martedì 28 settembre 2010

Quando la storia viene presentata come lotta tra il “bene” e il “male”

Adolf Eichmann 


Un recente articolo del Sunday Times ci informa che Adolf Eichmann, considerato il principale responsabile dell’olocausto, salvò 800 ebrei tenendoli segretamente al sicuro in un ospedale di Berlino.
Secondo l’articolo, “questi ebrei sopravvissuti erano collaboratori, spie o le mogli di tedeschi influenti sotto alta protezione nazista. Altri ebrei costituivano il personale dell’ospedale, incaricati da Eichmann di curare i malati”.

La storia della seconda guerra mondiale è presentata da USA e Israele come la lotta tra il bene e il male, tra i più crudeli carnefici di tutti i tempi, i nazisti, e le eterne vittime della violenza razzista, gli ebrei.
Secondo i dogmi della religione dell’Olocausto, nella presentazione del secondo conflitto mondiale, da una parte, vengono fatte scomparire le vittime non ebraiche, ben più numerose, dall’altra, viene taciuta la documentata e continuativa collaborazione tra una parte degli ebrei, i sionisti, e tutti gli antisemiti europei, in particolare i nazisti.
Questa collaborazione sembrerebbe innaturale ma non lo è affatto. Discende dal comune interesse di nazisti e sionisti di operare, in tutta Europa, per la separazione tra non ebrei ed ebrei ed il trasferimento di questi ultimi lontano dagli stati del continente europeo verso altri continenti.

Possiamo illustrare questa strategia con le parole di un sionista, tra tanti, che collaborò strettamente col nazismo:
Per molti anni ho ritenuto che la completa separazione delle attività culturali dei due popoli sia la condizione per rendere possibile una collaborazione pacifica (…) a condizione che essa si basi sul rispetto della nazione straniera [gli ebrei]. Le Leggi di Norimberga (…) mi sembrano, se si escludono le disposizioni legali, conformarsi interamente con il desiderio di una vita separata sulla base del mutuo rispetto”.
Questo signore si chiamava Georg Karesky e concluse la sua vergognosa esistenza nello stato ebraico, da lui desiderato e fondato assieme ai suoi simili separatori di “razze”.
I palestinesi, vittime di questa operazione congiunta di sionisti e antisemiti, rappresentavano per i colonizzatori ancora un’altra “razza” da cui essi volevano separarsi.
Per questo, in concomitanza della fondazione del loro stato (1948), provvidero a cacciarli dalla Palestina con una enorme operazione di pulizia etnico-razziale.

La storia delle varie soluzioni territoriali per la costituzione di uno stato ebraico è ormai abbastanza nota.
Gli inglesi, prima della Dichiarazione Balfour (1917), proposero a Herzl il trasferimento degli ebrei in Uganda.
Alcuni sionisti, contestualmente, proponevano uno stato ebraico in Argentina.
Il sionista Zangwil proponeva il trasferimento in America del Nord.
I sionisti che contavano, in particolare i sionisti “socialisti”, rigettarono decisamente queste soluzioni e insistettero per la costituzione di uno stato ebraico in Palestina.
Contro questa “soluzione” avevano messo in guardia due importanti personalità ebraiche vissute prima della nascita ufficiale del sionismo (primo congresso sionista di Basilea, 1896). Ahad ha-Am, avvertiva che la Palestina era popolata dai palestinesi e che la costituzione di uno stato ebraico su quella terra avrebbe richiesto l’eliminazione del popolo palestinese.
Egli proponeva quindi, la fondazione, non di uno stato, ma di un centro religioso e culturale ebraico a Gerusalemme, per la conservazione dell’ebraismo più che degli ebrei, una specie di Vaticano ebraico. Ispirati da questo centro, gli ebrei della diaspora avrebbero dovuto restare nei paesi in cui vivevano, mantenendo viva la loro religione.
Il secondo personaggio, Leo Pinsker, proponeva un raggruppamento ebraico in una parte della Russia meridionale, intorno ad Odessa, dove già gli ebrei erano numerosi. Non in uno stato, ma in una comunità indipendente, all’interno dell’impero zarista.
Altra soluzione territoriale fu proposta da Stalin, il quale pressato dai sionisti col mal di mare, cioè quelli che temevano il viaggio verso la Palestina, alla fine concesse agli ebrei una terra, il Birobijan, nell’estremo Oriente russo, perché vi costruissero una repubblica ebraica all’intero dell’Unione Sovietica. Molti ebrei sovietici ed altri provenienti da diversi paesi emigrarono in Birobijan, per costituire uno stato ebraico progressista.
I sionisti che non soffrivano di mal di mare e che si erano trasferiti o si stavano trasferendo in Palestina, condannarono con forza questa idea, perché il Birobijan avrebbe rappresentato una alternativa, una soluzione concorrenziale.
I nazisti tra il 1933 e il 1940 accettarono la proposta sionista di trasferire gli ebrei tedeschi in Palestina e solo in Palestina. Si stabilì quindi una proficua collaborazione tra sionisti e nazisti a questo fine. Karesky è solo un esempio di questa collaborazione.
I sionisti accettarono con entusiasmo le leggi razziali di Norimberga, perché esse rappresentarono un sostanziale passo in avanti nel loro progetto di stato ebraico in Medio Oriente.
Questa naturale collaborazione, fondata sull’idea della separazione degli “ariani” dagli ebrei, vide anche la firma di un patto economico, noto come Ha’avara.
Secondo questo patto, i tedeschi incoraggiavano l’emigrazione degli ebrei in Palestina e gli ebrei, in cambio, acquistavano macchinari e materiale agricolo tedesco. Fu costituita una banca comune, sionistico-nazista, in cui gli emigranti tedeschi, prima di emigrare, depositavano i loro denari che i nazisti incameravano come compenso per i macchinari, i pezzi di ricambio, i concimi, ecc., esportati. A pagamento della “merce” ebraica acquistata dai sionisti dalla Palestina, i nazisti ricevevano pure agrumi e altri prodotti agricoli della colonia sionista.

