -
POZZA - NARDI:
di concorso in omicidio, reato p. e p. dagli artt. 1 10, 575
C.P. per avere, agendo in concorso tra loro, cagionato, sparandogli un colpo di
pistola alla nuca in località Caussi di Altissimo il 29-6-1944 la morte di
Visonà Dalla Pozza Virgilio;
7) MAROZIN - COLANESI - ANTEMI - TESSARI ed
altri rimasti sconosciuti:
di concorso in omicidio, reato p.e p. dagli artt. Il O, 575
C.P. per avere, il 2-9-1944, in quel di Crespadoro, cagionato mediante
fucilazione, la morte di Bertelli Aldo, detto "Avio";
8) MAROZIN:
di peculato, reato p. e p. dall'art.314 C.P. per essersi
quale Pubblico Ufficiale essendo Comandante di una formazione Partigiana,
appropriato o comunque per avere distratto a profitto proprio, in quel di
Chiampo nell'agosto 1944, la somma di Lire 1.000.000 ottenuta da un lancio e
della quale aveva il possesso per ragioni del predetto suo ufficio;
9) MAROZIN, ed altri rimasti ignoti:
di rapina aggravata continuata, reato p. e p. dagli artt.
110, cpv. 81, 628 cpv. I C.P., per essersi, con più azioni esecutive del
medesimo disegno criminoso, agendo in concorso tra loro, in più persone riunite,
impossessati, al fine di procurarsi un ingiusto profitto mediante minaccia
commessa con arma, in quel di Nogarole (Vicenza) nell'agosto 1944, di generi
vari in danno di Mastrotto Giuseppe, Dal Maso Clemente, Cortivo Girolamo,
Mastrotto Augusto, Cortivo Carlo, Corato Pietro, Repele Gio¬vanni, Mastrotto
Valentino, Mastrotto Domenico, Mastrotto Luigia, Mastrotto Carlo, Reniero
Domenico e Faggiana Agostino;
10) MAROZIN - TURRA - DAL CERRO AURELIO -
ZAVANELLA ERCOLE - MASSIGN AN - MENIN - NEGRMO - PERAZZOLO:
di concorso in omicidio, reato p. e p. dagli ant. 110,575
C.P. per avere, agendo in concorso tra loro, cagionato, mediante lo sparo di
tre colpi di pistola alla testa, la morte di Meggiolaro Gilberto detto
"Mila" in quel di Nogarole Vic. il 28-8-1944;
11) MAROZIN - NEGRETTO - PERALLOLO -
MENIN:
di concorso in duplice omicidio, reato p. e p. dagli artt.
110, 575 C.P., per avere, agendo in concorso tra loro, cagionato, mediante
fucilazione, la morte di De Angelis Oreste detto "Russo" e certo
partigiano "Tito" non meglio identificato in quel di Roncà in un
giorno imprecisato del giugno o luglio 1944;
12) MAROZIN - ZAVANELLA:
di concorso in duplice omicidio, reato p. e p. dagli artt.
110, 575 C.P. per avere, agendo in concorso tra loro, cagionato la morte di due
Ufficiali Polacchi militanti nelle formazioni partigiane, in quel di Selva di
Progno verso la fine del mese di luglio 1944;
13) MAROZIN - MASSIGNAN:
di concorso in omicidio, reato p. e p. dagli artt. 110, 575
C.P. per avere, agendo in concorso tra loro, cagionato in quel di Selva di
Trissino il 2 agosto 1944 la morte di Cabianca Otello;
14) MAROZIN - COLANESI - ZAVANELLA ed
altri:
di concorso in omicidio, reato p. e p. dagli artt. 110, 575
C.P. per avere, agendo in concorso tra loro, cagionato in quel di Zermeghedo il
21-6-1944, la morte di Guarda Paolino detto "Lepre";
15) MAROZIN ed altri rimasti sconosciuti:
di concorso in omicidio, reato p. e p. dagli artt. 110, 575
C.P. per avere, agendo in concorso tra loro, cagionato in contrada Anselmi di
Selva di Progno il 24-7-1944, la morte del partigiano di nazionalità bulgara
"Zambo" o "Giorgio";
16) MAROZIN ed altri rimasti sconosciuti:
di furto pluriaggravato, reato p. e p. dagli artt. 110, 624,
625n. 1, 2, 3, 5 C.P. per es¬sersi, agendo in concorso tra loro in più di tre
persone, impossessati, in quel di Selva di Progno nella notte tra il 29 e il 30
luglio 1944 al fine di trarne profitto di vari effetti di vestiario e di generi
alimentari per un valore imprecisato, sottraendo il tutto a Zangrandi Albina,
dopo essersi introdotti armati nella di lei abitazione previa rottura dei vetri
delle finestre e forzature delle porte;
17) MAROZIN ed altri rimasti sconosciuti:
a) di concorso in triplice omicidio, reato
p. e p. dagli articoli 110, 81 cpv. 575 C.P., per avere, agendo in concorso tra
loro, con più azioni esecutive del medesimo dise¬gno criminoso, cagionato, con
raffiche di mitra, la morte di Vinco Roberto, Presa Arturo e Grisi Adele, in
quel di Durlo di Crespadoro il 30 luglio 1944;
b) di concorso in rapina aggravata
continuata, reato p. e p. dagli artt. 81 cpv. 110, 628 cpv. 1 C.P., per
essersi, nelle predette circostanze di tempo e di luogo, agendo in concorso tra
loro, in più di tre persone e con più azioni esecutive del medesimo disegno
criminoso impossessati, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, mediante
minaccia con armi, di oggetti vari di vestiario per il valore complessivo di
allora di circa Lire 743.000 di danno di Vinco Roberto, e di generi alimentari
per il valore complessivo di allora di circa Lire 5.000 in danno di Grisi
Adele;
18) MAROZIN ed altri rimasti sconosciuti:
a) di concorso in rapina aggravata, reato
p. e p. dagli articoli 110, 628 cpv. n. 1 C.P., per essersi, agendo in concorso
tra loro, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, impossessati della somma
di lire 18.000 circa, che sottraevano in danno dell'esat¬tore di Crespadoro,
mediante minaccia con armi, in Crespadoro in un giorno im¬precisato del
febbraio-marzo 1944;
b) di concorso in omicidio volontario
continuato, reato p. e p. dagli ara. 81 cpv. I 10, 575 C.P., per avere, in
concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo di¬segno crim inoso,
cagionato, mediante fucilazione, la morte di alcune persone fra le quali è
stato solo identificato Cortese Ernesto, in Crespadoro nel marzo 1944;
c) di concorso in omicidio volontario
continuato, reato p. e p. dagli artt. 81 cpv. 110, 575 C.P., per avere, con più
azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, agendo in concorso tra loro,
cagionato mediante fucilazione, la morte di Guiotto Luigi e Zarantonello
Giuseppina, in Durlo di Crespadoro nel marzo 1944;
d) di concorso in omicidio volontario
continuato, reato p. e p. dagli artt. 81 cpv. 110, 575 C.P., per avere, agendo
in concorso tra loro e con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso,
cagionato, mediante fucilazione, la morte di sei militi della g.n.r. rimasti
sconosciuti, in Crespadoro il 7-6-1944;
19) MAROZIN -TURRA - COFFELE- MASSIGNAN - RUDI - MELOTTI -
ANTEMI - "KIKI" "FORNO" - "ERCOLE" - GUARIENTI -
"AUTO":
a) di concorso in tentato omicidio p. e p.
dagli ara. 56, 110, 575 C.P., per avere, il 4-5¬1945 in quel di Arzignano,
compiuto, in concorso ad altri rimasti sconosciuti, in conflitto con patrioti,
atti idonei diretti in modo non, equivoco a cagionare la morte di Intelvi
Luigi, non riuscendo nell'intento per circostanze indipendenti dallo loro
volontà, e provocandogli delle ferite guarite in giorni sessanta;
b) di concorso in tentato omicidio, reato
p. e p. dagli artt. 56,110, 575, C.P., per ave¬re, nelle medesime circostanze
di cui alla lettera a), in concorso ad altri in conflitto con patrioti,
compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la mor¬te di
Catt277o Adelino, non riuscendo nello intento per circostanze indipendenti
dalla loro volontà;
c) di concorso in lesioni volontarie continuate, reato p. e
p. dagli artt. 10, 81 cpv., 582 C.P., per avere nelle medesime circostanze,
in concorso ad altri, cagionato a Bon vicini Luigi lesione personale guarita in
giorni trenta, a Spagnolo Teresa, le¬sione personale guarita in giorni
quindici, a Menti Francesco, lesione personale guarita in giorni dodici, a
Forte Antonio, lesione personale guarita in giorni quin¬dici, a Verza
Giuseppina, lesione personale guarita in giorni quindici, a Dalla Valle
Marcello, lesione personale guarita in giorni dieci, a Biasin Gino, lesioni
personali guarite in giorni otto, e Dal Cason Gino, lesioni personali guarite
in giorni otto;
20) INTELVI - CATTAZZO ADELINO - CAVALIERE GIUSEPPE -
BALDISEROTTO GINO - BALDISEROTTO TARCISIO - ZANDERIGO BORTOLO:
a) di concorso in omicidio volontario
continuato, per avere tra loro e con più azioni esecutive del medesimo disegno
criminoso, cagionato, il 4-5-1945 in quel di Ar¬zignano, la morte di Massignan
Angelo ("Finto") e di Coffele Attilio ("Lingia");
b) di concorso in tentato omicidio, reato
p_ e p. dagli artt. 110, 575 C.P., per avere nel¬le predette circostanze,
agendo in concorso tra loro, compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco
a cagionare la morte di Marozin Giuseppe e non riuscendo nell'intento per
circostanze indipendenti dalla loro volontà;
c) di concorso in lesioni volontarie continuate, reato p. e
p. dagli arti 81 cpv. 110,562, C.P., per avere, nelle medesime circostanze, in
concorso tra loro, cagionato a Guarienti Francesco lesioni personali guarite in
giorni sessanta.
Letta la requisitoria del P.M. che ha concluso
chiedendo:
I) il proscioglimento di Marozin Giuseppe in ordine al reato
di cui la n. VIII) per non aver commesso il fatto;
2) il proscioglimento di Chiarotto, Colanesi, De Momi,
Faccin, Massignan, Turra, Veronese, Bertelli, Ceoloni, Coffele e Florio, per
essere i reati loro rispettivamente ascritti in rubrica estinti per morte dei
rei;
3) il proscioglimento di Marozin, Antemi, Speroni, De Megn
i, Cavaliere Umberto, Pozza, Nardi, Tessari, Zavanella, Menin, Negretto e
Perazzolo in ordine ai reati loro ascritti ai n. 1, 7, e 9-18 del capo di
imputazione, per essere estinti per l'amnistia di che al D.P. 17-11-1945 n.
719;
4) il proscioglimento di Marozin, Melotti, Antemi,
Guarienti, Intelvi, Cattazzo, Cavaliere Giuseppe, Baldiserotto Gino,
Baldiserotto Tarcisio, Zanderigo Bortolo per i reati di cui ai n.19 e 20 della
rubrica per essere estinti per la amnistia di che al D.P. 11-7-1959 n. 460 art.
I lett. a; 5) non doversi procedere a carico degli imputati di cui numeri 15,
20, 27, 28, 29,30, 31 e 34 per essere rimasti ignoti.
LA NARRATIVA
Da parte del Comitato di Liberazione di Arzignano veniva,
con rapporto datato 5 maggio 1945, denunciato all'Autorità Giudiziaria certo
Marozin Giuseppe detto "Vero" in quanto si era reso responsabile il
giorno 3 precedente di un grave fatto di sangue. Si riferiva, infatti, in tale
rapporto che il Marozin Giuseppe, già da tempo dichiarato fuorilegge dal
competente Comitato Regionale di Liberazione di Padova, era giunto la sera del
3 maggio 1945, in quel di Arzignano da Milano, unitamente ad altre undici
persone armate (fra cui una donna) a bordo di due autovetture Fiat 2800
esternamente tappezzate di fogli a stampa portanti in modo alquanto vistoso la
dicitura "Divisione Pasubio".
Fermatosi nella Piazza del Municipio, il Marozin aveva
arringato la folla ivi radunatasi, dicendo di essere ritornato per fare
giustizia. Dopo di che si era portato, sempre seguito e scortato dai suoi fidi,
presso le carceri mandamentali giudiziarie, nelle quali si dava ad atti di
violenza nei riguardi dei detenuti politici ivi rinchiusi, camminando, fra
l'altro, con i suoi uomini, sopra i corpi dei detenuti stessi stesi per
dormire, provocando così ad uno di essi una lesione interna non grave; recatosi
successivamente in casa di certa Aldigheri Jole, la maltrattava tanto da
cagionarle una grave crisi isterica. Allontanatosi, quindi, da Arzignano si
ritirava con i suoi uomini nella vallata del Chiampo, dove pernottava in
località sconosciuta.
