Prima di affrontare uno dei temi centrali della storia della chiesa alle origini del medioevo, ossia l'incontro tra il cristianesimo e la cultura germanica (caratteristiche di questo incontro, risultati del connubio tra fede e cultura germanica ed effetti politici per la nascita dell'Europa), è bene dare un quadro di massima sulla situazione politico militare delle migrazioni germaniche altomedievali.
Romani e germani nel tardo antico
In un primo periodo assistiamo ad una fase di assestamento, continue migrazioni, scontri e alleanze tra i vari popoli, in cui non si può supporre in modo semplicistico, che esistano due fronti compatti: quello romano, in disfacimento, e quello “barbaro-germanico”, energico e rozzo.
Già dal tempo dei Severi le frontiere dell’Impero erano sorvegliate da elementi germanici e lo stesso Teodorico, nel suo tentativo di costituire un’unità politica, in Italia, aveva un esercito di impostazione romana (a livello civile poi tutto era naturalmente affidato a nobiltà romana, basta citare Cassiodoro e Boezio). Si deve quindi parlare di compenetrazione tra le due realtà, e in genere i quadri militari, alla fine dell'Impero, erano per lo più germanici, mentre la struttura civile era romana e di impianto episcopale (specie in Italia e Gallia).
Già sul finire del I secolo appare significativo l’elogio che Tacito faceva dei Germani nel suo De origine et situ Germanorum. I commerci dei Romani attraverso il Baltico sono un' altro segno della vicinanza politica e culturale, oltre che economica, tra la civiltà romana e quella dei nuovi popoli. Rimanevano tuttavia correnti aristocratiche-senatoriali avverse al mondo germanico perché gelose della propria integrità culturale, gli attentati messi a segno contro Stilicone († 408) e Ezio († 454) erano frutto di un'avversione alla politica di cooptazione dell'elemento germanico soprattutto all’interno dell’esercito; le alleanze romano-germaniche contro Goti e Unni, ne furono una palese dimostrazione.
Caratteristiche generali del medioevo
Dal VII secolo in poi assistiamo ad una fase di maggior coesione tra l'elemento germanico e quello romano. Ed è durante questo tempo che si viene a costituire quella cultura particolare, distinta dalle altre, che giustifica l'appellativo di età medievale. Si tratta, come si vedrà meglio più oltre, di un sistema di unità culturale, in cui sulla base di un diritto comune, al quale anche il re è sottoposto, viene a formarsi una società piramidale di natura feudale (patti di alleanza tra clientele a partire da una base agraria, latifondo, fino a giungere alla sommità del potere regale), strutturantesi sul modello della città eterna.
Nasce così l'agostinismo politico e la ricerca della Gerusalemme celeste, che vedremo ritornare nella politica missionaria del pellegrinaggio ad limina apostolurum, nell'idea di crociata e nell’ideale monastico cluniacense (Testo tradotto della Città di Dio, con buona introduzione di Luigi Alici, è quello edito da Rusconi, Milano 1984).
In questa organizzazione statale domina il Cristo re, il pantocrator, che regge un ordine cosmico, a cui si configura la città terrena come un microcosmo. Questa civiltà propriamente medievale si distinguerà da quella romana anche per una diversa collocazione geografica, la prima ha caratteristiche prettamente mediterranee la seconda europee.
Movimenti di popolazioni germaniche nella fase di assestamento
Una della date fondamentali, in questo periodo di continue fluttuazioni, è il 403: vittoria di Stilicone a Verona; un generale di origine vandala (di padre vandalo e madre romana), messo a capo degli eserciti federati romani - tutore di Onorio e Arcadio (figli di Teodosio I) -, riesce a bloccare per l'ultima volta la migrazione dei Goti (Visigoti), che muovono da oltre il Danubio, vicino al Mar Nero. Dopo la congiura contro di lui, la migrazione prosegue e attraverso l'Illiria giunge in Italia: nel 410 i Goti fanno il loro ingresso a Roma e la saccheggiano. Successivamente essi trasmigreranno verso il sud della Francia, prendendo posizione nella regione dell'Aquitania e nel nord della Spagna.
Secondo episodio di una certa rilevanza è un'altra vittoria, ultimo successo militare di un generale romano, che come Stilicone aveva applicato la politica delle alleanze, per poter dare stabilità ai flussi migratori. Si tratta di Ezio che vince contro gli Unni nei Campi Catalaunici (451), oggi Châlone-en-Champagne nel nord est della Francia.
In Italia intanto si avvicendano prima gli Ostrogoti di Odoacre, che mette fine alla dinastia imperiale, esiliando Romolo Augustolo (476), e poi quelli di Teodorico, che tenta invece di costituire un’unità politica italiana, unendo corpo militare germanico e quadri amministrativi latino-romani. I monumenti che ci ha lasciato sono indicativi della portata di questo suo tentativo, che finì con lui.
