Danilo Quinto si converte e
subito viene trasformato in impostore: “Ho portato 45 milioni di euro in 10
anni: vi racconto come li sperperava”
di Stefano Lorenzetto
Il re è nudo. Nudo come
quella volta che ricevette un attonito Gaetano Quagliariello, facendosi trovare
in ammollo nella vasca da bagno a piagnucolare: «Vorresti dimetterti proprio ora e lasciarmi così? Non ti rendi conto
del dolore che mi dai?», e l’attuale senatore del Pdl non riuscì a dire
nulla, «capii solo che dovevo sottrarmi e
scappare», avrebbe confessato anni dopo.
È devastante il ritratto di
Marco Pannella che esce dalle 208 pagine del libro Da servo di Pannella a figlio libero di Dio, scritto da Danilo Quinto, per dieci anni tesoriere
del Partito radicale, edito da Fede & Cultura e dedicato alla «più formidabile macchina mangiasoldi della
partitocrazia italiana», così il sottotitolo, «una famiglia allargata dove tutto ciò che era privato diveniva anche
pubblico, dove ci si accoppiava e ci si cornificava fra di noi, dove il massimo
della gratificazione era salutare Pannella baciandolo sulle labbra quando si
presentava alle riunioni mano nella mano con l’ultimo dei suoi fidanzati
ventenni e lo imponeva come futuro dirigente o parlamentare». Anche Quinto
a un certo punto della propria vita ha capito che doveva svincolarsi
dall’abbraccio soffocante del suo attempato pigmalione e fuggire.
Alla fine c’è riuscito. Ma a
che prezzo: «Tre gradi di giudizio nel
tempo record di quattro anni, con una sentenza della Cassazione che, pur
riducendomi la pena di oltre la metà e concedendomi il beneficio della non
menzione, mi condanna a 10 mesi per appropriazione indebita, consentendo a
Pannella di darmi pubblicamente dell’impostore, dell’estorsore e del
millantatore. Peggio di Luigi Lusi, insomma».
Il leader radicale dimentica
di aggiungere che dev’essere anche un vero cretino, questo Quinto, che dal 1995
al 2005 ha procurato al partito finanziamenti per ben 45 milioni di euro, ne ha
maneggiati 19.651.357 di entrate e 20.976.086 di uscite, eppure si sarebbe
degnato di mettersi in tasca solo un misero 0,32% di questo fiume di denaro,
cioè 206.089,23 euro, «spese effettuate
con la carta di credito, facenti parte del mio stipendio, sulle quali ho
persino pagato le tasse, tutte regolarmente contabilizzate, oggetto di ricevute
e dichiarate nei bilanci approvati dai vari congressi», ma sulle quali la
magistratura in primo grado ha evitato di ordinare una perizia nonostante
l’imputato non si rifugiasse nella prescrizione, e sarebbe arrivato a
sgraffignare l’astronomica somma di 2.151,77 euro nell’ultimo anno in cui era
in carica, e oggi è costretto a vivere della sua povertà: «Non possiedo una
casa e neppure un’auto, non ho un conto corrente, sono indebitato fino al
collo, ho dovuto abbandonare Roma e rifugiarmi nella natia Bari, mantengo la
famiglia con un contratto a progetto da 1.200 euro al mese che scadrà il 31
dicembre, non avrò mai diritto alla pensione».
Peccato che Pannella si sia
accorto solo dopo vent’anni che il suo collaboratore di fiducia era «un impostore dedito ad attività truffaldina»,
nonostante la conclamata bravura nel reperire tutti i mesi i soldi per pagare
gli stipendi ai 150 dipendenti del Partito radicale. Una resipiscenza
sopraggiunta peraltro solo il giorno in cui Quinto ha avviato una causa per
vedersi riconosciuto dai giudici il dovuto, e cioè 6 milioni di euro, poi
ridotti a 2: «Vent’anni di lavoro
occasionale per 13-14 ore al giorno, senza contratto, senza contributi versati
all’Inps, senza ferie, con presenza in sede anche il sabato, la domenica, a
Natale, a Capodanno, a Pasqua. Aggiunga il mancato riconoscimento del rapporto
subordinato, il mancato adeguamento dello stipendio al ruolo dirigenziale e la
mancata corresponsione del Tfr». La causa è pendente davanti alla Corte
d’appello di Roma.
Quinto, 56 anni, giornalista,
un esame mancante alla laurea in giurisprudenza, s’è persuaso che il re nudo
sia la personificazione di Satana e assicura d’averne avuto una controprova il
giorno in cui, dimessosi dall’incarico di tesoriere, andò a ritirare le sue
poche cose nella storica sede romana dei radicali, in via di Torre Argentina,
dove ha lavorato, ma sarebbe più esatto dire vissuto, dal 1987: «Mi ero fatto accompagnare da padre Francesco
Rivera, un esorcista. All’uscita mi disse: Sai, Danilo, ho avvertito molto
forte la presenza del diavolo in quelle stanze. Ringrazia Dio che ti ha salvato».