Nel frattempo ed in particolare durante la notte da parte
dei competenti comandi partigiani che presidiavano la zona venivano dati
categorici ordini a tutti i nuclei di polizia e di brigata di intensificare i
servizi di guardia, di aumentare i posti di blocco e di disporre opportuno servizio
di pattugliamento al fine di catturare il Marozin, nei cui confronti era stata
emessa, già da tempo (nell'ottobre del 1944), dal competente Comando Partigiano
sentenza di morte.
E così verso le ore 7 del 3 maggio 1945 una pattuglia di
patrioti appartenente al distaccamento di Tezze di Arzignano avvistava le due
macchine con a bordo il Marozin con i suoi fidi e, non avendo questi
ottemperato all'ordine di fermarsi, sparava contro una raffica di mitra,
colpendo solamente di striscio, dietro l'orecchio destro, il Marozin stesso. Al
che "Vero", immediatamente reagiva, riuscendo con facilità ed in
breve tempo a disarmare tutti i componenti di detta pattuglia, accompagnandoli
presso la caserma di polizia ed ottenendo dai predetti una dichiarazione dalla
quale risultava che essi avevano agito per arrestarlo o per eliminarlo. Appena
però uscito dalla caserma sopraggiungevano altre pattuglie di patrioti della
zona, le quali attaccavano il Marozin con i suoi uomini nei pressi
dell'officina meccanica di certo Monticello.
Nel cruento scontro a fuoco sorto tra i due gruppi
decedevano i patrioti Massignan Angelo detto "Finto" e Coffele
Attilio detto "Lingia" del nucleo Marozin, nonché riportavano
lesioni, più o meno gravi, oltre ad alcuni civili residenti nella zona, lo
stesso Marozin, Guarienti Francesco, Cattazzo Adelino ed Intelvi Luigi detto
"Tigre" che comandava l'altro gruppo di partigiani.
A tale increscioso e doloroso episodio veniva posto fine per
l'intervento di un ufficiale alleato, cosicché era possibile evitare un
ulteriore inutile spargimento di sangue.
A seguito di detta denuncia veniva instaurato procedimento
penale nei confronti di Marozin Giuseppe, ritenuto il maggiore ed unico
responsabile dei fatti in questione, ed in data 24 agosto 1945 veniva emesso da
parte del Giudice Istruttore di Vicenza mandato di cattura nei confronti del
"Vero".
Senonché il Marozin era stato, nel frattempo, arrestato in
quel di Milano, poiché presso l'autorità Giudiziaria di detta città seguiva
procedimento penale a carico dello stesso per varie imputazioni (omicidi,
malversazioni, appropriazioni indebite ecc.), fatti tutti commessi nella
metropoli lombarda.
Conseguentemente, con sentenza datata 6-10-1945, il Giudice
Istruttore di Vicenza, su conforme richiesta del P.M., dichiarava la propria
incompetenza per territorio, trasmettendo gli atti all'Autorità Giudiziaria di
Milano, competente per connessione.
Dopo di che al Marozin, con ordinanza datata 8-10-1945,
veniva concesso dal G.I. di Milano il beneficio della libertà provvisoria, in
quanto allo stato degli atti non risultava accertato se il Marozin fosse stato
o meno il provocatore del conflitto armato avvenuto il 3 maggio 1945 in quel di
Arzignano o se si fosse unicamente difeso con le armi contro un attacco
mossogli da altro reparto partigiano; tanto più che in quell'epoca nel Veneto
la situazione politico-militare era molto confusa, per cui non risultava facile
accertare quale autorità avesse potuto legittimamente emanare ordini di arresto,
mentre risultava che sussisteva una particolare tensione di rapporti per motivi
politici e personali fra i reparti della "Pasubio" ed altri reparti
politici.
Appariva altresì che gli organi militari alleati, che in
quel momento dovevano considerarsi come tutori dell'ordine pubblico in una zona
ritenuta di guerra fino al giorno precedente, erano intervenuti a favore del
Marozin stesso in quel sanguinoso episodio. Il che avvalorava l'ipotesi di un
attacco contro lo stesso Marozin, al quale era stata opposta resistenza da
parte degli elementi della "Pasubio".
In conclusione la valutazione dei fatti si mostrava subito
difficile, ardua e complessa, poiché richiedeva un profondo e minuzioso esame
di tutti i fatti antecedenti all'episodio in questione. Mancando, perciò, allo
stato degli atti fondati motivi per i quali si dovesse ritenere il Marozin
senz'altro imputabile dei vari reati di omicidio e di tentato omicidio, secondo
il significato della legge penale ordinaria, veniva ordinata la revoca del
mandato di cattura emesso il 24-8-1945 dal G.I. di Vicenza con la conseguente
immediata scarcerazione del Marozin.
Dopo di che da parte del G.I. di Milano si procedeva nei
confronti del Marozin non solo per l'episodio del 3 maggio 1945 avvenuto in
quel di Arzignano, ma per altri fatti commessi in quel di Milano.
Con sentenza datata 9-4-1948 il G.I. di Milano, però, dichiarava,
su conforme richiesta del P.M., lo stralcio dell'episodio di Arzignano,
trasmettendone gli atti relativi a questa Autorità Giudiziaria per l'ulteriore
corso di giustizia.
Nel frattempo numerose altre denunce venivano presentate
all'A.G. nei confronti del Marozin le quali riguardavano fatti commessi nel
Vicentino durante il periodo cospirativo. Dalla lettura di dette denunce, che
riguardavano per lo più uccisioni di persone, emergeva anzitutto che ciascun
episodio non poteva essere considerato singolarmente, ma doveva inquadrarsi
nelle complessa e talvolta incompresa attività partigiana del Marozin e dei
suoi dipendenti.
L'istruttoria apparve immediatamente assai difficile, ardua
e laboriosa, tanto più che tutte le persone che avevano più o meno partecipato
ai singoli fatti erano spesso indicate col loro nome di battaglia.
Molte, poi, una volta identificate risultarono decedute e
spesso la causa del loro decesso fu motivo di ulteriori indagini.
Quando già tale complessa attività istruttoria stava per
concludersi, è stato emanato il recente provvedimento di amnistia, il quale, in
nome degli stessi valori della libertà, superando lo strascico degli odi
interni, ha voluto finalmente pronunciare una prima parola di pacificazione,
ponendo la pietra dell'oblio sulle sanguinose lotte intestine che quasi
fatalmente hanno accompagnato e talvolta contraddistinto alcune fasi
dell'ultimo periodo della nostra storia.
Tale decreto ha così facilitato la definizione
dell'istruttoria, rendendo possibile una visione più aderente ai tempi della
complessa serie di fatti commessi, così da poter esaminare ciascun episodio
nella sua giusta luce e riportarlo al periodo cui si ricollega il dramma delle
divisioni interne, delle quali sarebbe tanto necessario ed opportuno cancellare
ogni traccia, come all'aprirsi di una nuova epoca.
Con l'art. 1 lett. a del D.P.R. 11-7-1959 n. 460 è stata,
pertanto, concessa amnistia per tutti i reati politici commessi nel periodo dal
25 luglio 1943 al 18 giugno 1946, facendo riferimento per la determinazione del
concetto di delitto politico all'art. 8 C.P., nel quale, con ampia portata, si
ritiene delitto politico anche quello comune determinato in tutto o in parte da
motivi politici, cosicché devono essere esclusi soltanto i delitti comuni,
compiuti solo in occasione di esso, anzi con l'aggravante di aver profittato
del dramma nazionale ai propri fini.
Molti dei fatti ascritti al Marozin ed ai suoi dipendenti
essendo commessi per necessità di lotta contro il fascismo, rientravano in
precedenti provvedimenti di clemenza; senonché non si è ritenuto di pronunciare
la relativa declaratoria, per poter tenere sempre unite tutte le denunce per
una più esatta valutazione di tutti i fatti ed in particolare dell'episodio di
Arzignano.
Dalla esperita istruttoria è stato anzitutto accertato che
dopo l'8 settembre sui monti del Vicentino, si raggrupparono i primi
partigiani, fra i quali i noti Pino e Dante (impiccati in Padova nel settembre
1944) ed il Marozin Giuseppe detto "Vero", i quali, però, per le note
difficoltà dell'epoca ben poco potevano fare; pochi li avevano seguiti,
scarsissimi erano i mezzi a loro disposizione e quasi nullo era l'armamento.
Il Marozin, però, dotato di un carattere duttile e scaltro,
seppe subito comprendere l'ambiente ed innestarsi in modo perfetto; primo nei
pericoli, esuberante di cameratismo, fornito di molta esperienza, parlatore
suadente e perfetto, seppe avvincere a sè un primo nucleo di patrioti ed a
farsi nominare loro capo, dividendo con essi le scarse cibarie, alternandosi
nei faticosi turni di guardia e partecipando a tutti i rischi e pericoli della
vita partigiana, riuscendo così, soprattutto con l'esempio, ad attirare
maggiormente a sè ogni uomo.
Verso la fine del febbraio del 1944, in seguito ai vari
bandi di chiamata alle armi, promulgati dalla R.S.I., la gioventù comincio ad
affluire in montagna, spinta dalla necessità di rifugio ed attirata anche dalla
sorgente fama del "mito Marozin". Le file si ingrossarono: le prime
pattuglie divennero in breve i nuclei, che costituirono i distaccamenti dai
quali trasse vita nel maggio 1944 la divisione "Pasubio" comandata
dal "Vero" ed operante sopranzato nella Vallata del Chiampo.
Moltissime furono le azioni commesse dai componenti di detta
divisione e per alcune di esse è stato possibile rintracciare un breve e fedele
e tacitiano diario redatto in quegli stessi giorni dal Partigiano
"Ravio" e dal Partigiano "Turiddu", dal quale si può
facilmente comprendere quale fosse in effetti l'attività del Marozin e dei suoi
gregari. Ed ecco alcuni passi più significativi e salienti:
"Agguato ed attacco di quattro autocarri tedeschi.
Il mattino del 4 giugno 1944 transitavano per Crespadoro diretti a Campo
d'Albero, quattro autocarri tedeschi, dei quali due con rimorchio: si seppe che
si erano diretti a fare carico di legna. Giunta prontamente l'informazione
ai Cracchi, dove
si trovava il Comandante, questi dispose una imboscata per sorprenderli alla
sera sulla via del ritorno. Vennero così disposte in agguato alcune squadre al
Comando dei patrioti Zambo e Terrore che presero posizione ai lati della strada
poco a monte e poco a valle della località Molino di Crespadoro. Una terza
formazione, una pattuglia volante di una decina di uomini al comando del
patriota Romeo e comprendendo i patrioti Treno, Italo, Tecca, Podgora,
Bonsignore ed altri, venne inoltre inviata ancora più in alto sulla rotabile
Ferrazza-Crespadoro e prese posizione nei pressi della casa forestale,
all'altezza della curva.
Nel pomeriggio, verso le ore 16 si udirono i lontani
rumori del convoglio che discendeva e venne notato che gli autocarri
spesso si fermavano, evidentemente in sospetto di possibili insidie. Romeo, con
grande calma e chiara visione della situazione e delle possibilità del suo
agguato, ordinò ai suoi di non sparare che a minima distanza e non prima che
Treno, il solo armato di mitra, avesse aperto il fuoco al suo ordine.
Gli autocarri avanzarono lentamente e si notò (le due
erano carichi di legname e quelli con rimorchio erano zeppi di tedeschi: in
tutto 150 uomini.
A meno di 100 metri Romeo ordinò il fuoco e Treno, con
gran calma e sicura mira, scaricò alcuni caricatori in pieno bersaglio, subito
imitato dagli altri patrioti. Mentre i tedeschi impotenti ad agire si buttavano
a terra in cerca di riparo, i patrioti, sempre agli ordini di Romeo, diradavano
il fuoco e risalivano il pendio boscoso.
I tedeschi che avevano subito notevoli perdite,
riuscivano frattanto a mettere in postazione alcune mitragliatrici ed un
mortaio ed incominciarono a battere violentemente il bosco nel quale i patrioti
si ritiravano, fortunatamente senza subire perdite.
