lunedì 13 giugno 2011

STORIA DELLA CHIESA MEDIEVALE. (CAP. III.A): IL SECOLO OSCURO

Marozia

L'eredità di Liutprando da Cremona

Note metodologiche

Antapodosis (ovvero Libro delle retribuzione dei re e dei principi d'Europa), opera cronachistica, scritta da Liutprando da Cremona, responsabile di una storiografia infamante, che determinò in gran parte anche il concetto di Medioevo: lo rilevava già il Falco nel suo Polemica sul medioevo e prima di lui, forse in modo ancor più approfondito, Pietro Fedele, che fin dalle sue Ricerche per la storia di Roma e del papato (in AS Romana 1910-1911), una sorta di “anti- Liutprando”, metteva in luce il legame tra il Cronista e la corrente a favore del papa Formoso.
Sia il protestante Valentino Ernesto Löscher (Historie des römischen Hurenreghiments, Lipsia 1705), sia l’oratoriano card. Cesare Baronio, e prima ancora, il famoso Platina(1), avrebbero avuto la colpa di essersi fidati troppo dei giudizi di Liutprando, del suo “sghignazzamento maligno”, come afferma il Falco.

Il concetto di saecolum obscurum o ferreum, applicato al secolo X, età delle pornocrazia romana, dipenderebbe dunque da una cattiva interpretazione di una fonte medievale.
 «L'errore in cui si incorre occupandosi di letteratura medievale è quello di andare in cerca di connotati soltanto storici e pragmatici in pagine che, per la loro provenienza, spesso storiografica o cortigiana, non possono essere lette in chiave strettamente funzionale.

Considerare le opere del medioevo come “Fonti” è limitare il loro significativo portato all'intelligenza dei fatti, alle notizie e ai dati sugli ambienti» (M. OLDONI, Pref. a Liutprado da Cremona, Italia e Bisanzio alle soglie dell'anno Mille, 12).
A queste nozioni di metodo se ne potrebbero benissimo aggiungere delle altre, scritte sempre in occasione della lettura di Liutprado, dominatore indiscusso della storiografia alto medievale. Interpretando l’opera a partire dal soggetto redattore, non si può prescindere dall’analisi di alcune realtà che lo costituiscono osservatore partecipe del mondo che egli descrive.

Da ciò risulta chiaro che una possibilità di dipanare l’intricato groviglio di rappresentazioni, più o meno simboliche della realtà, offerte in forma narrativa nell’opera di Liutprando, non può che venire dall’analisi previa di alcuni suoi dati biografici.


I difetti di Liutprando

Ugo di Provenza è re d'Italia (926-931),  quando un ragazzo di nome Liutprando, apprezzato per la sua voce, viene accolto alla corte pavese.  Egli proveniva forse da una famiglia di mercanti di Pavia. Il padre era stato in missione a Costantinopoli e così anche il patrigno. Era infatti una prassi comune, al tempo, associare l'attività mercantile con quella diplomatica (p. es. i fratelli Polo nella seconda metà del XIII sec.); per questo, non sembra strano che, ad un certo momento, lo stesso Liutprando venga mandato dal suo re a Costantinopoli, come legato. Questi era il potente Berengario II d'Ivrea, che aveva fatto uccidere Lotario, successore di Ugo di Provenza.

Sanguinario e opportunista, Berengario invia Liutprado in missione diplomatica a mani vuote. «Gli ambasciatori degli Ispani e Liutifredo, messaggero del nostro signore l'imperatore Ottone, a quel tempo re, avevano portato molti doni da parte dei loro signori.  Io invece, da parte di Berengario, non avevo portato nulla se non una lettera, per di più piena di menzogne».
Per salvare la faccia al suo re, Liutprando consegna il suo dono personale all'Imperatore d'oriente, cercando di ornarlo con belle parole. Ma quel sacrificio sembrò vano. Al suo ritorno, Liutprando trovava la situazione politica completamente cambiata e allora, l'unica soluzione che gli restava era andarsene.

Conosciuto Liutifredo a Costantinopoli, la sola strada che gli sembra percorribile è quella verso la Germania, per raggiungere la corte di Ottone I; solo lì, egli avrebbe ancora potuto servirsi, con profitto, della sua formazione politica, la sola ed unica ricchezza che gli era rimasta a disposizione, dopo gli anni del suo servizio cancelleresco alla corte di Pavia. Erede della scuola pavese, una volta ripudiato dai suoi antichi patroni, egli sarebbe stato disposto a ricompensare chiunque gli avesse concesso protezione, mettendo a servizio la sua abilità di diplomatico-mercante.

