Paolo Sarpi
di SANDRINO SPERI
La contesa per l’Interdetto, sostanzialmente una
scomunica erga omnes a tutto
il territorio della Serenissima, fu una contesa diplomatica, ma si andò assai
vicini allo scontro armato fra Venezia e Papato: correva l’anno 1606.
Due i principali antagonisti: il papato, che sarebbe forse
più opportuno chiamare Curia Romana (curarum genitrix a cruore nata) e la
Serenissima Repubblica che scelse come teologo e consultore di stato fra Paolo Sarpi eruditissimo veneto, amico
di Galilei, in tutte le consulte sempre pronto a trovare le
argomentazioni giuridiche, spesso sottilissime e i precedenti storici.
Bisogna ricordare che si viveva in un periodo piuttosto tormentato
della storia europea: il Concilio di Trento non aveva risolto, ma piuttosto
accentuato le rivalità fra cattolici e protestanti, anzi la nascita
dell’Inquisizione, dell’indice dei libri proibiti, e della compagnia di Gesù
avevano alzato il livello di scontro che scoppierà puntuale pochi anni più
tardi e per trent’anni, dal 1618 al 1648 infiammerà tutta l’Europa.
La vita di Paolo Sarpi prima dell’Interdetto (1606): Il
soggiorno a Mantova.
Pietro nasce a Venezia il 14 Agosto 1552, cambiò il suo nome
in Paolo il 24 Novembre 1566, quando vestì l’abito monacale. Il padre Francesco era originario di S. Vito
al Tagliamento, la madre Isabella Morelli era veneziana, sorella di Ambrogio
sacerdote e titolare di una scuola di grammatica e retorica. A scuola dimostrò
ben presto con la prontezza nell’imparare la precocità dell’
ingegno, recitava a memoria trenta versi di un autore dopo averli sentiti
leggere una sola volta.
Aveva un carattere chiuso e assorto e una sua indole
ritirata e contemplativa volta a intendere non il suo io interiore ma i
problemi collegati con lo “stato del mondo”, problemi quindi di carattere
politico.
Entra a 14 anni nell’ordine dei Servi di Maria e
quattro anni dopo lo troviamo a Mantova dove soggiornerà per altri quattro anni
come teologo di corte al servizio del duca G. Gonzaga che lo aveva nominato
teologo di corte, folgorato dalla sua oratoria e capacità dialettica.
A Mantova emergono due caratteristiche che accompagneranno
il Sarpi per tutta la vita e come religioso e come studioso: profonda serietà e
grande impegno.
Questa concezione della vita lo porta ad essere
spiritualmente affine ai protestanti che concepiscono la vita come una missione
per uomini gravi e seri, la dove il clero romano è spesso poco motivato e poco
serio.
Il soggiorno di Mantova va poi ricordato per altri due
aspetti di notevole importanza: il primo culturale, il secondo relazionale. Qui
Sarpi viene a contatto con la pubblicistica francese antiromana fino
allora sconosciuta, e viene appagato il suo desiderio di conoscere tutto ciò
che è possibile e fin dove lo è. Qui stringe amicizia con Camillo Olivo
segretario del cardinale Ercole Gonzaga, legato pontificio al Concilio di
Trento, e presidente del Concilio stesso fino alla morte. Sarpi viene
informato su particolari e retroscena del Concilio di Trento terminato
pochi anni prima (4 dicembre1563), e può visionare e consultare molti documenti
dello stesso.
Nacque proprio in quel tempo l’idea di scrivere l’Istoria del Concilio Tridentino, che
verrà completata negli anni successivi e poi pubblicata nel 1619.
Paolo che è gia curioso di suo, incontra la persona che più
di ogni altra lo può “ragguagliare intorno ai negozi più segreti” del Concilio
stesso.
Il concilio infatti oltre che un fatto religioso era stato
un avvenimento politico di primaria importanza, nel quale giocavano a scacchi,
le principali potenze europee in lotta fra di loro o per o contro il papato.
Non bisogna dimenticare che una volta tornato a Mantova Camillo Olivo fu prima
imprigionato e poi per lungo tempo molestato dalla Santa Inquisizione.
Il Sarpi dopo queste prime notizie sul concilio che
sicuramente provocano in lui una disposizione d’animo poco benevola verso la
curia, incontra a Venezia un altro testimone diretto Arnauld du Ferier ora
ambasciatore francese a Venezia e prima ambasciatore a Trento.
