FEDOR DOSTOEVSKIJ SULL'UNITA' D'ITALIA.
Per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale.
I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale.
Ammettiamo pure che
questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata ed esaurita (ma è
stato proprio così?) ma che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo
congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia
del conte di Cavour?
È sorto un piccolo regno di second’ordine, che ha perduto
qualsiasi pretesa di valore mondiale, [...] un regno soddisfatto della sua
unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non
spirituale (cioè non l’unità mondiale di una volta) e per di più pieno di
debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di
second’ordine.
Ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di
Cavour!”
Fonte: Fëdor Michajlovic’ Dostoevskij, Diario di uno scrittore, ed. it. a cura di Ettore Lo Gatto, Sansoni, Firenze 1981, 1877, Maggio-Giugno, capitolo secondo, pp. 925-926
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