Giorgio Bocca
1- E' MORTO GIORGIO BOCCA
E' morto oggi pomeriggio 25 dicembre 2011 nella sua casa di Milano, dopo una breve malattia, Giorgio Bocca. Lo rende noto la casa editrice Feltrinelli. Il grande giornalista e scrittore era nato a Cuneo il 28 agosto del 1920.
2- GIORGIO BOCCA, PARTIGIANO E SCRITTORE, UNA VITA PER RACCONTARE L'ITALIA CHE CAMBIA
Repubblica.it
Giorgio Bocca nasce il 18 agosto 1920 a Cuneo, da genitori insegnanti. Cresce nella condizione sociale tipica della borghesia piemontese e da ragazzo frequenta la Facoltà di Giurisprudenza. Per le sue abilità sciistiche e i risultati sportivi, noti in tutta la provincia, si iscrive al Gruppo Universitario Fascista. Le prime collaborazioni giornalistiche sono con il foglio cuneese del Partito Nazionale Fascista, esprimendo posizioni e idee vicine al partito.
L'amicizia con Benedetto Dalmastro, a sua volta connesso a Duccio Galimbertilo porterà a fondare dopo l'armistizio le formazioni "Giustizia e Libertà" con cui dopo l'8 settembre, Biorgio Bocca aderisce alla lotta partigiana. Nel 1945 firma le condanne a morte di cinque prigionieri dell'esercito della Repubblica Sociale.
L'uomo di lettere. Bocca inizia a scrivere da adolescente, sospende l'attività sotto le armi e la riprende alla fine della lotta partigiana, sul giornale di Giustizia e Libertà. Arrivano poi le collaborazioni con L'Europeo e Il Giorno, e nell'Italia del boom economico degli anni sessanta realizza diverse inchieste che raccontano e mettono in luce il momento storico del Paese.
Con Eugenio Scalfari, nel 1976 è tra i fondatori di Repubblica.
Bocca lavora anche per la tv, a cavallo tra gli anni 80 e 90, realizzando programmi per le emittenti della Fininvest di Silvio Berlusconi.
Ma la penna di Giorgio Bocca non è solo per i giornali. Sono molti i libri che firmerà, per raccontare la società italiana, i mutamenti del tessuto sociale e del territorio, il costume, gli infiniti e spinosi problemi dal nord al mezzogiorno. Particolare attenzione al tema del terrorismo, con inchieste e interviste ai protagonisti del periodo.
Lo sguardo di Bocca sulla realtà italiana è rimasto unico nel tempo, sempre originale e spesso spiazzante per le posizioni. Sostenitore di fenomeni politici come la prima Lega nord, antiberlusconiano per definizione, no global fuori dai movimenti. Soprattutto, difensore del revisionismo verso la Resistenza, in dura polemica con il collega Gianpaolo Pansa.
E lucido nell'analisi fino all'ultimo, nelle interviste rilasciate alla stampa e alla tv. In un'intervista a l'Espresso, Bocca dice: «Sono certo che morirò avendo fallito il mio programma di vita: non vedrò l'emancipazione civile dell'Italia. Sono passato per alcuni innamoramenti, la Resistenza, Mattei, il miracolo economico, il centro-sinistra. Non è che allora la politica fosse entusiasmante, però c'erano principi riconosciuti: i giudici fanno giustizia, gli imprenditori impresa. Invece mi trovo un paese in condominio con la mafia. E il successo di chi elogia i vizi».
3-GIORGIO NAPOLITANO: "SEMPRE STATO COERENTE"
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appresa con commozione la triste notizia della scomparsa di Giorgio Bocca, ha inviato un messaggio alla famiglia nel quale ricorda la "figura di spicco del movimento partigiano rimasto sempre coerente con quella sua fondamentale scelta di campo per la libertà e la democrazia". "Dedicatosi subito al giornalismo di inchiesta e di battaglia civile - prosegue Napolitano - Giorgio Bocca ha scandagliato nel tempo la realtà del nostro Paese e le sue trasformazioni sociali con straordinaria intransigenza e combattività". "Con sentimenti di riconoscenza per il suo vigoroso impegno - conclude - partecipo al cordoglio della famiglia e del mondo dell'informazione".
