Quasi contemporaneamente al fenomeno del papato riformista successivo al 1046 e al gregorianesimo, il paesaggio religioso della cristianità fu percorso da diversi movimenti.
a) Il movimento eremitico toscano del secolo XI
San Romualdo (950-1027), nobile di Ravenna, scosso dall’uccisione di un cavaliere, ucciso da suo padre, fondò la comunità eremitica di Camaldoli vicino ad Arezzo e un gran numero di eremitaggi in altre parti d’Italia. La sua idea consistette nell’unire il cenobio con l’eremitaggio. La vita monastica comunitaria di “fondovalle” doveva costituire il presupposto spirituale, pedagogico ed economico per gli eremiti abitanti sulle “alture”.
Riformatori pregegoriani come san Pier Damiani († 1072) scaturirono da questa comunità. Anche san Giovanni Gualberto (990-1073) si fece monaco subito dopo l’assassinio di un parente e dopo aver rinunciato in un venerdì santo alla vendetta. Dapprima entrato alla scuola di Camaldoli, fondò in seguito una comunità di eremiti a Vallombrosa vicino a Firenze. Per provvedere ai bisogni materiali degli eremiti furono istituiti per la prima volta dei fratelli laici.
I cistercensi assunsero in seguito, a somiglianza di Vallombrosa, la loro istituzione dei conversi.
Il movimento eremitico dell'Italia centrosettentrionale, per quanto locale sia la sua diffusione, merita la nostra attenzione, perché attraverso di esso e attraverso i predicatori apostolici itineranti furono poste delle alternative al monachesimo e ai canonici tradizionali. Cluny non conobbe né eremiti, né fratelli laici, né predicatori itineranti. Le nuove forme, a cui si richiameranno gli ordini della riforma del secolo XII, oltre alle loro finalità spirituali perseguirono di nuovo l’autarchia benedettina, lo sganciamento da un eccessivo numero di vincoli sociali, per così dire una variante della libertas ecclesiae.
b) I certosini
Il primo a rifarsi in grande stile allo sviluppo sopra descritto fu san Bruno di Colonia (1032- 1101). Canonico di Colonia, professore nella scuola del capitolo di Reims (maestro di Urbano II), visse per un certo periodo come monaco ed eremita vicino a san Roberto di Molesme, il futuro fondatore di Citeaux.
Nel 1084 fondò la Grande Chartreuse. I monaci vivevano in piccole casette, dove pregavano, studiavano, svolgevano il loro lavoro domestico e di giardinaggio. Per la messa solenne la comunità si ritrovava nella chiesa e per le feste alla mensa comune. Per il resto vigeva l’obbligo di un rigoroso silenzio, mortificazione e severa contemplazione. Da un lato l’ordine ebbe il vantaggio di non diffondersi rapidamente come altri ordini della riforma. Così gli furono risparmiate anche le crisi di un grande ordine (eccezion fatta del periodo dello scisma 1378-1415). Fu detto dei “certosini” in maniera un po’ idealistica: «Numquam reformati, quia numquam deformati». Né essi furono invischiati nella politica della Chiesa in misura pari a quella di altri ordini della riforma, anche se san Bruno morì in Calabria, ancora come consigliere del papa.
Nel secolo XV si stabilì una notevole affinità fra le certose e l’umanesimo delle città (Norimberga, Colonia, Londra ecc.). La letteratura devozionale certosina fece sentire il suo influsso anche sull’evo moderno (Ludolfo di Sassonia e Ignazio, Dionigi il Certosino).
c) I cistercensi
Anche Roberto di Molesme (1075), della diocesi di Langres, cominciò col dirigere una colonia di eremiti, finché nel 1098, unitamente ai santi Alberico e Stefano, fondò il monastero di Citeaux presso Digione.
In maniera simile ai loro predecessori e a Cluny da essi successivamente combattuta, i primi cistercensi vollero uscire dal quadro del monachesimo tradizionale e dalle usuali forme economiche e di governo. Essi assunsero l’osservanza della lettera della regola come pretesto onde percorrere nuove vie nella vita monastica. Come gli apostoli, come san Benedetto e come i contemporanei rappresentanti della predicazione apostolica itinerante pretesero di vivere del lavoro delle proprie mani. Semplicità e purezza nell’architettura, nella vita e nella liturgia dovevano di nuovo aiutare a scoprire l’essenziale. In un ritmo equilibrato fitto di preghiera e di lavoro manuale anche lo spirito della contemplazione avrebbe potuto meglio svilupparsi.
