di GABRIELE COLTORTI
Il modello di Costituzione federale elaborato da Gianfranco
Miglio prevede una riscrittura della Costituzione che riguarderebbe non solo la
seconda parte, ma anche numerosi articoli contenuti nella prima parte e nei
principi fondamentali. La stragrande maggioranza dei costituzionalisti ritiene
che i primi articoli della Costituzione italiana siano intoccabili. Il
professore comasco non era per nulla d’accordo: ho ascoltato tempo fa la registrazione
di un’intervista del 1994 in cui sosteneva che la Carta del ’48 era rivoltabile
come un calzino. A suo giudizio, l’unico articolo che non poteva essere
modificato era il 139, ove è scritto esplicitamente che “la forma repubblicana
non può essere oggetto di revisione costituzionale”. Naturale quindi che per
Miglio fosse del tutto insensata una riforma limitata alla seconda parte della
Carta, come invece ci propongono tutti i partiti italiani, dal centrodestra al
centrosinistra compreso il Presidente della Repubblica. No, direbbe oggi il
professore: “Le vere Costituzioni federali o sono tali o non lo sono”.
Ma veniamo al modello costituzionale elaborato da Miglio.
Presentato al Congresso della Lega Lombarda tenuto Assago nel 1993, venne
perfezionato e parzialmente modificato nelle pubblicazioni apparse negli anni
successivi: il Modello di Costituzione federale per gli italiani uscito
nel 1995, la prima edizione dell’Asino di Buridano (1999) e la
seconda edizione del 2000.
I Principi fondamentali della Costituzione federale
proposta da Miglio
Quali sarebbero i Principi fondamentali su cui dovrebbe
poggiare la Repubblica federale italiana? Come andrebbe modificato ad esempio
l’articolo quinto che oggi sancisce l’unità e l’indivisibilità dell’Italia?
Nell’Asino di Buridano il professore dava
un’indicazione precisa:
“1. L’Italia è una Repubblica, radicata nei Municipi, e
fondata su di un patto di unione fra le comunità naturali in
cui i cittadini si articolano. La Repubblica è formata da quindici Regioni,
raggruppate in tre Comunità regionali – Nord, Centro e Sud – e dalle cinque
Regioni a Statuto Speciale, che hanno dignità di Comunità regionale, e possono
adottare, nel loro Statuto, le istituzioni e le procedure previste per le
Comunità regionali.
2. Il potere di decidere – sul piano legislativo,
governamentale ed amministrativo – appartiene al popolo, il quale lo esercita o
per mezzo dei suoi rappresentanti oppure direttamente (referendum). Una legge
costituzionale definisce le forme di referendum, i “quorum” necessari, e le
procedure che ne regolano lo svolgimento nelle diverse aree della Repubblica.
3. La Costituzione riconosce e garantisce i diritti
individuali dell’uomo e stabilisce i doveri del cittadino. Nessun vincolo è
posto alla circolazione ed all’attività dei cittadini sul territorio della
Repubblica: tale libertà può essere limitata solo per motivi penali. La
Costituzione garantisce le quattro fondamentali libertà europee: circolazione
delle persone, dei capitali, delle merci e dei servizi. La libertà d’impresa è
un diritto costituzionale”. (L’Asino di Buridano, Vicenza, Neri Pozza, 1999,
pp.79-80).
Le tre Italie
I soggetti del patto federale coincidono in larga parte con
le patrie etno-linguistiche o addirittura – è il caso del Sud Italia –
con antichi Stati preunitari. Nei progetti pubblicati nel corso
degli anni cambiano i nomi delle comunità territoriali in cui dovrebbe
articolarsi la Confederazione italiana: Repubbliche nel 1993, Cantoni nel 1995,
Comunità regionali – come si è appena visto – nel 1999 e 2000. L’impianto del
modello resta in larga parte immutato.
La Comunità regionale del Nord coincide con la Padania
(Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna) ove sono parlate le
lingue padane gallo-italiche e venete; la Comunità regionale del Centro
corrisponde in gran parte all’area ove sono parlate le lingue dell’italiano
centrale o mediano (Marche, Umbria, Lazio e Toscana); la Comunità regionale del
Sud Italia (Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basilicata, Calabria) coincide
con l’antico Regno di Napoli, territorio in cui sono parlate le lingue italiane
meridionali.
Le cinque Regioni a Statuto speciale (Sicilia, Sardegna,
Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige/Sud Tirol, Friuli Venezia Giulia) vengono
riconosciute nella loro peculiare identità, rese completamente autonome come
avverrebbe per le tre Comunità regionali: istituzioni pienamente responsabili
in materia di tassazione e imposte, non più dipendenti dai trasferimenti dello
Stato centrale.