Subito dopo l’inizio del secondo conflitto mondiale, i nazisti capirono che l’emigrazione ebraica in Palestina li danneggiava. Essa rafforzava l’Impero Britannico e rendeva impossibile una politica di apertura, in funzione anti-inglese, verso gli arabi. Interruppero quindi il patto economico Ha’avara, e l’ “esportazione” di ebrei in Palestina. Cercarono di conseguenza un’altra soluzione territoriale alla questione ebraica.
In collaborazione con la Francia di Vichy, proposero agli alleati che si permettesse l’emigrazione degli ebrei europei in una colonia francese, questa volta in Africa: il Madagascar. Gli alleati rifiutarono e non se ne fece nulla. La partecipazione degli alleati a questa soluzione era indispensabile perché la flotta inglese, come quella statunitense, controllava gli oceani. L’Inghilterra controllava pure i territori africani da cui si poteva accedere al Madagascar.

Mussolini, da parte sua, dopo aver appoggiato il sionismo e favorito, con una linea marittima diretta tra Trieste e Haifa, l’emigrazione sionista in Palestina, iniziata la guerra, propose che gli ebrei costituissero una specie di stato all’interno della colonia etiopica, di recente conquista. Questo stato all’interno dello stato coloniale etiopico doveva sorgere nella regione dei Falascià, popolazione etiopica semi-ebraizzata. La solita politica del divide et impera con gli ebrei a guardia dei neri africani, “razza” ancora più in basso della “razza” ebraica.
Mussolini aveva anche capito che per il controllo del Mediterraneo a cui aspirava, una politica aperta verso gli arabi era indispensabile. Anche in questo caso, comunque, i sionisti rifiutarono.

Fallita l’operazione Madagascar, per mancata collaborazione dei britannici (e dei sionisti), i nazisti, essendo ormai iniziata la guerra contro l’Unione Sovietica, pensarono ad un’altra soluzione territoriale: la Siberia.
Intanto gli ebrei sottomessi ai nazisti erano diventati milioni. La maggior parte di essi infatti si trovava nei paesi baltici, in Bielorussia e nella parte di Russia conquistata.
I nazisti pensarono che dopo la guerra e la sconfitta dell’Unione Sovietica, tutti gli ebrei d’Europa potevano essere trasferiti oltre gli Urali, dove potevano costruire il loro stato, sottomesso al III Reich.
Ma l’Unione Sovietica non fu sconfitta e tutti gli ebrei raccolti nei campi di concentramento furono usati come forza lavoro praticamente gratuita. La stessa sorte toccò a milioni di non ebrei, i soldati polacchi e russi fatti prigionieri ma anche gli italiani catturati dopo l’8 settembre 1943 e considerati disertori perché non aderivano alla Repubblica Sociale Italiana.
 Verso la fine della guerra, con i bombardamenti alleati e la distruzione delle città tedesche, le condizioni dei campi peggiorarono. Né si può immaginare che ciò non accadesse, dal momento che lo stesso popolo tedesco viveva ormai nella miseria, nella fame e nella violenza.

