Desiderio Murari
Grezzana di Verona
Ultimo appuntamento del viaggio di Pantheon dentro ai protagonisti, le storie e le leggende dell’Unità d’Italia rilette con un occhio di attenzione per la Valpantena e la Lessinia.
Grezzana di Verona
Ultimo appuntamento del viaggio di Pantheon dentro ai protagonisti, le storie e le leggende dell’Unità d’Italia rilette con un occhio di attenzione per la Valpantena e la Lessinia.
Si chiude qui il 2011 e si chiude anche il 150° anno dell’Unità d’Italia. Dopo sette intense puntate attraverso Storia e storie, persone, avvenimenti, aneddoti e personaggi, anche la rubrica tricolore chiude i battenti, e lo fa partendo da una testimonianza storica che tocca il cuore, quella di Desiderio Murari reduce di Russia.
Abbiamo parlato di Patria. Abbiamo discusso di amore di patria. Abbiamo cercato l’empatia per immedesimarsi per provare o rivivere momenti lontani, scripta manent e verba volant...
Sì, è vero, ma questa volta sono state proprio le parole alleggiate in una stanza a imprimersi nella mia mente, a toccare il cuore. Le parole pronunciate da un uomo che quei momenti solo letti in pagine e pagine di libri li ha vissuti. Su di sé.
Era a 45° sotto zero, era lontano da casa, lontanissimo. Era con un’arma in mano per difendersi. Era lì, per combattere il comunismo, o quantomeno l’idea di comunismo... perché i soldati comunisti erano uomini, prima di tutto.
Uomini che come lui soffrivano, ma che come lui dovevano essere lì. In prima fila, pronti all’attacco; nelle retroguardie, sempre in allerta. Mai prendersi un momento di pausa, mai abbassare il capo, altrimenti la morte. Mai, fermarsi, altrimenti il ghiaccio ti paralizza, ti congela, ti ferma i battiti. Si vedono statue di uomini lungo la via, lungo gli eterni trasferimenti da un accampamento all’altro. Uno spettacolo freddo, impressionante. Anche il cuore ormai ha perso la sensibilità, per sopravvivere, per non rischiare di impazzire. Settant’anni fa lui era lì. Era un giovane ventitreenne, era un sottotenente degli Alpini. Era un uomo tenace. Era ubbidiente, e seguiva l’ordine di guerra, seppure la guerra, è chiaro, «non serve proprio a niente».
Ma il signor Murari ha combattuto comunque per la patria. Sì perché la patria, in quel momento, era sentita, vissuta. Oggi non più.
«Perché secondo lei?», gli domando.
«Perché un tempo l’Unità d’Italia era un dato di fatto, in cui si credeva».
«E cosa è successo allora?», insisto.
«A partire dagli anni Ottanta e Novanta si è messa in dubbio l’Unità. E Napolitano in questo anno di commemorazione ha risollevato quelo spirito che rischiava di scomparire».
Proprio così. Come affermano gli storici, i valori della patria – epos, logos, ethos, ghenos e topos – sono stati reinfatizzati, già a partire dalla presidenza Ciampi. Il dibattito sull’identità nazionale italiana sarebbe rinato in risposta alla minaccia disgregatrice di alcuni movimenti politici neo-nazionalistici nati in questi ultimi decenni.
Allora cos’è oggi l’identità italiana? “Che senso ha oggi parlare di nazione?”, ci siamo domandati sullo scorso numero; soprattutto in una realtà che sta cambiando, in cui il carattere nazionale, cioè l’insieme delle disposizioni ‘oggettive’ consolidate di una popolazione (principali tratti morali e mentali) si sta trasformando velocemente.
Si deve ricordare che le parole come nazione, patria, italianità sono categorie di un discorso politico, e come tali subiscono continue variazioni nel tempo. Esse sono contenitori che vengono riempiti e svuotati di significati diversi, “perché il significato di una parola è nella sua storia”.
È successo per esempio che patria, proprio perché ormai era diventato un valore fascista, fu ripreso dai partigiani, che si fecero chiamare patrioti. Allora anche oggi forse gli “ingegneri dell’italianità” dovrebbero farsi carico delle istante di una cittadinanza nuova, per promuovere una nuova identità nazionale...
Interrompo le mie riflessioni e torno a osservare il signor Murari. I suoi occhi esprimono ancora risolutezza...di fronte alla vita. Questa è stata la sua salvezza. È sopravvissuto al freddo, alla fatica, alla campagna di Russia. Ha percorso chilometri e chilometri a piedi. Ha visto morire compagni, amici, uomini con cui condivideva quell’assurdità, quella guerra in cui l’ideale cozzava con la realtà atroce. Poi, tornato a casa in licenza, è stato assegnato alla caserma degli Alpini a Gargnago, come addestratore.
Ma le difficoltà per lui non sono terminate! L’8 settembre del ‘43 segnò una svolta, e lui da soldato divenne d’un tratto fuggiasco. Una volta annunciato lo scioglimento dell’esercito italiano scappò sui monti. E qui, cibandosi di sola uva, rimase nascosto finché i Tedeschi non lasciarono il presidio. Dopo poco tempo riuscì a prendere il battello per Desenzano, rischiando però di essere catturato. Ma ancora una volta la caparbietà lo ha salvato: mentre si dirigeva verso l’uscita, prese a braccetto una signorina e con disinvoltura superò il controllo sul porto.
Raggiunta Verona con il treno, mentre percorreva corso Porta Nuova, l’incontro con due soldati tedeschi lo fece trasalire, ma fortunatamente volevano solo avere indicazioni per la stazione!
Sarebbe arriva to dalla madre pochi giorni dopo, a Grezzana, dove a guerra finita è diventato insegnante delle scuole elementari e per ben un decennio ha coperto la carica di sindaco.
Certo, la guerra se la porta dentro, il signor Desiderio, e nessuno potrà mai capire, se non l’ha vissuta. Mentre però lo osservo avviar si da solo verso la macchina, accendere il motore e partire, sento la sua forza e ne faccio tesoro.
Fonte: srs di di Giovanna Tondin, da Pantheon di dicembre 2011
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