Rabbiosi per lo scacco subito e sebbene lo scontro fosse
avvenuto in località lontana da abitazioni i tedeschi incendiavano subito dopo
le contrade Bordelin di Sopra e Bordelin di Sotto, facendo le solite razzie e
minacciando la inerme ed innocente popolazione che si dava alla fuga.
Sul fare della sera e sempre con molta precauzione i
quattro autocarri ripresero lentamente la marcia verso Crespadoro, sulla cui
strada, in località disabitata, erano attesi dal secondo agguato dei nostri.
Una spia li rese però in tempo avvertiti del pericolo ed indicò loro la
località dove i patrioti si erano annidati. I tedeschi batterono tale località
con le loro armi, ma i nostri, secondo gli ordini e per non svelarsi, non
risposero al fuoco. I quattro autocarri avanzarono allora prima lentamente e
poi velocemente. Giunti a tiro i nostri aprirono il fuoco, ma questa volta i
tedeschi anziché fermarsi e reagire aumentarono la velocità e si sottrassero
con la fuga all'azione dei patrioti.
Nel complesso i due agguati provocarono ai tedeschi
notevoli perdite e li convinsero definitivamente della grave pericolosità di
percorrere l'alta Valle nella quale si affermava così, sempre più sicuro e
completo, il dominio dei patrioti".
Non era ancora spenta l'eco di detta azione che... "il
mattino del 4 giugno 1944, alle ore due, una formazione di 40 patrioti, al
Comando di Romeo, muoveva da Brusaferri per una azione contro il presidio della
milizia di Illasi, lontano circa dieci ore di cammino dalla nostra base. Giunti
nelle vicinanze dell'abitato, i patrioti si appostarono sulle vicine colline e,
calata la notte, si avvicinarono poi al paese. Alle ore 0,30 del 5 venivano
silenziosamente bloccate tutte le strade e poco dopo, valendosi di una
preparazione fatta in precedenza da Santon e Perseo, veniva dato l'assalto alla
caserma ed i militi erano così sorpresi quasi tutti nel sonno, talché la loro
resistenza fu subito stroncata e tutti furono prontamente disarmati. Subito
dopo i patrioti, saputo che in una villa vicina soggiornava un generale della
miliza, che si seppe in seguito essere il Comandante della g.n.r. Renato Ricci,
tentarono di farlo prigioniero.
Sotto la direzione di Romeo la villa venne circondata ed
i patrioti penetrarono nell'interno; Mila giunse alla camera del generale e
nella penombra lunare fece appena in tempo a scorgerlo mentre, armato di mitra,
guadagnava la soffitta e quindi il tetto. Lo inseguì e, dato l'allarme, vennero
sparati alcuni colpi; ma il fuggiasco, pratico del luogo, potè calarsi in una
vicina proprietà e prendere il largo. Venne invece catturato il suo attendente
che, disarmato, venne poi posto in libertà.
Trovate nell'autorimessa tre automobili, dopo un vano
tentativo di asportarle, queste vennero gravemente danneggiate e rese
inutilizzabili. Il bottino fu veramente ingente: 120 moschetti e fucili mod.
91, cassette di munizioni, bombe e circa 12.000 lire. Nell'azione si sono
particolarmente distinti i patrioti Romeo, Poker, Tigre, Zambo, Signorina,
Italo, Mila, Ventin, Danton e Corsaro: tutti i patrioti che vi hanno
partecipato hanno dato prova di coraggio, prontezza e decisione e si sono
comportati valorosamente.
L'eco della riuscita impresa, data anche la località in
pianura e vicino alla rotabile Verona-Vicenza ed alla città di Verona, è stata
immensa: ne parlarono largamente i giornali e le popolazioni: il prestigio dei
patrioti aumentò notevolmente provocando così nuove adesioni e numerosissime
diserzioni nella milizia e nelle stesse altre forze armate repubblicane. Alcuni
dei militi di Illasi passarono ai patrioti: gli altri vennero poi posti in
libertà".
Dovendo operare di primo pomeriggio un attacco alla
caserma della Milizia di Vestenanuova, il Comandante Marozin trasferì nella
mattinata del 7 giugno 1944 un complesso di una cinquantina di patrioti da
Durlo verso Bolca onde iniziare un vasto movimento di avvolgimento. Seguendo a
breve distanza tale reparto, accompagnato dai patrioti Ciccio ed Italo, il
Comandante venne assalito in località Valletta di Ferrazza, verso le ore 11, da
una pattuglia di 32 militi fascisti del Presidio di Campofontana: impegnato
combattimento, malgrado la sproporzione delle forze, i militi, dopo qualche
scarica di mitra vennero respinti e dispersi. La piccola pattuglia potè così
proseguire la sua strada e raggiungere il grosso nei pressi di Vestenanuova.
Bloccati gli sbocchi del paese con alcune pattuglie, la
caserma venne circondata ed attaccata di sorpresa, poco dopo le ore 13.
Essendosi il Comandante Marozin lanciato all'assaIto
dell'ingresso principale, venne bruscamente scostato da Ciccio che gli gridò:
"No tu per primo, Comandante" e gli fece scudo del proprio corpo ai
colpi che provenivano dall'interno. Il patriota Poker, sfondata la porta, entrò
così per primo seguito da Ciccio, dal Comandante, da Mila e da tutti gli altri.
Dopo brevissima resistenza i militi, sorpresi dalla
fulmineità dell'attacco, dovettero arrendersi: il tenente comandante del
distaccamento, all'atto dell'irruzione nella caserma, aveva cercato riparo in
una vicina osteria entrando nella quale era scivolato cadendo disteso
attraverso le soglie della porta.
Il patriota Finco, che lo inseguiva da presso, gli si
precipitò addosso, e, strappatagli la pistola prima che potesse servirsene, lo
freddò con un colpo.
Nella caserma veniva frattanto fatto ricco bottino di armi,
fra cui una mitragliatrice Breda e 35 moschetti e fucili mod. 91.
Per rappresaglia a numerose precedenti brutalità
nazi-fasciste ai danni della popolazione civile e dei patrioti, cinque militi,
scelti tutti fra i volontari che non avrebbero avuto per età obbligo di
servizio, vennero fucilati sulla piazza del paese. Degli altri, alcuni
passarono volontariamente nelle file dei patrioti e i rimanenti vennero
lasciati liberi di allontanarsi.
I patrioti ebbero un solo ferito: Fuoco, che era stato
gravemente colpito al petto ed alla gamba e che venne subito trasportato alla
base di Campofontana.
Il fulmineo successo dell'audace attacco destò le simpatie
dei valligiani per il movimento di resistenza contro gli oppressori. Mentre il
bottino veniva trasportato in luogo adatto, il Comandante Marozin inviò la
squadra di Ciccio, Tigre e Zambo ad assalire il distaccamento della Milizia di
Crespadoro: comandante della formazione il patriota Ciccio. Disposte pattuglie
agli sbocchi del paese ed attraversato a guado il profondo torrente, mentre
scoppiava un violento uragano e sotto il diluviare della pioggia, alle 21 circa
la caserma venne circondata, assalita di sorpresa ed impegnata sul fronte
principale con nutrite scariche di fucileria.
Un'abile mossa del patriota Nane, inviato da Ciccio sul
tetto dell'edificio per lanciare nell'interno bombe dirompenti, valse ad
infrangere rapidamente l'accanita resistenza degli assediati, che vennero
sopraffatti, disarmati e fatti prigionieri.
Circa due mesi prima, precisamente il 27 aprile, i
nazi-fascisti (comandati dal magg. Mentegazzi) avevano catturato nel corso di
un rastrellamento sul costone di Monte Marana sei patrioti feriti ed un giovane
(Massignan Bruno - vedi episodio Nuvolari) che colà si trovava per caso ed era
estraneo ad ogni attività partigiana. Contro ogni legge di guerra i patrioti
feriti ed il giovane innocente erano stati fucilati sulla piazza principale di
Crespadoro: i loro corpi riposano in quel cimitero sotto l'unica e generica
epigrafe: "Pregate per sette morti".
Il comandante Marozin aveva giurato vendetta e informato le
gerarchie nazifasciste di Vicenza che sulla stessa piazza sarebbero stati
presto o tardi fucilati 7 fascisti. Il capo pattuglia Ciccio, che aveva
ricevuto ordini in proposito, provvide pertanto a far fucilare all'istante
nello stesso posto dove erano caduti i patrioti, sette dei militi catturati,
scelti fra coloro che non avrebbero avuto per età obblighi di servizio.
Avvenne qui un fatto straordinario: dal mucchio dei caduti,
dopo circa un quarto d'ora si rialzò un milite stordito e barcollante che era
rimasto miracolosamente illeso. Sopraggiungeva in quell'istante il Comandante
Marozin il quale, profondamente toccato dal ricordo del giovane caduto
innocente insieme ai patrioti sotto i colpi dei fascisti, si avvicinò al milite
terrorizzato e battendogli una mano sulla spalla gli fece grazia della vita
dicendogli: "Va pure alla tua casa, si vede che il destino vuole
così".
Il bottino di armi anche qui fu cospicuo: un fucile
mitragliatore, 15 moschetti mod. 91 e munizioni varie, nonché vettovaglie ed
indumenti. La popolazione di Crespadoro, vivamente impressionata dall'audacia
dei patrioti e dall'inflessibilità della promessa rappresaglia, fu compresa del
provvedimento di giustizia ed accordò ai patrioti nuovi consensi a
simpatie".
Dalle pagine ingiallite di detto diario raccolte in atti si
può apprendere come ha avuto luogo l'azione di Campofontana del 15 giugno 1944;
l'imboscata a 50 SS di 10 patrioti il 20 giugno e tante altre operazioni che,
purtroppo, portano all'azione combinata tedesca di rastrellamento delle Valli
d'Agno, del Chiampo, d'Alpone e di Illasi dei giorni 5-6-7 e 8 luglio 1944.
"Alle prime luci dell'alba del 5 luglio 1944, dopo
una silenziosa preparazione nella notte, che non era però sfuggita alle nostre
pattuglie più avanzate, si scatenava una potente azione di rastrellamento da
parte delle truppe tedesche, operanti dapprima nella Valle dell'Agno e del
Chiampo, alla quale partecipavano oltre 4.000 uomini, 8 carri armati fra i
quali uno tipo "Tigre", cannoni da 75/27 e da 20 mm., mortai da 83,
due autoblindo, 16 autocarri di polizia, due motocarrozzette ed altri mezzi che
sono sfuggiti all'osservazione diretta; nei giorni successivi l'azione sempre
imponente, fiancheggiata anche da reparti repubblicani, si estendeva alla Valli
d'Alpone e di Illasi e si esauriva nella distruzione di interi paesi e
villaggi. Il battaglione Danton, che era attestato in combattimento sul costone
montano che divide la Valle dell'Agno da quella del Chiampo, subì il primo
urto; si difese strenuamente causando al nemico avanzante notevoli perdite e
ripiegò quindi, secondo gli ordini ricevuti ed applicando intelligentemente i
procedimenti della guerriglia (i tedeschi dicevano: "Patrioti sparare e
sparire"), su posizioni retrostanti verso le alte testate delle valli. I
tedeschi pervenivano nel pomeriggio a piazzare cannoni e mortai sui costoni del
versante destro dell'alta Valle del Chiampo e di lì batterono lungamente il
costone occidentale della catena di Monte Marana, convinti erroneamente che
colà si fossero rifugiati i patrioti i quali, invece, erano sempre imboscati un
po' dappertutto, talora anche a poca distanza dalle stesse artiglierie in
azione.
I cannoni battevano lungamente paesi e villaggi e case
isolate, ovunque portando distruzione e rovina. Contemporaneamente e
successivamente all'azione delle artiglierie si snodava intanto un fitto
rastrellamento, nel corso del quale ciò che i cannoni avevano risparmiato
veniva dato alle fiamme dalla soldataglia tedesca che molto spesso uccideva
brutalmente gli abitanti senza distinzioni di sesso e di età.
L'azione nemica si affievoliva gradualmente sul fare
della sera e veniva quindi sospesa al calar delle tenebre; mentre i patrioti
non avevano che dei feriti e nessun prigioniero, il nemico perdeva tre
autocarri che erano stati incendiati, una motocarrozzetta e numerosi morti e
feriti.
I patrioti, nel corso della notte, riorganizzavano le
loro file ed effettuavano opportuni spostamenti secondo gli ordini che venivano
impartiti dal Comando di Brigata. Il mattino successivo, 6 luglio, l'azione
tedesca riprendeva violenta ed implacabile estendendosi all'alta Valle
dell'Alpone; venivano notati nell'azione 12 carri armati pesanti, 5 autoblindo
oltre alla solita artiglieria. I patrioti affrontarono bravamente anche questa
seconda giornata di combattimento ed inflissero al nemico nuove perdite, fra le
quali sette morti accertati e numerosi feriti.