4-IL RITRATTO
UNA VITA DA GIORNALISTA: GIORGIO BOCCA, CRONISTA DELL'ITALIA LIBERATA
DALLA RESISTENZA AL NUOVO MILLENNIO
"NELL'ITALIA liberata prima ci disarmarono, parlo di noi partigiani, e poi ci chiesero di tenere in qualche modo in piedi la baracca dello Stato. A me, che avevo comandato una divisione di Giustizia e Libertà, offrirono, a scelta, un posto da vicequestore o da sindaco. Dissi che preferivo un posto da giornalista a GL, l'edizione torinese di Italia Libera, il quotidiano del Partito d'Azione a Torino". Nel fiume sterminato della vita professionale di Giorgio Bocca è raro trovare lezioni di uno che si impanca a maestro di giornalismo. C'è questo momento fondamentale: il partigiano Bocca che, deposte a forza le armi, decide che per "tenere in piedi la baracca" c'era di meglio che buttarsi in politica. C'era da raccontare un Paese, da viaggiare e riferire, da incontrare gente e interrogarsi.
E' quello che ha fatto per tutta la sua seconda vita, mai dimenticando quella prima da partigiano che l'aveva formato per sempre. La sua unica, sbrigativa lezione, risale sempre a quegli anni: "Il mestiere del giornalista è molte cose che si imparano: scrivere chiaro e in fretta, avere capacità di sintesi, non perdersi nei dubbi e nelle esitazioni, ma anche essere colto, aperto al mondo e alle sue lezioni, capace di emozioni, di solidarietà umana": E ai giovani che gli chiedevano quale fosse il segreto (e si chiamavano Egisto Corradi, Bernardo Valli, Angelo Del Boca, Alberto Cavallari, Gigi Ghirotti), Bocca riservava una piccola rivelazione: "Non preoccupatevi, se un segreto c'è, è quello che avete già in testa, il segreto di chi ha orecchio per i suoni del creato, di chi ha occhio per la caccia, dello schermidore che sa parare e tirare".
Da GL a un giornale vero, la Gazzetta del Popolo, nei tumultuosi anni del primo dopoguerra, e sono gli anni in cui Bocca scopre la cronaca barricadiera, le corse avventurose sui luoghi dei delitti, "la politica è spesso un alibi per continuare a uccidere. E noi che raccontiamo sui giornali ciò che accade viviamo ubriachi di gioventù fra i delitti e le macerie dei bombardamenti, nelle tane urbane lasciate libere dagli sconfitti". La saponificatrice di Correggio. Gli scioperi contadini e le lotte operaie. I tardivi ritorni alle armi di piccoli gruppi partigiani, come quello "di un certo Tek Tek che si trincerò in un castello del Monferrato", e la visita di Bocca finì a tavola con una bagna caoda. Le vendette del "triangolo rosso". La strage di Villarbasse. L'alluvione del Polesine, via di corsa nella notte alla notizia che il Po ha rotto gli argini a Occhiobello, "la mia auto è una Topolino rossa, cinquecento di cilindrata, due posti, ma va sul ghiaccio e nel fango e non si rompe mai". E poi in barca sulle acque che sommergono i paesi, "navighiamo a raccoglier naufraghi mezzi morti e mezzi vivi e ad ascoltare le loro storie".