Ora il Concilio gli appare nella sua giusta luce, oltre la dimensione religiosa un
gigantesco urto di forze in cui si compendia e si esplica la lotta politica
europea.
Il breve soggiorno a Milano 1575
Da Mantova Paolo Sarpi passa Milano. E’ l’anno 1575 e la
Milano è quella di San Carlo Borromeo che sappiamo essere una delle più importanti
personalità della Controriforma Cattolica, ben deciso a educare e disciplinare
il suo clero per contrastare la Riforma Protestante. Egli stesso è un fulgido
esempio di vita religiosa e “ad imitazione degli antichi pastori, Ambrogio e
altri, faceva vita comune e mensa con quelli del suo clero”.
A Milano è possibile vedere la concreta attuazione del
concilio nel suo aspetto religioso. La riforma della chiesa tentata da S. Carlo,
colpì profondamente il Sarpi che ne divenne anche amico, ma non poté venire del
tutto attuata per i notevoli contrasti fra il cardinale e i governatori
spagnoli. Prima della sua partenza dovette anche difendersi davanti
all’Inquisizione spagnola da una accusa di eresia che finì in nulla.
Ritornato a Venezia insegna filosofia e nel 1578 si laurea
in teologia a Padova. L’anno successivo viene eletto provinciale dell’ordine
con il compito di riformarlo secondo lo spirito del concilio. Eletto
procuratore dell’ordine viene inviato per tre anni a Roma dove aveva il compito
di difendere le cause dell’ordine presso la curia romana.
Il soggiorno a Roma 1578-1588
Mentre era procuratore a Roma fu per la seconda volta
denunciato all’Inquisizione per: a)avere espresso giudizi poco
lusinghieri sulla curia; b)per avere tenuto commercio con ebrei. L’accusa finì
nel nulla, ma lasciò un certo risentimento nel Sarpi.
Il risentimento e l’esasperazione aumentarono quando nel
1593 il senato Veneziano lo propose come vescovo di Caorle prima e di None poi,
ma il papa Clemente VII non concesse, perché non si poteva conferire la dignità
episcopale a un “uomo che teneva pratiche con eretici”.
L’aver pratiche con eretici significava nella Venezia di
allora parlare con letterati e intellettuali stranieri anche non cattolici. Ciò
non fece che aumentare la sua esasperazione, visto che il vescovato era
solo un mezzo per avere più tempo e tranquillità da dedicare ai suoi studi. Anzi
si rafforza in lui la convinzione che solo con “le male arti” si potesse
raggiungere la dignità vescovile.
Schermaglie diplomatiche fra Venezia e Roma prima
dell’interdetto
Nel Marzo 1596 arriva a Venezia il nuovo nunzio apostolico
Anton Maria Graziani le questioni grosse sul tappeto sono tre: 1)Persuadere
Venezia a una nuova crociata contro i Turchi; 2)Applicazione dell’Indice dei
libri proibiti; 3)Problema della navigazione nel Golfo.
Riguardo al primo punto Venezia non ha alcun interesse a
riprendere la guerra contro i Turchi, dato che ha appena rinnovato il trattato
di pace. Una nuova guerra farebbe solo gli interessi degli Asburgo d’Austria e
di Spagna. La diffidenza verso il papato è totale perché appare a Venezia come
una longa manus degli Asburgo che hanno solo l’interesse di espandersi in
Italia.
Anche per l’applicazione dell’Indice dei libri proibiti i
contrasti fra le due parti erano netti e insuperabili. Leonardo Donà, procuratore
di San marco, (sarà Doge durante la contesa per l’Interdetto)sostenne che, a
Venezia stato sovrano e indipendente, l’indice non aveva alcun valore giuridico
e che stampatori librai veneziani erano formalmente invitati a non obbedire
alle prescrizioni dell’Indice.
Ancora più complesso è il problema della navigazione nel
Golfo(mare Adriatico): lo Stato Pontificio e i l’Austria erano per la libera
navigazione; Venezia esercitava invece, grazie alla sua superiorità navale, un
controllo assoluto nel Golfo mediante dazi e tasse. Nel marzo 1596, all’arrivo
del nunzio Graziani la questione era di attualità perché Venezia aveva
sequestrato in Dalmazia merci destinate a Bologna. La Santa Sede imposta il
problema rifacendosi alle Capitolazioni Giuliane del 1510. Dopo che la Lega di Cambrai aveva sconfitto
Venezia, Giulio II era uscito dalla Lega in cambio della libera navigazione nel
golfo.
