Foro Augusteo
Di Adriano Scianca - 15 giugno 2017
Roma, 15 giugno – Non c’è marchetta all’immigrazione che non
tiri in ballo Roma, la “aperta”, “tollerante”, “colorata” Roma,
contrapposta alla chiusura delle polis greche.
È vero che, a differenza di queste ultime, l’Urbe non
conobbe mai mito dell’autoctonia. Da qui a farne l’antesignana della società multirazziale
ce ne passa.
Proprio il dibattito sullo ius soli è, a
questo riguardo, interessante. Come si diventava cittadino, a Roma? Ha scritto Eva
Cantarella (pur aggiungendo in seguito le frasi di prassi sui romani
come campioni dell’assimilazione): “Back to the Romans, quindi, torniamo ai
romani. Per i quali la soluzione era chiara: la cittadinanza si
acquistava iure sanguinis.
Come scriveva il giurista Gaio, nel II secolo d. C., nel suo
celebre manuale di Istituzioni, erano cittadini romani i figli legittimi di un
cittadino, ovvero quelli naturali di una cittadina. La regola, infatti, voleva
che i figli nati da un matrimonio legittimo seguissero la condizione del padre
al momento del concepimento, e che quelli nati fuori del matrimonio seguissero
la condizione della madre al momento della nascita”.
Valerio Marotta è stato anche più preciso,
spiegando che i romani non conoscono il dibattito ius soli / ius sanguinis e
che “a dispetto delle apparenze, tale dicotomia — sicuramente estranea alla
compilazione giustinianea — prese corpo soltanto negli scritti dei giuristi
d’età intermedia a partire dal XII secolo, sebbene sia stata compiutamente
definita, quasi duecento anni più tardi, da Bartolo di Sassoferrato e da Baldo
degli Ubaldi”.
In particolare, “la genesi della nozione di ius soli va
rindividuata […] in un particolare contesto, quello del dibattito dottrinale e
giurisprudenziale sui diritti sovrani dei Principi tra XVI e XVIII secolo”.
Diversamente stanno le cose in relazione alla cittadinanza
determinata in base al diritto per discendenza: “La nozione di ius sanguinis,
diversamente da quella di ius soli, è saldamente radicata nella storia della
tradizione medievale del diritto giustinianeo.
Sebbene tale nomenclatura non appaia negli scritti dei giuristi
prima del XII secolo, essa trova i propri precedenti storici nella disciplina
della filiazione legittima e, di conseguenza […], anche della trasmissione
della cittadinanza nello ius Romanorum più antico”.
A Roma erano cittadini in primo luogo i nati da
padre cittadino purché procreati in un matrimonio legittimo. Proprio
per questo il matrimonium era, per Cicerone, principium
urbis et quasi fundamentum rei publicae (De officiis, 1,17,54).
Al di fuori del matrimonio, è certa solo la madre, quindi è
la sua condizione che fa testo: il neonato nasce schiavo, straniero o cittadino
romano, a seconda che la madre abbia, al momento del parto, la condizione di
schiava, straniera o cittadina. L’origo paterna non coincideva con
il luogo di nascita del padre, ma con la città da cui il padre stesso traeva
la patris origo, e così via di seguito.
Con l’espansione territoriale di Roma, la
cittadinanza fu estesa ad altre popolazioni: la lex Iulia del
90 la concedeva a Latini e Italici rimasti leali a Roma, la lex
Calpurnia dell’89 la concesse ai militari, appartenenti a civitates
foederate, che avevano servito Roma, la lex Plautia Papiria nello
stesso anno la riconobbe agli alleati italici che l’avessero invocata, sino a
quella cesariana ai Cisalpini del 49.
Ma il mito dei Romani “accoglienti” si basa per lo più
sulla Constitutio Antoniniana del 212, con la quale la
cittadinanza romana venne estesa a tutti gli abitanti dell’impero.
Malgrado la lettura ideologica che ne è stata data in
seguito, la misura ebbe probabilmente motivazioni economiche e fiscali. In ogni
caso, va sottolineato come la legge valesse per tutti quelli già presenti
all’interno dei confini, non per quelli che sarebbero arrivati in seguito. Si
trattava di una sanatoria, non di spalancare le porte.
Non è inoltre chiaro se essa si estendesse ai “dediticii”,
ovvero alle popolazioni che si “rendevano” all’imperatore per entrare
nell’impero, una sorta di antichi immigrati. Un frammento del testo ritrovato
in un papiro farebbe pensare che essi ne fossero esclusi, cosa che renderebbe
ancora più anacronistiche le attualizzazioni del provvedimento.
Certo è che, col passare dei secoli e l’avanzare della
decadenza, aperture sempre più considerevoli agli stranieri venissero fatte.
Sarebbero state le stesse “aperture” a causare il crollo di
quella civiltà. E questo sì che è un paragone con l’oggi che avrebbe senso
fare.
Fonte: srs di Adriano
Scianca, da .ilprimatonazionale.it
del 15 giugno 2017
1 commento:
Bellissimo articolo, noto con piacere che condivide tutta la mia disistima per la mistificatrice e falsificatrice della storia Eva Cantarella. Gliene suggerisco un'altra: Silvia Ronchey.
Saluti,
Flavio Dalassio
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