Nel '54 il salto a Milano, all'Europeo di Rizzoli, "l'Europeo, scuola di giornalismo. A scuola dalla Camilla Cederna, che era una gran signora milanese, una donna elegante e curiosa, di una curiosità inesauribile, che la manteneva indenne dal tempo, senza una ruga, senza un'ombra di stanchezza, testimone attenta con il gusto di raccontare". E Oriana Fallaci: "Ero nell'atrio della Rizzoli in piazza Carlo Erba, e dall'alto mi arriva la voce dell'Oriana che grida all'impaginatore: Riva, ma che fai? A quel bischero del Bocca un titolo a tutta pagina e all'Oriana due colonne?". I viaggi per il mondo in compagnia del fotografo Moroldo, "che non era solo un bravo fotografo, era anche la mia guardia del corpo: più alto degli altissimi watussi, nerboruto e scattante. A cercare la Begum moglie dell'Aga Khan, a intervistare il Negus re dell'Etiopia, in Israele per le Guerra dei sei giorni.
Poi per Bocca venne la stagione del Giorno, chiamato dal direttore Italo Pietra, ex-partigiano come lui: "Avevo quarant'anni, conoscevo il mestiere, Pietra mi aveva assunto, doveva aiutarmi, capii che era arrivato il momento di impormi e nel giornale delle notizie brevi chiesi pagine intere, come il primo servizio su Vigevano, la città dei calzolai". L'incipit di quel servizio è rimasto memorabile nel giornalismo italiano: "Fare soldi, per fare soldi, per fare soldi: se esistono altre prospettive non le ho viste. Di abitanti cinquantasettemila, di operai venticinquemila, di milionari a battaglioni affiancati, di librerie neanche una". Sono gli anni in cui, sul Giorno che rappresentava il nuovo, le inchieste di Bocca raccontano l'Italia del boom economico. Cronache magistrali, che hanno fatto scuola per efficacia, personalità, curiosità. Più preziose di un libro di Storia. "Allora, quando giravo l'Italia per le mie inchieste, mi ero quasi convinto di essere uno che incuteva paura ai potenti, che poteva dirgli in faccia quel che pensava di loro. La megalomania dei giornalisti è quasi sopportabile nella sua ingenuità. La verità è che ero il giornalista di Enrico Mattei, del potentissimo Eni con cui i 'padroni del vaporè dovevano fare i conti".
Così Bocca racconta i capitalisti alla Pesenti, ma anche i nuovi ricchi come gli ex-mezzadri di Carpi diventati industriali della maglia, e poi la Lombardia dei treni operai, il processo Eichmann in Israele, il '68 francese, la strage di Piazza Fontana, le Olimpiadi di Monaco. "Nel '64 ero a Tokyo per seguire le Olimpiadi e il Giorno, con la disinvoltura geografica tipica dei giornalisti, mi fece sapere 'Visto che sei lì, fai un salto a Saigon'. Tornerà poi altre quattro volte a raccontare la guerra del Vietnam.
Nel '76 Giorgio Bocca è fra quelli che si imbarcano nella nuova avventura di Repubblica, accettando la scommessa di Eugenio Scalfari e Carlo Caracciolo, quella di un quotidiano nazionale che vada a sfidare il radicamento di concorrenti storici, il Corriere della Sera, la Stampa, il Messaggero. Bocca racconta gli anni di piombo del terrorismo: "Era molto difficile fare il giornalista nei giorni del terrore. Il nemico che poteva ucciderti o gambizzarti poteva essere il signore della porta accanto, o un amico di tuo figlio. Un giorno vado a un'assemblea studentesca, si avvicina un giovane e mi chiede: 'Tu sei Giorgio Bocca, il giornalista?'. Sì, rispondo. 'Spiegami una cosa: perché nei tuoi articoli dici che non sai chi sono e dove vivono i brigatisti rossi? Vedi, in quest'aula ce ne sono almeno cinque, tre regolari e due ausiliari, non ancora clandestini, vivono a casa loro e collaborano quando occorrono'".
Racconta i terroristi, andandoci a parlare, ma anche il generale Dalla Chiesa che dà loro la caccia. Nell'agosto del 1982 va a trovare a Palermo il generale, nominato prefetto antimafia: ne esce un'intervista memorabile, amarissima, rivelatrice dell'isolamento che avrebbe portato al suo assassinio soltanto un mese dopo. E ancora Bocca torna a raccontare l'Italia che cambia, la rivincita delle campagne piemontesi ed emiliane in chiave industriale. Il sindacalismo, l'ascesa di Bettino Craxi, il successo di Silvio Berlusconi con la nuova tv commerciale. Il leghismo e Umberto Bossi. Il sacrificio consapevole di Falcone e Borsellino.