Il nemico, furibondo di non poter venire
all'accerchiamento di nessun gruppo dei nostri e nemmeno all'arresto di un solo
patriota, sfogava ancora una volta la sua rabbia impotente sulle inermi
popolazioni della vallata, distruggendo case e trucidando barbaramente vecchi,
donne ed anche fanciulli. A tarda sera l'azione veniva ancora una volta
sospesa, mentre le valli erano qua e là illuminate dal sinistro bagliore degli
incendi.
Anche nei primi giorni, 7 ed 8 luglio, la soldataglia
tedesca, rinforzata da reparti repubblicani, battè lungamente le alte valli
spingendosi anche sul versante orientale dell'alta Valle dell'Illasi; il
risultato pratico nel confronto della disorganizzazione dei reparti dei
patrioti fu costantemente nullo e l'intero ciclo di operazioni si concluse con
un clamoroso fallimento nel campo militare.
Ma la vendetta del nemico fu brutale, implacabile,
selvaggia: vennero distrutti i paesi di Altissimo, Marana, Campo d'Albero,
Durlo, Ferrazza, Crespadoro, Molino, S. Pietro Mussolino, Vestenanuova,
Vestenavecchia, S. Giovanni Ilarione, Campofontana, S. Bortolo e molti altri
villaggi minori e casolari isolati.
Ad un centinaio ammontano le vittime innocenti della
barbarie nemica: tra esse un vecchio più che ottantenne, a Marana, perché
essendo sordo, non aveva risposto alle domande rivoltegli; il parroco bruciato
nella canonica a S. Pietro Nuovo; una giovane mamma che cercava di mettere in
salvo il suo bambino a Ferrazza; alcuni bambini che giocavano lungo la strada a
Campofontana; ed altri ancora che vivamente turbarono e commossero la pacifica
popolazione, solo colpevole di essere ospitale e generosa con i propri stessi
figli che combattono, ignoti e disinteressati, per la liberazione della Patria.
Nella mattinata del 9 luglio 1944 due pattuglie miste di
nazifascisti, dopo aver pernottato a Campo d'Albero, dove erano state segnalate
dai nostri, calarono a valle ed incendiarono dapprima il villaggio di Ferrazza
e poi l'abitato di Crespadoro, trucidando nelle due località quanti uomini
potevano incontrare, validi o invalidi che fossero.
Nell'abitato di Crespadoro assistettero allo scempio il
Reverendo Parroco (che potè trarre fortunatamente in salvo, nascondendoli nel
campanile, un vecchio ottantenne ed una giovane deficiente) ed il medico condotto
del paese (che potè trovare nascondiglio dietro un cumulo di pietre disposte
intorno alla fontana sulla piazza principale).
Dopo di aver incendiato anche la chiesa i nazi-fascisti
si avviarono cantando per la strada di Chiampo; un tedesco però, avendo notato
che alcune donne, sfidando le fiamme cercavano di trarre in salvo alcuni
effetti personali, sparò brutalmente più volte contro una di esse, uccidendola
sul posto...".
Ma "da quel giorno i nazi-fascisti, pur infierendo
brutalmente sulle inermi ed innocenti popolazioni, più non si avventurarono
oltre Chiampo, e posero a quello sbarramento la scritta: Alt, zona infetta dai
ribelli, rinunciando così virtualmente ad ogni dominio sulla terra".
Anche il "Corriere della Sera "parlò
del combattimento segnalando le perdite dei tedeschi in 120 caduti; in realtà
esse sono state molto superiori, forse più del doppio".
Dalle brevi note sopra riportate si evince che le prime
azioni furono effettuate allo scopo di procurare armi e viveri, mentre, successivamente,
si cercò persino di contrastare l'avanzata dell'oppressore e di limitare la sua
attività di rappresaglia. Fra le prime, per quanto ci interessa, vanno
inquadrati l'episodio commesso in danno di Nuvolari Giacomo ed i fatti
specificati sub 9).
Per quanto concerne il primo episodio di che sub 1) del capo
di imputazione, è emerso che da parte del Marozin era stato ordinato ai
partigiani Turra, Faccin, Antemi e Florio di aggredire certo Nuvolari Giacomo,
perito minerario della ditta G. Dalle Ore di Valdagno, mentre verso le ore
13,45 del 19 aprile 1944 si stava recando dalla sua abitazione alla miniera
nella quale lavorava, e di strappargli una borsa contenente la somma di L. 250
mila, che la ditta aveva consegnato al Nuvolari per le paghe degli operai.
I quattro partigiani compivano esattamente tale missione,
senonché il partigiano Faccin Giuseppe detto "Ivo", che, dopo
l'azione, aveva il possesso del denaro, si rendeva in un primo tempo
irreperibile e soltanto dopo 4 o 5 ore dal fatto rientrava al reparto,
dichiarando che, essendo stato inseguito da alcuni tedeschi, aveva dovuto
abbandonare la borsa del denaro.
Tale versione non veniva ritenuta veritiera dal Marozin,
tanto più che il Faccin da solo due giorni era entrato a far parte delle
formazioni partigiane ed aveva egli stesso subito prospettato la possibilità
del colpo in danno del Nuvolari, per poter procurare del denaro al fine di far
fronte alle necessità della formazione partigiana.
Sottoposto ad ulteriore interrogatorio, il Faccin ammetteva
di essersi appropriato del denaro e di averlo nascosto. Era così possibile
ricuperare soltanto la somma di L. 75.000, mentre mai si potè ritrovare l'altra
residua somma, poiché il Faccin aveva in un primo tempo indicato di averla consegnata
a certo Massignan Bruno, che risultò subito estraneo al fatto e quindi
rilasciato dai partigiani.
Detto Massignan, una volta lasciato, veniva rastrellato
dalle brigate nere e fucilato su ordine del maggiore Mentegazzi in Crespadoro,
unitarnente ad altri sei giovani il 27 aprile 1944.
Il Faccin, invece, ritenuto colpevole del reato di furto,
veniva condannato a morte e quindi fucilato dai partigiani (vedi fascicoli 9 e
3).
Da parte del Marozin veniva in tal modo messo in vigore il
cosidetto "Codice Statuto" che si basava su cinque punti
fondamentali:
1) non rubare;
2) non tradire;
3) non disertare;
4) non addormentarsi in servizio di guardia;
5) non ubriacarsi:
e che prevedeva per ogni singola infrazione un'unica pena:
quella di morte, mediante la celebrazione di un sommario processo da parte di
un Tribunale partigiano, di volta in volta formato. Il Marozin
nell'applicazione di tale rigido e severo codice, si dimostrò senza alcuna
umanità e di una severità eccessivamente esagerata, poiché egli stesso riteneva
che non si potesse tollerare mancanza alcuna per l'onore stesso dei patrioti e
per la sicurezza dei reparti.
Dopo sommario procedimento, celebrato solo pro-forma,
vengono così condannati a morte e quindi immediatamente giustiziati i seguenti
appartenenti alle formazioni partigiane:
1) Visentin Lino detto "Treno"
fucilato in Campodalbero di Crespadoro 1'1-8-1944 (vedi fasc. 5), per aver
commesso varie ruberie. Infatti verso la fine dela mese di luglio 1944 al
partigiano Romeo veniva affidato l'incarico di compiere alcuni atti di
rappresaglia lungo la strada statale Vicenza-Verona. Per dette azioni il Romeo
si avvaleva dell'opera di altri partigiani fra i quali il Treno che, però,
approfittava di tale occasione per disertare e rendersi irreperibile. Il Treno,
dopo aver commesso nella zona alcune ruberie ed estorsioni veniva catturato dai
partigiani e, quindi, dopo sommario procedimento condannato a morte, come è
documentato dalla sentenza esistente a fog. 11 fasc. 5) nella quale si legge
testualmente: "Brigata Vicenza-Patrioti-zona d'operazioni 1 agosto 1944
-Il Comando della Brigata "Vicenza" condanna alla fucilazione Treno,
numero di matricola 90, al secolo Visentin Lino di Benvenuto, abitante a Torino
in Via Brà numero 9 per aver compiuto atti di estorsione e rapina a mano
armata, disonorando così la nostra Brigata. Le famiglie danneggiate da nostri
sono: Sacchiero Vittorio e suo nipote, Cielo, Ferrari, Cracchi ecc. 11
Comandante Giuseppe Marozin. I componenti del Tribunale - firmato Ciccio,
Poker, Fido, Reno, Rondine, Nane, Papà, Avio, Finco, Massignan Angelo.
2) Simonelli Bernardo detto
"Volpe", fucilato pure in Campodalbero di Crespadoro 1'1-8-1944 per
essersi unito al Visentin Lino e per aver col predetto commesso varie azioni
criminose (vedi fasc. 5).
3) Pasini Adriano detto "Nane'; fucilato in Durlo di
Crespadoro il 5-7-1944 per essersi reso colpevole di furto.
Mandato di pattuglia con alcuni partigiani per ispezionare
una casa di Castelvecchio di Valdagno, disabitata e di proprietà di un sospetto
fascista, il Pasini, durante tale operazione, si impossessava di tre sacchi di
biancheria, nascondendoli, quindi, nella zona per poi realizzare il profitto.
Di detto fatto veniva avvertito il Comando partigiano che non solo provvedeva
al ricupero della refurtiva, ma condannava a morte il Pasini resosi colpevole
di tale furto (vedi fasc. 3 retro).
4) Ferro Tiberio ucciso in Durlo di
Crespadoro il 27-4-1944 mediante pugnalate; perché fu trovato in possesso di
una fotografia del console Ricci e di uno schizzo delle formazioni partigiane
(vedi fasc. 7 ed in part. fog. 3 retro).
5) Bertelli Aldo detto "Aviv"
fucilato in Crespadoro il 2 settembre 1944 per essersi appropriato della somma
di L. 40.000 proveniente da un lancio (vedi fasc. 10 fog. 7, con¬fessione e
sentenza di morte).
6) Meggiolaro Gilberto detto 'Mila",
fucilato in Nogarole Vic. il 18-8-1944. Nell'agosto del 1944 il Marozin era
entrato a far parte della Missione Rye e da parte del Comandante
"Eugenio" era stato invitato ad eliminare dalla sua formazione gli
elementi indesiderabili, indisciplinati e turbolenti, dato che la condotta del
suo reparto lasciava alquanto a desiderare. Volendo, perciò, il Marozin
dimostrare non solo ad Eugenio, ma a chiunque che tale stato di cose non
dipendeva da lui, poiché era sempre stato considerato un comandante rigido e
severo, disponeva che qualsiasi mancanza venisse subito repressa e nella forma
più esemplare. Sorpreso, perciò, Mila addormentato durante il suo turno di
sentinella, veniva immediatamente freddato, mentre dormiva, da un colpo di
pistola sparatagli a bruciapelo dal suo compagno "D'Artagnan" (vedi
fasc. 11).
7) De A ngelis Oreste detto
"Bruno" e certo Posi "Tito "non meglio identificalo,
fucilati in quel di Roncà in un giorno imprecisato del giugno o luglio 1944. I
due predetti sarebbero stati uccisi sempre su ordine del Marozin, secondo
alcuni in quanto una volta entrati nelle formazioni comandate dal Vero, si
sarebbero successivamente allontanati volendo costituire dei gruppi di patrioti
autonomi; secondo altri, invece, avrebbero effettivamente disertato le formazioni
partigiane per dedicarsi alle rapine e ai furti.
Comunque, sia l'uno che l'altro fatto non poteva essere
tollerato dal Marozin, il quale disponeva la loro immediata eliminazione (vedi
fasc. 11).
8) Due ufficiali polacchi in quel di Selva
di Progno fucilati nel luglio 1944. Di tale fucilazione non è stato possibile
raccogliere una precisa documentazione. Comunque sarebbero stati uccisi, sempre
su ordine del Marozin, in quanto ritenuti indesiderabili e sospetti (vedi fasc.
11).
