venerdì 17 giugno 2011

STORIA DELLA CHIESA MEDIEVALE. (Cap. V.B): CONCILI LIONESI

 Liber Augustalis


CONCILI LIONESI

Il primo scambio di colpi si verificò sul piano giuridico. Nel 1231 Petrus de Vinea (Pier della Vigna), campano, allora cancelliere di corte (in seguito accusato di irregolarità, arrestato, accecato e morto suicida in carcere),  pubblicò su incarico di Federico il cosiddetto Liber augustalis una grandiosa opera giuridica.

EXCUSUS LE COSTITUZIONI MELFITANE

Le Costituzioni di Melfi (dette anche Liber Augustalis) costituiscono una, ma anche la più proficua, delle manifestazioni della cultura di Federico II di Svevia. Furono promulgate nel 1231 dall'imperatore svevo nella città di Melfi, e raccolte nel Liber Augustalis.

Strutturalmente comprendevano quattro organizzazioni dello Stato: lo Stato, in cui si definivano i poteri del sovrano; la Giustizia, affidata al Maestro generale di Giustizia; la Finanza, affidata ai Maestri Camerari; il Feudo.
Tutto il complesso giuridico si esplicava attraverso 3 Libri per un totale di 259 Titoli.
Il primo comprendeva 109 Titoli riguardanti il diritto penale.
Il secondo libro, 52 titoli, trattava elementi di procedura civile e penale.
Il terzo libro, 94 Titoli, del diritto feudale, della proprietà e dei diritti di famiglia.

Le costituzioni miravano a limitare i poteri e i privilegi delle locali famiglie nobiliari e dei prelati, facendo tornare il potere nelle mani dell'imperatore e a rendere partecipi anche le donne per quanto riguardava la successione dei feudi. Ne doveva nascere uno Stato centralizzato, burocratico e tendenzialmente livellatore, con caratteristiche che gli storici hanno reputato “moderne”.

Ernst Kantorowicz, enfatizzò Federico II come il fondatore dello Stato laico, basato sul concetto aristotelico della “necessitas”, cioè su una dottrina giudicata "illuminista". Questa valutazione derivava, fra l'altro, da una interpretazione della prefazione alle Costituzioni di Melfi, rivelatasi però riduttiva, come ha dimostrato Wolfgang di Stürner, storico dell'Università di Stoccarda, autore una recentissima biografia di Federico II in due volumi.
 Nel proemio del cosiddetto “Liber Augustalis” non si manifesta infatti una teoria di uno Stato laico, aristotelico, basato soltanto sul diritto naturale, ma l'opera legislativa di un sovrano, legittimato da Dio.  Insomma, il potere politico partecipa all'Ordine divino, perciò il binomio "rerum necessitas" e "divina provisio".  Da ciò ne consegue una concezione centralizzata dello stato che s’impernia sull’autorità del sovrano: è la nascita dello stato moderno, così antitetico alla concezione feudale dello stato medievale.

Si potrebbe fissare pertanto la sequenza temporale della genesi relativa alla concezione dello Stato moderno: nel 1135 i Pisani depredando Amalfi scoprono i voluminosi codici membranacei delle Pandette di Giustiniano. Nel periodo pisano i codici giustinianei sono studiati e probabilmente divulgati. Nel 1231 sono pubblicate le Costituzioni Melfitane.
L’influenza del Corpus iuris civilis giustinianeo è fuori discussione in quanto nel prologo alle costituzioni la sequenza dei titoli con cui Federico II si fregia ricalca pedissequamente la sequenza dei titoli che Giustiniano riconosce alla sua augusta maestà e che come tali sono contenuti nel prologo dei Digesta.
E, in fine, terzo atto, la centralizzazione istituzionale messa in opera dal re francese Filippo il Bello.  Egli si scontrerà prima con papa Bonifacio VIII, quest’ultimo tutto teso a restaurare l’asfittica ierocrazia gregoriana e innocenziana, e poi a sacrificare i templari sull’altare della sua politica. Ciò gli avrebbe permesso di usufruire della liquidità necessaria per armare un esercito che dipendesse direttamente da lui, strumento indispensabile per portare in atto il progetto del suo stato centralistico e assolutista. Sono questi i primi cruenti vagiti del neonato stato moderno che da lì a poco seppellirà definitivamente il già agonizzante stato feudale.

