lunedì 16 luglio 2012

FOTOGRAFIA: INTERVISTA A MAURO FIORESE

Mauro Fiorese

Mauro Fiorese (Verona, 1970) vive e lavora tra Veneto e Lombardia. E’ fotografo, docente e consulente, attivo nell’ambito della ricerca fotografica. Insegna Fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Verona e, dal 2003, è docente di Linguaggio Fotografico alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università scaligera. Autore di diverse pubblicazioni, ha esposto in Italia e all’estero. Sue fotografie fanno parte di collezioni pubbliche e private. E’ consulente del Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri.

Sei fotografo, docente e curatore. In quale di questi ruoli ti riconosci di più?
Mi sento innanzitutto fotografo, questa è stata la mia formazione e il mio principale lavoro per anni. Ho sempre cercato di affiancare alla fotografia professionale quella di ricerca. Oggi posso dire di aver raggiunto dei traguardi soddisfacenti con la ricerca che ho voluto, da diversi anni, accompagnare al ruolo di docente. La docenza mi ha dato e mi dà molto; mi ha sostenuto economicamente e mi ha permesso di far conoscere storia e tecniche del linguaggio fotografico a pubblici differenti: studenti dell’Università di Scienze dei Beni Culturali, dell’Accademia di Belle Arti, partecipanti ai workshop che organizzo d’estate insieme all’amico e maestro texano Keith Carter. Credo che i giovani, soprattutto in Italia, non vadano solo aiutati ma prima ancora convinti. Il successo della fotografia come mezzo di comunicazione interpersonale “super-facilitata” e “super-veloce” tende a farli illudere che il passo per arrivare alla professione sia rapido… Non è così. La fotografia ha una rilevante componente tecnica e, anche se le idee sono sempre alla base di un buon lavoro creativo, è necessario conoscere la storia del mezzo che si usa e dei suoi principali esponenti. Ma insegnare non vuol dire solo trasferire nozioni in sedi accademiche, vuol dire anche tenersi aggiornati, vivere quello che accade nel panorama internazionale partecipando a Festival o manifestazioni legate alla fotografia, sia in Italia che all’estero, anche in qualità di lettore di portfolio come ho fatto quest’anno al Houston Fotofest. Infine, per quanto riguarda la curatela delle mostre, posso dire che è un’attività nata per caso, dalla conoscenza di colleghi “talentuosi” durante il mio soggiorno e i miei continui viaggi negli USA, la cui fama e qualità del lavoro ritenevo necessitasse di essere apprezzata anche dal pubblico italiano.

A proposito di lettura di portfolio, un tuo parere su questo “strumento”.
La lettura di portfolio e’ uno strumento utilissimo per valutare il lavoro di un fotografo. Tuttavia solo se da parte di chi sottopone il proprio lavoro c’è una preparazione scrupolosa allora i risultati in qualche maniera possono essere soddisfacenti. Il fotografo deve rendersi conto che, solitamente, ha venti/trenta minuti di tempo per parlare del suo lavoro. Questo è l’unico vero limite ma, se lo si prende nel modo giusto, è anche uno stimolo per cercare di produrre un portfolio convincente, soprattutto in termini di coerenza linguistica e progettuale. Il principale pregio, a mio parere, consiste nel potersi confrontare con vere e proprie “personalità” della fotografia che sarebbero altrimenti inavvicinabili. Questo avviene maggiormente negli Stati Uniti dove questi eventi sono gestiti in modo molto professionale ed organizzato e spesso la lettura del portofolio ha un costo. Anche in Europa si trovano spesso buone occasioni tra i vari Festival di Fotografia. A volte sono gratuiti e ben gestiti, a volte disorganizzati e letteralmente estenuanti. Il difetto potrebbe proprio essere quello di “capitare”, per mancanza d’esperienza, nelle “mani sbagliate”. E’ bene informarsi sia sulla manifestazione che sui lettori prima d’iscriversi.

