venerdì 24 ottobre 2014

COMUNISTA A OBBEDIR TACENDO


Napolitano, comunista uso a obbedir tacendo. Un ritratto irriverente


di  Romano Bracalini


Già prima di diventare capo dello Stato, unico esempio in campo occidentale di un comunista assurto ai più alti fastigi, a Napoli, la sua città, lo chiamavano O’ Re per l’impressionante rassomiglianza con il principe Umberto di Savoia di cui si mormorava fosse il figlio spurio.
Una certa alterigia, che gli viene dalla milizia comunista, sia pure raffazzonata dal Bottegone romano, l’ha sempre avuta e si direbbe un portato della scuola autoritaria, ma nei fatti l’uomo si è sempre barcamenato guardandosi bene dal mettersi in urto con chi comandava nel partito.

Fu un devoto seguace di Togliatti, anche nelle scelte più odiose e imbarazzanti, però collocandosi a “destra” nel partito, per poter più agevolmente accomodarsi alla corte del vincitore di turno. E’ sempre stato un gregario, non un protagonista. Ma con la vocazione al compromesso, all’accomodamento, linea che non contrastava con la bonarietà partenopea, alla morbidezza melliflua del carattere, che mal si addicevano alla severità del dogma vigente e praticato. Il grigiore, anche nel parlare monotono, senza slanci, appartiene al suo ostentato abito di modestia, che tuttavia svela una tattica di attendismo e di furbizia.

Napolitano è sempre stato un rivoluzionario con la vocazione dello statale che aspira al posto sicuro, un proletario “alle vongole” più a suo agio da “Zi Teresa” che in cellula. La sua natura di comunista “anema e core”, in fondo innocua e tuttavia collaborazionista, s’era già rivelata in gioventù a Napoli.
Le sue prime prove di attivista “comunista”, risalivano ai primi anni Quaranta, quando il fascismo era vicino al crollo e i rischi erano minori, quando insieme ad altri studenti napoletani – Massimo Caprara, Antonio Ghirelli e Luigi Compagnone -, era iscritto al GUF di Napoli, ovvero ai Gruppi universitari fascisti. In realtà definirsi comunisti prima della caduta del regime pareva, in parecchi casi, un arbitrio o una millanteria, oltre che un falso storico, e infatti molti comunisti del giorno dopo lo diventarono a babbo morto, a scampato pericolo, retrodatando la data del loro presunto “antifascismo” per renderlo più “eroico” e meritevole d’elogio, passando dal fascismo al comunismo senza cambiare d’una virgola il loro bagaglio illiberale e autoritario.

L’attività pubblicistica di Napolitano e dei suoi compagni d’università consisteva nello scrivere sul giornale del GUF, “9 maggio”, poesie e articoli di intonazione politica non del tutto in contrasto con le direttive del regime, di certo nulla di eretico. Lo stesso titolo del giornale universitario “9 maggio” (dell’anno 1936), era la data della fondazione dell’impero. Tutto in perfetta regola. Nulla di serio. Dopo la laurea in legge, che a Napoli città d’avvocati, è sempre stata un attestato di prestigio, Napolitano si diede alla politica che non impone la fatica di un lavoro metodico, e in politica c’è rimasto per tutta la vita.

In tutta la sua carriera non gli si conoscono gesti clamorosi, detti memorabili, atteggiamenti intransigenti. Per molti comunisti critici e dubbiosi, il momento della verità venne con l’invasione sovietica dell’Ungheria, il 23 ottobre 1956. Anche allora Napolitano, già trentenne, non si espose, non mosse un dito. Palmiro Togliatti aveva bollato l’insurrezione ungherese come “controrivoluzione fascista” ed aveva accusato gli intellettuali magiari di voler “distruggere il partito”.
Sull’Unità (che è passata da Antonio Gramsci alla Maria Novella Oppo, controfigura in brutto del fondatore), scrisse un articolo intitolato arditamente: “Per difendere la civiltà e la pace”, che Napolitano sottoscrisse interamente facendo l’elogio dell’URSS che “aveva salvato la pace” e criticando aspramente Antonio Giolitti che come tanti altri aveva abbandonato il partito.
Anche quella volta non s’era discostato dalla linea d’obbedienza moscovita imposta da Togliatti. Sempre con chi comanda, sia pure con l’aria di dissentirne. Sempre sorridente, con la boccuccia a culo di gallina, non gli si conoscono dubbi e incertezze che abbiano incrinato col tempo la fede assoluta nel comunismo sia pure corretto e “riformato” col solito ritardo.

