Mauro Fiorese (Verona, 1970) vive e lavora tra Veneto e
Lombardia. E’ fotografo, docente e consulente, attivo nell’ambito della ricerca
fotografica. Insegna Fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Verona e,
dal 2003, è docente di Linguaggio Fotografico alla Facoltà di Lettere e
Filosofia dell’Università scaligera. Autore di diverse pubblicazioni, ha
esposto in Italia e all’estero. Sue fotografie fanno parte di collezioni
pubbliche e private. E’ consulente del Centro Internazionale di Fotografia
Scavi Scaligeri.
Sei fotografo, docente e curatore. In quale di questi
ruoli ti riconosci di più?
Mi sento innanzitutto fotografo, questa è stata la mia
formazione e il mio principale lavoro per anni. Ho sempre cercato di affiancare
alla fotografia professionale quella di ricerca. Oggi posso dire di aver
raggiunto dei traguardi soddisfacenti con la ricerca che ho voluto, da diversi
anni, accompagnare al ruolo di docente. La docenza mi ha dato e mi dà molto; mi
ha sostenuto economicamente e mi ha permesso di far conoscere storia e tecniche
del linguaggio fotografico a pubblici differenti: studenti dell’Università di
Scienze dei Beni Culturali, dell’Accademia di Belle Arti, partecipanti ai
workshop che organizzo d’estate insieme all’amico e maestro texano Keith
Carter. Credo che i giovani, soprattutto in Italia, non vadano solo aiutati ma
prima ancora convinti. Il successo della fotografia come mezzo di comunicazione
interpersonale “super-facilitata” e “super-veloce” tende a farli illudere che
il passo per arrivare alla professione sia rapido… Non è così. La fotografia ha
una rilevante componente tecnica e, anche se le idee sono sempre alla base di
un buon lavoro creativo, è necessario conoscere la storia del mezzo che si usa
e dei suoi principali esponenti. Ma insegnare non vuol dire solo trasferire
nozioni in sedi accademiche, vuol dire anche tenersi aggiornati, vivere quello
che accade nel panorama internazionale partecipando a Festival o manifestazioni
legate alla fotografia, sia in Italia che all’estero, anche in qualità di
lettore di portfolio come ho fatto quest’anno al Houston Fotofest.
Infine, per quanto riguarda la curatela delle mostre, posso dire che è
un’attività nata per caso, dalla conoscenza di colleghi “talentuosi” durante il
mio soggiorno e i miei continui viaggi negli USA, la cui fama e qualità del
lavoro ritenevo necessitasse di essere apprezzata anche dal pubblico italiano.
A proposito di lettura di portfolio, un tuo parere su
questo “strumento”.
La lettura di portfolio e’ uno strumento utilissimo per
valutare il lavoro di un fotografo. Tuttavia solo se da parte di chi sottopone
il proprio lavoro c’è una preparazione scrupolosa allora i risultati in qualche
maniera possono essere soddisfacenti. Il fotografo deve rendersi conto che,
solitamente, ha venti/trenta minuti di tempo per parlare del suo lavoro. Questo
è l’unico vero limite ma, se lo si prende nel modo giusto, è anche uno stimolo
per cercare di produrre un portfolio convincente, soprattutto in termini di
coerenza linguistica e progettuale. Il principale pregio, a mio parere,
consiste nel potersi confrontare con vere e proprie “personalità” della
fotografia che sarebbero altrimenti inavvicinabili. Questo avviene maggiormente
negli Stati Uniti dove questi eventi sono gestiti in modo molto professionale
ed organizzato e spesso la lettura del portofolio ha un costo. Anche in Europa
si trovano spesso buone occasioni tra i vari Festival di Fotografia. A volte
sono gratuiti e ben gestiti, a volte disorganizzati e letteralmente estenuanti.
Il difetto potrebbe proprio essere quello di “capitare”, per mancanza
d’esperienza, nelle “mani sbagliate”. E’ bene informarsi sia sulla
manifestazione che sui lettori prima d’iscriversi.
Qual è stato, in sintesi, il tuo percorso nell’ambito
della Fotografia?
Ho iniziato il mio percorso formativo studiando
Architettura all’IUAV di Venezia dove, negli anni Ottanta, ho frequentato il
corso di Storia e Tecnica della Fotografia di Italo Zannier, cominciando a
produrre del materiale con l’intenzione di fare ricerca. Quando la convinzione
si e’ trasformata in presa di coscienza di voler fare della Fotografia una
scelta di vita, mi sono trasferito a Milano a studiare all’Istituto Europeo
di Design dove mi sono diplomato al corso quadriennale di Fotografia.