Ricompensa ossia “Antapodosis”

Assieme ad Ottone egli torna in Italia. È il 962.  Viene fatto vescovo di Cremona e segue l'Imperatore tedesco fino a Roma, dove vede le cose tornare al loro posto, grazie alle iniziative del suo signore e protettore.  A Roma, dove era papa Giovanni XII, nipote di Marozia, la corruttrice dei costumi ecclesiastici, Ottone convoca un sinodo, in cui viene deposto il papa e lo stesso Berengario è costretto a subire la deportazione in Germania. Lì poi finirà i suoi giorni.

Una delle interpretazioni possibili riguardo ai fatti di Roma è che Liutprando utilizzi le cattive informazioni su Marozia, Teodora e Giovanni XII per criticare i cittadini romani, diventati indegni dell'aurea Roma, del Caput mundi.  Era l'esito naturale dell'ideologia romano-imperiale, che mal tollerava una provincializzazione dell'Urbe, uno svolgimento della vita locale, autonomo da quelli che erano i binari predisposti dalla Provvidenza.

Alla corte di Francoforte, Liutprando aveva incontrato Recemondo, vescovo di Elvira, inviato del califfo di Cordoba, che gli avrebbe chiesto di scrivere un'opera per rappresentare «le azioni dei principi e dei re di tutta Europa».
Recemondo diventa il dedicatario dell'Antapodosis: la scelta sembra mirata a fare della Spagna un punto di osservazione simbolico,  lo spazio riservato alla platea, da dove lo spettatore può ben ammirare il dramma delle vicissitudini europee.  Solo due anni dopo, egli si decise a cominciare l'impresa, e rispondendo ad un dubbio sulla inopportunità di aggiungere un’altro scritto, ai tanti che già erano stati messi in circolazione - fin troppi per la capacità dei lettori -, egli pensa di promuovere un genere letterario nuovo, quasi una prosa evasiva: l'unione della heroum delectabilis historia e l'utilis comoediorum risus, per offrire l'occasione di una pausa divertente a coloro che erano impegnati nella faticosa meditazione filosofica.

Inoltre, come nelle storie dei condottieri cristiani, più che in quelle pagane di Cesare, Pompeo, Annibale, che già meritavano di essere narrate per l’audacia dei protagonisti, «si manifesta la bontà di Cristo finché abbiano vissuto rettamente, e la sua fermezza nel correggere, se abbiano peccato», così Liutprando intende anche servire alla causa dell'edificazione dell'animo devoto.
In conclusione, Liutprando si proponeva, con la sua opera, di raggiungere contemporaneamente due diversi scopi:
1) intrattenere con una lettura leggera e piacevole chi si dedicava conassiduità allo studio dei libri difficili;
2) giovare indirettamente alla vita morale dei suoi lettori, mostrando in che modo Dio interviene nelle cose degli uomini, ricompensandoli come meritano.

Berengario I, per evitare di essere sopraffatto da Guido di Spoleto, fa piovere sull’Europa la maledizione delle invasioni ungare: avvelenato dalla moglie di Guido, dopo aver ottenuto il trono, egli viene così remunerato per la sua colpa.
I protagonisti del dramma sono allora: l’Europa Cristiana, Dio, il sovrano traditore e gli Ungari: un'altra retribuzione.

Ma questo schema di fondo mantiene la sua validità fino al III libro, poi gli avvenimenti si complicano, al punto che Liutprando non vede più l'orma della Provvidenza divina. Cominciando il III libro egli allora sente il bisogno di stendere un' altro prologo. Come continuare a parlare di Antapodosis, se non era più possibile rintracciare questa sorta di remunerazione divina a principi e re illustri?  Prevedendo questa domanda da parte del lettore Liutprando si affretta a rispondere che egli stesso, d'ora in avanti, avrebbe remunerato lui con la penna il mondo dei principi e dei re che lo circondava.  Alla Provvidenza divina si sarebbe sostituito il genio dello scrittore, a far giustizia di coloro che avevano agito male nei suoi confronti.
Per le varie offese che Berengario e la moglie Villa avevano arrecato a quelli della sua famiglia, la narrazione avrebbe assunto da questo punto in avanti il carattere di un'altra antapodosis: «pro calamitatibus meis ... impietatem eorum praesentibus futurisque mortalibus denudavero». Come precisa acutamente Oldoni, «la qualità della vita riprodotta da Liutprando è amara e spesso infame: meglio farla diventare o farla tendere al grottesco, piuttosto che saperla senza uscite» ( M. Oldoni).

