mercoledì 15 giugno 2011

STORIA DELLA CHIESA MEDIEVALE. (Cap. IV.B): SCISMA DI MICHELE CERULARIO E PAPA LEONE IX; L’ESTRANIAMENTO PROGRESSIVO TRA CHIESA ORTODOSSA E CHIESA CATTOLICA

Michele e Cerulario

Intendiamo inserire qui, a mo’ di appendice, completando quanto abbiamo già anticipato: la progressiva crisi che estraniò l’Occidente dall’Oriente e che prima portò alla stallo scismatico tra papa Niccolò I  e il patriarca Fozio, che raggiunse il suo apice critico tra Cerulario e Leone IX e il suo parossismo conclamato nella conquista crociata di Costantinopoli (1204).

Nuova materia di controversia costituì il quarto matrimonio dell’imperatore Leone VI.  Nel 906, esso non fu riconosciuto dal patriarca Nicola I conformemente al diritto della Chiesa orientale, mentre lo fu dal papa Sergio III. Di conseguenza il nome del papa fu cancellato dai dittici (tavolette della prece eucaristica) e il patriarca addirittura deposto.  Successivamente rimesso al suo posto, egli pregò papa Giovanni X di inviare dei rappresentanti. Nel frattempo Costantinopoli aveva proibito le quarte nozze, cosa che un sinodo (921) e anche i legati papali accettarono. Allora il nome del papa fu reinserito nei dittici. A partire da questa controversia della tetragamia nella Chiesa ortodossa è vietato dopo d’allora un quarto matrimonio, mentre l’Occidente non conosce una simile limitazione.

La mancanza di contatti e di collaborazione fra oriente e occidente fu aggravata nel secolo X dalla situazione del papato; in oriente esistevano un governo ecclesiastico abbastanza forte e l’irradiamento teologico-ecclesiale di un Michele Psello e di un Simeone il Nuovo Teologo, nonché una missione bizantina vivace. Tensioni si ebbero con l’incoronazione di Ottone il Grande a imperatore (962), con l’uso del «Filioque» nel simbolo anche in Roma da parte di Sergio III (nel 1009 il suo nome fu perciò cancellato dai dittici a Costantinopoli) e con l’aggiunta ufficiale fattane da Benedetto VIII (1014) su pressione dell’imperatore Enrico II. Neppure il comune pericolo normanno riuscì a migliorare il clima. Ambedue le parti avevano quasi perso la coscienza di appartenere a un’unica Chiesa.

Quando in oriente governava il patriarca Michele Cerulario(1)(1043-58), uomo energico e geloso della propria indipendenza, il movimento riformista, già da tempo all’opera in Occidente per migliorare le condizioni della Chiesa, ritenne di dover intervenire anche nelle comunità bizantine dell’Italia meridionale.  Michele Cerulario reagì violentemente, ordinò, senza neppure prendere in considerazione la possibilità di un’intesa, la chiusura delle chiese latine di Costantinopoli e condannò le consuetudini occidentali. Questi interventi e sconfinamenti da una parte e dall’altra sono un indice della profonda estraniazione delle Chiese e di una grave diffidenza reciproca. L’una e l’altra parte arrivarono addirittura ad accusarsi vicendevolmente di eresia. Tuttavia il pericolo normanno le costrinse a riconciliarsi. Il patriarca scrisse perciò al papa, e questi inviò una delegazione a Costantinopoli. La scelta del card. Umberto da Silva Candida(2) a capo delegazione non giovò però alla riconciliazione, perché questo fiero sostenitore della riforma non aveva alcuna comprensione per e della Chiesa orientale. Egli arrivò nell’aprile del 1054 e fu accolto solennemente dall’imperatore, ma meno solennemente dal patriarca che sollevò più di una riserva: la delegazione sarebbe stata influenzata dal suo nemico personale, il plenipotenziario bizantino nell’Italia meridionale; essa non poteva addirittura essere stata inviata dal papa, perché questi era prigioniero dei Normanni (a Benevento); infine anche i nuovi sigilli dei documenti sarebbero stati sconosciuti al patriarca. L’atmosfera risultava cattiva in partenza, per dei dialoghi di riconciliazione.

