Come abbiamo avuto modo di accennare in precedenza, sono state molteplici le cause che portarono il papato a trasferirsi ad Avignone. Forse, la principale, dobbiamo riconoscerla nel fatto che l’Italia, e soprattutto Roma, non erano più così sicuri: lotte interne tra le signorie, e a Roma tra le famiglie, e poi la mancanza in Italia di una potenza sufficientemente forte che avesse a cuore l’indipendenza del pontefice, compito che a suo tempo fu svolto sia dai Normanni e un po’ dagli Svevi, sebbene questi ultimi alla fine cercheranno di piegare il papato alla loro volontà, causando la inesorabile messa in crisi dell’istituto imperiale (scomunica di Federico II).
Così ai pontefici non rimase altro che emigrare oltre i confini della penisola, in un primo tempo per porsi al riparo dalla minaccia dell’imperatore Federico II, mettendosi sotto il manto protettivo del re di Francia, e poi per celebrare in un territorio più sicuro, a Lione, quelle assise conciliari che permetteranno loro di intervenire nella difficile situazione che si era ingenerata (in Italia, in Terra Santa, la caduta dell’Impero latino d’Oriente, l’incremento fuori controllo degli istituti religiosi) e poi, con l’acquisto del Contado Venosino (con papa Clemente VI) e inquadramento del medesimo nello stato pontificio, si ebbe la definitiva evoluzione di questa transizione.
Il conflitto con Ludovico il Bavaro
Dopo la morte di Clemente V, il conclave si trascinò per due anni e tre mesi: finalmente fu eletto, a Lione, un cardinale settantenne (Jacques Duèse, nato a Cahors verso il 1245), che era stato cancelliere del re di Napoli. Prese il nome di Giovanni XXII (1316-1334) e il suo fu senza dubbio il pontificato più importante del secolo XIV. Eminente giurista e amministratore avveduto delle finanze, personalmente povero e laborioso, anch’egli succube della politica francese, benché più energico di Clemente V e più prudente di Bonifacio VIII, mancò purtroppo di senso pastorale e si invischiò in una lunga lotta contro il Rex Romanorum Ludovico il Bavaro († 1347). Anzi, i rapporti con l’impero tedesco si inasprirono a tal punto che il papa nel 1324 lanciò la scomunica contro il Bavaro stesso.
Tutti quelli che si consideravano avversari del papato accorsero alla corte dell’imperatore: Michele da Cesena, Ministro generale dei Francescani, in rotta con il papa per la questione della povertà(1); Guglielmo d’Occam, uno dei teologi più influenti del suo tempo ed impugnatore del primato pontificio; Marsilio da Padova che, nel Defensor pacis (1324), attacca il papato nella maniera più violenta. Da questa cerchia di intellettuali uscì quella propaganda che mise in questione tutto l’insegnamento teologico-giuridico del Medioevo, preparando il terreno alla riforma protestante.
A loro volta, i principi tedeschi dichiararono eretico Giovanni XXII; Ludovico si fece incoronare imperatore a Roma, per mano del prefetto laico Sciarra Colonna (1328) e fece eleggere un antipapa, il minorita “spirituale” frate Pietro Rainalducci da Corvaro, guardiano all’Aracoeli, che prese il nome di Niccolò V (2); durò due anni (1328-1330). Giovanni XXII rispose lanciando l’interdetto su tutta la Germania e bandendo una crociata contro l’imperatore.
Dal punto di vista finanziario, lasciò la curia in condizioni floride e le impresse quel carattere di amministrazione centrale efficiente che, oltre a rimanere per secoli, fece scuola presso tutte le curie amministrative dei regni di allora.
