Carlo Nordera
GIAZZA. Oggi, lunedì 30 novembre, il funerale del maestro che, per quarant’anni, si è dedicato all’insegnamento nei paesi di montagna
Per tenere in vita la lingua creò «Taucias Garëida» ed ebbe l’intuizione di aprire una libreria a Verona L’ultima fatica: il «Glossario dei Tredici Comuni»
Si è spento all’età di 80 anni, compiuti lo scorso agosto, il maestro Carlo Nordera, a cui devono moltissimo quanti studiano e ricercano la storia, la cultura, la lingua e l’identità cimbra. I funerali si svolgeranno questo pomeriggio nella chiesa di Giazza alle 14.30, partendo alle 13.45 dall’ospedale di San Bonifacio.
Nordera si è dedicato per 40 anni all’insegnamento, sempre in paesi di montagna e con ultima destinazione Selva di Progno e ha continuato la trasmissione della cultura attraverso la casa editrice da lui fondata, Taucias Garëida (Lingua cimbra), la cui ultima grande fatica è stato il «Glossario del Taucias Garëida dei Tredici Comuni Veronesi», opera dello studioso monsignor Giuseppe Cappelletti.
Fu tra i fondatori del museo etnografico dei Cimbri di Giazza e di numerose riviste uscite fin dagli anni ’70 che raccoglievano le ultime testimonianze vive del cimbro parlato e pubblicavano preziosi documenti storici. Ebbe il privilegio e la fortuna di ottenere in esclusiva dai familiari del glottologo tedesco Bruno Schweizer la mole di ricerche inedite che lo studioso bavarese aveva accumulato frequentando Giazza.
Il suo proposito fu di tradurle e pubblicarle, impresa a cui si prestò con passione dando alla luce otto volumi e altro materiale è ancora inedito.
Ebbe anche la geniale intuizione di portare i cimbri fuori da Giazza, aprendo una libreria in piazza Isolo, finestra sulla città e sulla cultura cimbra che ha permesso di far conoscere questa realtà a molte più persone di quante ne avrebbe potuto incontrare se si fosse limitato a restare a Giazza.
«Con la sua morte si chiude anche la libreria di Verona e tutto il materiale è già trasferito a Giazza», precisa la figlia Loredana, «dove continueremo, per quanto ci sarà possibile, il suo lavoro e i suoi libri parleranno ancora di lui».
«Con Antonio Fabbris è stato l’unico a coltivare fino ai giorni nostri il cimbro scritto. Molti lo parlano, ma pochi sono in grado di scriverlo come sapeva fare lui», ricorda l’ex sindaco Marco Cappelletti, che cita anche l’attività di amministratore di Nordera, assessore ai lavori pubblici negli anni Sessanta e promotore con don Erminio Furlani della costruzione della piazza di Giazza, un’opera di cui tutti oggi riconoscono l’utilità ma per la quale patì diversi attacchi e «del resto per lui fu quanto mai vero il detto che nessuno è profeta in patria», aggiunge Cappelletti.
A don Furlani e a monsignor Luigi Fraccari è legato Nordera per la ricerca del nome del soldato ignoto ucciso dai commilitoni tedeschi per essersi rifiutato di sparare a don Domenico Mercante. Nordera che aveva partecipato, quindicenne, alla ricognizione del corpo del sacerdote trasferito dai suoi compaesani da Ala al cimitero di Giazza, ebbe parte attiva nella ricerca e nell’identificazione con il soldato altoatesino Leonardo Dallasega.
Carattere non facile perché più propenso a lavorare da solo che in gruppo, per anni corrispondente de L’Arena da Giazza e Selva, ha sempre avuto però il coraggio di fare, magari anche a rischio di sbagliare, ma tenendo fissa davanti la ricerca della verità. In questo filone si inserisce anche il lavoro di pubblicazione, a cui sollecitò molto monsignor Giovanni Cappelletti, sui cattolici e la Resistenza nel Veronese, convinto che solo le cose scritte potessero essere tramandate senza invenzioni e nel rispetto della verità.
Fonte: srs di Vittorio Zambaldo, da L’arena di Verona di Lunedì 30 Novembre 2009; PROVINCIA, pagina 18
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Il maestro Carlo Nordera
I ghe in Velje tze kofan ein Schelie ' I ghe in Kalwain tze kofan ein Sbain'.