Liutprando era un burocrate, formato alla corte di Pavia ad una finissima arte diplomatica; egli è in più un mercante, che con spiccato senso della realtà intuisce le regole del gioco e sapendo che non è conveniente direttamente opporvisi vi si sottomette, ma solo in parte; per quanto gli è permesso, capito il meccanismo egli lo piega alle proprie esigenze e rovistando nel “magazzino delle sue maschere”, scrive in tre tempi una storia che nemmeno i suoi protagonisti sanno di aver vissuto.


La geografia ecclesiastica dell’età del particolarismo

La storiografia

Liutprando, figlio di mercanti pavesi, prima di diventare funzionario di cancelleria e vescovo di Cremona sarebbe stato mercante-contrabbandiere, e a tempo perso non avrebbe mai cessato di esserlo. «Se i rapporti tra diplomazia e commercio sono intrinsecamente legati per quest’epoca, non ci si era ancora accorti che l’orizzonte geografico del più importante cronista italiano del secolo X non corrispondeva alla sfera d'influenza del nascente impero ottoniano, ma alla principale rete dei traffici internazionali dell'epoca» (ARNALDI, Liutprando e la storiografia contemporanea, 519).

Se la totius Europae imperatorum regnumque facta, che Recemondo aveva chiesto a Liutprando di scrivere, diventa per il mercante-cronista una realtà geografica comprendente Italia, Germania e Bisanzio, con centro a Pavia, e non ancora la futura unità europea-ottoniana, che avrebbe riproposto l'impero Carolingio, ancora più angusti erano i confini geografici degli annali monastici. Con i giuramenti di Strasburgo e Verdum, la frontiera tra la Francia occidentalis e la Francia Orientalis era definitivamente segnata e i cronisti tendevano, ormai sempre più, ad annotare nei propri annali i soli avvenimenti del regno, dove era situato il loro monastero.

Situazione delle chiese nelle varie nazioni

Dalla metà del IX secolo si apriva ormai una nuova epoca, chiamata l'età del particolarismo, in cui si consumò la dissoluzione dell'Impero carolingio. Con l'abdicazione di Carlo il Grosso (888) finisce la dinastia carolingia e i regni, già sufficientemente autonomi, si incamminano per vie proprie. La dissoluzione della struttura imperiale sovranazionale, dell'età carolingia, portò degli elementi di cambiamento anche all'interno della Chiesa.

a) Francia. Nel territorio francese, più che difficoltà originate da cause esterne, Ungari e Saraceni, intervennero fattori di crisi, dovuti al cambio della dinastia al potere. Con la morte di Ludovico V (987), senza figli, prese il governo la famiglia dei Capetingi, che regnò in linea diretta fino al 1328 e indiretta fino al 1848.

Problemi di passaggio delle consegne, uniti all'incapacità di questa nuova genealogia di governanti, segnarono la fuga di potere verso i baroni, che in un secolo passarono da 29 a 50; le diocesi sfuggirono così al potere regale, passando sotto il controllo della nobiltà locale: al tempo della lotta per le investiture il re esercitava il controllo di 25 d iocesi su un totale di 77. In questo modo le famiglie nobiliari si accaparravano spesso non solo i benefici diocesani, ma anche la consuetudine di porre nella sede episcopale i propri rampolli, con i conseguenti vantaggi a livello politico.

Positivo fu invece il fatto che in Francia, contrariamente alla Germania, proprio per effetto del particolarismo, ai vescovi non furono affidate dall'autorità centrale mansioni di tipo politico-civile.  In questa libertà da oneri statali, la chiesa francese poté darsi maggiormente ad iniziative ecclesiali, come quelle della “pace di Dio” e della “riforma”, un esempio per tutti: Cluny. Al tempo della riforma gregoriana questa situazione di fatto, facilitò di gran lunga il compito dell'autorità ecclesiastica, cui non potevano fare eccessiva resistenza i principi.

b) Penisola italiana. In Italia, dopo che l'intervento di Ottone I - al cui seguito veniva, come si è visto, Liutprando - aveva messo fine al regno di Berengario II d’Ivrea, rimanevano ancora delle famiglie potenti, specie nell'Italia settentrionale, come i margravi di Tuscia, d’Ivrea e del Friuli, mentre nel centro-sud c’erano ancora resti dei domini longobardi e bizantini. La situazione era resa caotica da invasioni di Ungari dal nordest, dei Mori ispanici da Frassineto(2) e di Arabi che, conquistata la Sicilia nel 902, dal Garigliano, presso Gaeta, si lanciavano periodicamente in azioni di razzia, finché nel 915 non fu definitivamente espugnato.

