Il fatto, registrato e trasmesso per la prima volta dai Sumeri, che l'Uomo era stato creato dai Nefilim, sembra a prima vista fare a pugni sia con la teoria evoluzionistica sia con i precetti ebraico-cristiani basati sulla Bibbia. In realtà, però, i dati contenuti nei testi sumerici - e solo quei dati - affermano tanto la validità della teoria dell'evoluzione quanto la veridicità del racconto biblico, mostrando che non vi è alcuna contraddizione tra l'una e l'altro.
Nel racconto epico Quando
gli dèi come gli uomini, in altri testi specifici e in riferimenti sparsi,
i Sumeri hanno descritto l'uomo sia come creatura derivante da un atto
deliberato degli dèi sia come un anello della catena evolutiva che cominciò con
gli eventi celesti descritti nell'Epica della Creazione.
Partendo dal presupposto che la creazione dell'uomo fu
preceduta da un'epoca in cui la Terra era abitata soltanto dai Nefilim, i testi sumerici riferivano
numerosi avvenimenti (come l'incidente tra Enlil e Ninlil, per esempio) che si
erano verificati «quando l'uomo non era ancora stato creato, quando Nippur era
abitata solo da dèi». Al tempo stesso i testi ci parlano della creazione della
Terra e dello sviluppo di piante e animali in termini che corrispondono alle
attuali teorie evoluzionistiche. Quando infatti i Nefilim giunsero sulla Terra,
non esisteva ancora sul nostro pianeta alcuna forma di coltivazione di cereali
o frutta, né di allevamento del bestiame. Anche la Bibbia colloca la creazione
dell'uomo nel sesto "giorno" del processo evolutivo. Il Libro della
Genesi afferma poi che nel precedente stadio evolutivo:
Nessuna pianta del campo era
ancora sulla Terra,
nessuna erba mai piantata era
ancora cresciuta...
E non c'era ancora l'uomo a
lavorare il suolo.
Tutti i testi sumerici affermano che gli dèi crearono l'uomo
perché questi facesse il loro lavoro. Con parole attribuite a Marduk l'Epica della Creazione così
spiega la decisione:
Io produrrò un umile primitivo;
"Uomo" sarà il suo
nome.
Creerò un lavoratore primitivo;
egli avrà in carico il lavoro
degli dèi,
affinché essi non si stanchino.
I termini stessi con i quali i Sumeri e gli Accadi
chiamavano l'"uomo"
mettono in evidenza la sua condizione e la sua funzione: egli era un lulu ("primitivo"), un lulu
amelu ("lavoratore primitivo"),
un awilum ("faticatore").
Che l'uomo fosse stato creato per essere un servitore degli
dèi non stupiva affatto i popoli antichi. In epoca biblica, infatti, la
divinità era "Signore",
"Sovrano", "Re", "Maestro". Anche il
termine che viene comunemente tradotto con "adorazione" significava in realtà "lavoro" (avod): perciò
l'uomo antico, l'uomo biblico, non "adorava" il suo dio, ma lavorava
per lui. Non appena la Divinità biblica, così come gli dèi sumerici, ebbe
creato l'uomo, fece anche un giardino e lo assegnò all'uomo perché lo
lavorasse:
E il Signore Dio prese
l'"uomo"
e lo pose nel giardino dell'Eden
perché lo coltivasse e lo
curasse.
Più avanti, la Bibbia descrive la Divinità che «passeggia in
giardino alla brezza del giorno», ora che il nuovo essere aveva cura del
Giardino dell'Eden. Ma è così lontana questa versione dai testi sumerici che
descrivono la protesta degli dèi e il loro desiderio di affidare ad altri
"lavoratori" il loro oneroso compito, in modo da potersi riposare? Le
fonti sumeriche ci dicono che la decisione di creare l'uomo venne presa
collettivamente da tutti gli dèi riuniti in assemblea. Anche il Libro della
Genesi, tuttavia, pur esaltando apparentemente l'impresa di un'unica divinità,
usa significativamente il plurale Elohim (letteralmente, "dèi") per
indicare "Dio" e gli attribuisce una ben strana affermazione:
Ed Elohim disse:
«Facciamo l'uomo a nostra
immagine,
a nostra somiglianza».
Sembrano esservi un po' troppi plurali in questa frase! A
chi stava parlando questa divinità unica ma plurale (Elohim), e a immagine e somiglianza di chi
("nostra") intendeva creare l'uomo? Il Libro della Genesi
non dà risposta a questa domanda.
Poi, quando Adamo ed Eva mangiarono il frutto dell'Albero
della Conoscenza, Elohim pronunciò un altro avvertimento, rivolgendosi sempre a
imprecisate entità simili a lui:
«Ecco, l'Uomo è divenuto uno di noi, e conosce il bene e il male».
«Ecco, l'Uomo è divenuto uno di noi, e conosce il bene e il male».
Poiché il racconto biblico della creazione, come anche le
altre vicende iniziali della Genesi, ha un'origine sumerica, la risposta è
evidente: condensando i molti dèi in un'unica Divinità Suprema, il racconto
biblico non è che una rivisitazione della versione sumerica delle discussioni
nell'assemblea degli dèi.
L'Antico Testamento si preoccupa di chiarire che l'uomo non
è un dio, né proviene dal cielo. «I Cieli sono i Cieli del Signore,
all'umanità Egli ha dato la Terra».
Il nuovo essere fu chiamato "l'Adamo" perché era stato creato dall'adama, il suolo della
Terra: egli era, in altre parole, "il Terrestre". Ad Adamo,
dunque, mancava una certa "conoscenza" e un arco di vita
"divino"; per il resto, egli era stato creato a immagine (seleni)
e somiglianza (dmut) del suo Creatore (o dei suoi creatori, a seconda delle
versioni).
L'uso congiunto dei
due termini "immagine" e "somiglianza" doveva servire a
chiarire che l'uomo era simile a Dio (o agli dèi) dal punto di vista sia fisico
sia emotivo, esternamente e internamente. In tutte le antiche raffigurazioni pittoriche
di dèi e uomini, tale somiglianza fisica appare evidente.
Sebbene il divieto biblico di adorare immagini pagane avesse
fatto pensare che il Dio ebraico non avesse "né immagine né somiglianza", in realtà non soltanto la Genesi,
ma anche altri brani biblici attestano il contrario.
Il Dio degli antichi ebrei si poteva vedere faccia a faccia,
si parlava con lui e lo si ascoltava; egli aveva testa e piedi, mani e dita. Il
Dio biblico e i suoi messaggeri avevano l'aspetto di uomini e come uomini si
comportavano, perché gli uomini erano stati creati appunto per sembrare dèi e
comportarsi come loro.
Ma dietro questa semplicità si nasconde un grande mistero.