Venezia lo imposta invece basandosi sulle convenzioni del
1529 concluse con Clemente VII e che ristabilivano la sua piena sovranità. Venezia
è così intransigente sulla navigazione nel golfo che va ben oltre le tesi
giuridiche, fino allora sostenute, e passa a rivendicazioni di carattere
politico, sostenendo che deve esser suo anche il controllo delle acque interne
dei fiumi in quanto sboccano nel Golfo.
La contesa per l’Interdetto è qualcosa che va oltre i
normali contrasti fra stati: è la ripresa polemica e violenta dei rapporti fra
stato e chiesa. In Europa tali rapporti erano rimasti sotto traccia,
all’infuori che in Francia, a causa della Riforma.
La contesa fra Venezia e Roma ripropone questo scontro che è
l’eterno problema della civiltà cristiana occidentale: fin dove la chiesa può
estendere la sua azione, senza ledere i diritti dello stato? Fin dove il
principe o lo stato può resistere anche contro la chiesa pur essendo cattolico?
Su alcune questioni pratiche già sul tappeto,
leggi per limitare la proprietà ecclesiastica, negazione del privilegium
fori agli ecclesiastici accusati di delitti comuni si innesta un ampio
dibattito dottrinale che vedrà come principali protagonisti fra Paolo
Sarpi da una parte, il cardinale Bellarmino dall’altra.
Venezia contro Roma in una guerra assai particolare
denominata guerra delle scritture.
Quando il 16 maggio 1605 viene eletto papa PaoloV la tensione è al culmine per due leggi che il
Senato Veneziano ha approvato con il chiaro intento di limitare la proprietà
ecclesiastica: la prima legge approvata a gennaio del 1604 sanciva che chiunque
avesse fondato chiese, ospedali, monasteri senza il permesso del senato, sarebbe
incorso nel bando perpetuo e in prigione se recidivo. La seconda del Maggio1605
stabiliva che non si potevano trasferire, né donare beni immobili a persone
ecclesiastiche senza il permesso del Senato.
La scintilla che fece esplodere il gran fuoco fu la chiamata
davanti al consiglio dei dieci dell’abate di Nervesa, conte Brandolino
accusato, oltre che di cattivi costumi, anche di alcuni omicidi.
Paolo V replicò, se non fosse stato concesso il privilegio
del foro ai due accusati - l’altro era l’abate vicentino Scipione Saraceni - li
consegnassero al papa stesso, chiedeva inoltre che il Senato Veneto abrogasse
le due leggi da poco approvate. Il Senato respinse ogni richiesta e elesse al
dogato Leonardo Donà, fra i veneziani il più intransigente contro Roma. Venezia
da un lato teme l’invadenza della curia a danno del potere civile, ma
soprattutto vede in Paolo V la longa manus della politica asburgica
spagnola e autriaca, quest’ultima sicuramente responsabile di muovere la
pirateria Uscocca in Dalmazia.
Pietro Duodo viene mandato a Roma come ambasciatore
straordinario, ma senza che
alcuna delle richieste pontificie venisse accolta.
A questo punto Paolo V con l’approvazione del concistoro
invia un ultimatum che minaccia la scomunica per il Senato Veneto e
l’Interdetto per tutto il territorio se entro 24 giorni non fossero state
revocate le due leggi e consegnati i due canonici.
Venezia non si piegò e prese le sue contromisure: ordinò ai
parroci di consegnare senza aprirle tutte le lettere provenienti da Roma, di
non esporre alcun avviso nelle chiese, dichiarava nullo e illegittimo il
breve pontificio, comandava al clero veneziano di continuare la
celebrazione degli uffici divini. Infine sceglie e nomina Paolo Sarpi come
perito di teologia e cognizione canonica(28 gennaio 1606).
Prima di essere
nominato ufficialmente teologo della Serenissima il Sarpi aveva esposto per
iscritto il suo parere intorno alle due leggi del 1604-5, alla richiesta del
papa di abrogarle e sulla validità della scomunica che il papa aveva
minacciato. I pareri ufficiali sottoposti al governo erano chiamati consulti e,
quelli esposti e destinati al pubblico scritture.