Durante questi anni ho vinto una borsa di studio che mi ha permesso di
soggiornare diversi mesi a Parigi e di studiare presso la Speos Institute of
Photography. Terminati gli studi di Fotografia mi sono trasferito, grazie
alla rivista Ottagono, con cui avevo iniziato a collaborare, a New York per due
anni. Questo, devo ammettere, nonostante i sacrifici, è stato il miglior
investimento, professionale e umano. Già dai primi anni Novanta passavo spesso
i mesi estivi negli USA, dove vivono dei carissimi amici di famiglia che mi
hanno sempre ospitato, e dove ho frequentato diversi workshop con maestri
americani. Qui ho stretto anche rapporti di amicizia come quello con Keith
Carter con cui oggi collaboro. A New York ho lavorato anche per altre riviste
di Architettura, che continua ad essere un soggetto fotografico a me caro, come
Abitare che mi ha dato anche l’occasione di fotografare il grande architetto
Richard Meier. Sempre in America ho avuto l’onore di conoscere e frequentare
per qualche tempo Robert Frank che mi ha lasciato un segno indelebile nel cuore
e a cui devo buona parte delle decisioni che ho preso in futuro … chi come lui,
dopo il successo di “The americans” decide d’intraprendere nuove strade
espressive e reinventarsi continuamente fa riflettere sia dal punto di vista
artistico che umano.
Un itinerario di studio calibrato con cura…
C’e chi studia e rimane un teorico puro e chi fotografa
mantenendo competenze solo tecniche. Ci sono stati, poi, molti casi nella
storia dell’Arte e della Fotografia in particolare, in cui entrambe le competenze
si sono fuse e i risultati spesso sono stati interessanti. A me piace
realizzare immagini per raccontare una mia verità – decisamente non oggettiva –
e trasmettere emozioni a chi le osserva. Tuttavia, amo conoscere i lavori di
altri e, una volta conosciuti, magari approfondire la conoscenza con l’autore
stesso poiché c’è sempre la possibilità d’imparare anche a livello umano.
Quando anche questo avviene allora l’interesse diventa qualcosa di più della
semplice comune esperienza nella fotografia bensì complicità e amicizia.
Così, spesso, mi capita di curare o di scrivere dei testi
per altri autori che ammiro e stimo. E in pochi, ma eccezionali casi, la
collaborazione professionale diventa un’esperienza arricchente e unica. Ecco
perché, anche come autore, amo i progetti a più mani. Per confrontarsi e
lavorare ad un obiettivo comune pur mantenendo le proprie identità artistiche e
personali.
Quali i tuoi “punti di riferimento” a livello nazionale e
internazionale?
Faccio spesso riferimento a persone e a luoghi che ho avuto
la fortuna d’incontrare sul mio cammino. In Italia sono legato a Mario Cresci,
che mi ha insegnato a fotografare senza macchina fotografica, a Edward Rozzo
senza il quale non mi sarei probabilmente mai trasferito negli USA e a Moreno Gentili
che mi ha insegnato la sensibilità nei confronti di tematiche sociali. Non meno
importante e’ stato, per la sua umiltà e umanità, Mario Giacomelli che ho
conosciuto nel 1994 e la cui unica foto originale che possiedo mi ha
accompagnato sempre e dovunque mi fossi trasferito di casa. Negli USA il mio
mentore e oggi amico, è stato Keith Carter; ho anche però dei punti di
riferimento che non ho mai avuto la fortuna di conoscere come Diane
Arbus e altri con cui ho lavorato e con cui lo scambio culturale e umano è
stato decisamente arricchente come Carl de Keyzer, Michael Kenna e Jerry
Uelsmann. Vi sono luoghi, infine, che ti restano dentro per molti motivi: ero
affezionato alla vecchia sede dell’International Center of Phtography di
New York, un’antica casa in stile Vittoriano dove ho trascorso momenti
indimenticabili sia come studente che come Guest Teacher. In Francia, invece,
la Maison Européenne de la Photographie che è stata la mia “prima casa”
dove ho approfondito le conoscenze sulla fotografia imparate a Milano così come
i Rencontres di Arles che sono stati la mia prima “gita” fotografica
all’estero. In Italia sono legato al Centro Scavi Scaligeri di Verona, in cui
ho esposto nel 2001 e presso il quale collaboro come consulente.
La conoscenza della storia della Fotografia favorisce la
ricerca artistica?
Conoscere la storia di un mezzo artistico e dei suoi
movimenti, passando per luoghi, date e nomi, è necessario per avere una
conoscenza delle potenzialità del mezzo stesso. Chi è passato alla storia della
fotografia, in quale momento storico e con che tipo di lavoro? Queste domande
possono aiutare un giovane a migliorarsi non solo sul piano tecnico ma
soprattutto umano poiché a volte si può anche ammirare il lavoro di un grande
fotografo ma non il suo stile di vita o la sua personalità. Questo dovrebbe
essere il “motto”: guardare, conoscere e studiare per poi metabolizzare,
dimenticare e creare.
E ciò vale in particolare in questo momento storico!