Com'è possibile che una nuova creatura fosse una copia fisica, mentale ed
emotiva dei Nefilim? Come fu creato, allora, l'uomo?
Il mondo occidentale è stato a lungo abituato a pensare che
l'uomo, creato con un atto volontario, fosse stato messo sulla Terra per
assoggettarla e per avere una posizione di predominio su tutte le altre
creature. Poi, nel novembre 1859, un naturalista inglese, Charles Darwin,
pubblicò un trattato intitolato Sull'origine delle specie per mezzo della
selezione naturale, o sulla conservazione delle razze favorite nella lotta per
la vita. Riassumendo trent’anni di studi, l'opera completava il precedente
concetto di evoluzione naturale aggiungendovi quello di selezione naturale come
conseguenza della lotta di tutte le specie - animali e vegetali - per la
sopravvivenza.
La concezione cristiana del mondo aveva già subito una prima
scossa quando, dal 1788 in poi, alcuni geologi avevano cominciato ad avanzare
l'ipotesi che la Terra fosse molto antica, molto di più dei circa 5.500 anni
calcolati secondo il calendario ebraico.
Nemmeno il concetto di evoluzione in quanto tale aveva fatto
tanto scalpore: in realtà già in precedenza gli scienziati ne avevano parlato
e, fin dal IV secolo a.C. gli studiosi greci avevano raccolto dati
sull'evoluzione della vita animale e vegetale.
La vera "bomba" fatta esplodere da Darwin fu la
sua conclusione che tutti gli esseri viventi, compreso l'uomo, erano prodotti
dell'evoluzione. L'uomo, dunque, al contrario di quanto si era fino ad allora
creduto, non si era affatto generato spontaneamente.
Inizialmente la reazione della Chiesa fu violenta. Poi, via
via che vedevano la luce gli studi sulla vera età della Terra, sull'evoluzione,
la genetica e altri argomenti di biologia e antropologia, le critiche della
Chiesa si affievolirono.
Alla fine furono proprio le parole dell'Antico Testamento,
considerate in maniera più attenta e più critica, a confutare la visione
d'insieme fino a quel momento dominante: come era possibile, infatti, che un
Dio che non aveva corpo e che era unico e solo avesse detto: «facciamo
l'uomo a nostra immagine e somiglianza!».
Ma è proprio vero che noi non siamo altro che "scimmie
nude"? Che dalle scimmie ci separa, dal punto di vista evolutivo, solo una
spanna e che dunque questi nostri "progenitori" non sono che degli
umani che non hanno ancora perso la coda e acquisito la stazione eretta?
Come abbiamo dimostrato all'inizio di questo libro, gli
scienziati moderni tendono ormai a diffidare di queste teorie del tutto
lineari. L'evoluzione può spiegare il corso generale degli eventi che portarono
alla formazione della vita e ai suoi sviluppi sulla Terra, dalle più semplici
creature unicellulari all'uomo.
Ma l'evoluzione non può rendere conto della nascita
dell'Homo sapiens, che apparve praticamente da un giorno all'altro, in rapporto
ai milioni di anni che il passaggio da uno stadio evolutivo all'altro dovrebbe
comportare; e per di più apparve senza che vi sia traccia di stadi precedenti
che indichino un mutamento graduale dall'Homo erectus. L'ominide del genere Homo è un prodotto dell'evoluzione.
L ' Homo sapiens, invece, è il prodotto di un evento
improvviso, rivoluzionario: esso apparve inspiegabilmente circa 300.000 anni
fa, milioni di anni troppo presto rispetto ai normali ritmi evolutivi. Gli
scienziati non sanno spiegare questo fenomeno. Noi sì. E lo spiegano anche i
testi sumerici e babilonesi. E anche l'Antico Testamento. L'Homo sapiens -
l'uomo moderno - fu creato dagli antichi dèi.
Quanto all'epoca di questa creazione, per fortuna i testi
mesopotamici contengono dati abbastanza chiari. Il racconto delle fatiche e del
conseguente ammutinamento degli Anunnaki ci informa che «per 40 periodi essi
dovettero subire il lavoro, notte e giorno»; e per sottolineare il dramma di
questa grande fatica, i versi si ripetono angosciosi.
Per 10 periodi essi patirono la
fatica;
Per 20 periodi essi patirono la
fatica;
Per 30 periodi essi patirono la
fatica;
Per 40 periodi essi patirono la
fatica.
I testi antichi usano il termine ma per indicare il "periodo", e quasi tutti gli studiosi hanno sempre tradotto
questa parola con "anno".
In realtà, però, quel termine indica «qualcosa
che si completa e si ripete»: per gli uomini e per la Terra un anno
equivale a un'orbita completa attorno al Sole, ma, come abbiamo già visto,
l'orbita del pianeta dei Nefilim si completa in uno shar, cioè 3.600 anni
terrestri.
Quaranta shar, o 144.000 anni terrestri, dopo il primo
atterraggio gli Anunnaki protestarono al grido di «Adesso basta!».
Se dunque i Nefilim atterrarono per la prima volta, come noi
riteniamo, circa 450.000 anni fa, allora la creazione dell'uomo deve essere
avvenuta circa 300.000 anni fa.
I Nefilim non crearono i mammiferi o i primati o gli
ominidi.
"L'Adamo" della Bibbia non è il genere Homo in
quanto tale, ma l'essere che rappresenta il nostro diretto progenitore, il
primo Homo sapiens. E l'uomo moderno, come noi lo conosciamo, a essere stato
creato dai Nefilim.
La chiave per capire questo fatto cruciale sta nel racconto
di Enki, che viene svegliato nel cuore della notte con la notizia che gli dèi
avevano deciso di dar forma a un adamu, e che affidavano a lui il compito di
trovare i mezzi. Egli rispose:
«La creatura di cui avete
pronunciato il nome esiste già!».
e aggiunse:
«Legatele sopra» - sulla creatura
che già esiste - «l'immagine degli dèi».
Ecco,
dunque, la risposta all'enigma: i Nefilim non hanno "creato" l'uomo
dal nulla; hanno preso, invece, una creatura già esistente e l'hanno un po'
cambiata, «legandole addosso l'immagine degli dèi». L'uomo è il prodotto
dell'evoluzione; ma l'uomo moderno, Homo sapiens, è il prodotto degli
"dèi". Infatti, circa 300.000. anni fa, i Nefilim presero
l'uomo-scimmia (Homo erectus) e gli "impressero" la loro immagine e
somiglianza.
La teoria evoluzionistica e i racconti provenienti dal
Vicino Oriente sulla creazione non sono in conflitto: anzi, si spiegano e si
completano a vicenda. Senza l'intervento creativo dei Nefilim, infatti, l'uomo
moderno sarebbe ancora lontano milioni di anni nel percorso evolutivo.