Il papa gli rispose con la celebre Raccolta di decretali di Raimondo di Peñafort (OP), che nel 1234, inviata alle università di Bologna di Parigi, acquisì valore di legge.  Quando l’imperatore ebbe sottomesso le città lombarde e, inebriato di questo successo, sposò Enzo, il suo figlio naturale prediletto, con l’erede di una gran parte della Sardegna, che egli considerava un feudo papale, e allorché si venne a sapere che egli progettava di fare Roma il centro di tutto il suo regno, Gregorio ritenne giunto il momento di scomunicarlo di nuovo e di dichiararlo solennemente deposto (domenica delle palme del 1239).

Nell’estate del 1240 il vecchio Gregorio IX convoca un concilio con lo scopo di condannare l’imperatore, ma questi assai audacemente attacca la flotta genovese che, la primavera successiva, stava portando i prelati a Roma per concilio: vengono fatti tutti prigionieri.  Il concilio auspicato non verrà aperto, e l’appello lanciato dallo Svevo ai cardinali ed alla Chiesa contro il papa imbarazza gli avversari. Simile contesto originò una violenta controversia a base di scritti polemici, senza esclusione di colpi dall’una e dall'altra parte. L’imperatore fu accusato di apostasia. Gli fu posta in bocca (senza che la cosa sia stata finora dimostrata) l’affermazione secondo la quale Mosè, Maometto e Cristo sarebbero stati tre grandi impostori.
Il partito imperiale definì il papa «drago e anticristo degli ultimi tempi», che non agirebbe secondo i principi del vangelo, ma in base a punti di vista meramente politici. L’Occidente si trovò così diviso in due campi avversi, con una non indifferente parte degli stessi dignitari ecclesiastici che parteggiavano per l’imperatore. Federico propose allora la convocazione di un concilio generale, che in realtà però non voleva. Infatti, una volta convocato, egli impedì con le truppe che i partecipanti potessero radunarsi. Nel frattempo Gregorio IX moriva (22 agosto 1241).

Dopo un brevissimo pontificato di diciassette giorni (di Celestino IV), suo secondo successore divenne Innocenzo IV (1243-54), diplomatico esperto, scrupoloso, ma per nulla animato dal fervore religioso dei suoi predecessori. In un primo momento l’imperatore fu addirittura contento della sua elezione, dato che il nuovo papa proveniva dalla famiglia ghibellina Fieschi di Genova.
Furono ancora intavolate trattative, durante le quali però il papa ebbe l’impressione che non vi fosse alcuna prospettiva di arrivare ad un accordo. Fuggì perciò travestito dallo Stato della Chiesa e andò a Lione, che allora non apparteneva ancora alla Francia ma era comunque sotto il suo raggio d’influenza. Il fatto che nel frattempo continuasse comunque a trattare tramite suoi mediatori con rappresentanti dell’imperatore, la dice lunga sul suo carattere.
Luigi IX il Santo aveva significativamente rifiutato di accoglierlo sul territorio soggetto alla sua diretta sovranità. Naturalmente in questo modo le trattative andarono a monte; per di più nell’agosto del 1244 Gerusalemme cadde in modo definitivo in, mano ai nemici; i mongoli si erano spinti dalla Russia fino all’Ungheria, mettendo tutto a ferro e, fuoco al loro passaggio; l’impero latino di Costantinopoli era assediato da tutte le parti.