Miglio scriveva nel Modello di Costituzione federale
per gli italiani (1995):
“Comunque si rigirino le cose, i Cantoni della Federazione
devono essere formati dalle quindici Regioni a statuto ordinario, che già
vengono abitualmente raggruppate a fini statistici e geo-economici (ma anche
dal linguaggio quotidiano) – in tre aree: la Valle padana (Liguria, Piemonte,
Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna); l’Italia centrale (Toscana, Umbria, Lazio,
Marche) e l’Italia meridionale (Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basilicata,
Calabria), unificate ciascuna da una innegabile omogeneità storico culturale”.
Le Regioni e i Municipi
Le Regioni non spariscono nel modello di Miglio. Il governo
di ciascuna Repubblica (o Cantone o Comunità regionale a seconda delle varie
fonti) è direttoriale: composto da un Governatore, eletto dai cittadini, e dai
Presidenti delle Regioni comprese entro ciascuna Repubblica italiana. Scriveva
nel Modello:
“Le Regioni non scompaiono affatto: perché il Cantone è in
fondo, alle sue origini, un ‘consorzio di Regioni’ e il Cantone governa e
amministra per mezzo delle Regioni i cui vertici costituiscono il governo del
Cantone stesso. Ognuna delle quindici Regioni a Statuto ordinario potrà darsi
la struttura interna e la legge elettorale che i suoi cittadini preferiscono. Però
ognuna di esse deve culminare con un Presidente eletto direttamente dal popolo:
perché i Presidenti delle Regioni comprese nel Cantone devono formare il
Direttorio (governo) del Cantone stesso, guidato da un Governatore, eletto
anch’esso da tutti i cittadini”. Le Province, inutili e costose per Miglio,
vengono soppresse.
E i Municipi? La loro autonomia sarebbe pienamente
riconosciuta in Costituzione, non prima di aver compiuto un accorpamento degli
enti più piccoli mediante apposite Federazioni di Comuni composte
da 15.000 abitanti: “La scienza dell’amministrazione colloca a 15.000 il
punto critico al di sotto e al di sopra del quale si alterano i valori di
efficienza e partecipazione di un Comune” (Federalismo e Secessione, Milano,
Sperling&Kupfer 1997, pag.105). Il
professore non escludeva inoltre un controllo degli enti superiori nei
confronti dell’ente comunale: “Secondo
me i Comuni devono avere la possibilità di fissare le tasse, ma ritengo sia
necessario porre un limite alla loro disponibilità. Faccio un esempio:
supponiamo che, per sfrenata passione calcistica, un Comune stabilisca una
insostenibile imposizione fiscale per costruire uno stadio fuori da ogni
logica. Se anche la popolazione si
dimostrasse entusiasta per il progetto e per un simile sperpero di denaro,
questo dovrebbe essere impedito da un controllo cantonale” (Federalismo e
Secessione, pag.103).
Il grado d’intervento dei Municipi nell’amministrazione del
Cantone e della Confederazione nelle materie della politica ambientale, delle comunicazioni
e dell’urbanistica era tuttavia notevole nel suo progetto. I Sindaci avrebbero
composto le Consulte municipali. Nell’Asino di Buridano (1999)
Miglio descriveva dettagliatamente la composizione e le funzioni delle Consulte
municipali:
“Presso ogni Direttorio di Comunità regionale è costituita
una Consulta municipale comunitaria formata da 30 Sindaci eletti da tutti i
Sindaci della Comunità in ragione di 15 rappresentanti dei Comuni fino a 10.000
abitanti, 10 rappresentanti dei Comuni da 10.000 a 25.000 abitanti, 5
rappresentati dei Comuni con più di 25.000 abitanti.
Presso il Direttorio federale è costituita una Consulta
municipale federale formata da 30 Sindaci eletti da tutti i Sindaci della
Repubblica in ragione di 20 rappresentanti dei Comuni che abbiano fino a
100.000 abitanti, e 10 rappresentanti dei Comuni che abbiano più di 100.000
abitanti. I Sindaci dei Comuni i quali abbiano più di un milione di abitanti
fanno parte di diritto della Consulta municipale federale”.
La procedura con cui le Consulte avrebbero espresso i loro
pareri ai diversi livelli di governo (cantonali e federali) lascia trasparire
il ruolo incisivo dei Municipi nel modello elaborato dal professore: “Il parere
espresso da una Consulta municipale con una maggioranza dei due terzi dei
componenti è vincolante per il rispettivo organo di governo presso il quale la
Consulta è costituita”.