Spostiamoci ora indietro nel tempo, e cerchiamo di
visualizzare le circostanze e gli eventi così come essi si svolsero.
La grande fase interglaciale che cominciò circa 435.000 anni
fa, portò, con l'addolcimento del clima, una proliferazione di cibo e di
animali, e accelerò anche la comparsa e la diffusione di un primate avanzato,
simile all'uomo, l'Homo erectus.
Quando i Nefilim si guardarono intorno, videro, in mezzo al
gran numero di mammiferi, i primati, e in particolare questo tipo più avanzato,
simile all'uomo.
Possiamo supporre che i branchi vaganti di Homo erectus
fossero incuriositi e si avvicinassero a osservare gli oggetti luminosi che
apparivano in cielo. E non può essere che i Nefilim, a loro volta, abbiano
osservato, incontrato, magari perfino catturato qualcuno di questi primati così
interessanti?
Che i Nefilim e i primati simili all'uomo si siano
effettivamente incontrati è attestato da numerosi testi antichi. In un racconto
sumerico che tratta di eventi primordiali si legge:
Quando gli uomini furono creati,
non conoscevano il pane da
mangiare,
né le vesti per coprirsi;
mangiavano erba e piante con la
bocca,
come pecore;
bevevano l'acqua dai fossi.
Questi esseri "umani" simili a bestie si ritrovano
anche nell'Epica di Gilgamesh. Il testo descrive come appariva Enkidu, colui
che era "nato nelle steppe" prima di divenire civilizzato:
Tutto il suo corpo è irsuto di
peli,
egli ha lunghi capelli come una
donna...
non conosce popolo né terra;
è abbigliato come uno dei campi
verdi;
con le gazzelle si nutre
nell'erba;
con le bestie selvatiche si
abbevera
nelle pozze d'acqua;
delle creature che pullulano
nell'acqua
il suo cuore si rallegra.
Il testo accadico non si limita a descrivere questo
"uomo animalesco", ma parla anche dell'incontro con questo essere:
Ora un cacciatore, colui che
tende le trappole,
se lo trovò davanti
all'abbeveratoio.
Quando il cacciatore lo vide,
il suo viso si fece immobile...
Il suo cuore ne fu turbato e il
volto si rannuvolò,
l'angoscia era entrata in lui.
Non era soltanto paura quella che assalì il cacciatore alla
vista del "selvaggio", questo "barbaro individuo che proviene
dal cuore della steppa"; il "selvaggio", infatti, interferiva
anche con le attività del cacciatore:
Egli riempì i fossi che avevo
scavato,
strappò le trappole che avevo
teso;
le bestie e le creature della
steppa
mi ha fatto sfuggire dalle mani.
Non potremmo trovare una descrizione migliore
dell'uomoscimmia: peloso, ispido, un nomade che «non conosce popolo né terra», vestito di foglie, che si nutre
d'erba e vive in mezzo agli animali. E tuttavia non manca di un certo grado
di intelligenza, dal momento che sa come strappare le trappole e riempire i
fossi scavati per catturare gli animali. In altre parole, egli protegge i suoi
amici animali dalle mire dei cacciatori. Sono stati rinvenuti molti sigilli
cilindrici che raffigurano questo irsuto uomo-scimmia circondato dai suoi amici
animali.
Pertanto, di fronte alla necessità di procurarsi della
manodopera, decisi a ottenere un "lavoratore
primitivo", i Nefilim adottarono una soluzione già pronta:
addomesticare l'animale che sembrava più adatto allo scopo.
L'"animale" c'era, ma l'Homo erectus poneva
qualche problema; esso era infatti troppo intelligente e selvatico per divenire
una docile bestia da lavoro, e inoltre il suo fisico non era molto adatto allo
scopo: se doveva sostituire i Nefilim per il lavoro nei campi e nelle miniere,
doveva essere capace di afferrare e utilizzare i loro strumenti, camminare e
chinarsi come loro. Doveva avere un "cervello" più complesso, non
come quello degli dèi, ma abbastanza per capire le parole e gli ordini che gli
venivano impartiti. Insomma, doveva avere abbastanza intelligenza e capacità di
comprensione da essere un obbediente e utile amelu - un servo.
Se, come persino la scienza moderna sembra confermare, le
forme di vita sulla Terra derivavano da quelle del Dodicesimo Pianeta, allora
l'evoluzione sulla Terra deve aver seguito un corso più o meno analogo a quello
che aveva seguito sul pianeta dei Nefilim.
Vi saranno state senza dubbio variazioni, accelerazioni e
ritardi dovuti alle diverse condizioni ambientali, ma il codice genetico e la
"chimica della vita" erano gli stessi, e perciò il percorso evolutivo
non deve essere stato molto differente.
Osservando le varie forme di vita sulla terra, i Nefilim
e il loro maggiore scienziato, Ea,
non ci misero molto a capire ciò che era avvenuto: durante la collisione
celeste, il loro pianeta aveva fecondato la Terra con il suo seme di vita.
Quindi, l'essere sul quale essi puntavano era davvero simile ai Nefilim, anche
se in una forma meno evoluta. Un graduale processo di addomesticamento
attraverso generazioni e generazioni di allevamento e selezione era,
naturalmente, fuori discussione. Ciò che occorreva ora era una procedura
rapida, che permettesse una "produzione di massa" di questi nuovi
lavoratori. Il problema venne dunque
sottoposto a Ea-(Enki), il quale individuò subito la soluzione:
"imprimere" l'immagine degli dèi sull'essere che già esisteva.
Il procedimento che Ea consigliò per ottenere un rapido
progresso evolutivo dell'Homo erectus fu, a nostro avviso, la manipolazione
genetica. Oggi noi sappiamo che il complesso processo biologico mediante il
quale un organismo vivente si riproduce, creando una progenie simile ai
genitori, è reso possibile dal codice genetico.
Tutti gli organismi viventi, animali o vegetali - un verme,
una felce, l'uomo - contengono nelle loro cellule dei cromosomi, minuscole
particelle all'interno delle quali si trova l'intero patrimonio ereditario di
quel particolare organismo. Quando la cellula maschile (polline, sperma)
feconda quella femminile, le due serie di cromosomi si combinano e poi si
ridividono a formare nuove cellule, che a loro volta contengono tutte le
caratteristiche ereditarie delle cellule che le hanno generate. L'inseminazione
artificiale è oggi una pratica alquanto diffusa anche tra gli esseri umani. La
vera sfida è quella della fecondazione incrociata tra famiglie diverse
all'interno della stessa specie, o addirittura tra specie differenti.
La scienza moderna ha fatto molta strada dallo sviluppo del
primo ibrido di cereale, o dell'accoppiamento di cani d'Alaska con lupi, o della
"creazione" del mulo (l'unione tra una cavalla e un asino): oggi,
infatti, riusciamo a manipolare persino la riproduzione dell'uomo.