Benedetto XII (1334-1342)
Cistercense, cominciò la costruzione del grandioso palazzo papale ad Avignone, segno che per il momento non si pensava a un ritorno a Roma. Benché desideroso di pace e di riforma, non riuscì a far terminare il grave conflitto con la Germania, anche perché i re di Francia e di Napoli avevano interesse a non concludere, per timore di un ritorno del papa a Roma. Questi intrighi sollevarono indignazione tra i vescovi e i principi tedeschi. Nel 1338 essi arrivarono a dichiarare che l’elezione imperiale sarebbe avvenuta senza alcuna conferma o autorizzazione papale. In tal modo, il papa perdeva uno dei suoi fondamentali diritti politici, esercitati nel Medioevo.
Clemente VI (1342 -1352)
Francese di sangue e di politica, abile e dotto, ottimo predicatore, era amante del lusso e nepotista. Nel 1348 acquistò dalla regina Giovanna I di Napoli la città e il territorio di Avignone, che rimase alla Santa Sede fino alla Rivoluzione francese. Naufragati alcuni tentativi di riconciliazione con Ludovico il Bavaro, il papa nel 1346 rinnovò la scomunica, invitando i principi a eleggere un altro imperatore. La Germania precipitò nel caos politico e religioso: in molte diocesi c’erano due vescovi in lotta fra loro (uno per il papa e l’altro per l’imperatore) e perfino gli Ordini religiosi erano divisi. Nel 1348-1350 scoppiò la “peste nera” con i fenomeni concomitanti: processioni di flagellanti, persecuzioni di ebrei, dimezzamento della popolazione europea, ecc.
Il ripristino dell’ordine nello Stato Pontificio
Innocenzo VI (1352-1362), fu uomo pacifico e di costumi severi, per la prima volta venne eletto in seguito alla capitolazione elettorale (un documento che tendeva a limitare la pienezza dei poteri papali soprattutto garantendo ai cardinali le loro entrate), la quale però fu soppressa dal nuovo pontefice. Fu costretto a occuparsi di Roma, caduta in preda all’anarchia per il prolungarsi dell’ “esilio” avignonese: in seguito alla disfatta della nobiltà, assunse il potere Cola di Rienzo (20 maggio 1347), un demagogo fanatico, che infine venne ucciso in una sommossa popolare (1354).
Il papa inviò nello Stato pontificio, come suo Legato, il cardinale Egidio Albornoz († 1367) che, in due spedizioni militari, ripristinò l’ordine e il potere papale con forza e diplomazia, meritandosi il titolo di “Secondo fondatore dello Stato pontificio”. La raccolta di leggi da lui promulgate (Costituzioni Egidiane) rimase in vigore fino al 1816.
Il papa è a Roma per tre anni
Urbano V (1362-1370), benedettino, zelante della riforma, promotore degli studi, il migliore dei papi avignonesi, beatificato, si vide spianata la via del ritorno a Roma dai successi ottenuti dal card. Albornoz. Tranne la Francia, tutta la cristianità lamentava l’assenza dei pontefici dalla loro sede naturale; le personalità più eminenti sollecitavano continuamente il “gran ritorno”: l’imperatore Carlo IV si recò ad Avignone (1365); il Petrarca indirizzò nel 1366 una commovente a nome della “vedova Roma” (3); santa Brigida di Svezia inviava ardenti ammonizioni, deplorando i mali della curia.
Superando le rimostranze della corte di Parigi e dei cardinali francesi, Urbano V nel 1367 si trasferì a Roma, dove ricevette l’omaggio di due imperatori, Carlo IV d’Occidente e Giovanni V Paleologo d’Oriente, venuto a Roma in cerca di aiuto contro i Turchi. Il sogno di una nuova crociata svanì per la ripresa dei conflitti anglo-francesi (guerra dei cent’anni), mentre la morte dell’Albornoz diede via libera alle forze ribelli e alla potente repubblica di Firenze. Così, dopo tre anni di permanenza in Italia, il papa se ne ritornò ad Avignone.
Ritorno definitivo del papa a Roma (gennaio 1377)
Il nuovo papa, Gregorio XI (1370-1378), giurista e molto energico, si convinse che bisognava governare la cristianità e lo Stato pontificio da Roma. Nel 1376 lanciò la scomunica e l’interdetto su Firenze; mandò in Italia truppe bretoni assoldate che, per la loro «barbarie», si attirarono odio e indignazione da tutti.