Fu perseguita la libertà dalle dipendenze imposte dal sistema della chiesa privata. I cistercensi non vollero vivere di alcuna “tassa” (sotto forma di tributi, decime o accettazione di prebende), né pagarne alcuna (tributi di patronato e baliato, obblighi ospitali verso il fondatore, i padroni e i prìncipi). Così l’iniziale stile di vita parco e il lavoro manuale nei boschi e nelle paludi non fu solo un esercizio di penitenza, ma anche una necessità.
Riallacciandosi a Vallombrosa e a Hirsau, essi istituirono i fratelli laici (conversi) reclutando così per la vita monastica la popolazione contadina che si andava raddoppiando nel corso del secolo XII. A lungo termine ciò significò una defeudalizzazione degli “asili della nobiltà” e contemporaneamente un fenomeno di portata economica.
Quelli cistercensi furono monasteri mantenuti ed amministrati da contadini, ma nello stesso tempo dei corpi economicamente così produttivi che in qualche paese, come in Inghilterra, crearono dei problemi economici.
Data la loro richiesta di libertà dal patronato e dalla protezione del re, furono salutati con favore dai signori non soggetti ai feudatari locali, che aspiravano a migliorare la loro posizione e alla creazione di uno Stato non piramidale. Malgrado il loro rigorismo ascetico originario e la loro emancipazione dal potere secolare, non ebbero tanto successo come i Mendicanti nel combattere i primi eretici. Anch’essi, al tempo di Bernardo, erano già diventati parte del sistema. Ciò non costituisce però un qualcosa di particolare né nella storia della Chiesa, né in quella degli ordini religiosi.
La novità dei cistercensi, che funse da modello per molti ordini successivi (cavallereschi e mendicanti), fu la costituzione che l’inglese Stefano Harding (1059-1134) stese nella Carta caritatis (1118). Essa consistette in un dosaggio ben equilibrato di autarchia e di centralismo.
Come a Cluny si cercò di unire i monasteri in una specie di associazione, onde garantire una certa uniformità e riformabilità. Ma, a differenza di Cluny, i monasteri rimasero indipendenti e sottoposti direttamente solo all’abate fondatore. Diversamente da Cluny, l’abate di Citeaux e i suoi quattro abati primari (La Ferté, Clairvaux, Pontigny, Morimond) non furono abati generali. Il massimo organo legislativo e giudiziario fu piuttosto il capitolo generale annuale (da cui s. Francesco prenderà ispirazione per la Regola dell’Ordine). Il fatto che l’abate “padre” fosse competente in qualità di visitatore per le sue abbazie “figlie” umanizzò le relazioni giuridiche.
Con Bernardo di Clairvaux (Chiaravalle) (1090-1153) l’Ordine divenne un’organizzazione estesa per tutta la cristianità (alla morte di Bernardo: trecentocinquanta abbazie; verso il 1300: settecento abbazie).
Come teologo e scrittore, Bernardo creò il nuovo “stile” della mistica di Gesù, della devozione mariana e della letteratura, del linguaggio e della cultura devozionale in generale; stile che fu successivamente ripreso dagli ordini mendicanti, che fu praticato dai devoti del tardo medioevo e che influì largamente sull’evo moderno.
Sotto il profilo della storia della spiritualità esso segnò il passaggio dal Cristo Pantokrator al Gesù umano della mangiatoia, al Figlio di una madre umana, all’uomo dei dolori.
d) I premonstratensi
Un’importanza simile a quella dei cistercensi, segnatamente per la diffusione del monachesimo nella Germania settentrionale e nei territori all’est dell’Elba, l’ebbero i premonstratensi.
Il loro fondatore, san Norberto di Xanten (1080-1134), successivamente arcivescovo di Magdeburgo, proviene tuttavia dalla tradizione dei canonici e obbligò i suoi fratelli all’osservanza della Regola agostiniana. Prima caratteristica di Norberto, che lo differenzia dai padri di Citeaux, fu che egli, destinato per la sua nascita alla carriera ecclesiastica di superiore e titolare di benefici, per alcuni anni si dedicò alla predicazione apostolica itinerante.