Un processo chiamato "clonazione" (dal greco klon,
"rametto") applica agli animali lo stesso principio per cui,
tagliando una parte di una pianta, si possono riprodurre centinaia di piante
simili. Applicata agli animali, questa tecnica fu illustrata per la prima volta
in Inghilterra, dove il Dr. John Gordon sostituì il nucleo di un ovulo
fecondato di una rana con del materiale nucleico prelevato da un'altra cellula
della stessa rana. Ne nacquero girini perfettamente normali, il che dimostrò
che l'ovulo continua a svilupparsi, a suddividersi e a dare origine a una nuova
creatura, quale che sia il punto da cui trae la serie corretta di cromosomi
abbinati.
Gli esperimenti compiuti dall'Institute of Society, Ethics
and Life Sciences di Hastingson-Hudson, nello stato di New York, dimostrano
l'esistenza di tecniche di clonazione di esseri umani.
Oggi è possibile prendere il materiale nucleico di qualunque
cellula umana (non necessariamente dagli organi sessuali) e, introducendo la
sua serie di 23 coppie di cromosomi nell'ovulo femminile, arrivare al
concepimento e alla nascita di un individuo "predeterminato".
Nel concepimento normale, i cromosomi del "padre"
e della "madre" si fondono e poi si ridividono, secondo una
combinazione casuale, per tornare a formare 23 coppie di cromosomi, che saranno
dunque abbinate diversamente da quelle dei genitori; di conseguenza anche il
nuovo individuo sarà diverso dai suoi genitori.
Nella clonazione, invece, il nuovo individuo è una copia
esatta di chi lo ha generato, perché presenta la stessa sequenza di cromosomi.
Possediamo già, dunque, come scrisse il Dr. W. Gaylin in
«The New York Times», «la spaventosa
conoscenza che occorre per fare copie esatte degli esseri umani» - un
numero infinito di Hitler o Mozart o Einstein (se avessimo conservato i loro
nuclei cellulari).
Le possibilità dell'ingegneria genetica, però, spaziano in
più direzioni. Ricercatori di vari Paesi hanno messo a punto un procedimento
chiamato "fusione cellulare", per il quale è possibile fondere
cellule piuttosto che combinare tra loro cromosomi all'interno di un'unica
cellula. Il risultato è che cellule provenienti da fonti diverse possono essere
fuse in un'unica "supercellula", che racchiude in sé due nuclei e una
doppia serie di coppie cromosomiche.
Quando questa cellula si scinde, il complesso di nuclei e
cromosomi può dividersi secondo uno schema diverso da quello che caratterizzava
ciascuna delle due cellule prima della fusione. Può risultarne, quindi, la
formazione di due nuove cellule, ognuna delle quali geneticamente completa, ma
ognuna con una serie completamente nuova di codici genetici rispetto alle due
cellule originarie.
Che cosa significa tutto questo? Significa che cellule
appartenenti a organismi fino a quel momento incompatibili - come una gallina e
un topo, per esempio - possono essere fuse per formare cellule nuove con
composizioni genetiche del tutto nuove, che producono animali nuovi che non
sono né galline né topi, così come noi li conosciamo. Ulteriormente perfezionato,
il procedimento può anche consentire di selezionare quali caratteristiche
dell'uno e dell'altro organismo impartire alla cellula combinata o
"fusa". Tutto ciò ha portato allo sviluppo del vasto campo dei
"trapianti genetici".
Oggi è possibile prelevare da un certo batterio un singolo
gene specifico e introdurre quel gene in una cellula animale o umana, per
aggiungere una particolare caratteristica alla nuova creatura.
Dobbiamo partire dal presupposto che i Nefilim - i quali
già 450.000 anni fa erano capaci di viaggiare nello spazio - fossero
altrettanto avanti, rispetto a noi, nel campo delle scienze biologiche. Essi
conoscevano le diverse alternative che consentivano di combinare due serie
preselezionate di cromosomi per ottenere un risultato genetico predeterminato;
e, che si trattasse di un processo affine alla clonazione, alla fusione
cellulare, al trapianto genetico o ad altri metodi che ancora non conosciamo,
essi erano in grado di applicare questo procedimento non solo in laboratorio,
ma anche sugli stessi organismi viventi.
Riferimenti a una sorta di "mescolanza" tra due
fonti di vita si ritrovano anche nei testi antichi. Secondo Beroso, la divinità Belo
("signore") - chiamata anche Deus ("dio") - generò diversi
«esseri orribili, prodotti da un doppio principio»:
Apparvero uomini con due ali, alcuni con quattro e due
facce. Avevano un corpo solo ma due teste, una di uomo, l'altra di donna;
analogamente, anche molti altri loro organi avevano una parte maschile e una
femminile. Altre figure umane avevano zampe e corna di capra, oppure piedi come
cavalli. Altri, simili a ippocentauri, avevano la parte posteriore come
cavallo, mentre davanti erano come uomini. Vi erano poi tori con testa di
uomini, e cani con quattro corpi e una coda di pesce. Vi erano anche cavalli con
testa di cani; e uomini e altri animali con testa di cavallo e coda di pesce.
Vi erano, insomma, creature con membra di diverse specie di animali... Di tutti
questi esseri erano conservate raffigurazioni nel tempio di Belo a Babilonia.
È possibile che gli strani dettagli del racconto
nascondano un'importante verità. È alquanto verosimile che prima di ricorrere
alla creazione di un essere a propria immagine e somiglianza, i Nefilim abbiano
tentato altre vie per ottenere la forza lavoro di cui avevano bisogno: per
esempio la creazione di un ibrido tra un uomo-scimmia e un altro animale. Tali
creature artificiali potevano forse sopravvivere per un po', ma certo non
potevano riprodursi. Quegli strani uomini-toro e uomini-leoni (sfingi) che adornavano
i templi dell'antico Medio Oriente forse non erano prodotti della fervida
fantasia di un artista, ma riproduzioni di vere e proprie creature che uscivano
dai laboratori biologici dei Nefilim - esperimenti non riusciti ma immortalati
dall'arte.
Anche i testi sumerici parlano
di esseri umani deformi creati da Enki e dalla Dea Madre (Ninhursag) nel corso
dei loro tentativi di mettere a punto un perfetto "lavoratore
primitivo". Un testo riferisce che Ninhursag, che aveva il compito di «legare
sul miscuglio lo stampo degli dèi», si ubriacò e «gridò a Enki»:
«Com'è il corpo dell'Uomo, buono o cattivo? Come il mio cuore
mi suggerisce, io posso rendere buono o cattivo il suo destino».