Era parecchio difficile, quasi un’avventura, prima della Guerra, andare da Giazza a Velo o a Tregnago per comperare il campanellino o il maialino della filastrocca cimbra. I sentieri e le mulattiere in inverno erano spesso ghiacciati e avevano come fondale un ambiente severo e impervio: le cenge del Roat Bant (il Sengio Rosso) e quelle della Valle di Rivolto. Queste per centinaia di anni erano state la difesa naturale di Ljetzan-Giazza. Qui, verso la fine del medioevo, si erano insediati dei coloni tedeschi provenienti dalla Baviera, che avrebbero conservato per secoli gli usi, i costumi e, soprattutto la lingua, il Cimbro o Taucias Garèida, la parlata tedesca, appunto. Era un tedesco alto medievale che avrebbe resistito a tutto ma non al virus della modernità inoculato in dosi massicce a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso.
Il maestro Nordera da Ljetzan (Nord Herren, i signori provenienti dal nord) aveva capito tutto già allora vestendo i panni del cavaliere teutonico, per combattere una battaglia di cultura contro il dilagare dell’omogeneizzazione . In una terra che, paradossalmente, è diventata adesso feudo di localismi politici egoisti, quando il suo mito fondante è stato proprio l’immigrazione.
Aveva fondato una casa editrice e varie associazioni per la salvaguardia del Taucc. Portando avanti il discorso avviato da uno stuolo di studiosi germanici e approfondito, durante la seconda guerra, da Bruno Schweizer, un linguista e antropologo tedesco che, spedito al di qua del Brennero per catalogare le isole linguistiche tedesche, si era in seguito innamorato di Ljetzan e del suo popolo.
Tenace no global ante litteram, Carlo Nordera aveva raccolto il testimone da Schweizer ereditandone l’opera e pubblicandola nel corso degli anni.
Lo conobbi nel suo locale di piazza Isolo prima e accanto a Santa Maria in Organo, poi. Soverchiato da cataste di libri, dai gessi che riproducevano le Madonne e le pietà della Montagna del Carbon , da quadri raffiguranti i paesaggi di Giazza o personaggi caratteristici, da fotografie delle vecchie malghe con ancora i tetti in canèl (cannuccia di palude). Entrando, mi salutava con un “Guatan tach! Bia ghest du?” “Buongiorno, come va?”. E giù a parlare di toponimi, di ipotesi storiche, di folclore … Mi facevo spiegare dove si trovava la Kitzarstuan (la rupe del capretto) o la Fantaseikala. Si discuteva dell’ipotesi longobarda (anche se da tempo affossata dagli storici) di provenienza della gente cimbra. Perché c’erano degli enigmi glottologici, come il “Ganna” di Ingannapoltron, il genitivo sassone – non usato dai bavaresi- di Rehsbalt (il bosco del capriolo), la Fara da cui deriverebbe forse Fariselle, Fraselle. Mia moglie aveva collaborato con Carlo, traducendo la parte tedesca di alcuni libri e aveva scoperto un altro enigma “Schlittschulaufen”, i pattini, parola usata al nord della Germania e sconosciuta invece al sud.
Ora anche Carlo non è più. Lo ricordo con la sua Panda verde al Gioas o su per la Valle dei Covoli, quando pensionato, ogni giorno, con neve, nebbia o ghiaccio attraverso Cerro calava giù da Giazza a Piazza Isolo per difendere l’amato Taucc.
…
Bèntane un greste beghe, èngan pljatz,
èibala muln, laut starch un guat;
hoube, kolj, sache: disa ist de Ljetze,
vorghezzatan schuan dorf,
un bo nau is laut reidat
a groassas altas taucias garèida!
Scoscese ed erte strade, angusta piazza;
molti mulini, gente forte e buona;
fieno, carbone, bestiame: ecco la Giazza,
paese solitario e pittoresco,
ove incerto l’avanzo ultimo suona
di un grande, antico dialetto tedesco.
(Ljetzan di Francesco Cipolla, da: “Is puach ‘un Zimbern” di Carlo Nordera)
Fonte: di Michele Dall'O, da Veramente. org (4 dicembre 2009)
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