Le città, che in questo periodo dovevano far fronte in proprio alla difesa degli abitanti, scoprirono nella figura del vescovo - che già da Carlo il Calvo aveva ricevuto un potere missatico (cioè di ispettori con poteri speciali inviati dal sovrano per far fronte alle ingiustizie perpetrate dai feudatari) - il ruolo di protettore. Specie nella difesa contro gli Ungari, venne riproposto il culto di antichi vescovi, che avevano fatto da patroni delle popolazioni, al tempo delle invasioni degli Unni - l'assonanza nei nomi degli invasori non era un elemento marginale nella mentalità popolare -, sviluppando così le feste, popolari-cittadine, del patrono.

Il papato

A Roma, che aveva ereditato dal secolo IX un papato in decadenza, dominava la scena una figura femminile: Marozia. La nobildonna romana, forse amante di Sergio III - papa appoggiato da suo padre, Teofilatto - che aveva sposato prima Alberico, duca di Spoleto e alla sua morte Guido di Toscana, reagì alle mire autonomistiche della politica papale iniziata da Giovanni X, facendolo imprigionare e strangolare e mettendo al suo posto il figlio, Giovanni XI. Marozia, nel tentativo di sposare il re Ugo d'Italia, con il quale aveva fatto alleanza Giovanni X, finì la sua corriera politica: al matrimonio dei due il popolo romano insorse, assalì Castel S. Angelo, mettendo in fuga Ugo d'Italia e imprigionando Marozia; Roma, gelosa della sua libertà non tollerava estranei.
Ad organizzare l'azione di popolo era stato proprio il figlio di Marozia, Alberico (932-954), che riportò in auge la famiglia dei Teofilatto, la quale raggiunse con lui il suo massimo splendore.
La cromaticità pornocratica dei fatti è da attribuire tutta a Liutprando, e quindi da rettificare con il già ricordato Fedele (Ricerche per la storia di Roma e del papato).

Alberico assunse il titolo di senator omnium romanorum, patricius, princeps, facendo coniare  monete con il suo nome e con quello del papa regnante.  Incaricò Oddone di Cluny della riforma dei monasteri; e va detto che il suo interesse a questo riguardo non era esclusivamente politico. Più che a mire espansionistiche fu attento a consolidare il potere della sua famiglia, aggiudicandosi praticamente il controllo di Roma e del papato, che diventò così un tutt’uno, almeno politicamente, con la nobiltà romana: l'elemento universale della Sede pietrina veniva così offuscato. Segno tangibile di ciò fu l'elezione di suo figlio al soglio pontificio, secondo la promessa che egli aveva ricevuta dagli ecclesiastici convocati in conclave.

Gli Ottoni e la renovatio imperii

In Germania la morte di Ludovico il Fanciullo eliminò l'ultimo superstite della famiglia carolingia. Dopo un breve regno di Corrado di Franconia (911-918),  si impose la dinastia sassone, con la quale ci fu un ritorno al sistema ecclesiastico caro a Carlo Magno. L'impegno dei sovrani tedeschi in questo tempo era volto ad una duplice azione, all'interno essi dovevano fronteggiare lo schieramento della nobiltà, all'esterno dovevano opporsi militarmente alle invasioni degli Ungari.  Enrico I  fu piuttosto efficace, dal punto di vista militare, ottenendo la vittoria di Unstrut (933) sugli Ungari e rafforzando il suo potere regale, con la conquista della Lotaringia(3).

Ottone I

Sulla base di un federalismo costituito dall’alleanza di diversi ducati, che riconoscevano ruolo di guida alla Sassonia, Ottone I  poté sviluppare quello che viene definito come il sistema ottoniano-salico del potere, dove vescovi ed abati, investiti di poteri civili, immunità, privilegi comitali, costituivano una struttura in appoggio al potere centrale, mettendo fuori gioco la nobiltà, che insidiava sia la dinastia regnante sia, a livello locale, la stessa autorità ecclesiastica.