9) Cabianca Otello fucilato in Selva di
Trissino il 2 agosto 1944. Cabianca Otello, appena quindicenne, entrava
unitamente al cugino Cabianca Neno, nelle formazioni partigiane, ma, data la
loro giovane età, venivano consigliati di ritornare a casa. I due ragazzi non
ritennero di ubbidire a tale invito ed insistettero nel loro desiderio di
rimanere e di arruolarsi, adducendo, fra l'altro, che, essendo stato bruciato
tutto il loro paese, non potevano più ritornare alle loro case. A seguito di
tale loro fermo e deciso atteggiamento i giovani venivano così arruolati; e
dopo qualche giorno il Cabianca Otello veniva, di notte, comandato di
sentinella. Durante tale servizio il ragazzo, data la sua giovane età, si
accorgeva di aver paura e di non poter più continuare. Riteneva opportuno,
quindi, dichiarare ogni cosa al Marozin, asserendo, fra l'altro, che non
sopportava più quel regime di vita, che sua madre era inferma ecc., e che
quindi desiderava rientrare in famiglia. Il Marozin, temendo che il ragazzo,
una volta rientrato in famiglia, potesse essere dannoso alle formazioni
partigiane, tanto più che un parente del Cabianca militava nei reparti
fascisti, lo faceva senz'altro fucilare (vedi fasc. 11 e i rapp. carab.).
10) Guarda Paolino detto "Lepre" ucciso in quel di
Zermeghedo il 21-6-1944. Da parte del comandante Tigre veniva dato al Guarda
Paolino il permesso di allontanarsi dalle formazioni partigiane e di ritornare
alla propria casa, date le sue pessime condizioni di salute (tbc in stato ormai
avanzato). Successivamente il Marozin invitava il Guarda a rientrare al
reparto, ma questi, date le assai malferme condizioni di salute, non
ottemperava a ciò, cosicché veniva ritenuto un disertore ed il Marozin ordinava
che venisse senz'altro elminato. Tale ordine veniva eseguito dallo Zavanella,
unitamente ad altri, il quale incendiava altresì la casa. Per tale fatto lo
Zavanella è stato condannato con sentenza del 5 settembre 1946 dalla Corte di
Assise straordinaria di Vicenza e quindi successivamente amnistiato, con
ordinanza del 5-3-1947, ai sensi del D.L. 5-4-1945 n. 96.
Naturalmente la severità del Marozin non solo si dimostrava
nei confronti dei propri dipendenti, ma anche della popolazione e soprattutto
di chi aiutava le forze avversarie o militava nelle formazioni fasciste,
cosicché talvolta il solo sospetto di essere di idee filo-naziste era motivo
sufficiente per decretare la morte o rappresaglie nei confronti di pacifici
cittadini.
Certamente, in quel periodo tanto burrascoso e doloroso non
era possibile, né ora ovviamente si può pretendere, un più oculato
apprezzamento od esame delle dicerie, dato che era necessario agire e spesso
immediatamente, poiché in ciò era il segreto non solo della felice riuscita di
un'operazione, ma talvolta il risparmio di molte vite umane.
Essendo stato sospettato di attività spionistica in favore
dei fascisti, certo Visonà Dalla Pozza Virgilio veniva il 29-5-1944 fucilato in
località Bauci di Altissimo su ordine del Marozin.
Secondo alcuni il Marozin avrebbe dato solo l'ordine di
prelevarlo e di accompagnarlo al Comando, senonché lungo la strada il Visonà
Dalla Pozza avrebbe cercato di fuggire cosicché sarebbe stato ucciso.
Secondo altri, invece, la fucilazione sarebbe avvenuta per
ordine del Marozin. Certo è che l'uccisione del Visonà Dalla Pozza rientrava
nell'attività bellica di quel tempo (vedi fasc. 8).
Altrettanto dicasi per le uccisioni di Vinco Roberto, Presa
Arturo e Grisi Adele, del Cortese Ernesto, del Guiotto e della di lui moglie
Zarantonello Giuseppina, anche se per taluni di essi è stata successivamente
accertata la loro estraneità ad ogni attività politica.
Rientrano pure fra le azioni di guerra gli episodi di che
sub 17) lett. b) lett. a) dovendosi ritenere senza dubbio alcuno che glì
imputati hanno agito per motivi di lotta contro il nazi¬fascismo, come appare
chiaramente dall'uccisione dei sei militi della g.n.r. di che alla lett. d) sub
18, della quale si è già parlato, riportando integralmente le pagine di un
diario scritto in quello stesso periodo.
Detta uccisione è stata determinata da motivi di
rappresaglia in conseguenza di una precedente fucilazione di sette partigiani
e, se il numero dei fascisti non è uguale, ciò è dovuto ad un atto di clemenza
del Marozin...
"Il comandante Marozin aveva giurato vendetta... ed
avvenne qui un fatto straordinario: dal mucchio dei cadutti, dopo circa un
quarto d'ora, si rialzò un milite stordito e barcollante che era rimasto
miracolosamente illeso. Sopraggiungeva in quell'istante il comandante Marozin
il quale, profondamente toccato dal ricordo del giovane caduto innocente
insieme ai patrioti sotto i colpi dei fascisti, si avvicinò al milite
terrorizzato e battendogli una mano sulla spalla gli fece grazia della vita,
dicendogli: Va pure alla tua casa, si vede che il destino vuole così".
Data tale complessa attività del Marozin è evidente che si
voglia addossare allo stesso anche la responsabilità di altri episodi, che il
Marozin non ha mai commesso, o si voglia talvolta travisare la stessa verità
dei fatti.
Si ascrivono fra l'altro al Marozin due imputazioni: quella
di peculato di che sub 8) e l'altra di uccisione del partigiano di nazionalità
bulgara "Zambo" o "Giorgio" di che sub 15).
La documentazione raccolta permette di escludere nella
maniera più categorica che il Marozin abbia commesso sia l'uno che l'altro
reato. Per la uccisione del partigiano di nazionalità bulgara "Zambo"
o "Giorgio" ci viene in aiuto l'ingiallito diario dell'epoca, della
cui veridicità storica non vi è motivo alcuno di dubbio, tanto più che è stato
scritto da un ufficiale dei carabinieri (Flavio).
In detto documento si legge:
"26 luglio 1944 - Frazione Anselmi di Progno -
Agguato alla pattuglia del comandante e morte gloriosa di Zambo. Nella notte
del 26 luglio la pattuglia del Comandante si trasferì da Campo
di Velo a Cracchi, e, giunta a notte fonda in frazione Anselmi di
Selva di Progno, vi pernottava distribuendo gli uomini nei fienili della
contrada. Veniva disposto come di abitudine adatto servizio di sicurezza,
specialmente diretto a sorvegliare la provenienza dalla Valle di Selva.
Una pattuglia di 7 tedeschi armati di mitra,
probabilmente avvertiti da spie, si era appostata nella notte stessa nelle
vicinanze allo scopo, come avvenne in seguito precisato, di attaccare e
sopprimere il Comandante: ciò rispondeva ad una nuova tattica, adottata dai
nazi-fascisti dopo l'insuccesso dei ripetuti recenti rastrellamenti in grande
stile, quella di affidare a piccole pattuglie armate di mitra l'incarico di
operare degli agguati e di porsi subito in salvo con la fuga ad azione
compiuta.
Nel corso della notte la pattuglia nemica si era
cautamente avvicinata alla frazione Anselmi, calandosi dall'alto e sorprendendo
quindi la vigilanza del patriota Nazario che era di guardia nell'abitato.
Giungeva così al fienile più periferico dove aveva tutto agio di sorprendere
nel sonno i patrioti Belva e Vittoria, che faceva senz'altro prigionieri senza
che potessero minimamente dare l'allarme. Subito dopo veniva anche sorpreso e
sopraffatto il patriota Nazario.
Il patriota Belva, forse già noto per segnalazioni ai
tedeschi, venne interrogato e duramente maltrattato con percosse per obbligarlo
a rivelare dove si trovasse il Comandante. Belva resistette bravamente ai duri
maltrattamenti e alla minaccia di esecuzione immediata sul posto, escluse di
conoscere qualsiasi comandante dicendosi uno sbandato isolato che aveva trovato
occasionalmente ospitalità per la notte in quel luogo. Tale fermezza di
contegno valse certamente a salvare la vita del comandante e della intera
pattuglia che erano accantonati a pochi metri dal luogo ove Belva veniva
interrogato e maltrattato.
Il patriota Zambo, elemento di coraggio eccezionale e
certamente uno dei migliori della brigata, si era accomodato all'aperto, nella
contrada, e dormiva sotto un albero: udì il parlottare che avveniva a poca
distanza, e insospettito, mosse col mitra spianato verso il luogo da dove
proveniva il rumore. I tedeschi udirono il calpestio dei suoi passi, girarono
l'angolo di una cava e Zambo se li trovò di fronte a breve distanza. Puntò
senza esitazione il mitra e fece partire una scarica, ma l'incerta luce lunare
fece fallire il bersaglio, cosa straordinaria per un tiratore di eccezionale
calma e bravura quale egli era; un tedesco rispose prontamente al fuoco da
posizione favorevole e colpì Zambo al petto ed in fronte con una scarica di
mitra. Il patriota si rovesciò in avanti e cadde sul colpo col viso rivolto
verso il nemico che aveva tante volte combattuto e sempre vinto sia in campo
aperto che con la fine astuzia che, accoppiata al più genuino coraggio, gli
aveva sempre permesso di avere la meglio.
Attratti dagli spari uscivano immediatamente dai
rispettivi nascondigli dapprima il patriota Ciccio il quale, coprendosi alla
meglio indirizzò verso i tedeschi una scarica di mitra ricevendone una a sua
volta che gli colpì la canna dell'arma e lo ferì con schegge alla mano e al
viso; poi subito il Comandante, Tenore egli altri patrioti i quali fecero
appena in tempo a scorgere nell'incerta luce mattinale il gruppo dei tedeschi
che si davano alla fuga spingendosi innanzi, con i mitra puntati, i tre
patrioti prigionieri. Alcune scariche loro indirizzate non ebbero esito.
Intanto il patriota Belva, che camminava al terzo posto
dopo Nazario e Vittoria, cercò di distanziarsi dai tedeschi e sorpassati ed
avvertiti i due compagni, che eseguivano prontamente i suoi ordini, ad un certo
punto si buttò audacemente prima in un fosso laterale e poi sul ripido pendio
verso Valle. I tre patrioti, subito invano mitragliati dai tedeschi, per
ripararsi dai colpi si rotolavano per terra per altri duecento metri e
pervennero così dopo pochi secondi a raggiungere il ciglio boschivo ed a
mettersi in salvo. Raggiunsero in seguito una vicina base e poi, nella notte,
si ricongiunsero al Comandante che li aveva considerati ormai perduti.
Dalle osservazioni dirette di Belva, il quale nella
drammatica circostanza mai perdette la sua calma ed il freddo coraggio che lo
distinguevano, risulta per certo che almeno due dei tedeschi riportarono ferite.
Il patriota Zambo, fiero figlio del popolo bulgaro ed
eroico campione della lotta patriota contro gli oppressori nazifascisti nella
terra d'Italia che tanto amava, riposa ora in pace poco lungi dal posto dove è
gloriosamente caduto. Sul tumulo crescono i fiori che i compagni di lotta, in
attesa di ricomporre le spoglie mortali nel cimitero dei patrioti di Durlo,
hanno posto a testimonianza del loro affetto memore e fraterno. Il suo nome è
stato dato ad uno dei nuovi battaglioni della Brigata e sarà certamente nome di
combattimento, di gloria e di vittorie".
Per quanto concerne l'imputazione di peculato rilevasi che
verso la fine del mese di agosto del 1944 il Marozin otteneva, per
interessamento della Missione Rye della quale da poco faceva parte, un
aviolancio di denaro ed altro.
Il Marozin, dopo aver consegnato ad Eugenio (Perucci Carlo)
circa 700.000 lire, si tratteneva la residua somma, di L. 300 mila circa, come
d'accordi intercorsi con Io stesso Eugenio, per i bisogni e le necessità della
divisione.
Senonché in occasione di detto lancio certo Bertelli Aldo
detto Avio, da poco entrato nelle formazioni partigiane, si appropriava della
somma di L. 40.000, venendo quindi fucilato. Nessuna somma è stata perciò
trattenuta dal Marozin per suo uso personale, ma soltanto per le formazioni
partigiane, come da precisi accordi intercorsi con l'Eugenio. Tale accusa nei
confronti del Marozin si fonda anzitutto sul fatto commesso dal Bertelli e su
una campagna calunniosa che già in quell'epoca incominciava contro il Marozin.
Dovendo, pertanto, escludere che il Marozin abbia commesso detto reato, si
impone il suo proscioglimento con formula ampia.
In quell'epoca - agosto 1944 - la fama del Marozin e la sua
potenza hanno il loro apogeo, tanto è vero che il Marozin riesce non solo a
farsi rispettare da tutte le altre formazioni partigiane, ma soprattutto dai
reparti nazifascisti (tedeschi compresi), i duali non disdegnavano di
intavolare trattative di tregua col Vero.