Il  cardinale, con in mente le idee occidentali sul cesaropapismo, non si rese conto degli effettivi rapporti di potere e cercò l’appoggio dell’imperatore, mentre «trattò» il patriarca come «un suo subalterno » (W. de Vries). Infine perse la pazienza e scomunicò il patriarca unitamente ai suoi sostenitori (non però tutta la Chiesa ortodossa), deponendo sull’altare della Haghia Sophia durante la celebrazione eucaristica del 16 luglio del 1054 un documento da lui compilato.
Non sappiamo se egli allora fosse a conoscenza che il papa era morto tre mesi prima, né possediamo alcuna testimonianza di un incarico conferitogli dal papa di scomunicare il patriarca. «La bolla di scomunica composta da Umberto mostra chiaramente fino a che punto la mentalità della Chiesa romana si fosse trasformata sotto l'influsso del movimento riformatore e quanto poco gli uomini di tale movimento avessero capito della Chiesa orientale, nonché dei suoi usi e delle sue consuetudini. Umberto pretese di scoprire in essa le tracce di tutte le grandi eresie..., e accusò addirittura i bizantini di aver stralciato il “Filioque” dal Credo, cosa con cui dimostrò la sua ignoranza nel campo della storia della Chiesa» (F. Dvornik).

Dopo un tentativo imperiale di riconciliazione andato a vuoto, un sinodo radunato a Costantinopoli scomunicò il 24 luglio, l’autore della bolla di scomunica e i suoi collaboratori. Neppure questo sinodo del patriarca scomunicò, ad esempio, il papa o tutta la Chiesa occidentale.

Perciò le scomuniche del 1054 non segnarono l’avvento dello scisma definitivo, che sopravvenne solo con la conquista crociata di Costantinopoli del 1204 e con le sue conseguenze. Nel 1054 fallì piuttosto un tentativo di riconciliazione, che era stato intrapreso su una base sbagliata e in condizioni sfavorevoli. La letteratura polemica, che da allora cominciò a proliferare, consolidò ancora di più i fronti.

Sentenza di scomunica del cardinale Umberto contro Michele Cerulario (1054)

«Quanto a Michele, al quale si attribuisce abusivamente il titolo di patriarca, e ai sostenitori della sua pazzia, essi seminano una abbondante zizzania di eresia, ogni giorno, nella città di Costantinopoli. Come i simoniaci, vendono il dono di Dio (...). Come i nicolaiti, permettono ai ministri del santo altare di contrarre matrimonio (...). Come gli pneumatomachi (coloro che combattono lo Spirito), essi hanno soppresso nel simbolo la processione dello Spirito Santo a filio (...). Come i manichei dichiarano che il pane fermentato è animato. Inoltre, lasciando crescere barba e capelli, rifiutano la comunione a coloro che, seguendo il costume della Chiesa romana, si fanno tagliare i capelli e si radono la barba (...).
Per questo motivo, non potendo sopportare queste ingiurie inaudite e questi oltraggi verso la prima sede apostolica, noi firmiamo contro Michele e i suoi discepoli l’anatema che il nostro reverendissimo papa aveva pronunciato contro di loro qualora non avessero ritrattato:
Che Michele il neofita, che porta abusivamente il titolo di patriarca (...), e tutti quelli che lo seguono negli errori suddetti, cadano sotto l’anatema, Maranathà, con i simoniaci (...) e tutti gli eretici, anzi con il diavolo e i suoi angeli a meno che non si convertano. Amen, amen, amen!»

Citato in M. JUGIE, Le schisme byzantin, 205s.


Non mancarono i tentativi per ristabilire la reciproca concordia e la pace sebbene i moventi degli imperatori orientali fossero il più delle volte di natura politico-militare e quelli dei papi di natura politico-ecclesiale, ma non ecumenici nel senso odierno del termine. Una parte si aspettava aiuti militari contro l’invadenza dell’islam, l’altra il riconoscimento del primato nel senso occidentale di «sottomissione» alla giurisdizione papale.
A questo riguardo non possiamo parlare retrospettivamente di un «ritorno» della Chiesa bizantina sotto l’obbedienza della sede papale, perché una subordinazione del genere, quale allora venne richiesta, non è mai esistita né prima né dopo.