Qual è stato, in sintesi, il tuo percorso nell’ambito della Fotografia?
Ho iniziato il mio percorso formativo studiando Architettura all’IUAV di Venezia dove, negli anni Ottanta, ho frequentato il corso di Storia e Tecnica della Fotografia di Italo Zannier, cominciando a produrre del materiale con l’intenzione di fare ricerca. Quando la convinzione si e’ trasformata in presa di coscienza di voler fare della Fotografia una scelta di vita, mi sono trasferito a Milano a studiare all’Istituto Europeo di Design dove mi sono diplomato al corso quadriennale di Fotografia. Durante questi anni ho vinto una borsa di studio che mi ha permesso di soggiornare diversi mesi a Parigi e di studiare presso la Speos Institute of Photography. Terminati gli studi di Fotografia mi sono trasferito, grazie alla rivista Ottagono, con cui avevo iniziato a collaborare, a New York per due anni. Questo, devo ammettere, nonostante i sacrifici, è stato il miglior investimento, professionale e umano. Già dai primi anni Novanta passavo spesso i mesi estivi negli USA, dove vivono dei carissimi amici di famiglia che mi hanno sempre ospitato, e dove ho frequentato diversi workshop con maestri americani. Qui ho stretto anche rapporti di amicizia come quello con Keith Carter con cui oggi collaboro. A New York ho lavorato anche per altre riviste di Architettura, che continua ad essere un soggetto fotografico a me caro, come Abitare che mi ha dato anche l’occasione di fotografare il grande architetto Richard Meier. Sempre in America ho avuto l’onore di conoscere e frequentare per qualche tempo Robert Frank che mi ha lasciato un segno indelebile nel cuore e a cui devo buona parte delle decisioni che ho preso in futuro … chi come lui, dopo il successo di “The americans” decide d’intraprendere nuove strade espressive e reinventarsi continuamente fa riflettere sia dal punto di vista artistico che umano.

Un itinerario di studio calibrato con cura…
C’e chi studia e rimane un teorico puro e chi fotografa mantenendo competenze solo tecniche. Ci sono stati, poi, molti casi nella storia dell’Arte e della Fotografia in particolare, in cui entrambe le competenze si sono fuse e i risultati spesso sono stati interessanti. A me piace realizzare immagini per raccontare una mia verità – decisamente non oggettiva – e trasmettere emozioni a chi le osserva. Tuttavia, amo conoscere i lavori di altri e, una volta conosciuti, magari approfondire la conoscenza con l’autore stesso poiché c’è sempre la possibilità d’imparare anche a livello umano. Quando anche questo avviene allora l’interesse diventa qualcosa di più della semplice comune esperienza nella fotografia bensì complicità e amicizia.
Così, spesso, mi capita di curare o di scrivere dei testi per altri autori che ammiro e stimo. E in pochi, ma eccezionali casi, la collaborazione professionale diventa un’esperienza arricchente e unica. Ecco perché, anche come autore, amo i progetti a più mani. Per confrontarsi e lavorare ad un obiettivo comune pur mantenendo le proprie identità artistiche e personali.

Quali i tuoi “punti di riferimento” a livello nazionale e internazionale?
Faccio spesso riferimento a persone e a luoghi che ho avuto la fortuna d’incontrare sul mio cammino. In Italia sono legato a Mario Cresci, che mi ha insegnato a fotografare senza macchina fotografica, a Edward Rozzo senza il quale non mi sarei probabilmente mai trasferito negli USA e a Moreno Gentili che mi ha insegnato la sensibilità nei confronti di tematiche sociali. Non meno importante e’ stato, per la sua umiltà e umanità, Mario Giacomelli che ho conosciuto nel 1994 e la cui unica foto originale che possiedo mi ha accompagnato sempre e dovunque mi fossi trasferito di casa. Negli USA il mio mentore e oggi amico, è stato Keith Carter; ho anche però dei punti di riferimento che non ho mai avuto la fortuna di conoscere come Diane Arbus e altri con cui ho lavorato e con cui lo scambio culturale e umano è stato decisamente arricchente come Carl de Keyzer, Michael Kenna e Jerry Uelsmann. Vi sono luoghi, infine, che ti restano dentro per molti motivi: ero affezionato alla vecchia sede dell’International Center of Phtography di New York, un’antica casa in stile Vittoriano dove ho trascorso momenti indimenticabili sia come studente che come Guest Teacher. In Francia, invece, la Maison Européenne de la Photographie che è stata la mia “prima casa” dove ho approfondito le conoscenze sulla fotografia imparate a Milano così come i Rencontres di Arles che sono stati la mia prima “gita” fotografica all’estero. In Italia sono legato al Centro Scavi Scaligeri di Verona, in cui ho esposto nel 2001 e presso il quale collaboro come consulente.

La conoscenza della storia della Fotografia favorisce la ricerca artistica?
Conoscere la storia di un mezzo artistico e dei suoi movimenti, passando per luoghi, date e nomi, è necessario per avere una conoscenza delle potenzialità del mezzo stesso. Chi è passato alla storia della fotografia, in quale momento storico e con che tipo di lavoro? Queste domande possono aiutare un giovane a migliorarsi non solo sul piano tecnico ma soprattutto umano poiché a volte si può anche ammirare il lavoro di un grande fotografo ma non il suo stile di vita o la sua personalità. Questo dovrebbe essere il “motto”: guardare, conoscere e studiare per poi metabolizzare, dimenticare e creare.