Questi predicatori itineranti, diversi dei quali divennero poi fondatori di importanti monasteri (Fontevrault in Aquitania nel 1100 da parte di Roberto d’Arbrissel, Savigny in Normandia nel 1105 ad opera di Vitale di Mortain), furono i precursori del movimento pauperista del secolo X come i cistercensi volevano vivere, sull’esempio degli apostoli, del lavoro delle loro mani, così i predicatori itineranti imitavano l’apostolato di san Paolo.
Sull’esempio apostolico, si aggregarono loro anche numerose donne. Perciò le fondazioni erano spesso monasteri “promiscui” o “doppi” (come a Fontevrault). Da questa tradizione si sviluppò anche la prima direzione spirituale specifica di donne nel medioevo.
La vita itinerante nascondeva tuttavia in sé anche dei pericoli. I contemporanei temettero soprattutto una sua deviazione nell’eresia. San Bernardo mise in guardia da una vita “disordinata”, senza “ordine” e monastero. Per motivi simili, il vescovo di Laon offrì Prémontré a san Norberto. Sotto l’influsso di Bernardo, i primi premonstratensi si distinsero poco, soprattutto in Francia e in Inghilterra, dai cistercensi. Nell’impero essi furono più marcatamente attivi, a somiglianza delle abbazie benedettine. Importante è il fatto che i premonstratensi anticiparono l’ideale della cura d’anime dei domenicani e dei francescani. Per un signore nobile del medioevo la cura d’anime non era infatti una cosa ovvia. I primi premonstratensi motivarono la loro aspirazione ad istruire il popolo comune richiamandosi significativamente alla povertà.
e) I canonici agostiniani
Le fonti riferiscono meno dei canonici agostiniani, eppure essi erano più numerosi (mille e seicento canoniche all’inizio della riforma protestante) e influirono localmente di più dei summenzionati ordini della riforma.
Quando nel caso dei canonici si parlava di “vita apostolica”, con ciò si intendeva la vita, l’abitazione, la mensa in comune, una comune forma di abbigliamento e di preghiera, l’osservanza della regola agostiniana, della regola di san Crodegango di Metz (715-766) e della Constitutio canonicorum carolingia (816-17).
La riforma dei canonici fu un topos permanente per tutto il medioevo e fino all’evo moderno inoltrato. La riforma gregoriana se ne interessò in maniera particolare, perché vide nel canonicato “regolare” una ragionevole possibilità di propagandare tra i sacerdoti il celibato e di arginare l’avidità di prebende (“simonia”, compravendita degli uffici ecclesiastici).
Nei secoli XI e XII, sulla spinta dello zelo riformatore, furono così « regolati » numerosi capitoli di cattedrali (per es. Salisburgo), e se ne fondarono altri dello stesso genere. Per quanto riguarda l’antica provincia ecclesiastica di Salisburgo, le due prepositure di canonici di Rottenbuch (diocesi di Freising) e di San Nicola di Passau divennero centri della riforma. I prepositi operavano spesso in veste di arcidiaconi e partecipavano così direttamente al governo episcopale (Berchtesgaden, Chiemsee, Gars, Baumburg, Rottenbuch ecc.). Per guesto tipo di abbazie l’Incorporazione di parrocchie non presentò alcun problema sin dall’inizio.
La teologia dei canonici di San Vittore di Parigi (i “vittorini”; tra questi due nomi famosi: Ugo di S. Vittore [† 1141] e Riccardo di S. Vittore [† 1173]) divenne una delle più importanti scuole medievali (vi studiarono Abelardo e Pietro Lombardo), cui si sentì vicino anche Bernardo di Chiaravalle. Fa da battistrada alla rinascenza del XII secolo. Gerhoh di Reichersberg (1093-1169), con Ruperto di Deutz e Ildegarda di Bingen, fu il teologo tedesco più originale di questo periodo, un “Bernardo tedesco”, fu uno dei grandi portavoce sia della riforma gregoriana che del movimento dei canonici. Nel tardo medioevo divennero celebri la congregazione di Windesheim (Erasmo di Rotterdam) e i canonici lateranensi cui aderirono quelli austriaci.
Fonte: Appunti. Biennio filosofico. Anno Accademico 2010-2011
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