Le caratteristiche fondamentali dell’argomentare Sarpiano
sono il ricorso ai precedenti storici e il rigore logico. Nel primo consulto
vengono citate tutte le leggi del passato che stabilivano la stessa cosa cioè
proibivano di costruire chiese e monasteri senza il permesso del Senato, che
ora estende questa legge a tutto il territorio veneto e questa è l’unica
differenza. Non esistono nel diritto canonico - dice Sarpi - norme o leggi
espresse che possano scomunicare o censurare chi che sia per
provvedimenti come quelli del 1604-5.
Dopo aver citato tutte le leggi precedenti, Sarpi
controbatte una ad una le varie tesi della curia. Le leggi veneziane non
annullano, né limitano la giurisdizione ecclesiastica, se mai limitano la
facoltà dei laici.
La chiesa non può dire la tal cosa è mia perché mi può
essere donata.
Il decreto del senato tocca solo accidentalmente la chiesa
che non si può ritenere ingiuriata.
La proibizione di costruire chiese senza licenza del
senato è un diritto che rientra nella sovranità del doge e non implica affatto che le chiese siano soggette a lui.
Quando due laici si scambiano dei beni, l’uno acquista
l’altro perde, ma la sovranità del doge è integra e così deve essere anche per
i beni passati agli ecclesiastici. Mentre nella prima osservazione i
poteri di stato e chiesa erano autonomi ora la sovranità del doge è
superiore a quella della chiesa.
Il ragionamento del Sarpi è capzioso, le leggi infatti sono
state fatte per limitare la proprietà ecclesiastica e la chiesa viene colpita
direttamente e non accidentalmente. La legge avrebbe valore se fosse estesa a
tutti, così formulata penalizza solo l’ecclesia. A chiare lettere viene
ribadita la superiorità del principe che “in una ben ordinata repubblica possa
di qualunque cosa e persona disporre sì come ricerca la necessità ed utilità
del bene pubblico”.
Nel secondo consulto si esamina la forza e la validità della
scomunica e i rimedi da usare contro le censure ingiuste. Qui sono in gioco non
tanto i rapporti fra chiesa e stato, ma ciò che il Sarpi da sacerdote pensa
della curia romana. Sarpi come al solito ricorre ai precedenti storici: la
scomunica che significa separare un fedele dalla sua comunità, nella chiesa
primitiva, santa era lanciata solo in casi estremi, e a chi perseverava
ostinatamente nel suo peccato.
La chiesa moderna scomunica per motivi assai materiali, ad
esempio per debiti, ma non si limita a farlo con la singola persona, bensì lo
fa in universale: chi fa questo sarà scomunicato, e abusa del suo potere.
Quando una scomunica è ingiusta? Un fedele può essere
scomunicato solo se si ostina nel suo peccato mortale e sa che lo è. Se non
conosce l’entità del suo peccato non lo si può scomunicare: la coscienza
individuale è superiore alla chiesa come istituzione.
Se poi qualcuno è scomunicato per aver servito la patria la
scomunica è nulla perché il dovere civile è superiore al dovere verso la
chiesa.
Lo stato dunque non può essere giudicato dalla chiesa,
perché può appellarsi direttamente a Dio, da cui deriva direttamente la sua
potestà.
Passiamo al terzo consulto che completa la politica sarpiana
ed è intitolato “Consiglio sul giudicare le colpe delle persone
ecclesiastiche”. Fu scritto quando il
Sarpi era già stato nominato teologo della Serenissima e il consiglio dei Dieci
aveva già imprigionato il canonico Saraceni e l’abate Brandolino. Il caso è
difficile perché non ci sono precedenti storici o meglio sono assai diversi.
In passato il consiglio dei quaranta aveva sì giudicato dei
canonici accusati di delitti comuni, ma
ciò era avvenuto per beneplacito del papa e con la corresponsabilità del
patriarca. Il fatto che gli ecclesiastici venissero esentati dai tribunali
secolari non era per un diritto divino, ma per un privilegio loro concesso dal
principe di quando in quando e non si può trasformare un privilegio in legge.
Anche gli ecclesiastici sono soggetti alla legge
temporale e più specificatamente sono soggetti alle leggi di quei paesi nei quali vivono.
Tutte queste tesi furono ufficialmente adottate dal governo
veneziano e le relative argomentazioni riportate nei dispacci che Venezia fece
avere a Roma. Comunque dopo il marzo 1606 la contesa veneto-pontificia si era fatta così violenta
da pensare a un possibile intervento armato contro Austria, Spagna, Roma.