Poi, con una certa malizia, secondo i testi - ma è più
probabile che fosse una conseguenza inevitabile del suo procedere per tentativi
- Ninhursag creò un uomo
che non sapeva trattenere l'urina, una donna che non poteva partorire figli, un
essere che non aveva organi genitali né maschili né femminili. Per sei volte
tentò, e per sei volte il risultato fu un essere deforme o incompleto. Né
andarono molto meglio le "prove" di Enki: la prima volta ne risultò
un uomo con occhi malati, mani tremanti, fegato e cuore mal funzionanti; il
secondo tentativo diede vita a una creatura afflitta dai malanni della
vecchiaia, e così via.
Alla fine, però, si riuscì a ottenere l'Uomo perfetto:
quello che Enki chiamò Adapa; la Bibbia, Adamo; i nostri studiosi, Homo sapiens.
quello che Enki chiamò Adapa; la Bibbia, Adamo; i nostri studiosi, Homo sapiens.
Era un'entità talmente simile agli dèi che un testo si
spinse ad affermare che la Dea Madre aveva dato alla sua creatura, l'Uomo,
appunto, «una
pelle come la pelle di un dio» - una pelle, cioè, liscia, glabra,
molto diversa da quella, coperta di ispido pelo, dell'uomoscimmia.
Con questo prodotto finale, i Nefilim erano geneticamente
compatibili con le figlie dell'uomo, potevano sposarle e avere figli da loro.
Tale compatibilità, tuttavia, poteva esistere solo se l'uomo si fosse
sviluppato dallo stesso "seme vitale" dei Nefilim. Ed è infatti proprio questo che affermano gli antichi
testi.
L'uomo, nella concezione mesopotamica come in quella
biblica, nasceva dalla fusione di un elemento divino, sangue o
"essenza" divina, con l’"'argilla" della Terra.
Lo stesso termine lulu, che indicava l'uomo, aveva sì il
senso di "primitivo", ma letteralmente significava "uno che è stato mischiato".
Chiamata a dar forma a un uomo, la Dea Madre «si lavò le
mani» (una precauzione igienica che ritroviamo anche in molti altri casi in cui
si parla di una creazione), «prese un pizzico di argilla e la mescolò nella
steppa». I testi mesopotamici, dunque, sembrano affermare senza ombra di dubbio
che il prototipo dell'uomo derivava dall'unione di "argilla" e
"sangue" divino.
Uno di questi testi, raccontando come Enki fosse stato
chiamato a «mettere in atto una grande opera di sapienza» - cioè di conoscenza
scientifica -precisa che Enki accettò l'incarico senza vedere alcuna
difficoltà: «Si può fare», annunciò. Quindi impartì queste
istruzioni alla Dea Madre:
«Prendi un po' d'argilla
dal cuore della Terra,
appena sopra l'Abzu -
e dalle la forma di una noce.
Io fornirò giovani dèi, bravi ed
esperti
che porteranno quell'argilla
alla giusta condizione».
Il secondo capitolo della Genesi ne offre una versione più
tecnica :
«E Yahweh, Elohim, modellò l'Adamo
dall'argilla del suolo;
e soffiò nelle sue narici il
soffio della vita,
e l'Adamo si tramutò in un'Anima
vivente».
Il termine ebraico comunemente tradotto con "anima" è nephesh, quel vago "spirito"
che anima ogni creatura vivente e pare abbandonarla quando questa muore. Non
è un caso che il Pentateuco (i primi cinque libri dell'Antico Testamento)
esortassero ripetutamente a non spargere sangue umano e a non mangiare sangue
di animale «perché il sangue è nephesh».
Le versioni bibliche della creazione dell'uomo, dunque,
assimilano il nephesh ("spirito", "anima") al sangue.
L'Antico Testamento contiene un'altra allusione al ruolo
del sangue nella creazione dell'uomo. Il termine adama (dal quale deriva il
nome Adamo) in origine indicava non la semplice terra o suolo, ma, più
specificamente, il suolo di color rosso scuro. Come il corrispondente accadico adamatu ("terra color rosso
scuro"), il termine ebraico adama e il nome ebraico del color rosso (adom)
derivano dai termini che significano "sangue": adamu, dam.
Quando il Libro della Genesi chiama l'essere creato da
Dio "L'Adamo", utilizza un gioco di parole a doppio senso tipicamente
sumerico: "l'Adamo", infatti, poteva significare "quello della
terra" (Terrestre), "quello fatto di terra color rosso scuro" e
"quello fatto di sangue". La stessa relazione tra l'elemento vitale
delle creature viventi e il sangue si ritrova nei racconti mesopotamici sulla
creazione.
La casa simile a un ospedale dove Ea e la dea Madre si
misero a produrre l'uomo era chiamata Casa
di Shimti; quasi tutti gli studiosi traducono il suo nome con "la casa
dove vengono decisi i destini". Ma il termine Shimti deriva chiaramente
dal sumerico SHI.IM.TI, il quale,
preso sillaba per sillaba, significa "respiro-vento-vita".
Bit Shimti significava dunque, letteralmente, "la casa dove viene soffiato il vento della vita", e ciò, in
pratica, corrisponde all'affermazione biblica. Anzi, la parola accadica
con la quale in Mesopotamia si traduceva il sumerico SHI.IM.TI era napishtu - l'esatto corrispondente del
termine biblico nephesh. E questo nephesh o napishtu era un imprecisato
"qualcosa" che si trovava nel sangue.
Mentre l'Antico
Testamento offriva solo magri indizi, i testi mesopotamici erano ben più
espliciti al riguardo. Non soltanto affermavano che per la mistura che dava
forma all'uomo era necessario il sangue, ma specificavano anche che doveva
essere il sangue di un dio, sangue divino. Quando gli dèi decisero di creare
l'uomo, il loro capo annunciò: «Metterò insieme il sangue, farò vivere le
ossa». E aggiunse che il sangue doveva essere prelevato da un dio specifico:
«Modelliamo questi primitivi
secondo il suo modello», disse
Ea.
Una volta scelto il dio,
Con il suo sangue diedero forma
all'umanità;
imposero su di essa il servizio,
e liberarono gli dèi...
Fu un'opera al di là di ogni
comprensione.
Secondo il racconto epico Quando gli dèi come gli uomini gli
dèi chiamarono allora la dea della nascita (la Dea Madre, Ninhursag) e le
chiesero di compiere l'opera:
Mentre è qui con noi la dea
della nascita,
che essa dia forma alla
progenie.
Mentre la Madre degli Dèi è
presente,
che essa formi un Lulu,
un lavoratore che prenda su di
sé le fatiche degli dèi.
Che essa crei un Lulu Amelu,
affinché sia lui a portare il
giogo.