Concilio di Lione I  (1245)

In questa situazione il papa ritenne opportuno convocare nel 1245 un concilio a Lione, attuale sua residenza. Ad esso parteciparono solo circa centocinquanta vescovi anche se gli inviti erano stati diramati in tutte le direzioni. Gli interessi della Francia e dell’Inghilterra erano rappresentati da procuratori, l’imperatore da Taddeo da Sessa, allora cancelliere della Sicilia.  Questi promise, in nome del suo sovrano (scomunicato), di ricondurre all’unità ecclesiale tutta la Romània (così si chiamava allora l’impero d’Oriente), di contrastare energicamente mongoli e saraceni e di restituire alla Chiesa romana i suoi beni. Il papa però non si fidò di simili dichiarazioni e le respinse subito. Già nel discorso di apertura parlò soprattutto della persecuzione e della Chiesa da parte dell’imperatore Federico, lo accusò di eresia e di sacrilegio, aggiunse che aveva stretto amicizia col sultano e altri principi maomettani, che straviziava peccaminosamente con ragazze saracene e che già molto spesso aveva infranto giuramenti. Taddeo da Sessa addusse una serie di scusanti e chiese che la sentenza definitiva fosse procrastinata, in modo che potesse ragguagliare l’imperatore e questi potesse comparire personalmente davanti al sinodo. Ma questa proposta venne subito respinta.

Nella terza sessione pubblica (in quella precedente il procuratore imperiale aveva dichiarato nulla e non valida la sentenza già pronta, per vizi formali nella lettera di citazione e perché il papa non poteva essere accusatore e giudice della stessa causa) fu solennemente dichiarato che l'imperatore era stato privato di tutti i suoi onori e dignità, che i sudditi erano sciolti da ogni giuramento e che chiunque avesse appoggiato lo scomunicato si sarebbe similmente tirato addosso la scomunica. Bisognava subito eleggere un nuovo imperatore e predicare la crociata contro il notorio nemico della Chiesa.

L’imperatore reagì violentemente esclamando: «Ho ancora la mia corona, e nessun papa e concilio me la leverà senza combattere». Ma il destino decise diversamente. Una città dopo l’altra lo abbandonarono. Enrico Raspe, l’ambizioso langravio della Turingia, fu eletto re, seguito in questa carica dal figlio Guglielmo d’Olanda, che non era neppure un principe tedesco del regno. Malgrado alcuni successi parziali iniziali, l’imperatore non riuscì più ad ottenere alcuna vittoria decisiva e, profondamente deluso, moriva nel 1250, all’età di cinquantacinque anni, a Castel Fiorentino, fra le braccia del figlio naturale Manfredi, stroncato in maniera sorprendentemente rapida da una dissenteria, dopo che l’arcivescovo Berardo di Palermo, suo amico, lo aveva liberato dalla scomunica. Sarà sepolto nel duomo di Palermo.

Ora l’Impero e la Chiesa erano decisamente indeboliti.
 La tragedia più grave stava nel fatto che le due forze decisive della cristianità, il papa e l’imperatore, si fossero logorate tra di loro sperperando senza riguardo un prezioso capitale di fede e di fedeltà.

Oltre alla questione sveva il Concilio affrontò alcune emergenze che in quel momento attanagliavano la Cristianità: l’aiuto all’impero latino di Costantinopoli; la resistenza ai tartari per evitare la prospettiva apocalittica di una «terra priva di fedeli»; l’appello alla crociata, opera da compiersi non più per far penitenza né liberare semplicemente la T. S., ma per poter comparire «con sicurezza» davanti al Giudice divino; la riforma della Chiesa(1).

Concilio Lione II (1274)

È il primo concilio che vede l’influenza francese predominante (il secondo sarà quello di Vienne): l’annientamento dell’autorità imperiale sta già producendo le sue conseguenze assai condizionanti e cogenti per le concezioni universalistiche della Chiesa.