Inghilterra e Turchia avevano offerto alleanza a Venezia che preferì proseguire
nella linea neutralista e cercò di risolvere diplomaticamente la questione.
Nell’aprile 1607 la guerra delle scritture si concluse
pacificamente grazie alla mediazione del cardinale francese Joyeuse. Venezia
liberò il canonico Saraceni e l’abate Brandolino: i due furono consegnati
all’ambasciatore di Francia che li consegnò al cardinale Joyeuse,che a sua
volta li consegnò al legato papale. Subito dopo il cardinale si recò in Senato
e dal doge e comunicò che le censure erano tolte. Il doge dal canto suo
sospendeva l’applicazione delle leggi, ma non le revocava. Nel suo atto di
mediazione il cardinale Joyeuse aveva formulato queste tre proposte:
1 ) il doge si recherà in San Marco, dove il cardinale
Joyeuse celebrerà la messa e benedirà a significare che l’ Interdetto è tolto.
2) il doge revochi il manifesto al clero veneto del 6 maggio
1606, quello che vietava ogni funzione religiosa.
3) il doge restituisca i redditi dei prelati sequestrati
durante l’Interdetto.
La risposta del doge preparata dal Sarpi si articola così:
1) la Serenissima non accetta assoluzione, accetterebbe se
mai l’annullamento, che però PaoloV non fa. Consiglia al doge di non recarsi in
chiesa prima tutti devono sapere che l’interdetto è stato tolto, poi si andrà
in chiesa. Non si deve dare l’impressione che Venezia venga assolta. Il papa
tolga le censure con uno scritto concordato fra le parti.
2) il doge revocherà il manifesto quando il papa revocherà
le censure (a voce). Se il papa insistesse per una concessione scritta il doge
potrebbe concederla in questi termini “Poiché il pontefice ha riconosciuto l’
innocenza di Venezia ed ha revocato le censure, il manifesto al clero non ha
più ragion di sussistere”.
3) Venezia aveva espulso alcuni ordini religiosi, mentre il
papa aveva minacciato i religiosi rimasti fedeli alla repubblica. Secondo Sarpi
la repubblica restituirà i redditi agli ordini espulsi, mentre il papa si
impegnerà per iscritto ad annullare ogni processo ai religiosi che eransi
dichiarati fedeli alla Serenissima. Poi fa altre minuziose precisazioni: se il
cardinale venisse in senato per togliere le censure, allora il doge dovrebbe
insistere sul fatto che è riconosciuta l’innocenza di Venezia e che le censure
separavano la repubblica dal papa non da Dio.
Per quanto riguarda la consegna dei prigionieri si farà
rilevare che vengono restituiti per
un favore al re di Francia e quindi per grazia non per legge.
Per quanto riguarda i prigionieri, Venezia seguì alla
lettera i consigli di Paolo. Per quel che riguarda la cerimonia religiosa in
San Marco bisogna ricordare che Doge e senato non ricevettero alcuna
assoluzione perché nemmeno parteciparono alla messa del cardinale che era stata
preceduta da parecchie messe fatte celebrare giorni prima.
Il cardinale aprì il sermone con queste parole “Mi rallegro
che sia giunto questo giorno nel quale tolgo le censure”.
Dopodichè la repubblica consegnò al Joyeuse il decreto che
revocava il manifesto al clero veneto che suonava così”. Poichè sono tolte le
censure, era revocato anche il manifesto del doge”.
Ciò indignò la curia: da parte romana si sostenne che c’era
stata assoluzione (Pastor-storia dei papi), da parte veneziana si sostenne che
non c’era stata alcuna assoluzione (Sarpi-Istoria dell’interdetto).
Col compromesso raggiunto entrambi i contendenti pensano a
salvare le rispettive posizioni e reputazioni. Col 21 aprile 1607
terminava ufficialmente la contesa, ma il fuoco covava sotto le ceneri,
perchè era rimasto in sospeso il problema degli scrittori che avevano difeso
Venezia: Paolo Sarpi e Giovanni Marsilio.
Il Sarpi già nell’ottobre 1606 era stato citato davanti
all’Inquisizione, ma non si presentò e venne scomunicato.