L'investitura, o conferimento del vescovato, avveniva per mezzo della consegna del pastorale (con Enrico III anche dell'anello), ed era un vero patto di vassallaggio: l'elezione da parte del clero,  del popolo o della comunità monastica, nel caso di abati, diventava così chiaramente una mera formalità.  Questo particolare modo di assegnare le cariche ecclesiastiche,  che costituì uno dei maggiori soggetti di critica da parte della riforma così detta gregoriana, venne accettato volentieri da tutti, in questa prima fase.  Ulrico di Augusta e Volfango di Ratisbona, che come vescovi assunsero cariche di un certo peso, furono venerati nel contempo come santi, e anche per gli altri membri dell'episcopato tedesco del tempo il giudizio resta sostanzialmente buono.

Per assurgere al titolo imperiale, pieno compimento di quel processo di adeguazione alla tipologia carolingia, detto rinascita ottoniana, era necessaria l'annessione del regno d'Italia.
 L'occasione propizia si presentò quando Giovanni XII - minacciato da Berengario d'Ivrea, che aveva conquistato il ducato di Spoleto -, spinto forse da ambienti riformatori, fece appello al sovrano tedesco, promettendogli quella corona che Agapito II († 955) gli aveva negato. Il 2 febbraio 962 Ottone fu incoronato imperatore insieme con Adelaide(4), vedova del re d'Italia Lotario II, e furono così riuniti i destini di Chiesa, Impero e cristianità occidentale.

A Differenza della consacrazione dell’850, in cui dominava l'ideologia romana che prevedeva l'atto papale come costitutivo del potere, per gli Ottoni e i Salii, l'Imperatore eletto dal popolo tedesco, che ora sostituiva quello romano.  Con la nomina “popolare” il sovrano tedesco era già in potenza imperatore.  I diritti papali sulla scelta dell'imperatore, privilegio a cui Roma non voleva rinunciare, ritornarono in auge solo con la riforma così detta gregoriana. La conferma della cessione del patrimonium b. Petri, secondo la tradizione che risaliva a Pipino, la Promissio carisiaca, prevista dalla prassi dell'incoronazione imperiale, avvenne per mezzo del pactum Othonis o privilegium Ottonianum: si trattava di una promessa (utopica), perché in definitiva l’Imperatore rimaneva il vero sovrano dello stato pontificio, aveva la supervisione dell'amministrazione, il diritto di ricevere il giuramento di fedeltà da parte del papa neo-eletto, prima della sua consacrazione, ed infine costituiva un tribunale di suprema istanza, nel caso di elezioni papali controverse.

Il peso dell'autorità imperiale sul papato aumentò notevolmente quando, dopo il cambio di politica operato da Giovanni XII - alleato con Berengario contro il potere tedesco - Ottone tornò a Roma e fece giurare al popolo romano di non eleggere mai più un papa senza il previo beneplacito dell'imperatore, superando così di gran lunga i canoni della Constitutio romana di Lotario I (coimperatore di Ludovico il Pio, suo padre) dell’824. Non badando minimamente al principio prima sedes a nemine iudicatur, l’Imperatore citò Giovanni in un sinodo, svoltosi a S. Pietro, e accusandolo di omicidio, spergiuro, sacrilegio, simonia, impudicizia propose di sostituirlo con un laico protoscrinario, Leone VIII.

Questi fatti provocarono, immediatamente, la reazione del popolo romano, che non appena partito l’Imperatore si sollevò contro Leone VIII e con il tempo, essi furono anche l’elemento scatenante della protesta sollevata dai sostenitori della riforma. Dopo la morte di Ottone I († 973),  a Roma prevalse la famiglia dei Crescenzi che determinò una lotta costante tra papi e antipapi, gli uni appoggiati dall'impero, gli altri dalla nobiltà romana.  Le morti violente di molti di essi, come Bendetto VI, strangolato da Bonifacio VII, e di Giovanni XIV, testimoniano il mal sopportato controllo imperiale sull'elezione del papa, che sebbene limitasse l'azione politica della sede pietrina, più di quanto non lo avesse fatto Carlo Magno, lasciava però molto più spazio alla sua azione missionaria, rispetto ai tempi dei carolingi. Giovanni XIII poté ancora intervenire sull'assetto territoriale del vescovado di Magdeburgo, per favorire la Polonia, andando contro la volontà di Ottone I; con Ottone III(5), fautore della renovatio imperii, questo tipo di interventi pontifici non sarebbero stati più possibili.