Di fatto per effetto della decadenza dell’Impero germanico la Francia, consolidatasi sotto il regno di Luigi IX il Santo (1226-70), divenne la potenza dominante d’Europa; in questo periodo in genere incominciano a delinearsi fortemente e a distinguersi tra loro le fisionomie territoriali delle grandi nazioni d’Occidente. Il più notevole rappresentante della politica francese in Italia era Carlo I d’Angiò, re di Napoli e di Sicilia (1265-85) senatore romano e vicario imperiale per la Tuscia.
Ma i papi non ebbero molte ragioni per rallegrarsi del loro vassallo e “protettore”. Clemente IV per primo deplorò amaramente la prepotenza del suo governo e le sue temerarie violazioni dei diritti della Chiesa. Carlo aveva anche saputo crearsi un seguito di devoti entro il collegio cardinalizio, nel quale dal tempo delle lotte con gli Svevi le divisioni di partito si erano moltiplicate in modo preoccupante. Ne conseguì che, dopo la morte di Clemente IV (novembre 1268), trascorsero più di due anni e mezzo prima che si ottenesse una maggioranza di due terzi e si potesse dare alla Chiesa un nuovo capo. La scelta cadde sull’arcidiacono di Liegi, Teobaldo Visconti, piacentino, che assunse il nome di Gregorio X (127 1-76). Aveva una personalità limpida, sinceramente religiosa.
Oggetto delle sue assidue preoccupazioni furono innanzitutto le ormai disastrose condizioni della Terra Santa, l’unione che si prospettava con la chiesa greca e la riforma della Chiesa. Costantinopoli nel 1261 era caduta di nuovo nelle mani dei Greci e l’impero latino (di Baldovino II) era crollato. Il conquistatore, l’imperatore Michele VIII Paleologo (1261-82), propose alla Santa Sede di riunire le Chiese (1263), con l’intento di scongiurare il pericolo che si addensava contro di lui dall’Occidente; specialmente da parte francese infatti da parecchi anni si facevano tentativi per riconquistare l’impero orientale.
Per deliberare in merito all’unione con la chiesa greca e le altre due cause sopraddette, il Papa convocò di nuovo nel 1272 un concilio ecumenico (il XIV), che ebbe luogo a Lione e si protrasse dal maggio fino al luglio del 1274.
Per la Terra Santa fu deliberata la riscossione di una decima su tutti i redditi ecclesiastici per sei anni; ma quanto ad azioni militari di qualche rilievo, non si ebbe più modo di effettuarne.
L’unione con i Greci fu nel concilio condotta a termine, per quanto l’avversione, e addirittura l’odio, che il popolo e il clero greco nutrivano contro i Latini rappresentassero un ostacolo gravissimo a tal fine; tanto che l’Imperatore dovette ricorrere perfino alla violenza per infrangere l’opposizione di una parte del clero.
Nelle trattative con gli  inviati greci a Lione si distinse il dotto e pio cardinale francescano, vescovo di Albano, fr. Bonaventura da Bagnoregio. I Greci riconobbero l’aggiunta del Filioque nel Credo e il primato del Papa e accettarono le appellazioni a Roma; poterono però conservare inalterato il loro rito e la loro liturgia. Nel concilio fu discusso anche il problema della riforma e ciò condusse ad una serie di decreti, intesi a migliorare la disciplina nella Chiesa (sul memoriale del generale domenicano Umberto di Romans).

Una forte discussione in sede conciliare fu quella relativa agli ordini religiosi di recente fondazione.

