domenica 6 febbraio 2011

La lezione egiziana. Lo stato e il suo prestigio


Guardando quello che sta succedendo in Egitto, possiamo solo pregare Dio affinché scacci via queste tenebre dal paese. Ma adesso è arrivato il momento di imparare la lezione, cercando di valutare il tutto razionalmente, perché il caos e la mancanza di prudenza sono questioni calde sia in Egitto che nei media arabi.

La prima lezione da imparare, sia per gli egiziani che per gli altri popoli arabi, è che lo stato è un’istituzione basata sul prestigio. Se esso perde prestigio, succede quello che si è visto questi giorni in Egitto. Ovviamente con prestigio dello stato non si intende la repressione o la sua superiorità sul popolo, bensì un principio vero e proprio, come sottolineato da Muawiya Ibn Sufyan: “Anche se ci sarà un solo capello che mi legherà ai miei compagni, non permetterò che si spezzi”. Prestigio non significa promesse fittizie o leggi dure, in quanto esso si raggiunge costruendo le istituzioni dello stato in modo da renderle efficienti. È lo stato che governa, non il partito.

Dagli accaduti in Egitto, osservando il caos e l’orrore che si sono manifestati, vengono spontanee alcune semplici domande: è concepibile che nessuna istituzione egiziana abbia i mezzi per misurare l’opinione pubblica e gli sviluppi di tutti i possibili scenari? È concepibile che la sicurezza si stia affievolendo in modo così rapido? E ancora, è concepibile che gruppi di manifestanti riescano ad incendiare i furgoni della polizia lanciando un solo carico di esplosivo più piccolo del palmo di una mano?

L’altro ieri il presidente Mubarak ha detto che l’economia è qualcosa di troppo serio per essere lasciata ai soli economisti, ed è vero. Ma anche le questioni politiche più serie sono lasciate ai soli politici, e quelle militari agli omonimi apparati. Il punto è quindi la necessità di un contratto sociale onnicomprensivo, basato su istituzioni e competenza, che dovrebbe fare gli interessi dello stato e non dei partiti o dei singoli individui. E questo riguarda tutto il mondo arabo, in cui la popolazione è giovane, le economie sono tra le meno sviluppate, bassi livelli di trasparenza, un pessimo sistema educativo e una moltitudine di false promesse. E questa sarebbe la ricetta giusta per rialzarsi?

Ma lo stato non deve raggiungere prestigio evitando questa stagnazione sociale, poiché potrebbe essere letale. Piuttosto deve lottare contro la corruzione e riconoscere l’importanza dei media, soprattutto dei nuovi media, e capire come dialogare con essi, non cercare di sopprimerli. Lo stato deve creare opportunità di lavoro, allargare le vedute nazionali al fine di prevenire il soffocamento sociale e politico. Deve inoltre provvedere ai mezzi e ai canali per la circolazione del dialogo e delle idee, in modo che il paese non diventi un’arena di polarizzazione ed esclusione. Non dovremmo infatti attrarre idee estremiste, non permettendo a forze esterne di fare i propri comodi nei nostri territori. In questo caso mi sto riferendo precisamente all’influenza negativa iraniana che continua a penetrare nei nostri paesi.

La crisi egiziana è davvero pericolosa, ma è anche ricca di lezioni da imparare, soprattutto quella relativa al mantenimento del prestigio dello stato. Le proteste dei manifestanti egiziani erano giuste inizialmente, ma creando il caos hanno messo a repentaglio tutto ciò che è stato raggiunto fin ora in questo paese. E anche la scossa di terrore nei cuori degli egiziani è stata molto potente.

Fonte:  srs di Tariq Alhomayed, Asharq al-Awsat da arbism .it del (30/01/2011) - Traduzione e testo di Giusy Regina

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