Gli esiti di una riforma costituzionale ispirata al
modello di Gianfranco Miglio
Nel complesso le riforme proposte dal professore nel Modello
di Costituzione federale contengono notevoli punti di forza. La nuova
Costituzione presenterebbe:
- una maggiore stabilità istituzionale con un governo
di legislatura sciolto dal vincolo di maggioranza (forma di governo non
parlamentare);
- la separazione delle funzioni: chi ricopre cariche
pubbliche negli organi rappresentativi (Consiglio comunale, Consiglio
regionale, Dieta di una delle tre Repubbliche-Assemblea federale) non potrebbe
esercitare funzioni amministrative o di governo (Sindaco, Governatore di
Regione, Governatore di una delle tre Repubbliche, Presidente di una delle
cinque Regioni a Statuto speciale, Presidente federale, Segretario di Stato):
in tal modo si formerebbe nel tempo una classe politica responsabile, non
sottoposta ai ricatti di parlamentari desiderosi di diventare ministri o
governatori.
- La separazione della magistratura inquirente dalla
magistratura giudicante.
- Referendum propositivo deliberativi con
l’attribuzione ai cittadini di un potere d’intervento nella legislazione e
nell’amministrazione a tutti i livelli della Confederazione: dal Comune alla
Regione, dalle Repubbliche o Cantoni alla Federazione (come in Svizzera).
Il presidenzialismo
Il professore comasco riteneva che il presidenzialismo fosse
necessario per garantire stabilità al sistema politico: egli pensava a un
Presidente federale eletto dagli italiani a suffragio universale e diretto, un
presidente dotato in parte delle funzioni esercitate nel nostro ordinamento dal
Presidente del Consiglio e dal Capo dello Stato. Miglio riteneva però
indispensabile che il presidenzialismo venisse bilanciato da tre contrappesi:
a) un forte federalismo istituzionale presente nella prima Camera (quella
politica) e nella stessa composizione del governo; b) una Corte costituzionale
modificata nella composizione e rafforzata nel suo ruolo di garante della nuova
Costituzione; c) Referendum propositivo deliberativi per consentire ai
cittadini di intervenire nelle questioni politiche e amministrative contro
l’insorgere del dispotismo dei partiti cui è incline la democrazia puramente
rappresentativa (modello svizzero).
L’Assemblea federale
Come si è detto, il Parlamento e il Governo centrale
verrebbero composti in base al principio federale. Relativamente al Parlamento,
la prima Camera - la sola cui spetterebbe il potere di sfiduciare il governo
con una maggioranza dei due terzi - sarebbe l’Assemblea federale e
verrebbe formata dalla riunione periodica delle Diete (Parlamenti) delle tre
Repubbliche i cui membri sono eletti dalle rispettive popolazioni: 100 deputati
dalla Padania, 100 dal Centro Italia, 100 dal Mezzogiorno. A questi 300
deputati si aggiungono i delegati dei Consigli delle 5 Regioni a Statuto
speciale: 15 deputati siciliani, 10 sardi, 10 friulani, 6 dal Trentino Alto
Adige/Sud Tirolo, 5 dalla Valle d’Aosta. In tutto 346 deputati con un taglio di
284 parlamentari rispetto ai 630 del nostro ordinamento. Nel progetto del
professore gran parte della funzione legislativa e amministrativa passerebbe
alle tre Repubbliche e alle cinque Regioni a Statuto speciale. Le poche leggi
federali e le ristrette funzioni amministrative lasciate alla Federazione
sarebbero il risultato di un autentico compromesso tra i rappresentanti delle
grandi aree del Paese che siedono nelle Diete riunite nella già ricordata
Assemblea federale. Si otterrebbe in tal modo un considerevole risparmio di
risorse, non foss’altro perché – lo ripetiamo – sarebbero gli stessi deputati
delle Diete a riunirsi periodicamente per formare l’Assemblea federale: questa
sarebbe la sola Camera politica della Confederazione, l’unica in grado di
sfiduciare il governo con una maggioranza non inferiore ai due terzi che sia
concorde nell’indicare un Presidente federale da opporre a quello sfiduciato
(sfiducia costruttiva). La sfiducia del Presidente comporterebbe elezioni
anticipate: i cittadini sarebbero chiamati a rinnovare le Diete e ad eleggere
il Presidente federale scegliendolo tra la persona sfiduciata e il candidato
indicato dall’Assemblea nella mozione di sfiducia.
