Dal testo di Francesco Zanotto
"Ma uno dei nobili, additandogli la via
opposta a sinistra, in cui allora schieravansi le prigioni, gli disse:
"Signor conte, venga da questa parte"; e rispondendo il Carmagnola:
"Questa non è la strada"; gli
fu soggiunto: "Questa è pure la
dritta via". Intanto un dei custodi aperse l'uscio immittente nell'andito
della prigione appellata Orba; e dopo di aver Francesco esclamato: "sono
perduto"; ivi entro fu chiuso ... "
ANNO 1432
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
Entrato
giovanissimo al servizio del duca milanese Filippo Maria Visconti del quale
sposa anche una lontana parente, il Carmagnola cambia bandiera ed entra nelle
fila veneziane. Ma un'accusa
di tradimento e una serie di
strane circostanze lo portano ben presto sul patibolo.
LA SCHEDA STORICA – 70
La pace (una delle
tante !) chiesta dal Visconti dopo la sconfitta di Maclodio, portò a Venezia
anche Bergamo e parte del cremonese. Il duca milanese, tuttavia, non poteva
certo accettare tranquillamente la cosa tant'è che nel 1430 era già sceso
nuovamente in armi contro Venezia.
Dove proprio in quel medesimo anno il doge Francesco Foscari
subiva un attentato restando sfregiato in volto. Le ragioni del gesto sono da
ricercare probabilmente, nella stanchezza e nell'insofferenza da parte di una
consistente fetta della nobiltà veneziana - nobile era pure l'attentatore
Andrea Contarmi -, verso l'incessante stato d'allarme e di guerra che si
protraeva ormai da diversi anni e le cui conseguenze iniziavano a farsi sentire
anche sul piano economico finanziario.
Fino al 1430, infatti, il governo veneziano aveva già speso
nella guerra contro il Visconti, la bellezza di due milioni di ducati, ovvero
quasi 40 miliardi di lire attuali! Come se non bastasse, dell'impegno bellico
di Venezia contro il Visconti sembravano approfittarne tanto i genovesi -
sudditi praticamente dello stesso signore milanese - che saccheggiarono alcune
isole dei veneziani nell'Egeo, tanto gli ungheresi dell'imperatore Sigismondo
che invasero e devastarono il Friuli. E il Carmagnola cosa faceva nel
frattempo?
Il conte, nominato
generalissimo della repubblica, si attardava sospettosamente a Brescia. Da quel
momento ebbe inizio una triste parabola discendente che avrebbe condotto al
patibolo infine, il conte piemontese.
Era nato infatti a Carmagnola in provincia di Torino nel
1380 Francesco Bussone, detto il Carmagnola. Di umilissime origini esordì quale
condottiero al servizio di un altro famoso uomo d'armi, Facino Cane, colui che
più di qualunque altro con le sue conquiste minacciò seriamente il ducato
milanese. Alla morte di questi nel 1412, Carmagnola seguì la vedova Beatrice
Tenda a Milano dove avrebbe sposato Filippo Maria Visconti. Entrato nelle
grazie del duca a seguito dei suoi inarrestabili successi, il Carmagnola
realizzò sul campo i desideri di potenza del suo signore del quale si
dichiarava suo fedelissimo almeno fino al fatidico colloquio del 1424 e alla
conseguente rottura fra i due.
Dopo breve vagabondare, il Carmagnola approdò infine a
Venezia anche se la sua famiglia di fatto non lascerà mai il ducato milanese.
La moglie del resto, Antonietta Visconti, proveniva dalla stessa famiglia del
duca dando ulteriore credito ai sospetti che investiranno il conte dal 1430-31.
Le accuse furono quelle di aver fatto in realtà il gioco del suo ex signore e
il comportamento stesso del Carmagnola si prestava a simili interpretazioni.
Dopo la battaglia di Maclodio, infatti, il condottiero si
era ingiustificatamente attardato a Brescia e nel bergamasco ma, cosa ancor più
grave, si era fatto sfuggire inspiegabilmente la facile occasione di
conquistare per la repubblica veneziana la città di Cremona. Non solo. Il
Carmagnola infatti, rifiutò per ben due volte, o comunque schivò, l'offerta del
governo ducale, di farlo duca di Milano se avesse portato a termine la
conquista di quel ducato eliminando definitivamente lo stesso Visconti.
Era il 1431 e a quel punto il Consiglio dei Dieci decretò la
più stretta sorveglianza del conte e il controllo di tutta la sua
corrispondenza. Da questa, infine, pare siano venute le prove inconfutabili del
suo tradimento. Avuta la conferma definitiva di un riavvicinamento del
Carmagnola al Visconti, il senato veneziano doveva assolutamente, e nel modo
meno sospetto possibile, ricondurre lo stesso a Venezia. Si doveva evitare a
tutti i costi il diffondersi della notizia affinché il Carmagnola non fuggisse
ed agire di conseguenza attraverso l'inganno.
Allo scopo venne inviato a Brescia, dove il conte piemontese
si trovava, il segretario Giovanni de Imperiis con l'invito ufficiale per il
Carmagnola di recarsi immediatamente a Venezia dove, alla presenza del marchese
di Mantova, si sarebbero dovute definire le linee della nuova campagna contro
Filippo Maria Visconti. Il Carmagnola seguì l'inviato del senato veneziano ed
approdò in laguna il 7 aprile del 1432. Per il conte era l'inizio della fine.
Ad attenderlo c'erano otto nobili che lo condussero a
Palazzo Ducale con il pretesto che il doge voleva incontrarlo subito. Ma al
posto del doge c'erano soltanto i cippi e le catene delle prigioni ducali.
L'11 aprile il Carmagnola compariva così di fronte ad un
collegio istituito per analizzare le prove a suo carico e che il prigioniero
confutò disperatamente venendo per questo anche torturato. E sotto i tormenti
della tortura, il conte alla fine cedette riconoscendo la fondatezza
dell'accusa. Il processo che ne seguì fu a quel punto solamente, una semplice
formalità che alla fine vide condannato a morte, quale traditore della
repubblica, Francesco Bussone detto il Carmagnola. La condanna era stata
approvata a stragrande maggioranza. Uno solo, invece, il voto contrario.
E così il 5 maggio del 1432 Carmagnola veniva tratto di
prigione a mani legate e condotto in Piazza S. Marco. Qui, fra le due colonne
dove normalmente avvenivano le esecuzioni, con una spranga in bocca veniva
decapitato. Colpevole? Innocente? Purtroppo non è dato saperlo con certezza
dato che gli incartamenti del processo andarono presto bruciati in uno dei
tanti incendi che si scatenavano puntualmente a Palazzo Ducale. Certo, il voto
pressoché unanime con il quale venne decisa la sentenza, lascerebbe pensare a
delle prove veramente schiaccianti su un suo riavvicinamento al duca milanese
anche se, d'altro canto, resta una confessione ed un'ammissione di colpevolezza
estorte con la tortura.
Ma ancora: perchè mai il governo veneziano avrebbe imbastito
una simile trappola ai danni del Carmagnola se veramente non avesse avuta la
certezza del suo tradimento o cedimento?
Il suo corpo, in
fondo venne tradotto in una delle più importanti chiese cittadine, S. Maria
Gloriosa dei Frari, segno di un certo rispetto nei confronti di un personaggio
che purtuttavia aveva contribuito ad accrescere la stessa potenza veneziana.
Da quella chiesa venne trasportato a Milano solo a seguito
della pietosa richiesta della moglie Antonietta che lo volle vicino in terra
lombarda.
Fonte: srs di
Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura
Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 3, SCRIPTA EDIZIONI
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