E lungo tutta la carriera, i libri: dalla bellissima autobiografia Il Provinciale, al racconto della guerra partigiana, la storia della guerra fascista, la biografia di Togliatti, e i molti altri. E sempre volentieri Bocca è tornato sui luoghi della sua formazione, le montagne amate e vissute, di quando da "viaggiatore spaesato" (è il titolo di uno dei suoi libri più belli) riandava a rifugiarsi nella casa valdostana. Cercando il senso dello spaesamento nel silenzio della neve, scrutando aquile e gatti, alberi e prati. Nell'ultima pagina di "E' la stampa, bellezza! La mia avventura del giornalismo" consegnava brusco una piccola lezione: "Ecco, la chiarezza come dote regina del giornalismo. Spesso cambiata per faciloneria o irresponsabilità, ma da cercare sempre, in modo che alla fine del viaggio uno possa dire: non ho camminato alla cieca, non ho capito tutto, ma i nostri grandi vizi e le nostre umane virtù li ho riconosciuti".
5-ULTIMO ARTICOLO SU REPUBBLICA IL 23 SETTEMBRE 2011
L'OSCENITÀ IN POLITICA
(di Giorgio Bocca)
LA POLITICA, il parlar di politica come un interminabile, ossessivo fiume di oscenità, come accadeva nella fanciullezza quando ci scambiavamo parole “sporche” persuasi che quello fosse il segno della raggiunta maturità, che eravamo diventati uomini capaci di creare uomini. Giornali e televisioni sembrano dominati dalla foia delle immagini lubriche, dell’umorismo da caserma.
Un uomo, un industriale brianzolo di nome Silvio Berlusconi è il portavoce di questa volgarità plebea che ha ritrovato il coraggio di esporsi in pubblico, anzi vantandosi in pubblico di esistere. Nelle intercettazioni telefoniche di Silvio, dei suoi cortigiani, delle sue prostitute ritrovi lo sfogo carnevalesco della sessualità repressa. La Rai ha trasmesso un' intervista a una delle escort: sembrava la parodia di un inno satanico.
Proterva, sfrenata la signorina recitava la parte del demonio vincente su tutte le ipocrisie, su tutte le viltà. Parlava del ruffiano Tarantini come di un campione della verità e dell' audacia: sia lodato lui che in questo mondo di pecore ha avuto il coraggio di essere ciò che un uomo vincente deve essere, uno che ruba, approfitta, che usa la benevolenza dei potenti viziosi per fare strada. Non solo dei piccoli ricatti, delle modeste tangenti, ma i grandi affari con i monopoli privati di Stato, con la chimica e le meccaniche e il petrolio.
Coraggioso e ingegnoso: qualche bella ragazza mandava nel salotto giusto ed ecco che il furbo Tarantini era diventato un personaggio chiave della corruzione. La bella escort proseguendo l' intervista non si conteneva più, faceva l'elogio della lascivia che aiuta la furbizia, dell' avidità che è il giusto sentimento di rivalsa dei nati poveri. Irridente, sprezzante di ogni prudenza, di ogni rispetto. Credete a me che queste cose le conosco: hai un fratello disoccupato da sistemare, una madre ammalata da curare, devi pensare al tuo avvenire, a uscire dalla miseria degli stipendi statali.