Ottone III

«L'Italia non deve ritenere che il sacro palazzo sia rimasto dormiente.  La Grecia non deve reggere, sola, il vanto della filosofia imperiale e la potenza di Roma.  Nostro è l'Impero romano: ci danno forza l’Italia, ricca di messi, la Gallia e la Germania ricche di guerrieri. Non ci manca neppure il fortissimo regno degli sciti. E nostro sei tu Cesare, imperatore dei Romani, Augusto, tu che disceso dal più illustre sangue dei Greci superi i Greci per dignità imperiale, comandi  i Romani per diritto ereditario, sovrasti gli uni e gli altri per diritto ed eloquenza. Al cospetto di un tale giudice esporrò dunque, per iniziare, le opinioni di uomini di scuola o piuttosto di sofisti; proseguirò quindi mettendo in luce...» (PL, 139, 160).

Il testo è di Gerberto d'Aurillac, uno degli uomini più dotti del tempo, direttore della scuola di Reims e studioso, tra le altre cose, di matematica e scienze naturali.  Ottone l'aveva nominato abate di Bobbio e arcivescovo di Reims.  Venuto a Roma con Ottone III, per sciogliere le controversia nata in seguito all'elezione dell'antipapa Giovanni XVI - cioè il greco Giovanni Filagatos, che Crescenzio II aveva fatto eleggere al posto di Brunone di Carinzia (Gregorio V),  cugino dell'Imperatore,  posto dallo stesso Ottone III nella sede pietrina durante il suo primo soggiorno a Roma - egli fu nominato arcivescovo di Ravenna e alla morte di Gregorio V divenne papa con il significativo nome di Silvestro II.

Nel brano preso in considerazione, come una lezione che il vecchio maestro rivolge al suo ex discepolo ora imperatore, Gerberto sembra tracciare le linee di un grandioso progetto: il sogno del ripristino dell'antico impero romano, attuato per l'iniziativa di un nuovo Costantino, con accanto un secondo Silvestro, la sua residenza imperiale sull’Avventino e il suo impegno nell'acquisizione di tutti i particolari del cerimoniale bizantino.
L'idea della renovatio, che aveva sullo sfondo la Roma imperiale, con le sue vestigia, ed era animata dalla memoria dei martiri e dal valore simbolico della sede del successore del principe degli apostoli – «Romam caput mundi profitemur, romam ecclesiam omnium eccelsiarum testamur» –, per raggiungere la sua piena esecuzione, doveva unire insieme le forze di papa e imperatore i quali,  l’uno con la spada e l'altro con la parola, facessero brillare ovunque la luce della verità, per disperdere le tenebre nelle quali erano immerse le chiese: «Cristo intendi le nostre preghiere - così supplicava Leone da Vercelli, in un inno composto sempre per Ottone III e Gregorio V - , riguarda la tua Roma,  per pietà rinnova i romani, risveglia le forze di Roma.  Voi due luci (papa e imperatore),  attraverso gli spazzi della terra illuminate le Chiese, disperdete le tenebre; che l'uno faccia vigore con la spada, che l'altro faccia risuonare la sua parola».

Tutto compreso nella figura del rex iustus di s. Agostino, Ottone si era prodigato anche in un impegno ascetico, mantenendo contatti frequenti con illustri protagonisti del rinnovamento spirituale del tempo: Oddone di Cluny, s. Nilo, s. Romualdo e s. Adalbeto di Praga. Nel ruolo di tutore della Chiesa, come prevedeva l'ideale della renovatio, egli si inserì anche in questioni puramente ecclesiastiche, facendo del tutto perché Polonia e Ungheria entrassero nella cristianità occidentale. Come pellegrino alla tomba dell'amico Adalberto a Gniezno egli consegnò al re Boleslao di Polonia un documento papale che  prevedeva l'elevazione di quella sede episcopale a metropolita.

Ma il sogno di Ottone finì presto. La sua presenza a Roma aveva portato ad una limitazione dell'autorità temporale dei papi, che fin dal tempo dei Carolingi avevano goduto di una certa autonomia, in questioni di politica locale. Ottone III, al contrario, aveva subito rifiutato il rinnovo del pactum othonianum, negando la restituzione della Pentapoli, e in un secondo momento aveva anche dichiarato falso il costitutum Costantini; solo per venerazione verso Silvestro, egli riconobbe alla s. Sede l'autorità sopra otto contee delle Pentapoli.