Il tentativo ostrogoto di costituire un regno autonomo da Bisanzio (Odoacre prima e Teodorico poi, chiederanno all'Imperatore d'Oriente il riconoscimento del titolo di “Patricius Romanorum”) non riesce per le mire di Giustiniano, che impronterà la sua politica nel tentativo di unificare tutto il Mediterraneo, sconfiggendo i Vandali - che attraversata l'Europa si erano stabiliti a Cartagine - e gli Ostrogoti, in Italia. Come alleati per la campagna italiana Giustiniano pensò di stringere alleanza con i Longobardi, che fecero così il loro ingresso in Italia (Tabacco-Merlo, Il Medioevo, 92ss).
L’ Europa nel periodo successivo alle “invasioni” germaniche
In Spagna i Visigoti, si erano costituiti in tale unità con i Romani, che insieme si opposero allo stesso Giustiniano, rifiutando quindi di rientrare nell'orbita imperiale.
In Italia rimaneva l'esarcato di Ravenna e i Longobardi che faticavano ad integrarsi con la compagine romana. Le loro tribù viaggiavano compatte nelle varie regioni della penisola, senza mescolarsi con la popolazione italica preesistente, conservando così la loro indole di popoli germanici. Essi formarono dei ducati, militarmente piuttosto agguerriti, in Friuli, nel beneventano e a Spoleto, conservando così per molto tempo una certa compattezza territoriale.
Gli Anglosassoni costituivano un caso a parte e dal punto di vista religioso sembrava dipendessero dalla vicina Irlanda.
Al centro dell'Europa rimaneva il regno franco, che in pochi anni sottomise, grazie all'egemonia dei Merovigi, gli Alamanni, i Turingi e i Bavari, incorporò i Burgundi e stabilì dei legami di “ambigua” amicizia con i Longobardi dell'arco alpino.
«Fu ... il profondo connubio realizzatosi ... fra l'aristocrazia gallo-romana delle famiglie senatoriali e dell'episcopato e l'aristocrazia militare dei Franchi a costituire la solida base di realizzazione dell'embrionale disegno merovingico del VI secolo. L'esempio di collaborazione tra le due gerarchie fu offerto ai Franchi dai Visigoti dell'Aquitania e dai Burgundi.., ma la profondità del connubio fu resa possibile dall'introduzione dei Franchi in quel medesimo organismo religioso cattolico in cui già i galloromani si trovavano inquadrati» (TABACCO-MERLO, Il Medioevo, 96).
Si pensa che i Franchi fossero stati spinti a conservare la vecchia struttura amministrativa gallo-romana, dal desiderio di poter rimpiazzare i Romani nella recezione delle tasse, fonte di notevole guadagno in particolare per la cancelleria Franca, che proprio per questo continuò ad emettere documenti in latino, pur essendo retta in gran parte da normative derivanti dal diritto germanico, come lo erano anche tutte le maggiori istituzioni statali, compresa naturalmente la monarchia. Per Galloromani si intende qui la popolazione federata, che già al tempo dell'Impero reggeva i confini e da cui era uscito lo stesso Stilicone.
L'interpretazione di una svolta
La sostituzione dell’Impero romano con le popolazioni germaniche, costituisce uno dei rari momenti di svolta negli eventi storici. Interessante risulta allora vedere le reazioni della coscienza cristiana davanti a questi eventi.
A monte va ricordato innanzitutto il rapporto tra realtà cristiana e stato-impero romano; connubio che con Costantino avevano raggiunto una notevole consistenza, tale da essere ritenuto da molti una necessità indispensabile all'opera di evangelizzazione. Inutile qui ritornare sulla teologia politica di Eusebio di Cesarea, che con la sua teoria della Praeparatio evangelica, aveva fornito le basi per il cesaropapismo orientale.
Per verificare l'atteggiamento della mentalità cristiana davanti al crollo delle strutture imperiali, potrebbe essere fruttuosa la lettura di alcuni brani della Città di Dio, di Agostino, nata proprio dalla riflessione sui fatti del 410, primo saccheggio di Roma, in cui si giunge ad una relativizzazione del rapporto Chiesa-impero costantiniano. L'evangelizzazione sarebbe continuata anche dopo il crollo della romanitas: questa in sintesi la visione di Agostino.
Diversamente dal vescovo di Ippona si comporta Girolamo, più legato alla romanità, che nella lettera a Principia descrive la fine dell'impero con termini apocalittici, mostrandosi incerto sul futuro della Chiesa, orfana dell'appoggio Imperiale.