 La tragica fine di tanti ebrei nei campi non può essere separata dalla morte di milioni di non ebrei e dalla stessa morte dei tedeschi nelle città rase al suolo. Solo nel bombardamento di Dresda da parte degli anglo-americani morirono 180 000 civili tedeschi, in meno di 48 ore.
A noi continuano a dirci che i nazisti volevano l’eliminazione dei soli ebrei. Non ci hanno detto nulla delle altre vittime del nazismo.
Il “giorno della memoria” è il giorno della memoria ebraica. Per gli altri ci sono stati decenni di oblio, di cancellazione, di silenzio.
Non ci hanno detto che nella ricerca di una soluzione territoriale i nazisti trovarono la fattiva collaborazione dei sionisti.
Non ci hanno detto che, perfino nei campi di concentramento, furono molti gli ebrei che collaboravano con i tedeschi. Ne fa testimonianza il libro (poco o per niente pubblicizzato) della storica ebrea Idith Zertal: Israele e la shoah, la nazione e il culto della tragedia. Nel suo racconto, riporta gran parte dei processi ai collaboratori, emigrati in Israele dopo la guerra e riconosciuti come torturatori e assassini di altri ebrei.
Nei primi anni ’50, lo stato ebraico fu costretto ad emanare una legge che permettesse, senza suscitare troppo clamore, di giudicare questi criminali. “Tutti i processati in base a questa legge, — afferma la Zertal – sino al processo di Adolf Eichmann celebrato nel 1961, furono cittadini ebrei di recente immigrazione, individui miserabili e meschini, sopravvissuti alla Shoah, che, al loro arrivo in Israele, furono riconosciuti, talvolta casualmente, da altri sopravvissuti e denunciati alle autorità di polizia.
Il sistema giuridico israeliano li processò in base alla stessa legge che, circa dieci anni dopo, sarebbe servita per perseguire l’alto ufficiale delle SS Adolf Eichmann”.
Ironia della storia: sapevate che con la stessa legge sono stati perseguiti Eichmann e i tanti ebrei collaborazionisti?
Ma la vergogna non finisce qui. Simon Wiesenthal, il “cacciatori dei nazisti”, è morto onorato e riverito nel suo letto. Un altro ebreo, meno noto, tale Solomon Morel, vive ancora in Israele.
 Questi due signori, non lo si dice mai, si sono macchiati di crimini orrendi e di crimini contro l’umanità. Wiesenthal, in un primo momento, raccontò di essere stato partigiano comunista nel 1943, di essere stato poi catturato dai nazisti ma di aver salvato la pelle. Come partigiano (ebreo) sarebbe stato immediatamente fucilato, ma si salvò ‘miracolosamente’.
Successivamente, nella sua autobiografia, raccontò di aver tentato il suicidio ma di essere stato salvato dai tedeschi. Raccontò anche di aver ricevuto, nel periodo di prigionia, “doppia razione di cibo”. La verità è che egli collaborò con la Gestapo, denunciando comunisti e altre persone coinvolte nella resistenza.
Morel dal suo canto è oggi ricercato dalla giustizia polacca per crimini contro l’umanità ma viene protetto dal governo di Tel Aviv, che naturalmente si guarda bene dal consegnarlo.
Morel fu a capo di un campo di concentramento per tedeschi. Il campo di Schwientochlowitz funzionò dalla primavera del 1945 alla fine di quello stesso anno. I prigionieri non erano nazisti, ma semplicemente tedeschi etnici, gente i cui antenati avevano vissuto da secoli in Slesia, Prussia orientale, Pomerania e che aveva l’unica colpa di trovarsi sulle terre che i vincitori avevano assegnato alla Polonia dopo la guerra.
Nel campo della morte da lui comandato, Morel con gli altri guardiani, quasi tutti ebrei polacchi, si dimostrò più crudele dei nazisti. Maltrattò, torturò e uccise con le sue mani centinaia di detenuti. Gli altri guardiani cercarono di emularlo e così migliaia di tedeschi, colpevoli solo della loro origine etnica, furono uccisi.
La storia di Morel e del suo campo di sterminio è narrata nel libro “Occhio per occhio” del giornalista ebreo americano John Sack, il quale ha affermato che scriverlo gli è costato vergogna e dolore.
Adesso apprendiamo che il “maggiore rappresentante del male assoluto”, Eichmann, salvò 800 ebrei. Alcuni di essi erano effettivamente collaboratori e spie dei nazisti del tipo di Karesky e Wiesenthal, altri erano semplicemente medici, infermieri o donne ebree sposate con tedeschi.
La storia del II conflitto mondiale non è la storia della lotta tra il ‘bene’ e il ‘male’. Se poi la si vuole assolutamente presentare a questo modo, allora nel campo del male bisogna annoverare il sionismo e tanti ebrei che collaborarono con i nazisti o che commisero orrendi crimini contro l’umanità subito dopo la guerra. E c’entrerebbero di diritto anche i responsabili anglo-americani della distruzione di intere città tedesche, con oltre un milione di vittime civili, e di Hiroshima e Nagasaki.
La religione dell’olocausto e la presentazione semplicistica e unilaterale della II Guerra Mondiale serve perfettamente, oggi, a Israele e alla lobby ebraica per giustificare e nascondere i loro crimini in Palestina e in Medio Oriente.
Agli americani serve per mantenere il loro traballante impero. Nella più recente versione della religione olocaustica, Israele e gli Stati Uniti hanno sostituito i nazisti con gli arabi o gli islamici, per la conduzione di una guerra di civiltà che sta già causando milioni di morti, in Iraq, in Palestina, in Libano.

Fonte: srs di Mauro Manno,  da  Thule-Toscana 19 marzo, 2008

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