di GILBERTO ONETO
Il più sacro gingillo del patriottismo italiano è
il tricolore.
Se ne occupano trepidanti un articolo della
Costituzione, due articoli del Codice Rocco e una mezza dozzina di
leggi e regolamenti. Ci raccontano che è nato a Reggio Emilia il 7
gennaio del 1797 ma già almeno l’anno prima un accalorato giacobino
bolognese lo aveva usato a mo’ di coccarda: in realtà il suo impiego
ufficiale come simbolo di italianità risale solo al 1848.
È una mistificazione sostenere che prima di quella data
fosse un segno riconosciuto da tutti i patrioti e che
significasse qualcosa di somigliante all’idea di Italia, e anche dopo
qualche piccolo problema ce l’ha avuto almeno per una dozzina di
anni. Nella legge fondamentale dello Stato italiano è però
entrato solo nel secondo dopoguerra.
Ma andiamo con ordine. Non è vero che fosse la bandiera
dei giacobini italiani. Fra il 1797 e il 1814 è stata formata nella
penisola italiana una miriade di staterelli (fra Repubbliche,
Principati e altro) che faceva riferimento alla Repubblica o
all’Impero francese, e cioè al giacobinismo e al bonapartismo. Di
almeno 24 di questi conosciamo la bandiera usata e, siccome alcuni di
loro l’hanno modificata nel tempo o ne hanno usati più modelli
contemporaneamente, si ha documentazione di 31 diverse bandiere. C’è
di tutto un po’.
Solo la Repubblica ligure aveva inizialmente adottato
la tradizionale bandiera genovese (la Croce di San Giorgio) limitandosi a
sovrapporvi edificanti motti rivoluzionari. Tutte le altre sono di
foggia rivoluzionaria, sono cioè l’accostamento orizzontale o
verticale di due o tre colori assemblati a imitazione del tricolore francese, nato
dall’unione del rosso e del blu dello scudo di Parigi con il bianco
del Regno di Francia. Cinque di loro sono pedisseque riproposizioni
del tricolore francese, tutte le altre si sono sbizzarrite in
cromatismi fantasiosi, con qualche maggiore propensione per i tricolori rosso-azzurro-arancione,
rosso-bianco-nero e rosso-nero-azzurro collegati più o
meno chiaramente a simbolismi massonici.
Il tricolore bianco-rosso-verde compare solo in Emilia
per la Repubblica Cispadana, poi passa a quella Cisalpina, a quella
italiana e infine al Regno di Italia. Giova ricordare che si trattava
di diverse denominazioni date a quasi lo stesso territorio (la
Lombardia a est del Ticino, il Veneto e parte dell’Emilia) e che
il nome Italia era stato ripescato da Napoleone quale sinonimo di
Lombardia e indicava la parte centro-orientale della Padania.
L’equivoco sulla bandiera si intreccia qui con quello del nome ed è alla base di tutti i successivi sviluppi della vicenda.
Nell’antichità l’Italia era la Calabria meridionale, il nome ha
poi risalito la penisola lentamente per rappresentarla fino al
Rubicone, poi si è esteso alla pianura padana e anche oltre.
Nel Medioevo è rimasto appiccicato esclusivamente alla
parte settentrionale: il Regno di Italia (sinonimo di
Lombardia) arrivava fino ai confini dei domini del Papa. Il resto era
Regno di Napoli e gli abitanti della regione erano distinti
in italiani (o lombardi) e napoletani. Questo ha indotto Napoleone a
riprendere un termine geografico e ad attribuirgli un significato
politico denominando Italia lo Stato che aveva creato in Padania.
In ogni caso quel lontano tricolore era disposto
orizzontalmente o a losanghe, e solo raramente (su vessilli militari)
verticalmente. Con la caduta di Napoleone erano spariti anche tutti i
vessilli collegati, compreso quello tricolore, che era
stato impiegato, fuori di Padania, e per breve tempo, solo a
Lucca. Il verde veniva forse dall’uniforme della guardia civica
milanese accostato al bianco e al rosso della croce cittadina, e analoga
genesi poteva avere avuto la coccarda bolognese anche se c’è chi
propende per una variazione cromatica dal blu al verde del tutto
casuale.
Altri ancora fanno notare che poteva anche essere
derivata dalla fascia del 33° grado del Grande Oriente d’Italia ma è
pure possibile che il rapporto sia stato inverso: che la Massoneria
italiana – formata a Milano nel 1805 – avesse cioè assunto i colori
dello Stato giacobino ospitante. Si tratta di una relazione che avrà
importanza negli sviluppi delle vicenda. Non è la bandiera del primo
Risorgimento. Nel corso dei moti carbonari dei primi decenni del XIX
secolo, era quasi sistematicamente impiegato il tricolore rosso-nero-blu della Carboneria.
