Intervista a Lorenzo del Bocca
«Tagliamo lo sgabello dove siedono i vincitori, raccontiamo la verità nelle scuole»
«I problemi di oggi non sono figli della contemporaneità ma vengono dal passato. Il passato non c’è l’hanno raccontato giusto. Col risultato che chi aveva vinto non aveva solo ragione ma ragionissima. Che non era buono, ma buonissimo. Che chi aveva perso non aveva torto ma tortissimo»
«Siamo quello che eravamo, diventeremo quello che siamo». Lo scioglilingua storico di Lorenzo Del Boca è la prima risposta alla domanda: Ma scusa tanto, perché dovremmo rivedere la storia del Risorgimento?
Allora lui, al di sopra di ogni sospetto, presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti e una passione sfegatata per la storia, dopo che col figlio aveva fatto un ripasso folgorante per l’esame di quinta elementare, con pazienza ti spiega che le cose le leggi "così" ma peccato siano andate "colà". Se non addirittura in altri colà siano accadute.
Colà dove?
Del Boca è un trapano che svita e riavvita i fatti, i luoghi, smitizza i miti, la retorica dei vincitori. Fa il giornalista. Fa lo storico. La storia da lui riletta diventa quindi un’impresa di traslochi: un trasloco dai luoghi comuni, che non ci sforziamo di rimettere in discussione, per arrivare alla storia che colpevolmente la scuola, le università non insegnano. Piuttosto inculcano.
«La domanda la faccio io - spiega il presidente -. I problemi, i vizi che ha il paese, riverberati nella politica di tutti i giorni, da dove arrivano secondo te? Dove se non da dove arriviamo?».
Quindi per capirlo dobbiamo farei un esame di coscienza?
«Meglio un esame di storia. Quella vera. I problemi di oggi non sono figli della contemporaneità ma vengono dal passato. E il punto è che il passato non ce l’hanno raccontato giusto. Ce l’hanno spiegato con l’amplificazione delle minime e a volte minimissinie virtù dei vincitori e con l' "accelerazione"' dei piccoli e a volte piccolissimi vizi degli avversari. Col risultato che dal punto di vista della lettura storica, chi aveva vinto non aveva solo ragione ma ragionissima. Che non era buono, ma buonissimo. Che chi aveva perso, non solo aveva torto, ma tortissimo, e che era non solo cattivo, ma malvagio. Non è così».
La storia patria non è storia ma illusione?
«È una storia deformata. Ci hanno raccontato una storia dei padri della patria, non solo altruisti, non solo generosi, ma con una intelligenza di gran lunga superiore alla media, che si sono succeduti fino a De Gasperi compreso» .
Poi l’incantesimo si è rotto?
«Per forza! Abbiamo scoperto che rubavano! E se dopo De Gasperi rubavano, chi glielo ha insegnato il mestiere? Se sette, otto generazioni di politici erano dei santi e degli eroi, e hanno insegnato il rigore e il giansenismo, da chi hanno appreso quelli venuti dopo l’arte della furbizia?».
Qualcosa non torna. A partire da dove?
«Se da un albero di pere nascono le mele, quello è un albero di mele, che c’entrano le pere? Allora, leggendo in filigrana la storia del Risorgimento e quella contemporanea, si trovano più ladri che politici disinteressati. E lo si scopre dalle carte che i vincitori non sono riusciti per fortuna a distruggere».
Del Boca chi sono i cattivi maestri?
«Intanto quelli che l’hanno scritta, prezzolati dai vincitori. Anche se una giustificazione ce l’avevano: il tenere famiglia. Ma quelli che li hanno succeduti, quelli no, non hanno scuse, non hanno alibi. Hanno copiato la storia senza un minimo di verifica, di senso critico. Oggi nei libri di testo la storia è ancora quella del due punti aperte le virgolette: « I Savoia conoscono la via dell'esilio, non del disonore» .Poi: «Qui ci siamo e qui ci resteremo», O ancora: «Saluto il re d’Italia». «No, sono io che saluto il mio più grande amico…»
Proposizioni che chi avrebbe pronunciato non solo non ha pronunciato ma non avrebbe potuto nemmeno pensare di pronunciare. Quel somaro di Vittorio Emanuele II non era in grado di pensarle! Quella frase sull’esilio il re l’avrebbe pronunciata a Vignale dopo la sconfitta di Novara quando Radetzky non poteva che dirgli: «Caro re, adesso ti prendo per l’orecchio e un baffone e ti porto a Torino».
Invece Radetzky si fa dire da un vinto «lo non conosco la via dell’esilio».
Possiamo credere a una storia così incredibile?!
Uno che ha vinto si lascia convincere da una frase ad effetto? Dopo la pubblicazione della storiografia austriaca, si scopre che Vittorio Emanuele si scusa per gli errori del padre, che lui sarebbe andato a Torino a far piazza pulita dei democratici (gli allora radicali di sinistra) e che avrebbe ripristinato i buoni rapporti con l’Austria. E cos’altro poteva dire uno che si era sposato con Radetzky testimone di nozze? Allora, dobbiamo ancora prendere per verità dei padri della patria queste frasi ad effetto due punti chiuse le virgolette?»