Infatti "il giorno 11 agosto 1944 (vedi diario Turiddu)
una pattuglia così composta: Nane capo pattuglia, Uccello, Fulvio, Catiuscia,
Bosco e Stefano mossero alle ore 23 dalla base per recarsi a Bagni di Caldiero
per compiere, il giorno dopo verso le ore 20, una imboscata contro
l'autovettura del magg. Di Carlo Ciro, comandante del 408Btg. mobile della
G.N.R. con sede a Verona, e del suo aiutante maggiore, capitano Ambrosi, che si
sapeva giornalmente in transito sul tronco stradale Bagni di Caldiero-Colognola
ai Colli. Il movimento fu eseguito di notte per non attirare l'attenzione dei
molti tedeschi e dei molti fascisti esistenti nella località.
La sera del giorno 12 invece l'autovettura tardava, tanto
che alle ore 23 il capopattuglia decise di lasciare in agguato due patrioti e
con la rimanenza si recò in contrada Caneva, presso l'abitazione del Cap.
Ambrosi, per effettuare il prelevamento di alcune armi che si sapeva di sicuro
trovarsi nella stessa casa; bloccata la contrada, il Nane ed Uccello entrarono
in casa e presero le armi.
Nel frattempop una signora, mossasi da una casa ed
avvicinatasi ad Uccello, lo insultava nella sua qualità di patriota. Uccello
chiamò allora Nane e questi, con molta gentilezza, le chiedeva le generalità.
Al che la signora rispondeva: "Sono una italiana". Invitata
nuovamente a dire il suo nome si presentava come la moglie del magg. Di Carlo.
La pregò allora di accomodarsi in una vicina casa dove fu seguita subito dalla
figlia e dal figlio. Fu perquisita così la casa del magg. Di Carlo e portate
via le armi ivi trovate. Nane, alla vista del ragazzo Di Carlo, ebbe
immediatamente l'intuito che questi avrebbe potuto costituire un prezioso
ostaggio capace di mitigare e forse cambiare le relazioni fra patrioti e
militi.
Il Nane comunicò alla signora in maniera assai corretta che
avrebbe portato via il figliolo. A tale notizia la signora diede segni di
grande agitazione e di orgasmo. Nane assicurò la signora che il ragazzo sarebbe
stato trattato benissimo, che gli avrebbe usato tutte le attenzioni e premure
di ospite di riguardo e le propose anche di farlo accompagnare dall'attendente.
L'attendente fu disarmato e portato via con il ragazzo. Questi con contegno
fiero e calmo seguì i patrioti.
Il magg. Di Carlo, appena a conoscenza del fatto, inviò
subito il cappellano militare del 40° Battaglione a parlamentare e
contemporaneamente interessò il Vescovo di Verona per trattare la restituzione
del figlio. Il segretario del Vescovo fu il primo a prendere contatto con il
comandante Marozin.
Trattò con lui la serie degli ostaggi dando la facoltà di
scelta e di scambi. Il comandante Marozin pur avendo da tempo come ostaggio dei
nazifascisti la sua bambina di poco più di un anno, con generosità di uomo e
lealtà di soldato, rifiutò gli scambi e liberò il ragazzo e l'attendente senza
alcun compenso.
Il gesto cavalleresco del comandante Marozin, l'accoglienza
gentile offerta ai parlamentari, il trattamento e le premure usate ai due
ostaggi fecero emergere presso il Comando del 40° Battaglione mobile delle
G.N.R. le sue magnifiche qualità di uomo e di soldato franco e sincero, tanto
che il magg. Di Carlo, sensibile al gesto e grato, liberò tutti gli ostaggi che
lui deteneva e chiese, a mezzo del cappellano militare don Gildo Covili, un
incontro per chiarire le relazioni avvenire fra i due capi". (Vedi fogli
47 e 48 diario Turiddu).
Tale convegno avvenne il 21 agosto 1944 alle ore 16 e vi
hanno partecipato per il 40° Battaglione il magg. Di Carlo, il cap. Ambrosi, il
magg. Franzini, amministratore, ed il cappellano militare padre Gildo Covili, e
per la Brigata "Pasubio" i patrioti Turiddu, Flavio, Arno, Papà ed
Avio (al secolo precisamente ten. col. De Stefani Angelo, col. Carabinieri
Recchia, Cusmano Giuseppe, Veronese avv. Cesare e Bertelli Aldo). Ed ecco come
testualmente descrive detto convegno Turiddu.
"Il magg. Di Carlo espone chiaramente la sua fede
fascista e la sua devozione all'alleato tedesco, perché lo riconosce fedele ed
unico che potrebbe portare l'Italia alla dignità di Nazione libera. Biasima la
lotta all'uomo che si combatte da ambo le parti e dà spiegazioni e
giustificazioni, secondo il suo punto di vista, dei provvedimenti gravi che il
Comando del 40° Battaglione con il comando tedesco hanno dovuto adottare per il
passato contro i patrioti e le loro famiglie.
Manifesta il desiderio per l'avvenire di venire ad un
accordo, perché si potesse, nell'interesse della nostra Patria, evitare fatti
luttuosi che servono solamente ad acuire l'odio di parte e a scindere gli
italiani in due campi.
Il comandante Marozin espone chiaramente lo scopo della
lotta da lui combattuta e cioè quello della Libertà della Patria, la cacciata
del tedesco, unico responsabile della nostra rovina, autore di tutte le
cattiverie commesse. Tiene a precisare che la Brigata è apolitica e non
stipendiata da stranieri, agisce solo italianamente ed esclusivamente per il
bene della nostra Italia. Dato che questo punto di vista è condiviso pienamente
anche dalla parte avversaria, si conviene di studiare la maniera, senza che
d'ambo le parti si faccia rinunzia ai propri ideali fondamentali, di trovare
una soluzione per non aumentare e non compromettere il momento in cui si
potrebbe essere assieme e combattere lo straniero nella liberazione della
Patria.
Il magg. Di Carlo accetta volentieri la liberazione di
qualche ostaggio da lui tenuto e promette di aiutare e di interessarsi di
quegli ostaggi in potere delle Autorità tedesche.
Pur non essendo venuti apparentemente ad un vero accordo
il convegno ha il merito di far conoscere gli uomini, gli ideali di ciascuno,
la buona volontà esistente in entrambe le parti di abolire la persecuzione
individuale e lascia la via aperta per nuovi incontri che possano portare ad
una vera soluzione della questione. Alla fine della riunione vi è in entrambe
le parti una certa cordialità e da parte loro la promessa sicura di un
immediato incontro". (Vedi fog. 49 diario Turiddu).
"Il giorno 28 agosto 1944 il cappellano militare
padre Gildo Covili viene inviato dal Comando del 40° Battaglione mobile della
G.N.R. per consegnare al comandante Marozin delle lettere del magg. Di Carlo,
nelle quali ringrazia per l'accoglienza ricevuta durante il convegno del 21
agosto, per assicurare il suo interessamento preso per gli ostaggi in potere
dei tedeschi e per comunicare che egli ha ottenuto dalle autorità fasciste e
tedesche della provincia di Vicenza la restituzione della sua bambina. Il
cappellano reca anche una lettera nella quale il Comando del 40° Battaglione
mobile della G.N.R., le autorità fasciste della provincia di Verona e le
autorità tedesche dalle quali il 40° Battaglione dipende chiedono un convegno
per discutere alcune questioni di carattere generale in relazione ad eventuali
metodi e limitazioni nella lotta contro le forze nazifasciste perla liberazione
d'Italia e promettono intanto una tregua d'armi". (Vedi fog. 52 diario
citato).
Il Marozin aderisce di buon grado a tale convegno, poiché in
tutti è grande il desiderio di evitare lutti alle popolazioni civili. Lo stesso
comando tedesco aveva autorizzato il magg. Di Carlo a trattare con i partigiani
e così alla successiva riunione tenutasi sempre in Selva di Progno nel
pomeriggio del 3 settembre 1944 parteciparono anche gli ufficiali tedeschi.
Senonché il Marozin, sul quale avevano gli avvenimenti di
quei giorni particolarmente pesato nonché influito sulla sua manìa di
grandezza, non sa trattenersi (non si sa per quale motivo) dalla malaugurata
idea di far sfilare un reparto incontro ai parlamentari.
L'ufficiale di S.M. tedesco, notando il gruppo dei giovani
male armato e peggio equipaggiato, si rivolgeva subito al magg. Di Carlo,
dicendogli: "Questi sono i partigiani con i quali lei mi vuol far
trattare?".
Entrati, quindi, nella sala della scuola il maggiore
tedesco, dopo essersi seduto a capotavola, apostrofava in modo arrogante il
Marozin chiedendogli che cosa volesse. Al che il Marozin tentava di reagire
dichiarando che nulla aveva da dire. E così il convegno che era sorto sotto
l'egida di tante speranze si risolveva in nulla di fatto, soprattutto perché il
Marozin non aveva saputo evitare di ferire la suscettibilità militare
teutonica.
Alzatosi, quindi, il maggiore tedesco si allontanava seguìto
da tutti gli altri ufficiali e da questo momento si può ormai fissare l'inizio
della parabola discendente della gloria del Marozin.
Dopo pochi giorni, invero, da tale fallimento dei colloqui i
tedeschi "ripresero i loro sforzi". Le loro operazioni di
rastrellamento assunsero sempre più vaste proporzioni; evidente era la loro
preoccupazione di eliminare la formazione partigiana del Marozin che
paralizzava, alle loro spalle, una zona di grande importanza logistica e li
costringeva ad impegnare rilevanti forze per salvaguardare le vie di
comunicazione e di rifornimento. La lotta si riaccese sempre più aspra e sanguinosa
nelle Valli del Chiampo, Agno, Tregnago, Illasi e Squaranto.
Decisi a tutto pur di liberarsi dei partigiani, i tedeschi
impegnarono nella lotta forze sempre più crescenti, con mezzi sempre più
potenti. Il rastrellamento fu uno dei principali avvenimenti militari dell'alta
Italia, furono impiegate due divisioni di fanteria tedesca appoggiate da una
brigata corazzata e rinforzate dalle migliori unità fasciste. Tutta la zona fu
frugata palmo a palmo, ogni roccia, ogni cespuglio, ogni casolare.
Decine di contrade furono bruciate sistematicamente, tutta
la popolazione della zona fu terrorizzata con incredibili barbarie.
Di fronte alla pressione di tale imponenza di mezzi e di
uomini ed a sistemi tanto radicali, le formazioni partigiane si sgretolarono
non senza, però, aver prima combattuto strenuamente. Molti furono gli esempi di
coraggio e di eroismo.
Un ragazzo quattordicenne, detto "Checca", ferito
ed ormai morente, grida ai nazi-fascisti che gli sono addosso: "Non mi
toccate vermi, lasciatemi morire così!" e chiude gli occhi per sempre
stringendo il moschetto fra le sue braccia.
Dopo undici giorni di inenarrabili odissee, il comandante
Marozin con circa 150 uomini dei più fedeli, riuscendo a sfuggire al cerchio di
ferro e di fuoco, giunse nella zona Cracchi-Roma, nella quale, dopo avere avuto
un breve colloquio col capo della missione R.Y.E., accettò di passare con tutta
la formazione alle dipendenze del col. Ricca Umberto detto "Rito"
(vedasi fogg. 62 e 63 rel. Ricca).
Nel frattempo il Comando Triveneto, di fronte alle ripetute
prove di indisciplina date dal Marozin nei confronti di detto Comando (più
volte aveva rifiutato di passare alle sue dipendenze, adducendo che la Brigata
era e doveva ritenersi apolitica) veniva dichiarato ribelle e come tale
condannato alla pena di morte, e in tal senso venivano date le opportune
disposizioni alle formazioni dipendenti, ed invitati i partigiani appartenenti
alle formazioni del Marozin a passare ad altri reparti.
Molti partigiani passarono nelle formazioni garibaldine del
Comando Gruppo Brigate "A. Garemi" del quale era comandante
"Alberto" e Commissario Politico "Aramin" e vengono
accolti, come si legge nell'ordine del giorno 9-11-1944, "nelle formazioni
garibaldine, improntate del più alto spirito democratico, e fuori del vecchio
dispotismo del loro ex-comandante fuori-legge... in un'atmosfera di cameratismo
garibaldino più adatta ai combattenti volonterosi della libertà".