Tentativi del tipo descritto ve ne furono sotto Gregorio VII e l’imperatore Michele VII (1071- 78), ma senza successo. L’imperatore Niceforo III (1078-81), che non vi era favorevole, fu addirittura scomunicato dal papa, così come lo fu Alessio I (1081-1118), senza che ciò avesse tuttavia delle ripercussioni in Costantinopoli.  Urbano II cercò di riguadagnare Alessio, tolse la scomunica e prospettò degli aiuti militari. E con questo siamo all’inizio delle crociate, il cui ruolo fu oltremodo nocivo per le relazioni fra le Chiese.
Solo dopo quasi un millennio, il 7 dicembre 1965, tali scomuniche furono contemporaneamente tolte a Roma da Paolo VI e a Costantinopoli dal patriarca ecumenico Atenagora I, che con questo gesto vollero «cancellarle dalla memoria e dal seno della Chiesa» e «condannarle all’oblio».

Dichiarazione comune del papa Paolo VI e del patriarca Atenagora (7 dicembre 1965)

Tra gli ostacoli che si trovano sul cammino dello sviluppo di questi rapporti fraterni (tra la Chiesa Cattolica Romana e la Chiesa Ortodossa) di fiducia e di stima, c’è il ricordo delle decisioni, degli atti e degli incidenti penosi che hanno portato, nel 1054, alla sentenza di scomunica lanciata contro il patriarca Michele Cerulario e due altre personalità, dai legati della sede romana guidati dal cardinale Umberto. Tali legati furono essi stessi poi colpiti da una sentenza analoga da parte del patriarca e del Sinodo costantinopolitano.

Il papa Paolo VI e il patriarca Atenagora I con il suo Sinodo, consapevoli di esprimere il sentimento comune di giustizia e il sentimento unanime dei loro fedeli e ricordando il comando del Signore: «Se dunque tu, nel fare la tua offerta all’altare» (Mt 5,23-24) dichiarano di comune accordo:

a) di deplorare le parole offensive, i rimproveri senza fondamento e i gesti condannabili che, da una parte e dall’altra, hanno contrassegnato o accompagnato i tristi avvenimenti di quell’epoca;

b) di deplorare, anche, e di cancellare dalla memoria e dal seno della Chiesa, le sentenze di scomunica che vi hanno fatto seguito ed il cui ricordo è stato, fino ai nostri giorni, un ostacolo al riavvicinamento nella carità e di condannarle all’oblio;

c) di deplorare, infine, i dolorosi precedenti e gli avvenimenti ulteriori che, sotto l’influsso di vari fattori, tra i quali l’incomprensione e la reciproca diffidenza, hanno, alla fine, condotto alla rottura effettiva della comunione ecclesiastica.

Il papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora I con il suo Sinodo sono consapevoli che questo gesto di giustizia e di perdono reciproco non può bastare a mettere fine alle controversie antiche o più recenti che sussistono tra la Chiesa Cattolica Romana e la Chiesa Ortodossa e che, mediante l’azione dello Spirito Santo, saranno superate grazie alla purificazione dei cuori, al rammarico dei torti avutisi nel corso della storia, così come grazie alla volontà efficace di giungere a una comprensione e ad un’espressione comune della fede apostolica e delle sue esigenze.

Tratto da J. COMBY, Per leggere la storia della Chiesa 1, Roma s.a., 110



NOTE

1)  Michele Cerulario (1000-1058), nato in una grande famiglia di Costantinopoli, era diventato monaco dopo la carcerazione per un complotto contro l’imperatore. L’amicizia di un altro imperatore gli valse la dignità patriarcale nel 1043. Si mostrò molto avverso ai Latini. Nel 1058, fu arrestato e deportato dall’imperatore Isacco Comneno e morì prima di essere giudicato.

2)  Umberto entrò nel 1015 nel monastero di Moyenmoutier (Vosgi) e divenne un convinto fautore della riforma della Chiesa. Il papa Leone IX che era stato vescovo di Toul lo portò a Roma come segretario, lo fece cardinale e gli affidò molti incarichi, tra cui quello di Costantinopoli. Era un uomo di carattere, ma rude, senza elasticità e senza comprensione per le diversità.



Fonte:  Appunti.  Biennio filosofico.  Anno Accademico 2010-2011



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