Apple è l'azienda più ammirata e una delle più ricche ma l'altra faccia della medaglia è il costo umano pagato dalla manovalanza cinese: lunghi orari, sicurezza scarsa o inesistente, esposizione a sostanze tossiche e pericolose. Nei casi estremi persino la morte. Il New York Times esplora il lato oscuro del mondo della tecnologia, nelle catene di montaggio in Cina che servono Apple ma anche tutte le altre più importanti aziende del mondo.
Dietro avere la scorsa settimana in un dettagliato articolo come la Cina sia riuscita a sottrarre agli USA e a molti paesi occidentali milioni di posti di lavoro nel settore dell'elettronica di consumo, New York Times torna sull'argomento concentrandosi questa volta non sulle strategie di produzione seguite ma sul costo umano di esse.
II lungo e apparentemente molto documentato articolo parte dalla storia di Lai Xiaodong un laureato di 22 anni morto nell'esplosione dello stabilimento Foxconn di Chengdu, Cina avvenuta lo scorso maggio. Il racconto della breve vita dell'operaio Lai si intreccia con una indagine approfondita sulle condizioni di lavoro della manovalanza impiegata in Foxconn ma anche presso numerose altre aziende cinesi che costruiscono e assemblano prodotti per tutti i più importanti marchi della tecnologia e non solo dell'occidente.
Apple, spiega il giornale, si è attivata per monitorare le condizioni di lavoro in Cina per cercare di migliorare il sistema ma le relazioni in essere tra committente e costruttore non incentivano la soluzione.
Quando Cupertino cerca un nuovo fornitore non chiede mai il prezzo di un servizio o di una componente; invece richiede un i costi di manodopera, di sfruttamento della strumentazione e dei materiali, poi fa un'offerta e solitamente il margine concesso è ridottissimo. Le aziende difficilmente rifiutano per via dei volumi di fatturato che garantisce Apple ma una volta assicurata l'importante commessa, sono costrette a trovare soluzioni per soddisfare le richieste di Apple, provando a ricavare nel prezzo pagato i margini di profitto e questo normalmente si traduce in un costo umano visto che Apple impone materiali, design e standard qualitativi.
Anche la segretezza che circonda la linea di produzione della Mela rappresenta una barriera per cercare di migliorare le condizioni di lavoro.
Non sapendo chi sono i fornitori diventa difficile capire come lavorano i loro dipendenti. Apple ha recentemente pubblicato un nuovo elenco contenente i partner principali ma dalla lista si stimano siano escluse centinaia di società secondarie più piccole difficili da identificare e persino da localizzare, ovvero i fornitori dei fornitori. E anche quando si sa chi sono i produttori coinvolti nella filiera di Apple, è molto complesso capire dove vengono create alcune componenti.
Secondo alcuni ex dirigenti, Foxconn e Apple se volessero potrebbero risolvere la situazione in tempi brevi: in particolare Cupertino potrebbe interrompere il rapporto d'affari con le società che non rispettano la legge o gli standard minimi richiesti da Apple. Ma anche questa policy drastica si scontra con l'onerosità in termini di tempo e denaro per cercare altri fornitori; senza considerare che in alcuni casi le scelte sono obbligate. In fondo nel mondo non esiste quasi alcuna alternativa a Foxconn quando si tratta di avere i volumi di produzione richiesti dai prodotti Apple.
Dall'intervista di alcune persone emerge anche il senso di colpa per le scelte non fatte.
Poco prima dell'inizio della catena di suicidi negli stabilimenti Foxconn una società di monitoraggio aveva suggerito l'attivazione di una hot line telefonica per ascoltare e cercare di risolvere eventuali problemi psicologici dei dipendenti. Foxconn ha tergiversato prolungando i tempi fino a bloccare l'iniziativa, salvo poi tornare sui propri passi quando ormai era già tardi: il centro di ascolto è stato attivato solo dopo la lunga serie di suicidi verificatesi nel mega impianto-citta di Foxconn. Apple era stata coinvolta nella trattativa, ma si era chiamata fuori: «Vogliono mantenere le distanze - dice un consulente di BSR Business for Social Responsibility -; avremmo potuto salvare delle vite se Apple avesse fatto pressione su Foxconn. Ma non l'hanno fatto. Non gli interessa prevenire i problemi, la loro preoccupazione è solo evitare situazioni che li possono mettere in imbarazzo»
Apple è l'esempio più eclatante e riconoscibile ma non è l'unica società a utilizzare costruttori cinesi: tra gli altri nomi riportati nell'articolo ricordiamo Dell, HP, Lenovo, IBM, Motorola, Nokia, Sony, Toshiba, Nintendo, Amazon, Nokia, Samsung e molti altri ancora. Secondo gli addetti ai lavori la situazione è conosciuta da tutti ma per il momento la soluzione non rientra nelle priorità di committenti e produttori.