Nessuno dei tre grandi ordini di frati attraversò in questo periodo una crisi paragonabile a quella che dilaniò i Francescani (spirituali intossicati da dottrine gioacchinite). Ma nel complesso i frati entrarono in conflitto con due autorità esterne: le università e i vescovi.
Venuti a Parigi e a Oxford per evangelizzare, i frati divennero loro malgrado professori e studenti. Lottarono per conservare la loro libertà, pur godendo di privilegi universitari. In particolare vollero studiare la teologia senza doversi diplomare nelle altre discipline. Inoltre vollero creare delle cattedre e preparare alle lauree universitarie nelle loro scuole; vollero essere liberi da ogni obbligo nei confronti degli statuti e dei regolamenti delle università “statali”. Dal canto loro, i professori secolari non si limitarono ad esigere la sottomissione dei frati. Attaccarono i loro diritti a costruire un ordine al tempo stesso studente e docente (predicatore). Contando tra loro un san Bonaventura e un san Tommaso, i frati ebbero “poche” difficoltà a difendere i loro ideali, ma furono involontariamente ostacolati da un frate, Gerardo da Borgo San Donnino, che utilizzò le profezie di Gioacchino da Fiore per presentare i Frati minori come gli apostoli del futuro regno dello Spirito Santo. I frati avrebbero potuto essere battuti completamente, se non avessero avuto il sostegno del papato nella persona di Alessandro IV, che era stato cardinal protettore dei Minori. Quest’ultimo gettò nella lotta tutta la sua autorità e condannò gli avversari dei frati. Consolidò la posizione che occupavano a Parigi con la bolla Quasi lignum vitae (1257). Da quel momento, i frati godettero di una solida posizione su tutti i punti essenziali.

Certuni fanno risalire l’origine del gallicanismo al risentimento provato dagli universitari contro la decisione presa dal papa in questa controversia. Quando i due ordini arrivarono a ricoprire l’intera Europa, predicando e assolvendo, godendo di privilegi e di esenzioni pontificie, venne a instaurarsi una situazione nuova: i vescovi e i preti di parrocchia si resero conto che i frati sconfinavano nelle loro competenze amministrative e finanziarie. Per qualche decennio, il papato continuò a colmare i frati di favori. Tutti gli attacchi che mettevano in discussione gli ideali e il diritto dei frati ad essere mendicanti e apostoli, come abbiamo visto, fallirono. Tuttavia, rimanevano alcune difficoltà pratiche. Davanti al crescente malcontento dei vescovi, Innocenzo IV, nella bolla Etsi animarum (1254) limitò la libertà di accesso alle chiese dei frati e proibì a questi di predicare o confessare nelle chiese parrocchiali senza esservi stati invitati dal sacerdote. Qualche giorno dopo, il papa morì (il fatto fu sfruttato dai frati). Il suo successore, Alessandro IV annullò l’esecrata bolla. Tuttavia gli attriti continuarono.

Raggiunsero l’acme al secondo Concilio di Lione (1274), dove venne proposto un decreto tendente a sopprimere tutte le nuove organizzazioni religiose. Dato che tra i grandi cardinali c’era san Bonaventura e Pietro di Tarantasia (O.P.; poi eletto papa; acquisirà il nome di Giovanni XXI; resse l’ufficio dal 1276 al 1277, quando accidentalmente morì) e che molti padri conciliari erano loro stessi dei frati, una proposta del genere non poteva che essere votata al fallimento. Nondimeno il decreto esentava incondizionatamente solo i frati Minori e i frati Predicatori. Gli eremitani di sant’Agostino e i carmelitani fruirono di una proroga provvisoria che, in quella circostanza, fu permanente.  I frati del Sacco e altri gruppetti vennero formalmente soppressi, ma alcuni, come i frati della Santa Croce in Inghilterra, presero il titolo di “canonico” e persistettero fino alla Riforma. Dopo il concilio, si ebbero altri tentativi di conciliazione.  Ma tutte le speranze vennero distrutte da Martino IV che, con la bolla Ad fructus uberes (1281), permise ai frati di predicare e confessare ovunque senza autorizzazione.  Diede anche ai superiori mendicanti l’esclusivo diritto d’ispezione e di nomina dei predicatori e dei confessori. Non ci si poteva spingere oltre con i privilegi.