E’ stato di gran lunga il peggior presidente della repubblica, per di più eletto due volte, un presidente petulante e fastidioso che pontifica su tutto e non conosce freni, come i cingolati della sua giovanile passione, e come non bastasse la crisi della politica, la caduta del potere partitocratico, ha rafforzato il suo ruolo istituzionale fino al punto da fargli travalicare i poteri che la Carta non consente al Capo dello Stato.
Nel suo comunismo “borbonico” sembra non aver capito che in una repubblica parlamentare, sia pure disdicevole e screditata come quella italiana, non ci si comporta come il capo di una repubblica presidenziale che disfa e fa i governi. Non solo, ma in questi ultimi giorni ha anche imposto la sua agenda elettorale, dicendo che il governo Letta deve andare avanti, che non ci saranno elezioni a breve scadenza e minacciando di “lasciare“ se qualcuno osasse contraddirlo.

Le sue passate esperienze di ministro lasciavano presagire le sue gesta di futuro presidente. Presidente della Camera, ministro di polizia, dove non ha brillato per liberalità e lungimiranza, co-autore della legge Turco-Napolitano, deputato europeo a Bruxelles, infine senatore a vita per i suoi 80 anni trascorsi interamente dalla parte dei carri armati e della verità rivelata dalla Pravda. Un uomo d’ordine dentro il partito più stalinista dell’Occidente.

Altrove l’avrebbero processato o messo al bando per complicità con la dittatura sovietica, in Italia è stato premiato col laticlavio e la nomina alla più alta carica dello Stato. Il paese dell’incontrario.




Fonte: visto su IL CORRIERE DELLE REGIONI del  19 dicembre 2013





NAPOLITANO, IL PRESIDENTE PERFETTO PER TUTTI “ER BATMAN” D’ITALIA






Giorgio Napolitano ha alzato il ditino raggrinzito ed ha ammonito a brutto muso: “Vergogna”! Per non dare adito al “popolino” di fraintendere il contenuto del suo messaggio, ha pensato bene di prendere ispirazione da un certo postribolo laziale zeppo di maiali – usi grufolare con e senza maschera tra i soldi dei tassati – ed ha tuonato con veemenza: “Una vergogna gli scandali in Regione. Uno smacco per la gente onesta. Cose inimmaginabili”. Perdinci, l’uomo del Colle ha detto no! E lo ha fatto dall’alto di quel suo immacolato curriculum vitae – come racconta da sempre la stampa “regimental” – che farebbe di lui un moderno San Francesco, un esemplare modello di politico tricolorito, l’improduttivo più amato dagli italiani.

Ma è davvero così?
Ho qualche dubbio, e solo chi è senza peccato potrebbe scagliare la prima pietra. Vorrei suffragare con dei fatti, che vi riporto in rapida sequenza, il passato del presidente.

1- Trattativa Stato-Mafia.
E’ uno degli avvenimenti balzati alle cronache recentemente, benché i fatti risalgano agli anni in cui esplodevano bombette tra Milano e Firenze e saltavano per aria i magistrati. Al netto della querelle “giuridico-istituzionale” sull’opportunità o meno di intercettare il Capo dello Stato (degno teatrino degli azzeccagarbugli nostrani) è risaputo che Napolitano ha discusso al telefono – di quei lontani “anni di tritolo” siciliano – con tale Nicola Mancino, ex ministro dell’Interno, del quale è confermata la falsa testimonianza nel processo di Palermo.

2- La figliolanza.
Giulio Napolitano è il figlio dell’indignado quirinalizio. Lavora come consigliere per la Presidenza del Consiglio. Il cucciolo della signora Clio è diventato professore ordinario all’Università del Molise. Come ci sia riuscito, lo lascio scoprire a voi: è sufficiente che leggiate l’articoletto che pubblicammo qualche tempo fa, cliccate e leggetevelo.