E allora smettila di fare l' elogio delle virtù che ti lasciano povera, dei doveri con i quali non ti compri una T-shirt elegante, credi a me che conosco la catena del successo e della ricchezza, se devi venderti per avere dei bei vestiti venditi, perché solo l'eleganza ti aprirà le prime porte, se vuoi diventare un' attrice, un' indossatrice alle feste di Silvio e dei suoi simili non andartene proprio al momento giusto, quello in cui si fermano le candidate al suo letto, ai suoi amori penosi ma redditizi. Quando le prostitute rivendicano il loro diritto a esserlo, il loro merito a essere uscite dal gregge dei paurosi e dei deboli è troppo tardi per ogni considerazione sociale: siamo alla disperazione senza rimedio di chi sceglie la via delittuosa pur di uscire dalle pene della vita.
A questo punto sei fuori da una vita non diciamo virtuosa, ma onesta, fuori da una socialità corretta o sopportabile, dentro un groviglio di ricatti e di menzogne. Durante l'inchiesta di Mani pulite il procuratore Di Pietro ebbe parole di pietà per i poveracci che erano caduti nella rete infernale, anche loro, disse, hanno dei sentimenti, dei parenti, dei desideri di redenzione. Ma è altrettanto vero che uscire dalle grinfie del demonio nonè facile, che non tutti possono resistere alle sue tentazioni.
Si chiede a Berlusconi di fare un passo indietro. Non lo farà. Uomini come lui non sono in grado di farlo, non esistono per loro rifugi in paesi lontani. Se sono al punto in cui sono è perché lo hanno voluto con volontà di distruggersi, prevalente su quella di salvarsi.
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1- È MORTO L’ARCITALIANO. PRIMA FASCISTA, POI PARTIGIANO. NEL 1945 FIRMA LE CONDANNE A MORTE DI CINQUE PRIGIONIERI DELL'ESERCITO DELLA REPUBBLICA SOCIALE
2- GIORNALISTA PER “IL GIORNO” DELL’ENI, NEL 1976 È TRA I FONDATORI DI “REPUBBLICA”
3- A CAVALLO TRA GLI ANNI 80 E 90, REALIZZA PROGRAMMI PER LA FININVEST DI BERLUSCONI
4- “PASOLINI È MORTO PERCHÉ ERA DI UNA VIOLENZA SPAVENTOSA NEI CONFRONTI DI QUESTI SUOI AMICI PUTTANESCHI. HO UN PO’ DI OMOFOBIA, CHE POI È UNA COSA MILITARE”
5- “SCALFARI? DIRETTORE INARRIVABILE, MA UNO MOLTO PIENO DI SÉ, CHE RECITA IL POTERE”
6- È BOCCA CHE RACCOMANDA A BERLUSCONI “UN AMICO UN PO’ SCEMO, EMILIO FEDE…”
7- TRAVAGLIO? “OGNI DUE MESI FA UN LIBRO COI RITAGLI DELLA QUESTURA, DEI TRIBUNALI”
8- “MI STUPISCE CHE BERLUSCONI NON MI AMI. IN FONDO IO SCRIVO CHE È UN MAIALE”
(Dagospia)
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1- "SCALFARI? DIRETTORE INARRIVABILE, MA UNO MOLTO PIENO DI SÉ, CHE RECITA IL POTERE" - EMILIO FEDE? BOCCA LO HA RACCOMANDATO A BERLUSCONI "HO UN AMICO UN PO' SCEMO, ERA STATO PROCESSATO COME BARO E CONDANNATO. QUESTO DISOCCUPATO, PRENDILO" - 6- TRAVAGLIO? "OGNI DUE MESI FA UN LIBRO COI RITAGLI DELLA QUESTURA, DEI TRIBUNALI" - 7- "MI STUPISCE CHE BERLUSCONI NON MI AMI. IN FONDO IO SCRIVO CHE È UN MAIALE"
Francesco Borgonovo per "Libero" - articolo del 29 settembre 2011
(Fonte Dagosoia)
Giorgio Bocca, superata la soglia dei novantun'anni, ha assunto tratti egizi. Assiso come una faraone su uno scranno della sua casa di Milano, sul volto una pelle di pergamena, ha traslocato dalla casta degli scribi in quella dei sommi sacerdoti: ogni frase è anatema, maledizione ancestrale. Il 3 ottobre sarà presentato ‘La neve e il fuoco', documentario di Maria Pace Ottieri e Luca Musella per Feltrinelli Real cinema che consiste in un'intervista al giornalista di oltre un'ora.