Tutta l'attenzione del mondo, utenti finali inclusi, è concentrata sull'ultimo gadget e sulle prestazioni migliori. Il sistema che si è venuto a creare è tutto teso alla riduzione dei costi, a produrre un maggior numero di unità prive di difetti e consegnare il massimo numero possibile di pezzi. I bassi salari e soprattutto le condizioni di lavoro della manodopera in Cina generano sgomento quando si verificano gli incidenti più gravi per poi passare in secondo piano subito dopo.
L'articolo, come accennato, è molto strutturato e complesso, ricco di esempi e di citazioni oltre che di testimonianze, alcune delle quali anonime altre di associazioni che si occupano della tutela della dignità dei lavoratori, ed è impossibile da riassumere. Invitiamo tutti coloro che hanno interesse per questo argomento, per tanto, a leggerlo direttamente.
Fonte: da Macity del 26 gennaio 2011
COOK: «APPLE SI PREOCCUPA DELLE CONDIZIONI DI LAVORO DEI DIPENDENTI DEI PARTNER»
"Ci prendiamo cura di ogni lavoratore nella supply chain a livello mondiale" e ancora "Qualsiasi insinuazione sul nostro disinteresse è palesemente falsa e offensiva": in una lettera inviata ai dipendenti Tim Cook risponde all'indagine sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche cinesi del New York Time in cui la multinazionale della Mela viene accusata di disinteresse e complicità con i fornitori.
«Palesemente false ed offensive». Tim Cook bolla in questo modo le vicende sulle condizioni di lavorodi alcuni dei partner Apple negli stabilimenti cinesi, raccontate dal New York Times.
La replica tempestiva al lunghissimo e dettagliato articolo arriva in una lettera inviata ai dipendenti Apple.
Nella documento ilCeo di Cupertino rende molto chiara la presa di posizione dell'azienda su questo problema, precisando il raggio d'azione, quello che è stato fatto e quello che verrà fatto per farvi fronte
"Come società e come individui siamo definiti dai nostri valori. Purtroppo oggi alcune persone stanno mettendo in dubbio i valori di Apple e vorrei affrontare questo con voi direttamente. Ci prendiamo cura di ogni lavoratore nella supply chain a livello mondiale. Ogni incidente è profondamente preoccupante e ogni problema relativo alle condizioni di lavoro è motivo di preoccupazione. Qualsiasi insinuazione sul nostro disinteresse è palesemente falsa e offensiva. Come voi sapete meglio di chiunque altro, accuse come questa sono contrarie ai nostri valori. Non è questo ciò che siamo".
Nella lettera Cook delinea le iniziative di Apple per individuare problemi relativi alle condizioni di lavoro e delle operazioni intraprese per il miglioramento. Il Ceo dichiara che un crescente numero di fabbriche e fornitori esteri è stato esaminato e che Cupertino si sta impegnando aggressivamente per risolvere ogni problema rilevato. Cook fa anche riferimento alle recenti iniziative in questo senso e all'introduzione da parte di Apple di resoconti indipendenti effettuati dalla Fair Labor Association: il dirigente della Mela dichiara che Apple sta facendo più e meglio di qualsiasi altra società in questo senso.
Nella parte conclusiva della lettera Cook accenna anche alle iniziative intraprese da Cupertino per educare i lavoratori circa i propri diritti, per fare in modo che possano denunciare e protestare in presenza di condizioni insicure o di trattamento non corretto.
"Continueremo a scavare più a fondo e senza dubbio troveremo altri problemi. Quello che non faremo e che non abbiamo fatto è restare immobili o chiudere un occhio ai problemi della nostra supply chain. Su questo avete la mia parola".
Fonte: da Macity del 27 gennaio 2011
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