Il Risorgimento è pieno di frasi "celebri". .
«Purtroppo sì. Vede, Vittorio Emanuele torna a Torino e scioglie il Parlamento. E siccome l’esito del primo voto non gli piace riscioglie di nuovo il Parlamento e rifà le elezioni, che questa volta gli piacciono. Insomma, è più credibile la storiografia austriaca che non ha interessi o la favola dell’esilio e del disonore?»
Del Boca, quando la "scoperta" della storia più credibile? .
«Quando Riccardo, mio figlio, mi ha richiamato ai doveri di padre chiedendomi di aiutarlo negli esami di quinta elementare. Li, mi si è accesa la lampada. Arrivo all’impresa dei mille, e leggo che vanno all’assalto con la massina, il cilindro e le ghette.
Lo leggo e lo ripeto. Come potevano mille uomini fare la guerra di liberazione vestiti da passeggio in città? Le ghette si usavano in pieno centro, dove c’erano le strade ben fatte. Idem per la marsina, giacca di città. Idem per il cilindro, copricapo da cerimonia. E vogliamo far credere che l’impresa sia stata fatta da mille uomini vestiti bene? Male armati, male organizzati, sconfiggono 50mila uomini armati fino ai denti? Mio figlio mi chiede: “Papi, mille contro 50mila? E come fanno?”. Ne avrebbero dovuto far fuori cinque l’uno non per vincere ma per impattare, per andare a pari. Un’impresa incredibile. Mi sono arrampicato sui vetri spiegandogli che nella prima battaglia fondamentale, quella di Calatafimi, c’erano quei mille. Sulla salita di un chilometro e mezzo che da Calatafimi porta a Piano Romano, con 600 metri di dislivello e sette terrazze c’erano quelli con le ghette da città! Eh sì, perché un avvocato esce dal tribunale va in Sicilia e si arrampica su una montagna e sconfigge 50 nemici».
Quindi?
«Smisi di insegnare la storia a mio figlio e mi misi a studiarla io seriamente. Disposto a trovare quegli indizi che mi facevano intuire che c’era un’altra verità col sentimento del giornalista che fa un’intervista alla storia e con un atteggiamento anche, si può dire? Da incazzato, perché fino ad allora mi avevano preso per il sedere. Era un’intervista alla storia da arrabbiato, un po’ nervosa, e questo spiega i giudizi un po’ sferzanti».
Da qui il titolo del libro d’esodio “Maledetti Savoia”?
«Sì, che mi qualifica non solo come storico revisionista ma anche come storico arrabbiato. D’altra parte con quarantamila titoli che raccontano un’altra verità “e tuttavia” il contrario, avrò diritto a raccontare l’altra verità o no?».
Del Boca, c’è solo il Risorgimento a farla arrabbiare?
«Anche la storia di Roma è da passare al setaccio. Prendi la vicenda di Muzio Scevola, che si “intrufola” nell’accampamento nemico e credendo di uccidere il re Porsenna, in realtà ammazza l’attendente. La storia a scuola ci dice ancora oggi che per punire se stesso dell’errore, Muzio mette la mano “colpevole" sul braciere e avverte il nemico dicendo che ci sono almeno 100 giovani pronti a tornare e che uno di loro ucciderà il re. Domanda: avete mai provato a tenere almeno un dito sotto un cerino acceso? Seconda domanda: quanti secondi resistete? Se devo andare per intuizione, non è forse Porsenna che punisce Muzio e gli dice: “Ti faccio vedere io che fine fa la mano che mi voleva uccidere”? Mi accontenterei che un insegnante almeno dicesse:
“Tito Livio la racconta così, però... ci sono anche altre verità possibili”. Invece la storia è trattata come un dogma e chi la mette in discussione è un eretico. Dobbiamo instillare un senso critico soprattutto quando ci sono poche fonti. Prendi ad esempio il re spartano Leonida che con 300 uomini doveva affrontare alle Termopili 300mila persiani. C’hanno fatto di recente anche un film, “300”, di Zack Snyder. La storia ci racconta di una delegazione di persiani che incontra il re invitandolo a ritirarsi: “Quando lanceremo le nostre frecce il sole verrà oscurato”. E Leonida, si legge sui libri, risponde: “Meglio, così combatteremo all’ombra, senza sudare”. Tucidide ce la racconta così ma su 300 che tengono testa a 300mila non c’è da dubitare?»
Torniamo al Risorgimento. Quale mito si sente di sfatare?
«Quello dello sciopero dei milanesi - nel contesto delle 5 Giornate di Milano - che avrebbero smesso di fumare per boicottare Vienna, smettendo quindi di pagare la tassa sul tabacco.