3- L’onorevole continentale.
Re Giorgio ha frequentato tutte le botteghe più oscure della politica e tra i tanti scranni che ha scaldato c’è anche quello di europarlamentare. Viaggiando da Roma a Bruxelles, e ritorno, gli sarebbe balenata per la testa la meravigliosa idea di fare la cresta sui rimborsi dei biglietti aerei, esempio di cristallina moralità peninsulare, di cui si erge a censore. Per chi non ne fosse a conoscenza, consiglio la visione di questo video, che impazza sulla rete da tempo, ma che è inesistente per le mammasantissime tv.

4- Il soviet supremo.
Il “migliorista” – il nostro, notizia per i più giovani, apparteneva ad una corrente evoluta del partito comunista inventata da Salvatore Veca – non s’è mai contraddistinto per prendere le distanze dalle tonnellate di rubli che arrivavano da Mosca e finivano direttamente nelle casse del Pci. Grazie anche a quei fondi illegali dell’allora “nemico dell’Occidente”, l’URSS, la carriera del “primo cittadino d’Italia” è andata via liscia come l’olio.

5- Forza cingolati.
Correva l’anno 1956, i carri armati sovietici invadevano Budapest e dintorni. Insieme a molti compagnucci, anche l’attuale presidente della Repubblica manifestò il suo orgoglio per quel “gesto pacifista”. Riprendo da Storialibera.it: “Nel 1956, all’indomani dell’invasione dei carri armati sovietici a Budapest, mentre Antonio Giolitti e altri dirigenti comunisti di primo piano lasciarono il Partito Comunista Italiano, mentre “l’Unità” definiva «teppisti» gli operai e gli studenti insorti, Giorgio Napolitano si profondeva in elogi ai sovietici. L’Unione Sovietica, infatti, secondo lui, sparando con i carri armati sulle folle inermi e facendo fucilare i rivoltosi di Budapest, avrebbe addirittura contribuito a rafforzare la «pace nel mondo»…”.

Lasciamo perdere il suo ruolo di manovratore all’atto dell’insediamento di Mario Monti, ce n’è abbastanza per pensare che il Napolitano di oggi è solo uno di quei fenomeni mediatici del momento che, per chi ha a cuore la libertà, fa venir voglia di gridare vendetta. Se poi penso che le sue invettive contro i “Polverini boy’s” le ha lanciate davanti ad una folla di bambinelli plaudenti e con bandierina d’ordinanza dell’italia rifilata loro tra le mani, un po’dei suoi strali moralisti mi verrebbe voglia di rispedirli al mittente. Quelli come lui andrebbero ricordati per quello che sono, e sono stati. Per farlo ruberò le parole a due filosofi.

Uno è Marcel de Corte, che sosteneva che“Il comunismo non è altro che l’intellettuale moderno al potere, convinto di saper convertire in realtà il mito che il suo cervello, sradicato dalla realtà, ha concepito in un mondo di cui egli è il solo autore”. L’altra è Ayn Rand, dalla quale ho imparato a non amare i politici: “Il bisogno fondamentale del parassita è quello di assicurarsi i legami con gli uomini per venir nutrito. In primo luogo egli considera le relazioni. Dichiara che l’uomo esiste per servire gli altri. Però predica l’altruismo”.

Come sintetizzare? Le rampogne di Napolitano son fuori tempo e fuori luogo, perché – senza sapere di esserlo – quest’uomo è il presidente esemplare per tutti “Er Batman” d’Italia, che nonostante abbiano le mani sporche di marmellata  trovano sempre un nutrito manipolo di giornalisti accondiscendenti che garantisce loro – con tanto di tappeto rosso – di urlarci in faccia che “tutto quel che han fatto è perfettamente legale”.
Domanda: non è forse Napolitano, come da Costituzione, il garante della legalità di questo paese?
Aveva ragione H. L. Mencken, reporter d’altri tempi: “La democrazia è l’adorazione degli sciacalli da parte dei somari”! 



Fonte: visto su INFOSANNIO del 27 settembre 2012


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