Molti, così, abbandonarono il Marozin, il quale, stanco ed
avvilito, ma non domo, decideva di trasferirsi a Milano con tutti gli uomini
che gli erano rimasti ancora fedeli, poiché sperava di trovare nella metropoli
lombarda assistenza e soprattutto la possibilità di continuare la lotta.
Il gruppo, infatti, del Marozin, a seguito dei
rastrellamenti susseguitisi nell'ultimo periodo quasi ininterrottamente, si era
ridotto ad una quarantina circa di gloriosi straccioni, ricercati come bestie
feroci, mal vestiti ed affamati. Il trasferimento avvenne a piccoli
gruppi, in bicicletta e con mezzi di fortuna, ma non tutti raggiunsero la città
lombarda: "Ciccio" (Rino De Momi) venne catturato e fucilato; altri
due pure furono catturati; altri persero ogni collegamento e così il gruppo già
sparuto si assottigliò ancora di più. A Milano il calvario dei pochi superstiti
della Divisione "Pasubio "non ebbe subito fine, poiché, giunti nella
città lombarda con scarsi mezzi finanziari e privi d'ogni collegamento col
C.LN., il Marozin ed i suoi fidi patirono nei primi tempi perfino la fame.
Successivamente, raggiunti i contatti col ten. col. di S.M. Palumbo, i resti
della "Pasubio" vennero passati alle dipendenze del Comando Generale
Brigate Matteotti, di cui era comandante l'on.le Bonfantini Corrado.
Avuti i primi aiuti il Marozin riorganizzava i suoi uomini
e, con l'arrivo di altri partigiani dal Veronese, poteva formare una nuova
brigata, alla quale con altre due formazioni diede in breve vita in Milano alla
Divisione "Pasubio".
Detta formazione, composta per lo più dai gloriosi veterani
della omonima formazione, incominciò ben presto a far parlare di sè: la
liberazione di una ventina di prigionieri politici, operata nell'ospedale
maggiore di Milano nel febbraio del 1945, immobilizzando i militi della G.N.R.
posti a loro custodia, moltissimi disarmi di fascisti, alcune uccisioni di
nazi-fascisti (esecuzione di due noti attori cinematografici), attacchi a
banche ecc. costituirono le ultime operazioni della Divisione
"Pasubio" prima della liberazione compiuta in quel di Milano.
Nei giorni dell'insurrezione il Marozin con i suoi uomini
prende viva parte all'ultima attività partigiana, riuscendo fra l'altro ad
impossessarsi delle 3 chiavi della Zecca dello Stato, funzionante in
quell'epoca in Milano, Via Mantegna. Una volta venuto in possesso di tali
chiavi il Marozin, come dallo stesso precisato (vedi fogg. 2 e 3 suo
interrogatorio), non riteneva per ovvii motivi di consegnarle a rappresentanti
qualificati di partito, ma ai legittimi rappresentanti della Resistenza, del
governo italiano del Sud e del Comando Alleato.
Consegnava perciò soltanto due delle tre chiavi in suo
possesso a "Valerio", allora Capo di Stato Maggiore del C.V.L.,
riservandosi di consegnare la terza, senza la quale non sarebbe stato possibile
entrare nella Zecca, ai rappresentanti predetti (vedi ricevuta di cui la copia
fotostatica in atti a fog. 14 del seguente tenore: "Comitato di
Liberazione Nazionale Alta Italia. Corpo Volontari della Libertà. Comando
Generale - Milano 30 aprile 1945. Si dichiara di aver ricevuto dal Comando
della Divisione Pasubio (comandante Giuseppe Marozin) oggi 30-4-1945 alle ore
8, n. 2 mazzi di chiavi della camera del tesoro, da trasmettere alla
Prefettura, tramite questo Comando. I due mazzi di chiavi sono composti
precisamente uno da due chiavi tipo Wally e l'altro da una chiave tipo Wally e
da due chiavette tipo lucchetto. Il Comando Generale - l'addetto Colonnello
Valerio; firmato Valerio").
Dopo di che il giorno 3 maggio 1945 il Marozin veniva avvertito
che la madre, alla quale era particolarmente attaccato, era stata liberata da
un campo prigionieri ed era ritornata in Arzignano.
Apprendendo tale notizia il Marozin non può trattenersi dal
desiderio di partire subito per Arzignano per riabbracciare la vecchia
genitrice.
E così con due autovetture e con alcuni suoi fidi il Marozin
ritornò il giorno 3 maggio 1945 in Arzignano, per rivedere la madre.
Senonché giunto in detto paese apprendeva che la notizia era
completamente falsa; si tratteneva ugualmente in zona, distribuendo ad alcuni
parroci sussidi in denaro. Verso le ore 5 del 4 maggio 1945, scendendo in
macchina lungo la Valle del Chiampo verso Arzignano, il Marozin veniva fatto
segno, in località S. Rocco, a colpi d'arma da fuoco, cosicché immediatamente
reagiva riuscendo a catturare tre giovani che subito dichiaravano di aver fatto
ciò su ordine del loro comando partigiano.
Il Marozin, allora, accompagnava i tre patrioti ai
carabinieri di Arzignano e quindi si dirigeva con i suoi uomini verso Vicenza,
senonché nei pressi dell'autorimessa "Monticello" avveniva un
conflitto a fuoco tra partigiani. Come sia accaduto ciò, le versioni sono
alquanto contrastanti, cosicché si ritiene opportuno riportare integralmente le
dichiarazioni rese dai due maggiori protagonisti, il Marozin ed il Tigre,
nonché il resoconto fatto subito dopo tale episodio dal giornalista Donald
Downes.
Il Marozin così dichiarava (vedi fog. 2 e segg. suo
interrogatorio):
"Vedevo venir avanti circa 25 partigiani armati e
comandati da certo Tigre. In quel momento mi trovavo fermo davanti
all'autorimessa Monticello, poiché stavo facendo fare il pieno di benzina
all'automobile. Con me vi erano circa 7 o 8 partigiani che mi avevano
accompagnato da Milano, elementi fidatissimi e da lungo tempo militanti nelle
formazioni della Resistenza. Improvvisamente venivo fatto segno a colpi d'arma
da fuoco e, prima che mi potessi rendere conto di quanto stava succedendo,
cadevo ferito unitamente ad altri due o tre miei partigiani. Gli altri che
erano con me aprivano immediatamente il fuoco, riuscendo in tal modo a fermare
i nostri aggressori che stavano avvicinandosi. Nel contempo uno dei miei fedeli
riusciva a telefonare al Comando Alleato di stanza a Montecchio Maggiore, il
quale prontamente interveniva con delle autoblindo.
Anche quando ero caduto a terra ferito, sono stato fatto
segno a colpi di arma da fuoco, senza peraltro venire ancora colpito. Dal
Comando Alleato venivo fatto trasportare a Milano, dove sono rimasto per un
lungo periodo degente in un ospedale. Per quanto riguarda tale aggressione
ritengo che il motivo debba ricercarsi nel fatto che volevano impossessarsi
della terza chiave in mie mani. Deduco ciò: I) dall'avermi fatto andare ad
Arzignano con la certezza che mia madre era stata rilasciata dal campo di
concentramento, sapendo che ciò era l'unico motivo per cui mi sarei mosso da
Milano; 2) dalle modalità stesse dell'aggressione come sono state da me
riferite; 3) dall'ordine dato ai partigiani di Vicenza, i quali non potevano né
erano nelle condizioni di sapere che io il 3 sera o nelle prime ore del 4
maggio mi sarei trovato in tale zona.
Non posso, infatti, credere che il "Tigre"
abbia agito in seguito alla Sentenza (della cui esistenza dubito, non avendola
mai vista) con la quale sarei stato condannato a morte...
Durante la mia degenza presso l'Ospedale S. Giuseppe di
Milano consegnavo al dott. Ferruccio Gabellini, Direttore Generale
dell'Istituto Poligfafico dello Stato, a Eucardio Momigliano, Commissario straordinario
e rappresentante allora del Ministero del Tesoro, ed a un Maggiore Generale
alleato, la terza chiave, come da ricevuta rilasciatami a firma dei tre
predetti il giorno 19 maggio 1945 del seguente tenore: "Dichiaro di
ricevere dal Comando della Divisione una serie delle chiavi del Tesoro di Via
Mantegna, presa in consegna da questa Divisione. Con la consegna delle suddette
chiavi è ultimata la restituzione del materiale preso in consegna. Firmato: i
tre suddetti".
Il Tigre ha, da parte sua, sostenuto:
"Dopo la liberazione, presidiavo con la mia brigata
"G. Veronese" la Valle del Chiampo fino ad Arzignano. Nella sera del
3 maggio 1945, recandomi a Brogliano per salutare i miei famigliari, mi
incontravo uscendo da Arzignano con alcune macchine dalle quali delle persone
sparavano all'impazzata. Non davo alcuna importanza alla cosa, poiché in quei
giorni tutti sparavano. Verso le ore 20 ritornavo in Arzignano e non vedendo
circolare persona alcuna, mi preoccupavo di tale fatto. Apprendevo così che
nella zona vi era stato il Marozin, il quale, durante la mia assenza, aveva
parlato in piazza: aveva minacciato di morte ed era stato nelle carceri
bastonando dei prigionieri.
Sentendo ciò mi preoccupavo maggiormente e ritenevo
opportuno ed urgente avvertire il comando partigiano di Valdagno dal quale
dipendevo, recandomi subito personalmente. Parlavo, quindi, con Jura e Catone,
i quali mi davano l'ordine di catturare il Marozin, cosicché, ritornato in
Arzignano, impartivo le opportune disposizioni, avvertendo i partigiani di
Tezze e quelli di Bolca e quindi me ne andavo a letto.
Verso le ore 7 del 4 maggio 1945 venivo avvertito che il
Marozin stava disarmando i partigiani, cosicché mi recavo all'albergo "La
Rosa" nel quale in quell'epoca alloggiava un reparto partigiano.
Informavo detti partigiani di quanto stava succedendo e
con circa 15 uomini mi mettevo in cerca del Marozin. Giunto alla caserma dei
carabinieri accertavo che anche i carabinieri, da me armati la sera prima a
loro richiesta, erano stati disarmati qualche ora prima dal Marozin, il quale
stava spargendo ovunque il terrore, tanto più che la sera precedente aveva
precisato che avrebbe fucilato una ventina di persone.
Mentre mi trovavo sulla strada nei pressi della caserma
dei carabinieri, scorgevo poco lontano verso Vicenza un carrettino trainato da
un cavallo con sopra dei bidoni per latte e dietro a breve distanza il Marozin.
Immediatamente davo ordine agli uomini di nascondersi,
mentre io, stando in mezzo alla strada e tenendo il mitra puntato verso terra,
mi avvicinavo al Marozin, il quale, vedendomi, si muoveva a sua volta verso di
me tenendo la pistola puntata e circondato dai suoi uomini sparsi a scacchiera
e cioè come volessero impegnare combattimento. Data la distanza (oltre 50
metri) e confidando nel fatto che nessuno avrebbe sparato, continuavo ad
avvicinarmi.
Improvvisamente il Finco si staccava dal gruppo e
approfittando di alcuni ripari offertigli dalle stesse condizioni del luogo
cercava di aggirarmi e cioè di prendermi alle spalle.
Senonché veniva visto sia da me che dai miei uomini ed
allora il Finco rompeva improvvisamente gli indugi aprendo il fuoco contro di
noi, che subito abbiamo risposto. Il Finco cadeva subito ferito ed io attendevo
di sparare solo contro il Marozin, poiché desideravo di colpirlo per primo.
Nel frattempo l'autovettura dietro la quale il Marozin si
era nascosto si incendiava cosicché questi era obbligato ad uscire da tale
riparo ed io allora potevo colpirlo ad una gamba. Il Marozin così ferito veniva
subito soccorso dai suoi uomini e trasportato dietro ad un riparo mentre il
fuoco continuava cruento dall'una e dall'altra parte.
Da una casa vicina veniva per telefono avvertito il
Comando americano, che immediatamente mandava sul luogo dei militari che
ordinavano la cessazione del fuoco... Non ero affatto a conoscenza che il
Marozin, quando è venuto ad Arzignano, fosse in possesso delle chiavi della
Zecca d'Italia".
Il giornalista Donald Downes, appartenendo all'Agenzia di
notizie di oltremare Pro.Det.A. AFHQ-APO 512 U.S. Army, così riferiva
l'episodio in questione (vedi copie fotostatiche in atti all. int. unp.):
"A chi di diritto. Alla fine di aprile ed al
principio del maggio 1945 ero molto interessato a scrivere sul movimento
partigiano dell'Italia del Nord. Tra gli altri ufficiali e capi partigiani
incontrai Giuseppe Marozin detto "Vero", il capo della Divisione Pasubio.