A questo punto intervenne, come mediatrice di pace fra le due parti in lotta, una donna di straordinaria fortezza, santa Caterina da Siena (1347-1380), terziaria domenicana e penultima di 25 figli. Con le sue lettere ardenti, con i doni mistici, con una saggezza lungimirante, con un viaggio ad Avignone, ottenne in due anni quello che sopra ogni cosa aveva implorato: il ritorno del papa a Roma. Nell’autunno del 1376, nonostante tutte le pressioni contrarie dell’ambiente francese, Gregorio XI lasciò per sempre Avignone e, nel gennaio del 1377, entrava nella città eterna: sua residenza divenne il Vaticano, e non più il Laterano come nei secoli precedenti.
Ultimo papa francese, dovette opporsi prima di morire al moto ereticale che Wyclif andava suscitando nella Chiesa inglese.
Alcune considerazioni
L’abbandono di Roma significò anzitutto il superamento e l’oblio dell’ideale universale della “Christianitas”, che aveva affascinato gli animi dei pontefici fino a Bonifacio VIII.
Come gli Stati puntavano ormai a forme sempre più decise di accentramento assolutistico, così la Chiesa nella sua organizzazione interna perfezionava i suoi apparati e dava più stabile assetto alla burocrazia. La tendenza centralizzatrice consentiva alla curia la collazione dei benefici ecclesiastici, e quindi il controllo sulla gerarchia. La cura vigile e minuziosa nell’esazione delle tasse e la sollecitudine nel rastrellare ovunque il denaro, procurarono ad Avignone e ai suoi amministratori l’epiteto di “avara Babilonia”. Ma la Chiesa non deve essere un apparato amministrativo né il papa una specie di supremo funzionario. Avignone non aveva le tombe degli apostoli Pietro e Paolo, mentre il papa è il capo visibile della Chiesa e il successore di Pietro precisamente perché questi fu il primo vescovo di Roma.
Il male vero e proprio non fu il susseguirsi di papi francesi, giacché nulla fa pensare che fossero inferiori ad altri, ma le circostanze che facevano apparire il papato come un’istituzione nazionale di Francia. I soldati inglesi che combattevano contro i francesi cantavano: «Se il papa è francese, Cristo è inglese».
Con il passare del tempo le cose si stabilizzarono, ed è naturale quindi che papi francesi eleggessero cardinali francesi e, come in un circolo vizioso, costoro nominassero uno dei loro.
Dal 1305 al 1376 vi furono 113 cardinali francesi, contro 13 italiani, 5 spagnoli, 2 inglesi, 1 ginevrino e nessun tedesco.
Non si può negare che per posizione geografica Avignone fosse più centrale della stessa Roma rispetto al mondo cattolico di quel tempo; che i papi si sentissero più al sicuro e come a casa propria (almeno per il tempo che precedette l’incrudelirsi della guerra dei Cent’anni): di qui la necessità di costruire un palazzo comodo per ospitare gli uffici, e poi l’acquisto dello stesso territorio avignonese e suo riconoscimento quale appendice dello Stato Pontificio.
Non c’è dubbio che questi papi diedero prova non solo di ottime qualità come amministratori e giuristi, ma anche di doti spirituali e pastorali: alcuni hanno incoraggiato, per esempio, l’apostolato dei missionari in Asia; altri sono stati certamente superiori a pontefici venuti prima o dopo di loro.
Malgrado ciò, il periodo avignonese del papato è passato alla storia come un “esilio”, anzi, per il ricordo biblico della schiavitù degli Ebrei in Egitto, fu chiamato la “cattività babilonese” della Chiesa. I fatti dimostrarono che solo da Roma il papato poteva svolgere un’azione efficace di tipo universale; lontano da Roma c’era il rischio che si allentasse la forza di coesione intorno al Vicario di Cristo, si arrivasse allo scisma e alla formazione di Chiese nazionali.