In Germania il comportamento del sovrano non aveva suscitato maggiore approvazione, uno dei maggiori oppositori, Bruno di Querfurt, arcivescovo di Magdeburgo, aveva affermato che l'imperatore voleva «Romam renovare ad decorem, secundum pristinam dignitatem, ioco puerili».  Chiara era l'accusa di anacronismo e la mancanza di realismo, nel voler misconoscere come la base del potere imperiale non potesse che essere il regno tedesco.  Nel febbraio 1001 il Papa e l’Imperatore vennero  cacciati da Roma da una sommossa e i Crescenzi tornarono ad impadronirsi della Città.
Ottone III moriva nel 1002 all’età di ventidue anni a Castel Paterno presso Faleria, poco distante dal Soratte.

Enrico II (*978 - † 1024)

Enrico di Baviera, ultimo dei Sassoni, lasciò da parte le mire imperiali e volse il suo impegno a rafforzare un potere reale sull'Italia e sulla Germania.  Secondo il sistema della chiesa imperiale egli pose in atto un’azione di controllo sull'intero episcopato, arrivando ad imporre il proprio candidato ai collegi elettorali, come nessuno aveva mai fatto prima.   I candidati erano scelti tra i membri della cappella palatina e i criteri di selezione seguivano in genere i canoni dettati da uno spirito di riforma, vicino agli ideali della riforma monastica lorenese. Quanto a Roma egli decise di appoggiare i Tuscolo, la nuova famiglia emergente, legata per via collaterale a Marozia e Teofilatto.

Con il papa proveniente dalle loro fila, Benedetto VIII (attivo nell'organizzazione del patrimonium S. Petri e nella lotta contro i Mori, ai quali sottrasse la Sardegna),  Enrico promosse un sinodo celebrato a Pavia nel 1022, che proibì il matrimonio dei sacerdoti, forse per ragioni patrimoniali,  più che pastorali, e adottò misure di riforma.  Morti nello stesso anno Benedetto VIII e Enrico II, furono sostituiti da Giovanni XIX e Corrado II († 1039), fondatore della dinastia salica.  Fu canonizzato da papa Eugenio III, in un momento particolarmente difficile per Roma.

Enrico III (*1017 - † 1056)

Enrico III, successore di Corrado II e più convinto di lui della stretta unione tra dimensione regale e sacerdotale, prese a investire i vescovi con anello e pastorale.  Assertore come Enrico II dell'importanza di una chiesa di stato, per rafforzare il potere centrale, egli preferì puntare sui monasteri piuttosto che sui vescovadi.  Sottraendo i centri monastici al controllo dei vescovi egli ottenne, oltre che un maggior introito per le casse regali,  che si allargasse anche l'influsso della riforma monastica proposta da Cluny e da quei centri, situati in Lorena e in Italia settentrionale, con cui egli stesso era in permanente contatto.

A Roma, la grande instabilità politica aveva fatto sì che nel medesimo tempo ben tre pretendenti si contendessero la cattedra pontificia.  Allo scellerato Benedetto IX, eletto a 12 anni (dicunt!), venne contrapposto Silvestro III, un vescovo della Sabina: A Benedetto IX si chiese, dopo un po’ di tempo, di abdicare a favore del prete riformatore Giovanni Graziano (che assunse il nome di Gregorio VI), dietro compenso di una forte somma di denaro: con questa nuova elezione si pensava di riprendere il controllo della Città.

Questo traffico di denaro, “a fin di bene” - cioè liberare la Chiesa da Benedetto IX -, non convinse i riformatori, che appellarono ad Enrico III, già promotore di un sinodo pavese (1046) contro la simonia.  Il 20 dicembre in un sinodo riunito a Sutri furono deposti Silvestro III e Gregorio VI.  Quest’ultimo sarà esiliato in Germani e custodito dal vescovo di Colonia ed assistito dal suo fedele chierico e segretario Ildebrando di Soana che conserverà forte memoria del suo esempio e transito avvenuto il 1047.  Tre giorni dopo, a Roma, fu la volta di Benedetto IX.

Suitgero di Bamberga, con il nome di Clemente II,  prese il loro posto e il giorno di Natale del 1046, egli stesso incoronò imperatore Enrico III e la moglie. Il sinodo di Sutri rimane uno dei punti più dibattuti dalla storiografia di questo periodo. In questione non era tanto la simonia di Gregorio VI, ammessa dalla quasi totalità dei contemporanei,  ma la competenza del re nel giudizio-deposizione dei papi.