Quando Mazzini fonda, nel 1831, la Giovane
Italia inserisce nel suo Statuto che il simbolo sociale è il
tricolore, che rientra così nella storia come bandiera di partito.
Perché era stato scelto da Mazzini, che era ligure e che non
aveva nessun legame con la bandiera cisalpina? Non ha
usato quella genovese per un evidente rifiuto di un segno
cristiano, non quella carbonara per volersi differenziare, ma prende
il tricolore quasi sicuramente dal rituale massonico rinverdendo così
un rapporto che si era un po’ affievolito.
Ma non è ancora la bandiera italiana. Nei moti del ’48,
il tricolore compare ma solo a Milano, per evidente richiamo alla bandiera che fino a 34 anni prima si
era contrapposta a quella austriaca, ma anche per la robusta
presenza di aderenti alla Giovane Italia. I colori erano messi a
caso e spesso compariva anche il vessillo rossocrociato di Milano. In tutte le
altre città erano impiegate bandiere diverse: se ne ricordano
almeno quattro.
La consacrazione viene al tricolore
dalla scelta di Carlo Alberto, che
intervenendo in Lombardia, cercava legittimità in un simbolo che
lo potesse legare ai territori che si voleva annettere, e
cioè quellaPadania centro-orientale che aveva impiegato il tricolore
sotto Napoleone. È una sorta di captatio benevolentiae cui – anche
qui – non doveva essere estranea l’influenza del Grande Oriente
d’Italia, che comprendeva anche il Piemonte e che quindi era molto familiare a
larga parte della nomenclatura sabauda. Il tricolore adottato il 23
marzo era a bande verticali per poterci inserire dentro lo stemma di
famiglia e avere forma quadrata in analogia alle bandiere
colonnelle dell’esercito sardo.
A questo punto e solo a questo punto anche altri
lo hanno adottato. Anche Garibaldi, che non aveva usato il tricolore
in Sudamerica ritenendolo solo la bandiera del partito
mazziniano: la legione italiana di Montevideo aveva un
stravagante bandiera nera con un Vesuvio fiammeggiante. Lo ha ripreso
anche la Repubblica romana di Mazzini che però come bandiera da
guerra usava un drappo tutto rosso.
Dopo la sconfitta di Novara, il tricolore è tornato in
un armadio. Tanto poco era scontato il suo uso che fra il 1850 e il
1855 il giornale torinese La Patria ha indetto una sorta di
referendum fra i suoi lettori per l’adozione di una bandiera
italiana nel quale hanno prevalso delle originali elaborazioni della
Croce di San Giorgio. Neppure il superpatriota Pisacane nella sua
sfortunata spedizione l’ha più sventolata, preferendole una più esplicita
bandiera rossa.
Il tricolore ricompare solo nel ’59 essenzialmente come
bandiera militare. Quando Garibaldi si è imbarcato per la Sicilia ha
con sè due bandiere, quella solita di Montevideo (il vulcano) e quella
cosiddetta di Valparaiso (un tricolore riccamente ricamato) che però
riesce a perdere a Calatafimi alla prima occasione. Nel frattempo
Francesco II, il 25 giugno del 1860 ha deciso di adottare, assieme
alla Costituzione, il tricolore come bandiera del suo Regno: si viene
così ad avere la strampalata situazione di soldati borbonici che
sventolavano il tricolore e garibaldini la loro bandiera nera.
Nel 1861 alla formazione del Regno d’Italia il
tricolore diventa alfine bandiera di Stato, anche se non è
menzionato dallo Statuto: per questo si dovrà aspettare l’articolo 12
della Costituzione repubblicana. A dargli definitiva dignità di patrio
feticcio ci ha pensato il fascismo che lo ha infilato dappertutto
fino a fargli assumere una connotazione di parte: nel ’68 avere un
tricolore fuori da uno stadio significava essere
inequivocabilmente presi per fascisti.
Oggi nel generale revival del patriottismo italiano il
tricolore ha riassunto una funzione primaria nella liturgia
repubblicana e ci viene spacciato per antico simbolo di identità
nazionale. Non è proprio così e non potrebbe essere diversamente vista
la molto dubbia genuinità dell’identità che gli fanno rappresentare.
Fonte: lindipendenzanuova del 17 settembre 2016
Link: http://www.lindipendenzanuova.com/il-patrio-feticcio-un-po-massone-un-po-fascista-un-po-di-sinistra/
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