Tutto ciò sta a dimostrare che le contingenze storiche hanno un peso enorme sulla vita e sulla struttura stessa della Chiesa; che la sua storia è inevitabilmente soggetta a vicende umane, senza però essere mai privata dell’elemento divino che l’anima e che, quindi, dalla sua storia, anche quella caratterizzata da episodi poco edificanti, si possono trarre insegnamenti perennemente validi.
Con le parole di S. Paolo Apostolo si potrebbe dire: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio» (1Cor 1,27-29).
È questo il mistero con cui Dio opera nella storia della Chiesa e, mi sia lecito dirlo, nella storia di ognuno di noi.
NOTE
1) Il papa aveva condannato la dottrina dell’assoluta povertà di Cristo riconosciuta fino ad allora da tutti i francescani (sia da quelli della Comunità, sia dagli Spirituali). La condanna fu pubblicata con la costituzione dogmatica Cum inter nonullos del 1322 e tale dottrina fu dichiarata eresia ed eretici sarebbero stati riconosciuti i suoi fautori.
2) Niccolò V, nato Pietro Rainalducci (Corvaro, XIII secolo – Avignone, 16 ottobre 1333), è stato un religioso e predicatore italiano. Fu antipapa dal 12 maggio 1328 al 25 luglio 1330, durante il pontificato di papa Giovanni XXII (1316–34) ad Avignone. Fu l'ultimo antipapa imperiale, vale a dire, insediato dal Sacro Romano Imperatore. Rainalducci nacque a Corvaro, un antico caposaldo nei pressi di Rieti, nel Lazio. Entrò nell'ordine francescano dopo essersi separato dalla moglie nel 1310, e divenne famoso come predicatore. Fu eletto tramite l'influenza dello scomunicato imperatore, Ludovico IV il Bavaro, da un’assemblea di sacerdoti e laici, e consacrato nella Basilica di San Pietro a Roma, il 12 maggio 1328, dal vescovo di Venezia. Dopo aver passato quattro mesi a Roma, si ritirò con Ludovico IV a Viterbo, ove rimase diversi mesi, partecipò poi all'assedio di Grosseto, e quindi giunse a Pisa, dove veniva sorvegliato dal vicario imperiale. Il 19 febbraio 1329 Niccolò V presiedette una bizzarra cerimonia nel Duomo di Pisa, nella quale un fantoccio di paglia rappresentante Giovanni XXII e abbigliato con le vesti pontificie, venne formalmente condannato, degradato e consegnato al braccio secolare. Niccolò V venne scomunicato da Giovanni XXII nell'aprile 1329, e cercò rifugio presso il conte Bonifacio della Gherardesca di Donoratico, vicino a Piombino. Avendo ottenuto assicurazione di perdono, presentò una confessione dei suoi peccati, prima all'arcivescovo di Pisa, e quindi ad Avignone, il 25 agosto 1330, a Giovanni XXII, che lo assolse. Rimase in onorevole prigionia nel palazzo papale di Avignone fino alla sua morte avvenuta nell'ottobre del 1333.
3) FRANCESCO PETRARCA, Lettere senili, lib. VII, lettera unica, volgarizzata da G. Fracassetti, Firenze 1869, 393: «Ma come puoi (deh perdona, o clementissimo Padre, questo ardito linguaggio!) dormir tranquillo sotto i tetti dorati, in riva al Rodano, mentre il Laterano cade in rovina, e la chiesa che madre è di tutte, scoperchiata del tetto non ha difesa dai venti e dalle pioggie, vacillano le sante case di Pietro e di Paolo, e dove non ha guari sorgeva il tempio sacro agli Apostoli, ora non veggonsi che macerie e rovine, il cui deforme aspetto forzerebbe al pianto anche chi avesse cuor di macigno?».
Fonte: Appunti. Biennio filosofico. Anno Accademico 2010-2011
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