Dal testo di
Francesco Zanotto
"Il Senato ne
comandò solennissime esequie, e con pompa pari a quella con che si onoravano i
funerali del doge. Fu tolta quindi la salma dal suo palagio, intervenendovi il
principe Tommaso Mocenigo, la Signoria, il vescovo castellano Marco Lando, ed i
principali magistrati e cittadini; e recatala nella chiesa della Celestia, da
Leonardo Giustiniano, celebratissimo oratore di quei tempi, gli fu recitata
orazione di lode ... "
ANNO 1418
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il
disegno di Gatteri.
Dopo essere stato
osannato quale salvatore della patria in occasione della "guerra di
Chioggia" contro Genova, il comandante Zeno subisce anche un processo per
alto tradimento prima di ritirarsi a vita privata e morire quasi novantenne e pressoché
dimenticato dai più.
LA SCHEDA
STORICA - 67
Il 16 maggio del 1418 durante il dogato di Tommaso Mocenigo,
moriva a Venezia il comandante Carlo Zeno. Era la morte di un mito.
Eppure l'eroe della guerra di Chioggia, colui che più di
qualunque altro aveva speso la sua vita al servizio della Repubblica, moriva
solo, quasi novantenne e pressoché dimenticato dalla stessa sua città. Eppure
lo Zeno aveva più di un motivo per essere invece degnamente ricordato.
Nato a Venezia nel 1334, durante la sua lunga permanenza in
Oriente era riuscito ad assicurare a Venezia la preziosa isola di Tenedo contro
le pretese genovesi; dopo il tentativo
di liberare l'anziano imperatore bizantino Giovanni Paleologo, filo-veneziano
ma tenuto prigioniero dal figlio usurpatore e filo-genovese, lo Zeno aveva
tenacemente ed ossessivamente dato la caccia alle stesse navi genovesi in
Levante inseguendole se necessario fino alle porte di casa, nel golfo di
Genova; il suo intervento si rivelò miracolosamente determinante, poi, nella
guerra di Chioggia dove i veneziani mai videro così prossima la fine e proprio
per mano dell'odiatissima repubblica rivale, Genova. Era il 1380, l'apice del
successo e della notorietà per lo Zeno, acclamato quale salvatore della patria
accanto al suo doge.
Alla morte, poi,
dell'altro grande ammiraglio veneziano, Vittor Pisani, il 15 agosto di quel
medesimo anno, lo Zeno venne nominato Grande Ammiraglio della marina veneziana,
nomina che venne prontamente onorata con la ripresa della lotta contro Genova.
Alle continue vittorie - celebre quella di Modone nelle
acque di Creta contro una flotta franco-genovese nel 1403 -, seguivano puntuali
nuovi titoli, nuovi riconoscimenti: ammiraglio, "advocator de comun",
Procuratore di S.Marco e ambasciatore.
Già, perchè accanto alle doti militari non mancavano allo
Zeno anche le qualità diplomatiche. In questa vesta trattò per conto del senato
veneziano con il signore padovano Novello da Carrara, la sua resa e quella
della sua città successivamente conquistata dai veneziani nel 1405.
Eppure, la caduta del carrarese, si rivelò fatale anche per
lo stesso Zeno, per la sua persona innanzitutto e per la sua memoria che
conobbero l'onta del sospetto di tradimento.
Queste le circostanze. Catturati Novello e il di lui figlio
Francesco, i due vennero tradotti quali prigionieri nelle prigioni veneziane
dove dopo lunghissime discussioni in Senato sul da farsi, vennero
frettolosamente strangolati nelle loro celle.
Si iniziò così a setacciare l'archivio, i documenti e le
carte del signore padovano dove vennero scoperte alcune annotazioni
compromettenti due nobili veneziani e lo stesso Carlo Zeno. Si trattava di una
ricevuta testante un versamento di 400 ducati d'oro da parte del da Carrara al
comandante veneziano. Si può ben immaginare la sorpresa, lo sconcerto e
l'incredulità che dovette suscitare la scoperta quando ben presto divenne di
pubblico dominio.
Carlo Zeno, l'infaticabile comandante che da sempre aveva
dimostrato la sua più totale ed incondizionata devozione alla sua Repubblica,
era dunque caduto nella trappola della corruzione nemica e per soli 400 ducati?
Non era possibile e molto probabilmente, infatti, non si trattò affatto di
tradimento dietro compenso.
Data comunque la gravità della faccenda, la questione finì
davanti ai membri del Consiglio dei Dieci, dove lo Zeno venne chiamato a
rispondere. Il comandante venne trattato come un qualunque malfattore ed
iscritto agli atti del Consiglio che alla fine decise di condannarlo a un anno
di carcere oltre che all'interdizione dai pubblici uffici.
La sentenza tuttavia, pur nella sua esemplarità non sembra
corrispondere affatto al sospetto di un possibile tradimento da parte dello
Zeno che sicuramente non venne condannato con questa motivazione. Molto
probabilmente quel denaro era una semplice restituzione di un prestito fra due
private persone che lo Zeno aveva fatto in precedenza al da Carrara. I soldi,
infatti, non vi è alcun dubbio che lo Zeno li abbia veramente incassati. Anche
coloro che nel Consiglio infatti votarono per la sua assoluzione, lo
obbligarono comunque a restituire i 400 ducati all'Erario della repubblica dato
che a suo tempo non erano stati denunciati.
Restava tuttavia, la leggerezza con la quale lo Zeno aveva
intrattenuto con il da Carrara rapporti finanziari, una leggerezza che andava
comunque punita a prescindere dalla eccezionalità del personaggio, anzi! La
ferrea macchina giudiziaria della repubblica non ammetteva eccezioni di alcuna
sorta! Poco contavano i meriti, i servigi resi nell'arco di un'intera vita al
governo veneziano. Lo Zeno aveva peccato d'imprudenza (e di evasione fiscale!),
doveva necessariamente pagare. La sua condanna, tanto più esemplare dato il
calibro del personaggio, doveva essere la prova della solidità e
dell'imparzialità del sistema su cui reggeva la stessa repubblica e dalla cui
solidità ed efficienza dipendeva la sua stessa sopravvivenza.
Riacquistata finalmente la libertà dopo un anno di prigione,
lo Zeno salpò immediatamente alla volta della Terrasanta, ma questa volta non
in veste di soldato, ma di semplice pellegrino.
Ancora una sola volta doveva scendere in mare con le sue
navi contro i genovesi, ma non certo per ordine del governo veneziano. Era il
1410 quando lo Zeno infatti, sconfisse le navi nemiche su committenza del re di
Cipro. Per Venezia Carlo Zeno non impugnerà mai più le armi. In città vi ritornò solo per ritirarsi
finalmente nella pace della propria casa e della propria famiglia (lo Zeno era
al suo terzo matrimonio).
Alla foga della armi da allora lo Zeno si dedicò ai più
concilianti studi letterari - da sempre, pare, una sua segreta passione -
frequentando i circoli più dotti di Venezia fino al giorno della sua morte.
Solo allora Venezia sembrò ricordarsi del suo audace e
valoroso comandante al quale vennero riservati solenni funerali di Stato alla
presenza del doge. Il nipote, autore di una sua biografia, narra che "sul
suo corpo veduto ignudo si scoprì rivestendolo una quantità di cicatrici per le
quali si era fattamente deformato che appena una parte si poteva dire libera
dalle ferite e ne furono numerate 35 delle quali molte apparivano essere state
grandi e mortali".
Fonte: srs di
Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura
Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 3, SCRIPTA EDIZIONI
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