Paolo Diacono, riferisce invece dell'alleanza tra Longobardi e Bisanzio, facendo vedere come una di quelle tante alleanze tra popolazioni "barbare" e la Roma "civile" abbia giocato un ruolo positivo nell'ambito culturale e sociale del tardo antico.
Chi muove decisamente verso una nuova prospettiva, nel senso di un radicale svecchiamento degli obsoleti quadri dell'Impero, mediante energie fresche, provenienti dai nuovi popoli, preparando in qualche modo quella cultura medievale generata dall'incontro tra cristianesimo e germani sono Paolo Orosio e Salviano di Marsiglia. Sulla stessa linea di questi ultimi, ma molto meno dirompenti nelle loro proposte, si ricordano anche Isidoro di Siviglia e Beda il Venerabile, entrambi impegnati a costituire dei paralleli tra Goti e Romani il primo e tra Angli e Romani, il secondo.
Nella lettura di Paolo Orosio si deve essere avvertiti del suo pregiudizio metodologico: la convinzione di fondo che il futuro sia sempre migliore del passato. Salviano invece può essere definito come il vero interprete della realtà germanica, intesa come entità positiva, migliore di ciò che i romani avrebbero potuto offrire, specie considerando gli ultimi periodi dell'Impero, già in piena decadenza morale, oltre che politica e istituzionale.
Parallelamente ai documenti di estrazione ecclesiastica, non vanno dimenticate testimonianze analoghe in ambiente civile romano. Da Cesare e Tacito, che restano convinti della superiorità di Roma, si passa più tardi a Jordanes, che nei suoi Getica, percorre un' itinerario ostrogoto, finalizzato a mostrare Teodorico come il più romano dei Romani. Sulla sponda opposta, contro Goti e Burgundi, si schiera invece Procopio di Cesarea, che narra le gesta di Giustiniano e la sua impennata nazionalistica. L'ultimo tentativo di ricostituire il purismo imperiale romano.
Conclusione: Paolo Orosio (375-380), teologo e storico spagnolo, autore della Historiae adversus paganos (417- 418), un’opera in 7 libri che costituisce la prima storia universale cristiana. In essa Orosio tende a dimostrare come il dolore, il male, la morte vadano pian piano attenuandosi, con il progredire del cristianesimo. E anche il saccheggio di Roma del 410 può essere portato ad esempio di tale prospettiva provvidenzialistica.
Salviano di Marsiglia (v. sec.) autore del trattato De gubernatione Dei (450) in otto libri. Egli - di famiglia gallica - sostiene la superiorità dei barbari nei confronti dei romani.
Paolo Varnefrio, detto Diacono (720-799), mostra l'alleanza con i Bizantini da parte dei Longobardi e il loro impegno nella guerra contro i Goti.
Avito di Vienne, nella sua lettera a Clodoveo raggiunge l'apice di questa letteratura rivolta a valorizzare i nuovi popoli. Congratulandosi con Clodoveo per il suo battesimo egli si augura che questi si faccia diffusore della fede (511). «La vostra fede è la nostra vittoria». Una nuova partenza per il cristianesimo, che si appoggia ora a nuovi sovrani.
NOTE STORIOGRAFICHE
Conversione dei germani, orologio della storia
Affrontando il problema centrale, almeno dal punto di vista della storia della Chiesa, dell'origine della civiltà medievale è bene fermarsi inizialmente su alcune considerazioni storiografiche. Per tutto il ’700 l'incontro di germani e cristianesimo non venne sentito come problema storico. La conversione dei Germani era un dato assunto come ovvio, di cui non si coglievano le problematiche storiche. Lo stesso Voltaire aveva cominciato il suo saggio sui costumi con Carlo Magno, ignorando gli antecedenti.
Il primo ad accorgersi di come esso fosse stato una svolta storica, gravida di conseguenze, fu Johann Gottfried Herder (Ancora una filosofia della storia per l'educazione dell'Umanità, trad. di F. Venturi, Torino 1851), che notava come l'orologio della storia, esaurito con il crollo della romanità riprenda nuova carica dall'incontro con due forze nuove: l'energia dei popoli germanici e quella della fede cristiana («Se posso ardire d'esprimermi così, il destino caricò allora - certo con grande fracasso e non senza smuovere i pesi - il grosso orologio, ormai fermo, facendone non poco strider le ruote». Ibid, 43). La somma di cultura germanica e valori cristiani avrebbe generato una civiltà nuova: il medioevo.
Cristianesimo -“cemento”
Ma chi mise in risalto più chiaramente i termini del problema fu Henrich Leo (Lehrbuch der Geschichte des Mittelalters, 2 vol, Halle 1830).