Il Direttorio federale
Ma il federalismo istituzionale investirebbe anche la
composizione del governo centrale: un Direttorio presieduto dal Presidente
federale (eletto da tutti gli italiani), formato dai Governatori delle tre
Repubbliche (anch’essi eletti dalle rispettive popolazioni) e dal Presidente (a
turno annuale) di una delle cinque regioni a Statuto speciale. La nomina dei
ministri (che nel modello di Miglio assumono la qualifica di “Segretari di
Stato”) spetterebbe al Presidente federale, il quale dovrebbe però sottoporli
alla fiducia del Direttorio. In altre parole, il Direttorio federale sarebbe un
governo di legislatura destinato a durare in carica quattro anni. Un governo
schiettamente federale che, a mio parere, Miglio avrebbe voluto dotare di
funzioni non solo amministrative ma anche legislative (nelle poche competenze
lasciate alla Confederazione italiana). L’Assemblea federale si riunirebbe
periodicamente al fine di discutere materie importanti per le quali si ritiene
indispensabile una legge quadro federale. In tal modo verrebbe sancito il ruolo
fondamentale rivestito dal governo nella legislazione, com’è avvenuto d’altra
parte negli ultimi vent’anni con i governi di centro-destra e di
centro-sinistra, i quali – nell’attuale ordinamento unitario retto sulla forma
di governo parlamentare – hanno abusato dei decreti legge e dei decreti
legislativi violando la lettera della Costituzione. Nel modello di Miglio tale
scostamento tra Costituzione reale e Costituzione formale verrebbe finalmente a
cessare: il governo federale avrebbe tutti gli strumenti per esercitare le
funzioni senza degenerare in governo autoritario: ricordiamo che saremmo in un
ordinamento federale – non più unitario – in cui i Governatori delle diverse
Italie – eletti direttamente dalle rispettive popolazioni – compongono il
Direttorio federale.
Il Senato legislativo
Nel progetto di Miglio è prevista una seconda Camera. E’ il
“Senato legislativo”: una Camera di alta legislazione in gran parte tecnica,
specializzata nella redazione dei progetti di legge riguardanti i Principi
fondamentali e la prima parte della Costituzione. In questo modo Miglio
riusciva finalmente a separare la funzione legislativa da quella propriamente
politica, spettante all’Assemblea federale. Formato da 200 senatori in possesso
dei titoli per essere eletti a tale ufficio, il Senato legislativo verrebbe
eletto dai cittadini italiani con metodo proporzionale. Sarebbe l’unica Camera
‘unitaria’ della Repubblica, il cui ruolo – in un ordinamento veramente federale
come quello delineato nel modello migliano – sarebbe confinato a una funzione
meramente tecnica. Difatti l’Assemblea federale, riunendosi periodicamente
perché i suoi deputati lavorerebbero nelle Diete delle tre Repubbliche italiane
e nei Consigli delle Cinque Regioni a Statuto Speciale, affiderebbe al Senato
la redazione di progetti di legge nelle materie di competenza federale,
progetti che l’Assemblea, tornata a riunirsi, approverebbe in via definitiva
con la possibilità di modificarli. Il Senato legislativo sarebbe l’unico
collegio rappresentativo riunito stabilmente a Roma.
La Corte Costituzionale
Il potenziamento della Corte costituzionale era fondamentale
per il professore. Nel Modello di Costituzione federale per gli
italiani egli proponeva una modifica significativa nella composizione
della Consulta: “La Corte dovrebbe essere composta da giudici nominati per un
quarto dell’Assemblea federale, per un quarto della Diete e per una metà dalle
supreme magistrature ordinarie e amministrative. I membri dovrebbero essere
portati a venti [dai quindici attuali]”. Riteneva peraltro importante che fosse
istituita una Sezione competente in merito all’amministrazione economica della
Repubblica.
Il rafforzamento della Corte si otterrebbe in due modi.
Anzitutto affidando al Presidente della Consulta (che durerebbe in carica un
anno, sorteggiato tra i quindici giudici costituzionali) le funzioni di
garanzia esercitate oggi dal Capo dello Stato: val la pena ricordare ad esempio
la firma e la promulgazione delle leggi, nonché il potere delicatissimo di
sciogliere le Camere. In secondo luogo, la Corte verrebbe rafforzata mediante
l’introduzione del Procuratore della Costituzione: un altissimo magistrato
nominato dalla Consulta al di fuori di essa, tra i candidati in possesso dei
requisiti per essere eletti giudici della Corte costituzionale. Il Procuratore,
che durerebbe in carica sette anni, avrebbe il potere di impugnare davanti alla
Corte tutte le leggi (federali e territoriali) e regolamenti (federali e territoriali)
di dubbia costituzionalità. Giova infine ricordare che, nel modello di Miglio,
il Procuratore della Costituzione costituirebbe il vertice della Magistratura
inquirente e, nell’adozione dei provvedimenti disciplinari, agirebbe di
concerto con una commissione di 8 membri eletta dal Senato legislativo.
Il modello di Costituzione federale presentato da Miglio
renderebbe l’Italia una vera Repubblica federale, garantendo al Paese piena
governabilità nel rispetto della sovranità dei cittadini, ma anche delle
Comunità territoriali esistenti nella penisola.
Fonte: srs di GABRIELE COLTORTI, da L’Indipendenza del 15 gennaio 2012
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