E’ vero, per la Fotografia è un momento di grande cambiamento…
c’è chi parla di crisi, ma non è forse la crisi proprio un momento di passaggio
e un’occasione per risolvere certi problemi insoluti? In fondo ogni disciplina
artistica è passata per strade di contaminazione, avanguardie e sperimentazione
che non sempre hanno portato da qualche parte ma quando certi artisti ci sono
riusciti hanno costituito nuove correnti e scuole di pensiero. E’ così che si è
formata in tutti questi anni la Storia dell’Arte. Ed è così che continuerà ad
essere.
Dove sta andando la fotografia oggi, in Italia, in
Europa, nel mondo?
“Fotografia” è oggi un termine troppo vago per essere
definito in poche parole ma se di Fotografia d’Autore vogliamo parlare, allora
credo che il momento attuale sia di grande fermento un po’ ovunque. In Italia
esistono importanti luoghi istituzionali, pubblici e privati ad essa dedicati
ed anche i Festival si stanno moltiplicando. Tuttavia mi sembra che nel nostro
Paese siano assai rare le tavole rotonde o i convegni su questi temi fra
fotografi, curatori, galleristi, critici e collezionisti. Ognuna di queste
figure professionali, che insieme formano il mercato, sembra vagare e, di tanto
in tanto, casualmente incontrarsi, o forse solo scontrarsi, per poi riprendere
la propria strada. Sarebbe importante che tutti noi professionisti ci
assumessimo di più la responsabilità di indirizzare gli artisti verso una
crescita personale, dedicandoci alla ricerca di esposizioni di alta qualità e
con nuove aperture ai meno conosciuti e magari anche in spazi alternativi. Troppo
di rado mi capita di vedere italiani all’estero o per curare mostre e leggere
portfolio o per mostrare e far leggere i propri lavori. Proprio il Fotofest di
Houston, ad esempio, è da sempre una di quelle occasioni più uniche che rare
per farsi conoscere e, spesso, anche per vendere i propri lavori. L’arte costa
sacrificio. Sacrificio nel conoscerla, nel produrla e nel divulgarla. Ma penso
fermamente che chi ci crede davvero prima o poi possa emergere.
Fonte: srs di Fausto Raschiatore, da cultframe.com del luglio 2006
IL RITRATTO DI MAURO
FIORESE NEL TEMPIO DELLA FOTO. LA GEORGE EASTMAN HOUSE OSPITA L'AUTORE VERONESE
CHE ESPONE ANCHE A TORINO E AL PRINCIPATO DI MONACO
MOSTRE. La selezione della Biennale veneziana e altre
prestigiose gallerie premiano il direttore artistico di PH Neutro
18/01/2012
Stagione di successi per il fotografo veronese Mauro
Fiorese, presente con la sua opera Lite, 2011 all'esposizione torinese della
Biennale di Venezia: lui è felice di esserci (a differenza di molti che
preferiscono non esserci, visto l'affollamento voluto dal curatore Vittorio Sgarbi),
ma, Torino a parte, per Fiorese i motivi di orgoglio non mancano. Una sua foto
è anche alla mostra «The Unseen Eye: Photographs from the W. M. Hunt
Collection», in corso (fino al 19 febbraio) in uno dei templi della fotografia:
George Eastman House, il museo internazionale di fotografia e film di New York.
Essere lì nella collezione di William M. Hunt (solo opere in cui il viso è
oscurato, gli occhi sono chiusi, non possono essere visti, evocando in tal modo
emozioni) «è uno dei più grandi onori della mia carriera», dice Fiorese.
Dall'America a Montecarlo, con una mostra (fino al 30 giugno) assieme a Keith
Carter, con cui Fiorese ha già realizzato il libro Two Spirits (Mondadori
Electa, 2001/2002), in occasione della rassegna agli Scavi Scaligeri e ora Dream
of a Place of Dreams, esposta al Club des Résidents Etrangers de Monaco: un
lavoro in bianco e nero, nato nel 2006 e svolto a quattro mani, che i due
fotografi hanno portato avanti, grazie alla collaborazione con la Monaco Asia
Society, e che ci mostra una Montecarlo diversa, fatta anche di gente comune,
lontana dagli stereotipi. È lo stesso principe Alberto a firmare l'introduzione
del catalogo, edito da Siz. Dai successi internazionali al lavoro quotidiano,
da direttore artistico della galleria veronese PH Neutro («un'attività che mi
diverte, che mi permette di seguire collezionisti, di creare collezioni nuove»)
e con il reportage per il libro La basilica di Santa Anastasia a Verona: storia
e restauro, il volume realizzato dal Banco Popolare: «Fare questo lavoro mi ha
emozionato. Avevo già toccato la tematica sacra in un altro progetto Aula
Dei-Icone della Spiritualità (Arsenale Editrice, 2006). I luoghi dello spirito
vivono di una luce propria a cui si può credere o meno. È il buio talvolta, il
luogo dello spirito attraverso cui la fotografia arriva alla luce per
osservarla».
Fonte: srs di Maria
Teresa Ferrari, da L’arena di Verona del
18 gennaio 2012
Nessun commento:
Posta un commento