Una celebrazione dell'uomo divenuto una divinità dell'antiberlusconismo. Poche settimane fa, il Fatto quotidiano lo ha interpellava come fosse un aruspice; persino Repubblica, di recente, lo ha richiamato dalle catacombali rubriche sull'Espresso e il Venerdì, dov'era confinato a mo' di reliquia, per scucirgli un paio di editoriali.
Per tutta risposta, il faraone Boccan-khamon incenerisce l'Italia intera, anche quella che lo idolatra in virtù del suo odio per il Cavaliere. Nella sua insofferenza per la modernità, egli è l'ultimo discepolo di Julius Evola, convinto di abitare nell'età del Kali Yuga, l'era oscura che precede la fine dei tempi.
Nella nostalgia feroce per un arcadico passato potrebbe ricordare Pasolini, se non fosse che lui PPP proprio non lo tollera. «Avevo paura di Pasolini, della sua violenza», racconta. «Pasolini è morto perché, la rigirino pure come vogliono, era di una violenza spaventosa nei confronti di questi suoi amici puttaneschi».
A infastidirlo più di tutto, però, c'è il fatto che lo scrittore era omosessuale: «Poi mi dava noia questo: ho un po' di omofobia, che poi è una cosa militare, come i bei fioeu va a fer il solda' e i macachi resta a ca', i macachi restano a casa. Il mio concetto piemontese è che gli uomini veri vanno a fare il soldato. Quindi anche questa faccenda dei suoi rapporti con questi poveretti che manipolava...». Il gay macaco gli resta sul gozzo.
CALFARI, FEDE E FALLACI
Non che vada meglio ad altri venerati maestri progressisti. Chissà che pensano a Repubblica della posizione di Bocca su Natalia Ginzburg: «Secondo me sopravvalutata in maniera incredibile. Io leggevo i suoi libri e non riuscivo a capire perché era una scrittrice famosa. Lessico famigliare lo trovavo una cosa elementare (...). Si sentiva che anche lei era una di razza, ma era anche una furbona, una che sapeva come coltivare il suo orto». Cesare Pavese, invece? «Come scrittore a me sembrava pessimo».
EMILIO FEDE
Ai giornalisti va peggio. Eugenio Scalfari resta un direttore inarrivabile, ma già quando si conobbero era «uno molto pieno di sé, che recita il potere». Gianni Brera era «un fetente, una carogna paracadutista. Sai, uno nasce carogna. Lui, come giornalista, ha fatto carriera facendo la carogna». Emilio Fede? Bocca lo ha presentato a Berlusconi. Dice di aver chiamato Confalonieri e avergli raccomandato il suo ex collega della Gazzetta del popolo. Gli disse di avere «un amico un po' scemo, era stato processato come baro e condannato. Questo disoccupato, prendilo...».
La Fallaci, da lui soprannominata «Oliala Fallaci», era «una tutta letteratura e niente cronaca. Tutta la cronaca era inventata». Un giorno le ha prestato cinquanta dollari «e non li ho mai più visti». Le signore della penna, poi, avevano l'aggravante di essere femmine, uterine. Camilla Cederna? «Era la correttezza in persona. Purtroppo, nella vita ognuno può attraversare un periodo in cui perde la testa, cioè per le donne specialmente. (...) Di politica non sapeva niente, ma quando l'ha assaggiata se n'è invaghita follemente e ha dato veramente i numeri».
CESARE PAVESE
In particolare, Camilla è impazzita per il caso Pinelli. Il quale «a un certo punto, ha perso la testa perché era spaventato dalle domande, da quegli interrogatori e si è buttato dalla finestra lui, non l'hanno buttato». Sarebbe dunque logico che l'Uomo di Cuneo rivedesse la sua posizione sul commissario Calabresi, quella che gli fece firmare lo sciagurato appello promosso contro di lui. Col cavolo.