L’Ad fructus uberes fu l’ultima ondata della grande marea del potere assoluto del papato che, sotto Innocenzo IV, aveva invaso quasi tutto il diritto consuetudinario dei vescovi. Il momento era grave. Ordinario universale, il papa deformava tutti i diritti episcopali e parrocchiali. Se il processo fosse stato portato a termine, i vescovi sarebbero diventati dei semplici cappellani pontifici incaricati di ordinare e di consacrare. Tutti i benefici sarebbero stati occupati da dei provvisori, mentre i frati avrebbero evangelizzato, confessato e seppellito i parrocchiani nelle proprie circoscrizioni. La tradizionale funzione del vescovo monarchico sarebbe scomparsa per sempre. Abbastanza paradossalmente, Bonifacio VIII († 1303) salvò la situazione. Rimise a posto le cose con il saggio decreto Super cathedram (1300). Tra le altre prescrizioni, impose ai frati mendicanti di chiedere il permesso del prete prima di predicare e confessare in una parrocchia, mentre il vescovo doveva concedere la sua autorizzazione a un determinato numero di quelli che si rivolgevano a lui. La Super cathedram fu annullata da Benedetto XI (O.P.), la cui vita fu molto breve († luglio 1304). Ma il successore di quest’ultimo pubblicò nuovamente il decreto che sarebbe rimasto in vigore lungo tutto il Medioevo. I parroci e i vescovi ebbero altre vertenze con i mendicanti nel corso degli anni successivi. Ma i frati non minacciarono mai più di scavalcare i vescovi e i parroci per mettersi, quale milizia pontificia privilegiata, al servizio dei fedeli.

In un decreto di riforma il concilio di Lione prese un’importante decisione circa l’elezione papale, per impedire le troppo lunghe vacanze al momento della successione: il sistema di elezione già praticato nel 1241 del conclave (riunione di tutti i cardinali in una abitazione comune, con isolamento dal mondo esterno e graduale diminuzione dei cibi), fu prescritto per legge nel can. 2 (Ubi periculum); tuttavia diversi papi ne sospesero presto l’esecuzione. Celestino V nel 1294 lo ripristinò. Clemente VI (1351) ne rese meno rigido il regolamento.

Nell’impero germanico dopo la morte di Riccardo di Cornovaglia (1272), per le vive sollecitazioni del Papa, i sette principi elettori procedettero ad una nuova elezione e scelsero come nuovo re l’eccellente conte Rodolfo d’Asburgo (1273-91). Ebbe in tal modo fine «il tempo spaventoso senza imperatori» (Schiller).
Rodolfo chiese al Papa il riconoscimento della propria elezione e questi glielo concesse con la formula: Te regem Romanorum nominamus, non prima però che Rodolfo avesse rinnovato, tramite i suoi legati, tutte le promesse e le concessioni che già Ottone IV e Federico II avevano fatto alla Chiesa Romana e avesse esplicitamente rinunciato all’Italia meridionale a favore di Carlo d’Angiò (1274). Rodolfo non riuscì però a cingere la corona imperiale, per quanto il Papa gliela avesse offerta, perché il progettato viaggio a Roma non ebbe luogo e Gregorio X, che in riconoscimento del suo atteggiamento favorevole alla Chiesa era con lui in ottimi rapporti, morì troppo presto. I giorni dell’antico splendore imperiale erano ormai definitivamente tramontati.


NOTE:

1)  Deposizione di Federico II, l’Impero latino di Costantinopoli agonizzante, l’invasione tatara, la crociata per riscattare Gerusalemme e la riforma della Chiesa sono le cinque tematiche che sono riassunte nel discorso di apertura del concili da parte del papa e che lui stesso chiamerà le cinque piaghe della cristianità (come cinque erano le stimmate di Cristo). Tale richiamo alle piaghe della Chiesa identificate con le piaghe del Signore farà storia: il beato Antonio Rosmini († 1855) quando pubblicherà il suo famoso libro (che gli costò la nomina cardinalizia al tempo di Gregorio XVi e Pio IX) Le cinque piaghe della santa Chiesa, in cui l’autore, per il coraggio e la lungimiranza di alcune sue idee sulla riforma della Chiesa, sembrò precorrere il Concilio Vaticano II, aveva di fronte agli occhi l’antica assonanza di Innocenzo IV.


Fonte:  Appunti.  Biennio filosofico.  Anno Accademico 2010-2011


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