I leoni in pietra
Scoperta durante i lavori di manutenzione idrica. Sono leoni in pietra che affioravano dall’acqua
Erano lì, proprio a pelo d’acqua, i due leoni di pietra ritrovati ieri mattina nell’ansa dell’Adige tra ponte Scaligero e ponte del Risorgimento.
Sono riemersi per caso, durante i lavori di manutenzione idrica del fiume. Due bellissimi esemplari, un maschio e una femmina seduti sulle zampe, con la bocca spalancata tanto da mettere in bella mostra i canini in segno di difesa. Due reperti antichi, a prima vista, probabilmente risalenti all’epoca romana. Ben conservati, almeno la femmina, che fatta eccezione per la zampa destra mancante, mantiene integro il suo aspetto fiero.
Il maschio ha subito maggiormente l’usura dell’acqua, che ha eroso la parte anteriore, lasciandolo invece privo di espressione. Nicola Scala era alla guida del suo escavatore idraulico come tutte le mattine, per proseguire i lavori di risagomatura dell’alveo, iniziati una quindicina di giorni fa dal Genio Civile di Verona. Quando tra i detriti portati dal fiume e depositati nel tempo verso l’argine, ha intravisto subito la sagoma di un leone e accanto, il blocco di pietra del secondo.
«Le operazioni di recupero sono state semplici», precisa il direttore dei lavori, Antonio Furlanetto, «perché i due leoni erano appena interrati, affioravano dall’acqua di mezzo metro». Ripescati dalla pala meccanica, sono stati messi, uno accanto all’altro, sul greto asciutto del fiume. A questo punto è caccia aperta alle ipotesi di provenienza. Da dove vengono e dov’erano? Forse difendevano l’ingresso di una chiesa, o ornavano l’atrio di un palazzo signorile. Ma le risposte spettano agli esperti. Sergio Bombieri, capotecnico della Soprintendenza ai Beni archeologici di Verona, arrivato sul luogo del ritrovamento in tarda mattinata, non si sbilancia. «Sono sicuramente dei reperti antichi», dice, «ma per datarli con precisione e per dar loro una possibile provenienza, si devono esprimere gli archeologi».
Potrebbero essere stati trasportati fino a lì da una piena dell’Adige, o trafugati dai tedeschi e abbandonati in acqua durante la fuga, subito dopo la seconda guerra mondiale. Sono alcuni passanti, scesi dall’argine incuriositi dal quel nastro bianco e rosso, messo come recinto alle due «belve» di pietra dal peso di più di dieci quintali l’una, ad azzardare ipotesi sul materiale: pietra di Avesa, utilizzata in passato soprattutto come materiale da costruzione, o il marmo giallo reale, utilizzato invece per colonne e sculture. Sono solo azzardi ipotetici, ma danno la misura dell’interesse vivo che è in grado di suscitare il ritrovamento di reperti archeologici, in una città che, in materia, è molto generosa e, a quanto pare, ha ancora molto da dare.
I due leoni, nel tardo pomeriggio sono stati trasportati nell’ex caserma di San Tomaso, dove la Soprintendenza ha un cortile che utilizza come deposito per i ritrovamenti. «I nostri magazzini sono pieni», dice Bombieri, «e perché vengano studiati e datati ci vorrà parecchio tempo». Certo, non siamo in un film di Indiana Jones, in cui per difendere un pezzo di legno antico si rischia anche la vita, ma questi due leoni hanno una storia, e dunque un valore.
Fonte: srs di Silvia Bernardi, da L'Arena di Verona di venerdì 16 febbraio 2007
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Verona - I leoni dell’Adige sono romani
I leoni dell’Adige sono romani. Per gli studiosi le statue ritrovate nel fiume fra i ponti di Castelvecchio e Risorgimento risalgono al primo secolo dopo Cristo. Cavalieri Manasse: «Facevano parte di un grande monumento funebre»
Ma quante belle congetture e fieri propositi dislocativi per i due splendidi leoni marmorei affiorati in Adige dai lavori del Genio Civile, nella tratta fra i ponti di Castelvecchio e del Risorgimento sul lato verso la Campagnola. Bastava sentire d’insieme un geologo, un archeologo e un paio di storici. Magari anche un archeologo subacqueo.