«Pansa adesso mi ha rimproverato, ha fatto l'articolo su Libero, dicendo: caro Calabresi, stati attento, quel Bocca ha firmato quell'ignobile appello... Per niente ignobile, perché il signor Calabresi era un poliziotto, reazionario estremo, un nemico del movimento. Perché devo chiedere scusa? Ho firmato quell'appello perché Calabresi era parte delle trame nere, era d'accordo con il prefetto che ha sviato le indagini e ha fatto arrestare gli anarchici, quindi era un nemico».
E sebbene sul suo giornale faccia intervistare il vecchio Giorgio a ripetizione, viene fulminato anche Marco Travaglio: «C'è stato un periodo in cui ero l'unico che facesse libri d'inchiesta. Oggi, invece, ogni giorno me ne arriva uno. Questi qui poi sono arrivati alla vergogna, fanno libri ignobili pur di uscire con un libro, hanno una squadra di persone che copia dai giornali e ne fanno un libro. Travaglio, ogni due mesi fa un libro. Ma come fai? Sono libri fatti coi ritagli della questura, dei tribunali, libri pessimi».
PIER PAOLO PASOLINI
A Bocca fa schifo pure il retroterra culturale dei suoi lettori, quelli della sinistra radical venuta dal '68. Meglio le Brigate rosse di questi ultimi . «Erano più simpatici di quelli del movimento. Andavi a parlare con quelli del movimento studentesco: dei professorini, dei saputelli...». Quelli delle Br, invece, «li sentivo più vicini a me».
«NAPOLI CIMICIAIO» Il culmine del disgusto, però, lo raggiunge quando si parla del Sud. Sin dalle prime volte in cui è stato nel Meridione, Giorgio ne è rimasto disgustato: «C'era sempre il contrasto fra paesaggi meravigliosi e questa gente orrenda (...). Insomma, la gente del Sud è orrenda (...). C'era questo contrasto incredibile fra alcune cose meravigliose e un'umanità spesso repellente». Una volta, per dire, si è trovato in una viuzza vicino al palazzo di giustizia di Palermo: «C'era una puzza di marcio, con gente mostruosa che usciva dalle catapecchie».
Non a caso, Bocca ha dedicato uno dei suoi libri più famosi al Sud: si intitola Inferno ed è a tutti gli effetti un precursore di Gomorra. Ma il suo pensiero non cambia col passare del tempo: «Vai a Napoli ed è un cimiciaio, ancora adesso». L'intervistatrice, disperata, cerca di fargli dire qualcosa di gentile sui meridionali, gli chiede se non veda «poesia, saggezza» nel modo di vivere di quelle parti. E il faraone, implacabile: «Poesia? Per me è il terrore, è il cancro». Sono «zone urbane marce, inguaribili».
Unica consolazione: il Sud fa talmente schifo che se vai lì ne cavi di sicuro qualche bell'articolo. Quando lo dice, l'intervistatrice s'illumina: «Quindi sei grato, se non altro...» Ma Giorgio: «Grato, insomma... Come dire: sono grato perché vado a caccia grossa di belve. Insomma, non sei grato alle belve, fai la caccia grossa, ma non è che fraternizzi con le belve». Eppure, nei suoi libri, qualche parola consolante sul Meridione si trova... Beh, presto spiegato il mistero: «È necessaria un po' di ipocrisia. Sapevo sempre che dovevo tener buoni i miei lettori meridionali, quindi davo un contentino».
Di più schifoso, dunque, c'è solo Berlusconi: «Mi stupisce che Berlusconi non mi ami. Io scrivo sui giornali che è un maiale e dentro di me penso che lui dica: beh, in fondo ha ragione». Sorte ingrata del faraone Bocca: gli tocca odiare l'unico che abbia mai amato, proprio perché questi non lo ama più.
Fonte: Dagospia del 26 dicembre 2011
Link: http://www.dagospia.com/
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