Venivo il 6 maggio informato che egli era stato vittima
di una imboscata con pochi suoi uomini, coi quali, come mi aveva detto, stava
recandosi ad Arzignano. Prima di partire mi disse che non era benvoluto nella
provincia di Vicenza-Arzignano, poiché egli si era rifiutato di eseguire ordini
politici e di fare parte con la sua divisione del partito comunista.
Preso con me Guidobaldo Trionfe quale interprete, partii
subito con la jeep per il luogo dell'imboscata per raccogliere notizie dei
fatti allo scopo di scriverne la storia per la stampa americana: attriti nel
movimento partigiano tra i partiti politici. A Vicenza intervistai il sig.
Lievore, capo del C.L.N., il quale mi disse che Marozin aveva causato molte
noie per aver combattuto i tedeschi troppo apertamente ed in questo modo aveva
causato rappresaglie da parte dei tedeschi contro villaggi.
Mi precisò che il Marozin non si era sottomesso alla
disciplina e che si era rifiutato di eseguire i suoi ordini. Aggiunse che il
Marozin fu condannato a morte dal C.L.N. di Vicenza nel novembre del 1944 per
dette trasgressioni. Avendogli chiesto come erano rappresentati i partiti
in seno al C.L.N. in occasione di detta condanna, egli mi disse che solamente
il suo partito (comunista) era rappresentato, poiché tutti gli altri
rappresentanti politici erano stati arrestati dai tedeschi.
Lievore ammise, con un pò di vanteria, che aveva dato
ordine il 4 maggio 1945 ad un uomo chiamato Tigre (nome di battaglia): Marozin
sta venendo a Vicenza da Arzignano; prendete i vostri partigiani e spazzatelo
via.
Più tardi, nello stesso giorno, visitai i feriti
dell'imboscata ricoverati presso l'ospedale di Arzignano, trovando quasi un
completo accordo fra gli uomini della Pasubio ed il Tigre sui fatti
dell'imboscata, cioè che un numeroso gruppo di uomini del Tigre aveva aperto il
fuoco su pochi uomini della Pasubio, mentre quest'ultimi erano disarmati e
stavano riempiendo di benzina ad un garage di Arzignano le loro due
autovetture.
Quando chiesi al Tigre perché avesse sparato contro il
Marozin ed i suoi uomini, egli mi rispose di aver ricevuto ordine dal C.L.N. di
Vicenza di spazzarlo via, usando così le medesime parole pronunciatemi poco
prima dal Lievore.
Interrogato sul conto del Marozin, il Tigre si dimostrò
una persona onesta e coraggiosa, asserendo che aveva obbedito agli ordini
poiché personalmente nulla aveva contro il Marozin da esso ritenuto "un
buon soldato". Tigre ammise di aver fatto parte della Divisione Pasubio e
di averla abbandonata per istruzione del partito... ma non volle dire quale
partito".
Ritornando quindi a Milano, il Marozin, dopo essere stato
per alcuni giorni degente presso un ospedale e dopo essere stato visitato anche
da alcune persone (fra le altre Piva Aurelio) inviate da Vicenza per sapere
quali fossero le sue effettive intenzioni e per raggiungere un accordo, viene
denunciato all'A.G. e quindi vengono emessi nei suoi confronti dei gravi
provvedimenti, fra cui due mandati di cattura, che fanno in tal modo sfumare la
sua meteora di gloria. E così: "due volte nella polvere, due volte
sull'altar".
Ciò premesso, osservasi che non è certamente compito del
Giudice indagare quale importanza abbia avuto l'opera del Marozin nel movimento
di Liberazione né tanto meno precisare o criticare i suoi meriti, poiché ciò è
dovuto agli storici e soprattutto incombe "ai posteri l'ardua
sentenza".
Da quanto comunque succintamente esposto in fatto emerge
chiaramente che tutta l'attività del Marozin è stata improntata ad un unico
scopo: combattere i nazi-fascisti. Che, poi, nel far ciò abbia spesso trasceso
e nei sistemi e nei metodi, non può essere in questa sede preso in esame,
poiché ai fini dell'attuale procedimento è sufficiente affermare che tutti i
reati commessi dal Marozin e dai suoi dipendenti devono ritenersi operazioni
compiute per necessità di lotta contro i tedeschi ed i fascisti nel periodo
dell'occupazione.
È ovvio che sino all'emanazione dell'ultimo provvedimento di
clemenza (D.P.R. 117-1959 n. 46 b) non poterono ritenersi estinti per amnistia
i fatti commessi in quel di Arzignano il 4-5-1945, poiché era alquanto
problematico, per non dire impossibile, ritenere tali episodi commessi per
necessità di lotta contro i nazi-fascisti, essendo avvenuti tra partigiani
stessi e già a liberazione compiuta.
L'art. 1 lett. a), estendendo l'amnistia a tutti i reati
politici dal 25 luglio 1943 al 18 giugno 1946, permette di far rientrare con
tutta tranquillità in tale atto di clemenza anche tale doloroso e cruento
episodio, poiché l'art. 8 ultimo comma C.P. ha tale ampia portata da recepire
anche i reati comuni commessi in occasione del delitto politico. Dal che
discende che, a qualsiasi delle tre versioni riferite si voglia dar credito,
l'episodio 4 maggio 1945 deve sempre considerarsi politico, perché è stato
sempre e comunque determinato allo scopo di favorire, contrastare, realizzare
idee, tendenze politiche, sociali e religiose nella già esistente inimicizia
per profondi contrasti politici.
Dalla esperita istruttoria e soprattutto dall'ampia
documentazione raccolta e dalle deposizioni degli innumerevoli testi escussi
sono emerse prove sufficienti di reità a carico di ciascun imputato in ordine
ai reati rispettivamente loro ascritti, cosicché anche se qualcuno di essi ha
negato la sua partecipazione a qualche episodio in questione, il suo diniego
non ha alcun valore, poiché è smentito dalle precise, ulteriori ed ineccepibili
risultanze processuali.
Il loro comportamento, perciò, assai ingiustificato depone,
per ovvie considerazioni, non certamente a loro favore e offre il fianco a
critiche non del tutto benevole.
Molti dei protagonisti dell'attività partigiana del Marozin
hanno pagato col sangue il loro eroico attaccamento alla causa del movimento
partigiano e nei loro confronti deve essere in conseguenza dichiarata
l'estinzione dei reati ascritti.
P.Q.M.
Visti gli artt.378C.P.P.-150-151 C.P.- 890C.P.P.
D.P.17-11-1945 n.719 D.P.R.11- 7-1951 n. 450.
Sulle conformi conclusioni del P.M.
dichiara chiusa la formale istruzione:
dichiara
non doversi procedere nei confronti di Chiarotto Ilio,
Colanesi Pellegrino, De Momi Ri¬no, Faccin Giuseppe, Massignan Angelo, Turra
Giovanni Francesco, Veronese Cesare, Bertelli Aldo, Ceoloni Ardineo, Coffele
Attilio e Florio Refizo in ordine ai reati loro ri¬spettivamente ascritti in
epigrafe, per essere gli stessi estinti per morte dei rei;
dichiara
non doversi procedere nei confronti di Marozin Giuseppe in
ordine ai reati di cui al n. sub 8) e 15) del capo di imputazione, per non aver
commesso i fatti;
dichiara
non doversi procedere nei confronti di Marozin Giuseppe,
Antemi Antenore, Sperotti Marino, De Megni Giulio, Cavaliere Umberto, Pozza
Luciano Pietro, Nardi Antonio, Tessari Bruno, Menin Sergio, Negretto Paride e
Perazzolo Luigi in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti ai numeri da
1)a 7)e da 9) a 18) del capo di imputazione, per essere gli stessi estinti per
amnistia di che al D.P. 17-11-1945 n. 719;
dichiara
non doversi procedere nei confronti di Zavanella Ercole in
ordine ai reati di che ai n. 10 e 12 del capo di impata7ione per essere gli
stessi estinti ai sensi del succitato Decreto di amnistia ed in ordine al reato
di che al n. 15 del capo di imputazione, perché l'azione penale non può essere
esercitata per inammissibilità di un secondo giudizio;
dichiara
non doversi procedere nei confronti di Marozin Giuseppe,
Melotti Focione, Antemi Antenore, Guarienti Francesco, Intelvi Luigi, Cattazzo
Adelino, Cavaliere Giuseppe, Baldisserotto Gino, Baldiserotto Tarcisio e
Zanderigo Bortolo in ordine ai reati di cui al n.19 e 20 della rubrica per
essere gli stessi estinti per l'amnistia di che al D.P. 11-7-1951 n. 460 art. I
lett. a); già esistente inimicizia per profondi contrasti politici.
Dalla esperita istruttoria e soprattutto dall'ampia
documentazione raccolta e dalle deposizioni degli innumerevoli testi escussi
sono emerse prove sufficienti di reità a carico di ciascun imputato in ordine
ai reati rispettivamente loro ascritti, cosicché anche se qualcuno di essi ha
negato la sua partecipazione a qualche episodio in questione, il suo diniego
non ha alcun valore, poiché è smentito dalle precise, ulteriori ed ineccepibili
risultanze processuali.
Il loro comportamento, perciò, assai ingiustificato depone,
per ovvie considerazioni, non certamente a loro favore e offre il fianco a
critiche non del tutto benevole.
Molti dei protagonisti dell'attività partigiana del Marozin
hanno pagato col sangue il loro eroico attaccamento alla causa del movimento
partigiano e nei loro confronti deve essere in conseguenza dichiarata
l'estinzione dei reati ascritti.
P.Q.M.
Visti gli artt.378C.P.P.-150-151 C.P.- 890 C.P.P.
D.P.17-11-1945 n.719 D.P.R.11- 7-1951 n. 450.
Sulle conformi conclusioni del P.M.
dichiara
chiusa la formale istruzione:
dichiara
non doversi procedere nei confronti di Chiarotto Ilio,
Colanesi Pellegrino, De Momi Ri¬no, Faccin Giuseppe, Massignan Angelo, Turra
Giovanni Francesco, Veronese Cesare, Bertelli Aldo, Ceoloni Ardineo, Coffele
Attilio e Florio Renzo in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti in
epigrafe, per essere gli stessi estinti per morte dei rei;
dichiara
non doversi procedere nei confronti di Marozin Giuseppe in
ordine ai reati di cui al n. sub 8) e 15) del capo di imputazione, per non aver
commesso i fatti;
dichiara
non doversi procedere nei confronti di Marozin Giuseppe,
Antemi Antenore, Sperotti Marino, De Megni Giulio, Cavaliere Umberto, Pozza
Luciano Pietro, Nardi Antonio, Tessari Bruno, Menin Sergio, Negretto Paride e
Perazzolo Luigi in ordine ai reati loro ri¬spettivamente ascritti ai numeri da
1)a 7)e da 9) a 18) del capo di imputazione, per essere gli stessi estinti per
amnistia di che al D.P. 17-11-1945 n. 719;
dichiara
non doversi procedere nei confronti di Zavanella Ercole in
ordine ai reati di che ai n. 10 e 12 del capo di imputazione per essere gli
stessi estinti ai sensi del succitato Decreto di amnistia ed in ordine al reato
di che al n. 15 del capo di imputazione, perché l'azione penale non può essere
esercitata per inammissibilità di un secondo giudizio;
dichiara
non doversi procedere nei confronti di Marozin Giuseppe,
Melotti Focione, Antemi Antenore, Guarienti Francesco, Intelvi Luigi, Cattazzo
Adelino, Cavaliere Giuseppe, Baldisserotto Gino, Baldiserotto Tarcisio e
Zanderigo Bortolo in ordine ai reati di cui al n. 19 e 20 della rubrica per
essere gli stessi estinti per l'amnistia di che al D.P. 11-7-1951 n. 460 art. 1
lett. a);
dichiara
non doversi procedere nei confronti degli imputati di cui ai
n.15,20,27,28,29,30,31 e 34 per essere rimasti gli stessi ignoti.
Vicenza, 30-6-1960
Il Giudice Istruttore
F.to Dott. F. Canilli
Il Cancelliere
F.to Rainaldi
Depositato in cancelleria addì 30 giugno 1960.
Il Cancelliere F.to L. Rainaldi
Visto: Venezia 3-7-60 il sost. proc. gen. Dr. Lorenzo
Vimegotto.
Non impugnata dal P.G.
Vicenza, 16 luglio 1960 - Il Cancelliere F.to Rainaldi
Fonte: da storia vicentina.it
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