La salvezza s’è presentata a
Quinto con le sembianze di Lydia
Tamburrino, un soprano originaria di Cassino cresciuta alla scuola di
Franco Corelli, Placido Domingo e Montserrat Caballé, una credente dalla fede
adamantina che l’allora tesoriere del Pr conobbe in una villa sull’Appia
Antica, a una proiezione privata del film Diario di Matilde Manzoni di Lino
Capolicchio, regista col quale la cantante lirica aveva esordito a Lucca in
Bohème. «Fu un colpo di fulmine. Quando
annunciai a Pannella che stavo per sposarmi, ammutolì. Come osavo? Non avevo
chiesto il suo permesso! È una che conosciamo?, borbottò. Alla mia risposta,
commentò con tono di scherno: Ah, allora potrà fare degli spettacoli per noi.
Da quel despota che è, già considerava anche Lydia di sua proprietà. Non credo
proprio, lo raffreddai. Lì cominciò la guerra per annientarmi».
Profumo d’incenso e odore di
zolfo, si sa, non vanno d’accordo. Forse Pannella aveva fiutato il pericolo che
quella donna incarnava. Infatti sarebbe stata lei a convincere il marito che
non doveva più lavorare per il Partito radicale, a farlo riaccostare alla
confessione dopo 30 anni, a riportarlo a messa tutte le domeniche. «Al nostro matrimonio religioso non venne
nessuno degli amici con i quali avevo condiviso un ventennio di vita, a parte
l’ex segretario Sergio Stanzani, che si presentò all’aperitivo e solo per un
quarto d’ora».
Avrà temuto le ire del capo. «Sergio era succube di Pannella. Quando nel
1995 fu deciso che gli esponenti radicali dovevano denudarsi pubblicamente al
teatro Flaiano di Roma, era terrorizzato: Se non lo faccio, Marco non mi
candiderà alle prossime elezioni. Gli consigliai di andarsene in vacanza per
evitare il ricatto. Ma il richiamo manipolativo del capo era troppo forte. Che
tristezza vedere un uomo di 72 anni nudo in palcoscenico contro la sua volontà,
con le mani sul pene, rannicchiato dietro un albero stilizzato. Se ci pensa
bene, il corpo è al centro di tutta l’ideologia pannelliana, che vuole decidere
come disporne e decretarne la morte, come garantirne la trasformazione nel
corso della vita per assecondare le più disparate identità sessuali, come
abusarne con sostanze che lo devastano. In una parola, non rispettarlo,
consumarlo».
I digiuni estremi bene non
fanno. «Estremi ma furbi. Il suo medico
di fiducia mi svelò che quando Pannella decise di bere la propria urina davanti
alle telecamere del Tg2, la sera prima la fece bollire e conservare in frigo
per attenuarne il sapore».
In compenso nel 2002 persino
il presidente della Repubblica si preoccupò delle condizioni di salute del guru
e chiamò in diretta Buona domenica per indurlo a sospendere lo sciopero della
sete. «Povero Carlo Azeglio Ciampi!
Conservo il nastro di una riunione di partito – c’era questa mania di far
registrare tutto, degna del Kgb – in cui Pannella gli dà della testa di cazzo.
Un déjà vu. Marco è stato il grande elettore di Oscar Luigi Scalfaro al
Quirinale, salvo definirlo don Rodrigo, eversore e fuorilegge quattro anni
dopo, invitandolo a fare un passo indietro, fino al limite della galera».
Se è per quello, costrinse
con accuse false il povero Giovanni Leone alle dimissioni e poi andò a
chiedergli scusa poco prima che morisse. «Ora
coccola Giorgio Napolitano e ne loda la davvero straordinaria, quotidiana,
pubblica, sapiente opera e fatica. Però
negli ultimi giorni ha cambiato musica. Siccome, stando a Italia Oggi, il mio
libro avrebbe stoppato la campagna per la sua nomina a senatore a vita, si
lamenta a Radio Radicale perché il capo dello Stato non è un liberale, è un ex
comunista di cultura togliattiana. Lui fa sempre così: quando vuole ottenere
qualcosa, minaccia».
Pannella è iscritto alla
massoneria? «Non penso. Però mantiene con
essa rapporti strettissimi. Del resto Giorgio Gaber nel monologo L’abitudine
diceva: Io, se fossi Licio Gelli, mi presenterei nelle liste del Partito
Radicale. Il capo della P2 fu sul punto d’essere candidato dal Pr come una
qualsiasi Cicciolina. A questo scopo suo figlio Maurizio ebbe una serie
d’incontri con Pannella in un albergo romano di via Veneto. Posso testimoniare
che Gelli junior è stato un grande finanziatore del partito».