Romani, sono romani del I secolo dopo Cristo i due leoni. E autentici. Il marmo è il classico giallo di Sant’Ambrogio di Valpolicella, dove la cave erano anche allora attivissime (basta guardarsi in giro per la città). Poi lo trasportavano al fiume, lo imbarcavano su grandi scafi da trasporto e lo portavano in tutta l’Alta Italia, per fiumi e mari e paludi e lagune. Si trova tutto nei libri sui marmi veronesi di Pier Paolo Brugnoli, dai secoli romani a quelli romanici e, per Brugnoli, possono benissimo essere stati scolpiti in riva al fiume in Valpolicella e poi trasportati su acqua, come è accaduto più volte: il naviglio naufragò, perdendoli. «Ci sono state addirittura barche che si sono incendiate e poi sono affondate», dice lo studioso.
Poi si scomoda Giuliana Cavalieri Manasse, responsabile del Nucleo Operativo della Soprintendenza Archeologica del Veneto (per l’età romana) che dichiara: «Facevano parte di una grande erma funeraria, una plastica architettura verticale, che li poneva sopra due figure umane sul cui capo poggiavano simmetricamente la zampa sollevata. Ecco perché a entrambi mancano le zampe: la destra all’uno e la sinistra all’altro. Sono state spezzate al momento dello smembramento del mausoleo. I romani avevano una estesissima area cimiteriale, una grande necropoli, fuori porta San Giorgio che si estendeva sulla Campagnola. Evidentemente sono reperti di spoglio, di riuso. Ve ne sono anche in Emilia e ad Aquileia».
«La Campagnola era costruita. Solo nel Cinquecento fu spianata dai Veneziani dopo la lega di Cambray del 1516. Prima vi erano, a Castelvecchio, la chiesa di San Martino in Aquaro e fra i coltivi l’importantissima San Giovanni in Sacco fatta erigere da Leonetta Malaspina, dignitario dei Della Scala nel XVI secolo, con un ospizio per nobili decaduti. Lui morirà nel 1352 e verrà collocato nella navata il monumento funebre ora al Victoria and Albert Museum di Londra. Un capolavoro di scultura gotica - dice lo storico docente universitario a Trento Gian Maria Varanini -. Ma i leoni non vengono certo dalle chiese, non sono stilofori, possono esservi stati reimpiegati, occorrerebbero analisi petrografiche». Non certo il Carbonio 14 come si è letto, dato che funziona solo su sostanze e resti organici, vegetali e animali, non minerali.
«Il fiume prima scava a monte e poi deposita a valle - espone il dottor Roberto Zorzin, conservatore di Geopaleontologia al Civico Museo di Storia Naturale - quindi anche qui il letto si è abbassato evidenziando i reperti, bisogna anche tenere conto di tutte le vicissitudini che l’area ha subito nei secoli, non solo dai muraglioni in poi».
Altri leoni marmorei romani «veronesi» sono al museo Maffeiano e dietro l’erma di Umberto I al ponte Navi, il coperchio di un sarcofago che, un tempo, era vicino alla Porta dei Leoni nella via omonima.
Mentre adesso il fiume è considerato solo un corpo estraneo ingombrante della città, un tempo ne era parte vitalissima. Per questo non sorprende che vi siano ancora affioranti testimonianze delle passate civiltà. Adesso sono dentro l’ex caserma austriaca a lato di San Tommaso Cantauriense, affidati per competenza al Servizio di Archeologia Subacquea Alta Italia del gruppo «Nausicaa».
Fonte: srs di Bartolo Fracarol, da L'Arena di Verona venerdì 23 febbraio 2007
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