Subito dopo la firma degli accordi il nunzio apostolico
della curia Berlighiero Gessi chiese che Sarpi venisse consegnato
all’Inquisizione, pensando anche di rapirlo, mentre il Senato deliberava
una lauta pensione annuale ai due teologi. Il cardinale Bellarmino suo vecchio amico lo
mise in guardia in vista di possibili attentati che puntualmente arrivarono.
Il 5 ottobre 1607 fu aggredito per strada da un gruppo di
sicari in campo Santa Fosca a pochi metri da dove ora sorge il monumento a lui
dedicato e gravemente ferito con tre pugnalate da tale Rodolfo Poma.
“Recognosco stilum romanae curiae” queste le sue parole dopo l’attentato
con le quali accusò direttamente la curia, ma non si seppe chi
furono i mandanti, che erano certo zelanti sostenitori di Roma che lo stesso
papa definì malaccorti e pazzi.
Nel 1609 nuove macchinazioni per ucciderlo vengono scoperte
all’interno del suo ordine e costrinsero il Sarpi a prendere precauzioni per
salvaguardare la sua vita e le sue idee spesso scritte attraverso messaggi
cifrati.
Gli accordi non accontentarono nessuno e tantomeno Roma dove
una corrente di cardinali intransigenti voleva dichiarare guerra a Venezia. Questi
cardinali sostenevano che Venezia era ormai eretica e rifugio di eretici e
aveva approfittato della contesa per propagandare ulteriormente l’eresia.
Auspicavano una crociata contro Venezia e volevano convincere i principi che
non era tanto un conflitto di giuridizione, ma di eresia, e che un cambio di
religione avrebbe potuto trovarli spodestati dei loro domini. Gli Spagnoli
eludono la richiesta papale sventolando il pericolo turco. Venezia si mantiene
prudentemente neutralista evitando di dare l’assenso a una lega antispagnola
che si trasformerà in una alleanza franco-sabauda.
Che cosa pensa personalmente il Sarpi in questa fase della
contesa? In una lettera al Foscarini afferma che in questo momento solo gli
stati protestanti possono fornire a Venezia un’alleanza sicura: e cioè Olanda, Inghilterra,
e i principi tedeschi che hanno tutti l’interesse a guardarsi dalla Spagna. Roma
vede Venezia come una nuova Ginevra, un centro di diffusione della riforma. E’ esagerato?
E’ vero?
I fatti sono questi: a Venezia grande centro commerciale vi
sono nuclei protestanti perchè vi soggiornano grosse comunità di Olandesi, Inglesi
e Tedeschi. Venezia all’infuori che con gli anabattisti è stata sempre
tollerante con i protestanti.
Ci sono negli scritti del Sarpi affermazioni dalle quali
si possa desumere una sua adesione alla riforma?
Certamente no. I frequenti appelli, al vangelo, alla chiesa
santa primitiva, le invettive contro la curia, rientrano tutte nell’ortodossia.
L’unica tesi che può lasciare qualche dubbio è la“comunione sub utraque”,
sotto entrambe le specie, che si dovrebbe concedere anche ai fedeli, tesi
sostenuta e difesa da 50 vescovi al concilio di Trento e alla quale anche
lui è favorevole.
Alla fine del viaggio vediamo stagliarsi in tutta grandezza
la figura di Paolo Sarpi, frate servita veneziano, strenuo difensore della
chiesa santa delle origini e propugnatore di un ritorno alla chiesa primitiva
là dove anche l’elezione del vescovo prevedeva la partecipazione dei fedeli. Sarpi che vuole più democrazia lasci in ombra i
problemi teologici per immergersi in quelli pratici.
La stessa polemica con i gesuiti ha carattere mondano: essi
non sono i soldati di Cristo, ma i soldati della curia che vogliono imporre a
popoli e principi i voleri della curia stessa. Paolo Sarpi critica la politica
della chiesa, non la sua dottrina, ne critica la sua organizzazione pratica,
rivela la sua volontà riformista richiamandosi alla chiesa primitiva che è
santa e spirituale, là dove quella moderna è autoritaria e materiale. Erede
delle migliori tradizioni venete il Sarpi contro l’invadenza della chiesa
diventa strenuo difensore della sovranità dello stato, per salvare prima di
tutto la chiesa.
Fonte: srs di SANDRINO SPERI da L’Indipendenza del 18 e 20 febbraio 2013
Link: http://www.lindipendenzanuova.com/fra-paolo-sarpi-e-la-contesa-per-l’interdetto-venezia-contro-roma/
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