E ciò vale in particolare in questo momento storico!
E’ vero, per la Fotografia è un momento di grande cambiamento… c’è chi parla di crisi, ma non è forse la crisi proprio un momento di passaggio e un’occasione per risolvere certi problemi insoluti? In fondo ogni disciplina artistica è passata per strade di contaminazione, avanguardie e sperimentazione che non sempre hanno portato da qualche parte ma quando certi artisti ci sono riusciti hanno costituito nuove correnti e scuole di pensiero. E’ così che si è formata in tutti questi anni la Storia dell’Arte. Ed è così che continuerà ad essere.

Dove sta andando la fotografia oggi, in Italia, in Europa, nel mondo?
“Fotografia” è oggi un termine troppo vago per essere definito in poche parole ma se di Fotografia d’Autore vogliamo parlare, allora credo che il momento attuale sia di grande fermento un po’ ovunque. In Italia esistono importanti luoghi istituzionali, pubblici e privati ad essa dedicati ed anche i Festival si stanno moltiplicando. Tuttavia mi sembra che nel nostro Paese siano assai rare le tavole rotonde o i convegni su questi temi fra fotografi, curatori, galleristi, critici e collezionisti. Ognuna di queste figure professionali, che insieme formano il mercato, sembra vagare e, di tanto in tanto, casualmente incontrarsi, o forse solo scontrarsi, per poi riprendere la propria strada. Sarebbe importante che tutti noi professionisti ci assumessimo di più la responsabilità di indirizzare gli artisti verso una crescita personale, dedicandoci alla ricerca di esposizioni di alta qualità e con nuove aperture ai meno conosciuti e magari anche in spazi alternativi. Troppo di rado mi capita di vedere italiani all’estero o per curare mostre e leggere portfolio o per mostrare e far leggere i propri lavori. Proprio il Fotofest di Houston, ad esempio, è da sempre una di quelle occasioni più uniche che rare per farsi conoscere e, spesso, anche per vendere i propri lavori. L’arte costa sacrificio. Sacrificio nel conoscerla, nel produrla e nel divulgarla. Ma penso fermamente che chi ci crede davvero prima o poi possa emergere.

Fonte: srs di Fausto Raschiatore, da cultframe.com del  luglio 2006


IL RITRATTO DI MAURO FIORESE NEL TEMPIO DELLA FOTO. LA GEORGE EASTMAN HOUSE OSPITA L'AUTORE VERONESE CHE ESPONE ANCHE A TORINO E AL PRINCIPATO DI MONACO

MOSTRE. La selezione della Biennale veneziana e altre prestigiose gallerie premiano il direttore artistico di PH Neutro
18/01/2012



Stagione di successi per il fotografo veronese Mauro Fiorese, presente con la sua opera Lite, 2011 all'esposizione torinese della Biennale di Venezia: lui è felice di esserci (a differenza di molti che preferiscono non esserci, visto l'affollamento voluto dal curatore Vittorio Sgarbi), ma, Torino a parte, per Fiorese i motivi di orgoglio non mancano. Una sua foto è anche alla mostra «The Unseen Eye: Photographs from the W. M. Hunt Collection», in corso (fino al 19 febbraio) in uno dei templi della fotografia: George Eastman House, il museo internazionale di fotografia e film di New York. Essere lì nella collezione di William M. Hunt (solo opere in cui il viso è oscurato, gli occhi sono chiusi, non possono essere visti, evocando in tal modo emozioni) «è uno dei più grandi onori della mia carriera», dice Fiorese. Dall'America a Montecarlo, con una mostra (fino al 30 giugno) assieme a Keith Carter, con cui Fiorese ha già realizzato il libro Two Spirits (Mondadori Electa, 2001/2002), in occasione della rassegna agli Scavi Scaligeri e ora Dream of a Place of Dreams, esposta al Club des Résidents Etrangers de Monaco: un lavoro in bianco e nero, nato nel 2006 e svolto a quattro mani, che i due fotografi hanno portato avanti, grazie alla collaborazione con la Monaco Asia Society, e che ci mostra una Montecarlo diversa, fatta anche di gente comune, lontana dagli stereotipi. È lo stesso principe Alberto a firmare l'introduzione del catalogo, edito da Siz. Dai successi internazionali al lavoro quotidiano, da direttore artistico della galleria veronese PH Neutro («un'attività che mi diverte, che mi permette di seguire collezionisti, di creare collezioni nuove») e con il reportage per il libro La basilica di Santa Anastasia a Verona: storia e restauro, il volume realizzato dal Banco Popolare: «Fare questo lavoro mi ha emozionato. Avevo già toccato la tematica sacra in un altro progetto Aula Dei-Icone della Spiritualità (Arsenale Editrice, 2006). I luoghi dello spirito vivono di una luce propria a cui si può credere o meno. È il buio talvolta, il luogo dello spirito attraverso cui la fotografia arriva alla luce per osservarla».

Fonte: srs di Maria Teresa Ferrari, da L’arena di Verona  del 18 gennaio 2012

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