Dal testo di Francesco Zanotto
"Bello è il conoscere, dal patetico discorso
fatto allora dal doge moriente, lo stato accennato, dal quale si viene a sapere
come Venezia spedisse allora ogni anno merci per lo mondo del valore di dieci
milioni di ducati, da cui ne risultava un guadagno nella condotta di due
milioni, e di quattro ne' negozii; esservi stato allora 3000 navigli, montati
da 17.000 marinai, oltre 300 navi con 8.000 altri marinai e 45 galere con 11.000
altri marinai ... "
ANNO 1418
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
Prima di morire
l'anziano doge chiede che non venga eletto quale suo successore Francesco
Foscarini il quale avrebbe sicuramente trascinato Venezia in altre
interminabili guerre terrestri mentre ora il pericolo principale veniva dal
mare e si chiamava "avanzata
turca".
LA SCHEDA STORICA - 68
Quando il doge Tommaso Mocenigo nei primi mesi del 1423
pronunciò il suo discorso sullo stato di salute della Repubblica e sulla
eroicità dei marinai veneziani contro il nemico turco, aveva un obbiettivo ben
preciso.
"Vui havè visto
el modo che vive i nostri zentil homeni et cittadini", disse il
vecchio doge ai membri del Consiglio e, date queste straordinarie premesse, i
veneziani sarebbero presto diventati " ...
signori de l'oro de christiani".
La situazione per la Serenissima, effettivamente, si
dimostrava allora estremamente positiva anche all'estero. Verona, Padova,
Vicenza e Belluno, con il feltrino, andavano a costituire ormai il primo
consistente nucleo dei futuri domini veneziani sulla terraferma, mentre nel
1409 il re Ladislao d'Ungheria aveva venduto al governo veneziano la città di
Zara per ben 100.000 fiorini d'oro (circa un miliardo e mezzo di lire). Nel 1419, poi, anche Udine e Cividale del
Friuli avevano firmato la loro dedizione a Venezia conferendo una eccezionale
continuità ai suoi domini verso est che raggiungevano ormai l'Albania.
La ricchezza e la potenza di Venezia, per Mocenigo, avevano
un'unica, antica radice: il suo tradizionale rapporto con il mare.
Venezia era per il vecchio doge prima di tutto ed esclusivamente
una potenza basata sui commerci marittimi e sul progressivo potenziamento della
sua flotta anche militare. In ogni caso il mare era da sempre la vera risorsa,
l'unica fonte di ricchezza della città!
Ma dove voleva arrivare "Tommasone" - così lo chiamavano affettuosamente gli amici -
con questo suo discorso? "A caxon
che (affinchè) possa saver da vui chi
vui ellezereti doxe, secretamente me lo dite in rechia per poter confortarve
qual è quello che merita ... "
Ecco dunque svelato per sua stessa ammissione, il vero,
unico e reale scopo del Mocenigo: condizionare in qualche modo - assai
pesantemente in realtà - l'elezione del suo successore facendo, infatti, il
nome, dopo queste sue parole, di valorosi e degni senatori che secondo lui
avevano tutte le carte in regola per assurgere alla suprema carica dello Stato
veneziano. E qui si arriva al nocciolo della questione.
Fra tutti i "savi
homeni sufficienti" nominati dall'anziano doge e abili alla ducea,
viene escluso quello del senatore Francesco Foscari, anzi, costui nel modo più
assoluto non doveva essere il nuovo doge.
L'attacco contro il Foscari da velato e sottointeso si era
fatto via via sempre più scoperto e diretto: " ... Foscari, (ed è sempre Mocenigo a parlare), dise busìe et anche molte cose senza alcun fondamento ... et vola più
che non fa li falchoni ... ".
Eppure l'aspra requisitoria contro il giovane senatore, non
sembra si possa ridurre ad una semplice antipatia o disistima personali. Sotto
alla pesante denuncia del Mocenigo, si celava un autentico e trasparente interesse
per le sorti della stessa Repubblica.
Se il Foscari venisse infatti eletto quale nuovo doge, per
il Mocenigo, " ... de brevi sareti
in guerra" e "chi haverà
dieci milla ducati, non se ne troverà se non mille, chi haverà dieci caxe non
ne troverà se non una ... ".
Dunque se il Foscari fosse diventato il nuovo doge, Venezia
ben presto si sarebbe ritrovata nuovamente in guerra e nel baratro di una crisi
finanziaria.
''Et dove vui siete,
signori, vui sarete vassalli de huomini d'arme ... " .
Il discorso si chiude con un caloroso consiglio che suona
quasi più da monito: "Seguite
secondo che ve a trovati (come vi trovate) che beati (sarete) vui e
vostri fioli".
Un gruppo di potere
Ma chi era questo Francesco Foscari ? Entrato sulla scena politica in giovanissima età, Foscari faceva parte di quel nutrito gruppo di importanti
uomini politici - primo fra tutti il precedente doge Michele Steno - che
volevano portare Venezia ad un sempre maggior impegno nelle vicende delle altre
potenti signorie italiane allo scopo di assicurarsi con le eventuali conquiste
sulla terraferma, la stessa sopravvivenza. E dai primi anni del secolo XIV,
effettivamente, questa era stata la linea politica dei dogi veneziani con la
progressiva conquista dei principali comuni veneti che portarono Venezia alla
ribalta della storia regionale e dell'intera penisola quale nuova potenza
terrestre. Di fronte alla forza espansiva dei Visconti, il governo veneziano
aveva quindi risposto con un altrettanto determinato moto espansivo che
assicurava in modo particolare la tranquillità della Venezia lagunare.
Appare chiaro come lo scontro fra il Mocenigo e il Foscari,
fosse in realtà uno scontro politico fra due diverse scelte di governo.
Ricordando ed appellandosi alle glorie militari dei marinai veneziani, alla
ricchezza della città dovuta ai suoi traffici marittimi, Mocenigo voleva
ricordare che sì dal mare erano venute a Venezia gloria e ricchezza, ma anche
mortali pericoli e allora il pericolo più immediato si chiamava espansione
turca. Il suo stesso dogato si caratterizzò per un costante impegno veneziano
proprio contro le flotte turche nel Mediterraneo Orientale (battaglia di
Gallipoli), contro una politica "terrestre" giocata all'insegna della
moderazione e della mediazione. D'altro canto, invece, crescevano in città e
nel Senato l'esigenza e la necessità di una Venezia forte anche sulla
terraferma.
Era in fondo un antico dilemma quello che vedeva
contrapposti simbolicamente i due uomini veneziani, dilemma risalente ancora al
tempo della discesa in Italia dei Longobardi quando l'allora giovane comunità
lagunare avvertì per la prima volta il pericolo reale di avere alle spalle una
forte potenza terrestre. Allora Venezia scelse la via del mare, ora, a distanza
di sette secoli e per le mutate circostanze storiche, Venezia era pronta a
misurarsi, per desiderio ma più per necessità, con le altre signorie italiane.
L'elezione di Francesco Foscari quale nuovo doge è di per sè
indicativa di questa tendenza. A nulla erano valse le parole accorate del
vecchio doge moribondo.
Fonte: srs di
Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura
Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 3, SCRIPTA EDIZIONI
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