In un corrispondente testo babilonese intitolato Creazione
dell'uomo da parte della Dea Madre, gli dèi chiamano "la levatrice degli
dèi, la sapiente Marni" e le dicono:
Tu sei il grembo materno,
quello che può creare il genere
umano.
Crea dunque Lulu, fagli portare
il giogo!
A questo punto, il testo Quando gli dèi come gli uomini e
gli altri testi paralleli cominciano una dettagliata descrizione di come
avvenne la creazione dell'uomo. Accettato l'incarico, la dea (qui chiamata NIN.TI - "signora che dà la vita") elencò tutto ciò di cui aveva
bisogno, comprese alcune sostanze chimiche ("bitumi dell'Abzu"), da
utilizzare per la "purificazione", e "l'argilla dell'Abzu".
Di qualunque cosa si trattasse, Ea non ebbe difficoltà a comprendere ciò che
Ninti intendeva:
«Preparerò un bagno
purificatore.
Che un dio conceda il suo
sangue...
Con la sua carne e il suo
sangue,
Ninti mescoli l'argilla».
Perché da questi materiali si originasse un uomo, però,
occorreva anche un aiuto femminile, qualcuno che si prendesse carico della
gravidanza. Enki mise a disposizione per questo la sua stessa sposa:
A Ninki, la mia sposa divina,
sarà affidato il travaglio.
Sette dee della nascita
le staranno vicino, per
assisterla.
Dopo l'unione di
"sangue" e "argilla", dunque,
la fase della gravidanza avrebbe completato il
conferimento
di una "impronta"
divina sulla nuova creatura.
Il destino del nuovo nato tu
pronuncerai;
Ninki fisserà su di lui
l'immagine degli dèi;
e ciò che ne nascerà sarà
l"'Uomo".
È probabile che alcune delle raffigurazioni trovate su
sigilli cilindrici assiri illustrassero proprio questi testi: esse infatti
mostrano la Dea Madre (il cui simbolo era l'arnese usato per recidere il
cordone ombelicale) ed Ea (simboleggiato
in origine dalla falce di luna) intenti a preparare le misture, a recitare le
formule magiche, a farsi coraggio vicendevolmente.
Il coinvolgimento di Ninki, la sposa di Enki, nella
creazione del primo modello ben riuscito di uomo richiama alla mente il
racconto di Adapa, di cui abbiamo parlato in uno dei capitoli precedenti:
In quei giorni, in quegli anni,
il Saggio di Eridu, Ea (Enki),
lo creò come modello per gli
uomini.
Il fatto che Adapa fosse spesso definito "figlio"
di Ea è stato di solito spiegato dagli studiosi come segno del grande affetto
che legava il dio alla nuova creatura. È probabile, invece, che il concetto
vada inteso in maniera molto più diretta: era stata la sposa di Enki a portare
dentro di sé Adapa, il "modello Adamo", e questo creava una sorta di
rapporto genealogico tra il nuovo uomo e il suo dio. Ninti benedisse il nuovo
essere o lo presentò a Ea.
In alcuni sigilli si vede una dea, con a fianco l'Albero
della Vita e varie provette di laboratorio, che solleva tra le braccia un
essere appena nato.
L'essere così prodotto, che i testi mesopotamici
definiscono più volte "uomo modello" o "stampo", sembrava
essere davvero la creatura giusta, tanto che gli dèi ne chiedevano a gran voce
altre "copie".
Si tratta di un dettaglio apparentemente poco importante, ma
che invece getta nuova luce non solo sul processo di creazione del genere
umano, ma anche sulle informazioni contenute nella Bibbia, che altrimenti
paiono alquanto contraddittorie. Si legge nel primo capitolo della Genesi:
Elohim creò Adamo a Sua immagine
;
a immagine di Elohim Egli lo
creò.
Maschio e femmina egli li creò.
Nel Libro delle Genealogie di Adamo, si afferma che:
Il giorno che Elohim creò Adamo,
a somiglianza di Elohim Egli lo
fece.
Maschio e femmina egli li creò,
e li benedisse e li chiamò
"Adamo"
il giorno stesso in cui li creò.
Nella stessa frase, dunque, ci viene detto che la Divinità
creò a sua immagine e somiglianza un solo essere, "Adamo", e subito
dopo, in palese contraddizione, che vennero creati contemporaneamente un
maschio e una femmina.
La contraddizione si fa ancora più profonda nel secondo
capitolo della Genesi, dove si afferma specificamente che Adamo restò per un
po' di tempo da solo, fino a quando Dio lo fece addormentare e, con una sua
costola, creò la Donna.
Tale contraddizione, che ha assillato generazioni di
scienziati e teologi, scompare se partiamo dal presupposto che i testi biblici
sono in realtà un condensato delle originali fonti sumeriche.
Queste fonti ci dicono che, dopo aver tentato di creare un
"lavoratore primitivo" unendo uomini-scimmia con varie specie di
animali, gli dèi arrivarono alla conclusione che l'unica unione possibile era
quella tra gli uomini-scimmia e gli stessi Nefilim.
Dopo diversi tentativi infruttuosi, venne finalmente creato
un "modello Adapa"; all'inizio, quindi non vi era che un solo Adamo.
Una volta accertato che Adapa/Adamo era davvero la creatura che stavano
cercando di ottenere, i Nefilim lo utilizzarono come modello genetico
("stampo") per ottenerne dei duplicati; e, a questo punto, i
duplicati non furono più solo maschili, ma si differenziarono in maschi e
femmine.
Come abbiamo già dimostrato, la "costola" biblica
dalla quale venne creata la donna non era che un gioco di parole sul termine
sumerico TI ("costola", ma anche "vita"), che ci conferma
che Eva nacque dall'"essenza vitale" di Adamo.
I testi mesopotamici ci forniscono una testimonianza diretta
della prima produzione di "copie" di Adamo.
Si seguirono le istruzioni di Enki. Nella Casa di Shimti -
là dove viene soffiato il vento della vita - si riunirono Enki, la Dea Madre e
quattordici dee della nascita. Dopo aver ottenuto l'"essenza" di un
dio, si preparò un "bagno purificatore".
«Ea
pulì l'argilla alla presenza di lei e continuò a recitare le formule magiche».
Il dio che purifica il Napishtu,
Ea, parlò.
Seduto davanti a lei, la
incitava.
Dopo che essa ebbe recitato le
formule di rito,
si sporse per toccare l'argilla.
Assistiamo ora alle varie fasi del processo di creazione in
massa dell'uomo. Alla presenza di quattordici dee della nascita,
Ninti staccò quattordici pezzi
d'argilla;
sette li depose a destra,
sette li depose a sinistra.
In mezzo a loro mise lo stampo.
...i peli...
...l'arnese per tagliare il
cordone ombelicale.