Che altro può testimoniare?«Che Radio Radicale ripianava i debiti della
Lista Pannella col denaro ricevuto dallo Stato. Non poteva farlo, era contro la
legge. Con una convenzione ad hoc e senza gara d’appalto, Radio Radicale dal
1998 incassa 10 milioni di euro l’anno per mandare in onda le sedute
parlamentari che potrebbero essere trasmesse gratis dalla Rai. In più la legge
sull’editoria le garantisce altri 4,3 milioni di euro in quanto organo della
Lista Pannella, che peraltro non ha eletti in Parlamento. Ho denunciato tutto
questo allo stesso procuratore della Repubblica che mi ha rinviato a giudizio.
A tutt’oggi non mi è stata neppure comunicata l’archiviazione dell’esposto. Come se non l’avessi mai presentato».
Perché i radicali erano indebitati?«Pannella spende patrimoni per le sue
carnevalate. La sola campagna Emma for president del 1999 per candidare la
Bonino al Quirinale ci costò 1,5 miliardi di lire. All’annuncio che Marco
voleva la sua cocca sul Colle, lei svenne o fece finta di svenire, non s’è mai
capito bene, durante una riunione notturna in un albergo di Monastier, nel
Veneto. Ha sperperato un mare di quattrini nel disegno megalomane e
fallimentare del Partito Transnazionale, che aveva 20 sedi nel mondo, da Baku,
nell’Azerbaigian, a New York, dove mi spedì a lavorare per sei mesi. Fu lì che
vidi i solidissimi rapporti esistenti fra la Bonino, frequentatrice con Mario
Monti del Gruppo Bilderberg, e lo spregiudicato finanziere George Soros, il
quale nel 1999 prestò un miliardo di lire ai radicali. E fu lì che lessi il fax
inviato da Pannella alla stessa Bonino quando la fece nominare commissaria
europea nel 1994: Cara principessa, ora tutti s’inchineranno ai tuoi piedi».
Oltre che spendaccione, che
tipo è Pannella? «Un pusillanime.
Nell’ultimo colloquio che abbiamo avuto, teneva gli occhi bassi. Riaffermando
la mia fede cristiana, riconquistavo la libertà, e questo gli metteva paura.
Pur sapendo quale vendetta mi attendeva, ho provato molta pena per lui. Qualche
tempo dopo Lydia lo ha incontrato per strada nei pressi di via del Tritone.
Pannella le ha voltato le spalle fingendo di guardare le vetrine d’un negozio
di strumenti d’acconciatura per donna. E dire che allora non portava la fluente
coda di capelli bianchi che oggi tiene annodata lungo la schiena. Non ha avuto
il coraggio di girarsi neppure quando mia moglie ha recitato ad alta voce,
perché lui sentisse, il Padre nostro e l’Ave Maria».
Solo pusillanime?«Intelligente. Grande manipolatore. Ha
attraversato 50 anni di politica italiana stando sempre nel ventre caldo della
vacca, la partitocrazia, fingendo d’esserne fuori e di combatterla. La sede
vera del Partito radicale è casa sua, in via della Panetteria, vicino alla
Fontana di Trevi, frequentata assiduamente dai tre o quattro uomini che ha
amato nel corso della sua vita. L’approvazione e l’esaltazione
dell’omosessualità e della bisessualità non solo è connaturata al mondo
radicale, ma rappresenta lo strumento attraverso il quale si formano le
carriere politiche».
Eppure cita in continuazione
le Sacre Scritture. «E che cosa sa fare
il diavolo, se non cercare malamente d’imitare Dio? Da anni usa una sua foto,
scattata durante un incontro con Papa Wojtyla al quale partecipavano il dc
Flaminio Piccoli e molti altri parlamentari, per vantarsi d’aver avuto un filo
diretto con Giovanni Paolo II. Sostiene persino che il Pontefice ascoltava le
sue concioni a Teleroma 56. Mi dispiace che Giovanni Maria Vian, direttore
dell’Osservatore Romano, sia andato a farsi intervistare da Radio Radicale per
confermare quest’amicizia inesistente. Fa il paio con la stoltezza di don
Gianni Baget Bozzo, pace all’anima sua, che lo venerava e diceva di lui:
Pannella in realtà è una figura interna alla cristianità italiana, non è un
politico: è un profeta».
Lei sta demolendo la persona
alla quale ha consacrato metà della sua vita. «Lo so, e mi considero per questo un grande peccatore, che ha alimentato
l’opera di devastazione che Pannella ha compiuto sull’identità cristiana di
questo Paese. Ha confuso la libertà col desiderio. Ha portato l’Italia a non
distinguere più il bene dal male. Ha distrutto milioni di vite umane con
l’ideologia abortista. Per questa ragione combatte la Chiesa. Nella sua
intelligenza luciferina, sa che gli sopravviverà».
Questo è sicuro.«Prigioniero di un delirio d’onnipotenza, a
82 anni sta evitando i conti con una categoria che non gli appartiene: la
morte. Dovrebbe pregare, come fa mio figlio che di anni ne ha appena 7».
Fonte: srs di Stefano
Lorenzetto, da Il Giornale.it, di
domenica 22 luglio 2012
Nessun commento:
Posta un commento