Consapevole del ruolo sacerdotale, Enrico riattivò il provvedimento di Ottone I, riguardo all'intervento imperiale nell'elezione papale, si fece nominare patrizio romano e in linea con Ottone III ritornò a proporre papi di nazionalità tedesca: Ildebrando Aldobrandeschi di Sovana che fu testimone dei fatti di Sutri e di Roma non mosse mai delle critiche alle sue intenzioni di sovrano riformatore.


NOTE

1)  Nome latinizzato del luogo di nascita con cui è conosciuto l’umanista Bartolomeo Sacchi (Piàdena 1421 - Roma 1481) detto “Platina”. Precettore dei figli di Ludovico Gonzaga, nel 1457 passò a Firenze dove divenne familiare dei Medici; di qui nel 1462 si trasferì a Roma, forse col cardinale Francesco Gonzaga di cui fu segretario; nominato abbreviatore apostolico da Pio II, scrisse al suo successore Paolo II, che aveva disciolto il collegio degli abbreviatori, una lettera insolente che gli costò la prigione per quattro mesi. Tornò in carcere nel 1468-69, implicato nella congiura ordita contro Paolo II dai membri dell'Accademia romana di Pomponio Leto. Fu sottoposto a tortura. Riottenne onori e fortuna sotto Sisto IV, che gli affidò nel 1478 la direzione della Biblioteca Vaticana. A lui il Platina dedicò la sua opera principale, una silloge di biografie di pontefici, Liber de vita Christi ac omnium pontificum. Scrisse anche: De principe, De vera nobilitate, De falso et vero bono; una Historia urbis Mantuae e un manuale gastronomico-dietetico, De obsoniis ac de honesta voluptate et valetudine.

2)  Frassineto (in arabo, Farakhshanit) fu il nome di una località, attuale La Garde-Freinet, presso Saint-Tropez, nel meridione francese, in cui nel X secolo (dall’890 al 973) si creò un insediamento musulmano, prevalentemente berbero. Il nome della località derivava dall'antico villaggio locale di Fraxinetum.

3) Enrico I re di Germania, detto l’Uccellatore. - Figlio (876 - 936) di Ottone l’Illustre, duca di Sassonia. Divenne duca di Sassonia nel 912, combatté contro Corrado I re di Germania, alla cui morte fu eletto re (919). Dopo aver costretto i duchi Burcardo di Svevia e Arnolfo di Baviera a sottomettersi, recuperò il regno di Lorena, sottratto dal re dei Franchi al predecessore. Con gli Ungari, che periodicamente invadevano la Germania, concluse (924) una tregua di nove anni, impegnandosi a pagare ad essi annualmente anche un tributo. Ma nel frattempo rafforzò le difese sull’Elba e in Boemia, e nel 933 assalì gli Ungari a Riade presso il fiume Unstrut in Turingia e ne fece strage. Combatté con successo contro Slavi e Danesi (934). Prima di morire designò a suo successore ed erede il figlio Ottone.

4) Adelaide nacque nel 931 nel castello di Orb. Figlia di Rodolfo II di Borgogna, sposò nel 947 Lotario II, re d'Italia (945-949). Alla morte del marito, nel 949, fu imprigionata da Berengario II e Adalberto, suo figlio, che ressero  insieme il Regno d'Italia. Molto probabilmente la sua prigionia derivò dal suo rifiuto alla domanda di matrimonio di Adalberto. Fu soccorsa da Ottone I di Sassonia che disceso in Italia sconfisse Berengario II. Nel 951 Ottone I e Adelaide si sposano, Adelaide tornò così ad essere regina e nel 962 imperatrice. Nel 994 si ritirò dalla corte e si dedicò alla vita religiosa. Morì nel 999 in monastero, a Seltz in Alsazia.

5) Era figlio di Ottone II e della principessa imperiale Teofano, bizantina. Ottone II fu imperatore e re di Germania (* 955 - † 983). Figlio di Ottone I e di Adelaide. Fronteggiò la rivolta del duca di Baviera Enrico il Litigioso (951-995) e l’invasione della Lorena da parte del re di Francia Lotario (941-986). Pacificata la Germania, Ott. II discese (980) in Italia, dove riaffermò l'autorità imperiale sui ducati longobardi di Capua e Benevento, venendo però sconfitto dagli arabi di Sicilia in Calabria presso Stilo (982). Dopo aver fatto eleggere (983) re suo figlio, Ottone III, morì a Roma, forse colpito da malaria, mentre gli giungeva la notizia che la regione dell'Elba in Germania era invasa da danesi e slavi.


Fonte: Appunti.  Biennio filosofico.  Anno Accademico 2010-2011

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