È evidente, dunque, che le dee della nascita vennero divise
in due gruppi. «Il saggio e dotto aveva riunito le dee della nascita, in numero
di due volte sette», prosegue il testo. Nel ventre di ciascuna la Dea Madre
depose l'"argilla mescolata". Vi sono cenni a un procedimento
chirurgico: la rasatura dei peli e la preparazione di una sorta di
"bisturi".
Fatto questo, non rimaneva che attendere:
Le dee della nascita rimasero
insieme.
Ninti sedette a contare i mesi.
Il fatidico decimo mese si
avvicinava;
infine arrivò,
e con esso il momento di aprire
il ventre.
Il suo volto si illuminò di
comprensione:
essa si coprì la testa e fece da
levatrice.
Si cinse la vita e pronunciò la
benedizione.
Tracciò una forma; nello stampo
c'era vita.
La creazione dell'uomo, a quanto pare, fu complicata da
un ritardo nella nascita. La "mistura" di "argilla" e
"sangue" servì a indurre una gravidanza nelle quattordici dee della
nascita. Ma nove mesi passarono e il decimo mese era ormai cominciato.
«Era ormai giunto
il momento di aprire il ventre».
La Dea Madre sapeva ciò che doveva fare, "fece da levatrice".
La Dea Madre sapeva ciò che doveva fare, "fece da levatrice".
Che essa abbia compiuto una sorta di operazione
chirurgica emerge con maggiore chiarezza anche da un testo parallelo, sebbene
alquanto frammentario:
Ninti... conta i mesi...
Il decimo mese voluto dal
destino esse chiamarono;
e venne la "signora dalla
mano che apre".
Con il... ella aprì il grembo.
Il suo volto si illuminò di
gioia.
La sua testa era coperta;
...praticò un'apertura;
ciò che era nel grembo uscì.
Fuori di sé dalla gioia, la dea
Madre gettò un grido.
«Sono stata io a crearlo!
Le mie mani l'hanno fatto!».
Come si era compiuta la creazione dell'uomo? Il testo
Quando gli dèi come gli uomini contiene un brano che ha lo scopo di spiegare
perché il "sangue" di un dio doveva essere mescolato a
dell'"argilla".
L'elemento "divino" che occorreva non era
semplicemente una goccia di sangue del dio, ma qualcosa di ancora più
sostanziale e durevole.
Sappiamo che il dio prescelto fu TE.E.MA, una parola che le maggiori autorità in materia (W.G. Lambert e A.R. Millard dell'Università di Oxford) traducono con "personalità", ma che in realtà indica qualcosa di molto più specifico. Letteralmente, il termine significa "ciò che racchiude quello che lega la memoria"; più tardi, lo stesso termine appare nella versione accadica come etemu, "spirito".
Sappiamo che il dio prescelto fu TE.E.MA, una parola che le maggiori autorità in materia (W.G. Lambert e A.R. Millard dell'Università di Oxford) traducono con "personalità", ma che in realtà indica qualcosa di molto più specifico. Letteralmente, il termine significa "ciò che racchiude quello che lega la memoria"; più tardi, lo stesso termine appare nella versione accadica come etemu, "spirito".
In entrambi i casi abbiamo a che fare con quel
"qualcosa" che, nel sangue del dio, era depositario della sua
individualità. E in entrambi i casi, ne siamo certi, ci troviamo in presenza di
giri di parole indiretti per definire ciò che Ea-Enki cercava quando
sottopose il sangue del dio a una serie di "bagni purificatori": egli
voleva i geni del dio.
Quanto all'unione tra questo elemento divino e quello
terreno, il testo chiarisce:
Nell'argilla, dio e uomo saranno
legati,
sempre vicini in unità;
e così fino alla fine dei giorni
la Carne e l'Anima
che in un dio sono maturate -
quell'Anima in una parentela di
sangue sia legata;
come suo segno la vita
proclamerà.
Affinché questo non sia
dimenticato,
L'"Anima" sia legata
in una parentela di sangue.
Sono parole forti, che non sempre gli studiosi comprendono
fino in fondo.
Il testo afferma che il sangue
del dio fu unito all'argilla in modo da legare geneticamente dio e uomo
"fino alla fine dei giorni": in
tal modo, quindi, sia la carne ("immagine") sia l'anima
("somiglianza") degli dèi si sarebbero impresse sull'uomo in una
parentela di sangue che nessuno avrebbe mai potuto spezzare.
L'Epica di Gilgamesh riferisce che quando gli dèi decisero
di creare una copia del semi-divino Gilgamesh, la dea Madre mischiò
dell"argilla" con l'"essenza" del dio Ninurta. Più avanti, in quello stesso testo, si attribuisce la
grande forza di Enkidu al fatto che egli aveva in sé l'"essenza di
Anu", che aveva acquisito attraverso Ninurta, nipote di Anu.
Il termine accadico kisir indica
un'"essenza", una "concentrazione" che gli dèi del cielo
possedevano.
Sintetizzando gli sforzi degli studiosi per cercare di
capire l'esatto significato della parola, E. Ebeling sostenne che «La sostanza
del termine, o qualche sua sfumatura, poteva essere applicata alle divinità
come pure ai missili che provenivano dal Cielo».
Anche E.A. Speiser conveniva che il termine indicava
«qualcosa che scendeva dal Cielo», con una connotazione «non lontana da quella
che si potrebbe usare in un contesto medico».
Ritorniamo dunque a una piccola, semplice parola: gene. Ciò
che i testi antichi, tanto quelli mesopotamici quanto quelli biblici, sembrano
suggerire è che nel fondere due serie di geni - i geni di un dio e quelli
dell'Homo erectus - si siano utilizzati i geni maschili come elemento divino e
i geni femminili come elemento terreno.
Dopo aver ripetutamente affermato che la Divinità creò
Adamo a sua immagine e somiglianza, il Libro della Genesi passa a descrivere la
nascita del figlio di Adamo, Seth:
E Adamo visse centotrenta anni,
ed ebbe un figlio
a sua immagine e somiglianza;
e lo chiamò Seth.
La terminologia, come si può vedere, è assolutamente
identica a quella utilizzata per descrivere la creazione di Adamo per opera
della Divinità.
Eppure Seth nacque certamente in seguito a un processo
biologico: lo sperma di Adamo fecondò un ovulo femminile, determinando il
concepimento, la gravidanza e infine la nascita.
La terminologia identica sembra quindi nascondere un
identico processo, per cui dobbiamo concludere che anche Adamo fu generato
dalla Divinità attraverso la fecondazione di un ovulo femminile da parte dello
sperma di un dio.
Se l'"argilla" alla quale il gene divino fu
mischiato era un elemento terreno - come sostengono tutti i testi allora
l'unica conclusione possibile è che lo sperma del dio (cioè il suo materiale
genetico) fu immesso nell'ovulo di una donna-scimmia! Il termine accadico che indica l'argilla è tit, che significa anzi, più
precisamente, "argilla modellante".