Ma avete mai provato a smettere di fumare? E mi si vuole venire a dire che tutti i milanesi, in massa in quei giorni, avrebbero creato un danno immane all’erario austriaco? Ci saranno state delle scintille ma non tali da provocare le 5 Giornate. Non basta il fatto che i lombardi volessero far da sè senza gli austriaci? Perchè ammantare tutto di retorica con una storia favoleggiata e non credibile?».
Se allora la nostra storia è da riscrivere, che cos’è la patria?
È dove viviamo e dove ci riconosciamo. Ma con disincanto. Perché se non riconosciamo e continuiamo a baloccarci in un passato glorioso non siamo onesti. L’omissione è truffa e reticenza. A questo punto è più credibile la storia di Biancaneve».
Perché i libri di testo continuano ad ostinarsi su storie a senso unico?
«C'è pigrizia, malafede, ignoranza. Perchè non iniziare col ripristinare la geografia? Perchè parlare di Calatafimi se la battaglia è stata a Pianto Romano? Perchè si parla della battaglia della Bicocca di Novara e dell’incontro di Vittorio Emanuele Il a Vignale con Radestky? Perchè si parla della battaglia di Castelfidardo se invece si è tenuta a Crocette? Perché qualcuno si sarebbe gonfiato di più il petto ad essere il duca di Castelfidardo che suonava meglio del duca di Crocette? Perché dobbiamo parlare dell’incontro di Teano se a Teano non è successo niente, tanto che sul niente ci hanno costruito pure un cippo nel 1961 per i 100 anni dall’unità d’Italia, quando già si era scoperto che era un falso storico?
Allora, la fisica può cambiare perché la scienza va avanti, la geografia cambia perché l'Urss non c'è più, ma la storia del Risorgimento e dei Galante Garrone che scrivono “Giù le mani dal Risorgimento”, deve restare così!»
150 anni, cosa c’è da celebrare?
«Quel che si vuole purché senza retorica, enfatizzazioni, togliendo lo sgabello sotto il sedere dei vincitori. Non ci sono più ne vincitori ne vinti, possiamo raccontare la storia per come è davvero andata. Chiediamoci: perché abbiamo massacrato Vittorio Emanuele III e il fascismo e ci siamo fermati lì? Vittorio Emanuele II invece è il padre della patria, l’eroe indiscutibile! Non esiste neanche nella statistica che ci siano solo buoni e solo cattivi! Bava Beccaris ha perso anche contro Menelik, sappiamo che ha sparato contro la gente eppure ci sono ancora le piazze a suo nome».
Il tricolore. Qual è l’approccio dello storico alla bandiera?
«Nessuno mette in discussione il tricolore così come non si mette in discussione il Paese o l’esistenza dello stato sabaudo. Raccontare la storia criticamente però è un dovere se vogliamo far camminare il Paese. Un altro emblema storico? La questione meridionale, che si risolverà con la verità: quando racconteremo cioè ai meridionali che sono stati trattati come abbiamo affrontato Mogadiscio e Adis Abeba. Sissignori:Napoli come Adis Abeba.
Non immagino come storico che cerca la verità di spezzare l'Italia, non calpesto il tricolore però la voglio raccontare giusta, a partire dall’inno di Mameli.»
E allora ci parli dell'inno d’Italia.
«La verità? Era stato rubato dallo stesso Mameli ad un prete. Nessuno discute il patriota Mameli, ha dato la vita nel 1949 per la Repubblica romana».
Quindi viva Mameli?
«Giù il cappello su Mameli eroe. A differenza di Bava Beccaris possiamo dedicargli tutte le vie che vogliamo ma... ha rubato l’inno al frate Anastasio Cannata che stava sull’appennino ligure, dove Mameli si era rifugiato».
L’inno di Mameli è quindi l’inno di Cannata?
«Esatto. Almeno quando si parla di questo inno si sappia a cosa ci si riferisce. È l'inno di Cannata o di Michele Novara che è quello che ha musicato la poesia. Non dico che non dobbiamo cambiarlo più, ma sapere come sono andate le cose non è meglio?».
IL PIANO DELL’OPERA
1) Le 5 giornate di Milano e prima fase guerra d’indipendenza
2) La figura di Carlo Alberto I
3) Seconda guerra d’indipendenza - Battaglia di Novara
4) Vittorio Emanuele Il dopo l’abdicazione
5) Connubio Cavour - Rattazzi
6) Conflitto d'interesse di Cavour
7) Donne e politica
8) Crimea
9) Seconda guerra d’indipendenza - Plebisciti
10) Garibaldi
11) I mille
12) Tangente Mazzini
13) Brigantaggio
14) Terza guerra d’indipendenza
15) Roma capitale
16) Vittorio Emanuele III - Prima guerra mondiale - Fascismo
Fonte: srs di Stefano Piazzo, da La Padania di Giovedì 10 Settembre 2009, pag.12-13
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