La chiesa Romana avrebbe modellato la massa informe della cultura germanica, bloccata nella sua rozzezza dal cristianesimo ariano. L'azione della Chiesa, cioè l'opera della conversione, aggiunse Madame de Staël (De la littérature), avrebbe spinto all'incontro due civiltà, quella degli uomini illuminati e quella degli uomini energici. Si perché «l'uomo attaccato alle gioie della vita (il pagano) - precisava Chateaubriand - non vedeva avvicinarsi il Franco, il Goto e il Vandalo, mentre l'anacoreta, il prete, il vescovo, cercavano come addolcire i vincitori, come fare, delle pubbliche calamità, un mezzo per arruolare dei nuovi soldati sotto lo stendardo di Cristo» (Etudes historiques, 3 vol, Parigi 1832, 81).
Valori del germanesimo
In tutto questo faceva difetto soprattutto la considerazione della cultura germanica come materia informe da modellare; non si erano fatte ancora indagini su fonti germaniche, privando gli studi della ricchezza di quel mondo. Anche il Mignet (Comment l'ancienne Germanie est entrèe dans la société civilisé del l'Europe Occidentale, et lui ha servì de berriére contre les invasions du Nord, in Mémoires del l'Académie royale de sciences morales et politiques de l'Institut de France III (1841), 663-821), che arricchisce la problematica di nuovi apporti, mostrando come il cristianesimo e il papa, nelle veci dell’imperatore romano, abbiano mediato la cultura classica - Tacito e Cesare -, dandola in sposa ai Germani per mezzo dell'opera di monaci e non più di soldati, non sembra attento a cogliere i tratti della cultura germanica.
Chi cominciò a lavorare su documenti provenienti dall'area propria del germanesimo fu il b. Federico Ozanam (fra tutte le sue opere si tenga conto in modo particolare de La civilisation chrétienne chez les Francs, in Oeuvres complètes 4, Paris 1855). Nel tempo in cui la Francia viveva in un moto pendolare tra legittimismo e anti- legittimismo, liberalismo e cristianesimo, integrismo e anticlericalismo, lo studioso pone il problema centrale del medioevo, cioè il significato del cristianesimo nella crisi provocata dalle invasioni barbariche. Agostino e Crisostomo avrebbero, a suo parere, aiutato la civiltà antica a ben morire, mentre solo il genio dei predicatori dei tempi barbari avrebbero creato dei popoli nuovi (La civilisation, 577).
La riflessione venne bloccata dalla storiografia positivistica, più attenta ai singoli fatti che all'evoluzione religiosa e culturale nel suo complesso e successivamente dal sorgere di nazionalismi esasperati che estremizzavano i risultati della germanistica.
La germanizzazione del cristianesimo
L'aver messo in luce, da parte di studiosi tedeschi, le caratteristiche della cultura germanica, un adattamento della cultura indoeuropea alle condizioni di vita e alla realtà sociale del nord, aveva provocato nuove riflessioni sulla natura dell'incontro di questa con il cristianesimo. Non una recezione passiva, un'ammirazione supina dei Germani per la romanità, ma un lento, faticoso processo di assimilazione, con conseguenze non indifferenti per lo stesso cristianesimo. Fu sulla scorta dello studio della patristica e soprattutto in conseguenza del concetto di ellenizzazione del cristianesimo che Artur Bonus, nel 1896 coniò l'espressione di germanizzazione del cristianesimo (la Germanisierung). Un compromesso, fra i sostenitori di questa linea (Seeberg) e i loro oppositori
(Harnack), sembra poter generare una lettura più consona alla realtà dei fatti. Non ci sarebbe stato allora influsso sulla teologia cattolica, con la conseguenza di uno stravolgimento dei concetti di fede, ma solo un’alterazione, più a carattere formale che sostanziale, di alcune realtà istituzionali della chiesa medievale, specie quelle attinenti alla sfera sociale, giuridica e penitenziale.
Conclusione
Facendo il punto del cammino storiografico percorso fino ad oggi, prima di cedere il passo alle problematiche che ancora animano il campo della discussione, si deve dare come ormai acquisito il dato di una progressiva messa al centro della problematica storica riguardante l'incontro tra cristianesimo e cultura germanica, che è venuta gradatamente precisandosi in tempi diversi e sotto angolature differenti: cristianesimo come mediazione tra due culture (M. de Staël, Chateaubriand); evangelizzazione quale fattore “cemento”; problema ariano (Leo); cultura cristiana nei suoi effetti, quanto alla nascita della civiltà medievale (Ozanam); e infine il tema, in parte ancora aperto, della germanizzazione del cristianesimo (?).
Fonte: Appunti, Biennio filosofico Anno Accademico 2010-2011
Nessun commento:
Posta un commento