La grafia originaria della parola era TI.IT ("ciò che è con la
vita").
In ebraico, tit significa "fango", ma il suo sinonimo è bos, che ha la stessa radice di
bisa ("palude") e besa ("uovo").
La storia della Creazione è piena di giochi di parole.
Abbiamo già visto i doppi e tripli significati di Adamo-adama-adamtu-dam.
L'appellativo della Dea Madre, NIN.TI, significava sia "signora della vita" che
"signora della costola".
E allora, non potrebbe darsi che bos-bisa-besa
("argilla-fangouovo") sia una sorta di gioco di parole per indicare
l'ovulo femminile? L'ovulo di una femmina di Homo erectus, fecondato dai geni
di un dio, venne poi impiantato nel grembo della sposa di Ea; una volta
ottenuto il primo "modello", se ne ottennero altre copie impiantando
altri ovuli fecondati nel grembo delle dee della nascita.
Il saggio e dotto
aveva riunito le dee della
nascita
in numero di due volte sette.
Sette partorirono maschi,
le altre sette partorirono
femmine.
La Dea della Nascita portò
il vento del soffio di vita.
A coppie essi furono prodotti,
a coppie furono prodotti in sua
presenza.
Le creature erano umane -
creature della Dea Madre.
Era stato creato L'Homo sapiens.
La compatibilità tra miti e leggende antiche, dati contenuti
nella Bibbia e moderne scoperte scientifiche è evidente anche sotto un altro
aspetto. Gli antropologi moderni hanno scoperto che le origini dell'uomo sono
da ricercarsi nell'Africa sudorientale, proprio come suggerivano i testi
mesopotamici che, come abbiamo visto, collocavano la creazione dell'uomo
nell'Apsu, in quel Mondo Inferiore in cui si trovavano le miniere. Tuttavia,
oltre ad Adapa, il "modello" di uomo, alcuni testi citano anche «la sacra Amama, la donna della Terra»,
che abitava anch'essa nell'Apsu.
Nel testo La creazione dell'uomo, Enki impartisce le
seguenti istruzioni alla Dea Madre: «Prendi
un po' d'argilla dal cuore della Terra, appena sopra l'Abzu».
Un inno alle creazioni di Ea, «che fece dell'Apsu la sua dimora», comincia affermando:
Il divino Ea nell'Apsu
prese un pezzo d'argilla,
creò Kulla per restaurare i
templi.
L'inno passa poi a elencare tutti gli operai, gli specialisti
in edilizia e quelli che dovevano occuparsi degli «abbondanti prodotti della
montagna e del mare»: tutti erano stati creati da Ea con pezzi di
"argilla" staccati dall'Abzu - la terra delle miniere nel Mondo
Inferiore. Dai testi risulta chiaro che nell'Abzu Ea costruì una casa adorna di
pietre preziose e d'argento.
È qui che l'uomo, la sua creatura, ebbe origine:
Il Signore dell'AB.ZU, il re
Enki...
costruì la sua casa d'argento e
lapislazzuli;
argento e lapislazzuli, come
luce splendente,
il Padre modellò con arte
nell'AB.ZU
le creature dall'aspetto
luminoso, che uscivano dall'AB.ZU,
stavano tutte vicino al Signore
Nudimmud.
Dalla lettura dei vari testi si può comprendere che la
creazione dell'uomo provocò un certo tumulto tra gli dèi. Sembra infatti che,
almeno all'inizio, questi "lavoratori primitivi" fossero confinati
nella Terra delle Miniere: perciò, gli Anunnaki che lavoravano a Sumer non
traevano alcun beneficio dall'avvento di questa nuova manodopera.
Uno strano testo che gli studiosi hanno chiamato Il
mito del piccone documenta appunto gli avvenimenti in seguito ai quali
gli Anunnaki che stavano a Sumer agli ordini di Enlil riuscirono a ottenere
anch'essi un aiuto dal nuovo "popolo dalla testa nera". Nel
tentativo di ristabilire l'ordine, Enlil decise di tagliare ogni contatto tra
il "Cielo" (il Dodicesimo Pianeta o le navicelle spaziali) e la Terra
e intraprese una drastica azione contro il luogo "dove nasceva la
carne".
Il Signore, fece accadere ciò
che è giusto.
Il Signore Enlil,
le cui decisioni sono
immutabili,
in verità si affrettò a separare
il Cielo e la Terra
in modo che i Creati potessero
venire avanti;
in verità si affrettò a separare
la Terra dal Cielo.
Nel "legame
Cielo-Terra" aprì uno squarcio,
affinché i Creati potessero
salire
dal luogo dove nasceva la carne.
Contro la "Terra
del piccone e del Canestro" Enlil mise a punto un'arma
soprannaturale chiamata AL.A.NI
("ascia che genera forza"). L'arma era munita di un
"dente" che, "come un unicorno", poteva attaccare e
distruggere le mura più possenti. Dalle descrizioni sembrerebbe una sorta di
grossa perforatrice a motore, montata su un veicolo simile a un bulldozer che
schiacciava tutto ciò che incontrava sul suo cammino:
La casa che si ribella contro il
Signore,
la casa che non è sottomessa al
Signore,
L'AL.A.NI la fa sottomettere al
Signore.
Del malvagio... schiaccia la
chioma delle piante;
lacera le radici, distrugge la
chioma.
Munita la sua arma di uno "spaccaterra", Enlil
lanciò infine l'attacco:
Il Signore chiamò I'AL.A.NI e
impartì i suoi ordini.
Mise lo spaccaterra come una
corona sulla sua testa,
e lo guidò nel luogo dove
nasceva la carne.
Nel foro c'era la testa di un
uomo;
da terra, la gente usciva e si
dirigeva verso Enlil.
Egli osservava con piglio deciso
quelli dalla testa nera.
Con molta riconoscenza, gli Anunnaki chiesero di poter avere
anch'essi i lavoratori primitivi che stavano arrivando e si affrettarono a
metterli al lavoro: Gli Anunnaki si avvicinarono a lui e alzarono le mani in
segno di saluto, placando il cuore di Enlil con le loro preghiere. Chiedevano
di avere quelli dalla testa nera. E a quelli dalla testa nera diedero in mano
il piccone.
Anche dal Libro della Genesi si capisce che Adamo venne
creato in qualche posto a ovest della Mesopotamia e poi venne portato verso
est, in Mesopotamia, per lavorare nel Giardino dell'Eden:
E il Dio Yahweh
piantò un frutteto nell'Eden, a
oriente...
E prese Adamo
e lo pose nel Giardino dell'Eden
perché lo lavorasse e ne avesse
cura.
Fonte: da
scritti di Zecharia Sitchin
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