Quali sono per
Gianfranco Miglio i fondamenti di un vero regime federale? Nell’introduzione al
volume Federalismi falsi e
degenerati (Milano, Sperling&Kupfer 1997), Miglio elencava con grande
chiarezza i pilastri su cui deve poggiare un regime fondato su un patto
costituzionale in grado di salvaguardare e conciliare l’irriducibile diversità
dei territori. Le vere Costituzioni federali sono quelle in cui:
a) il federalismo è
interno al sistema politico e ne costituisce l’asse portante.
In tutti i sedicenti sistemi “federali” (Germania, Stati
Uniti) o quasi “federali” è la prima Camera a rivestire un ruolo politico
decisivo nella legislazione e – nei regimi parlamentari – a controllare il
governo dandogli o togliendogli la fiducia. La Camera dei rappresentanti
statunitense, il Bundestag tedesco sono collegi in cui
dominano i grandi partiti “nazionali”, in cui i parlamentari sono eletti
direttamente dal “popolo sovrano”. Quelli per Miglio erano falsi sistemi
federali perché il federalismo tende ad essere confinato in una seconda camera
(Bundesrat in Germania, Senato negli Stati Uniti) che ha uno scarso
potere di controllo nei confronti del governo centrale. Se il federalismo deve
essere l’asse portante del sistema, questo significa che per Miglio la Camera
politica, quella in grado di controllare il governo federale deve essere
l’assemblea in cui siedono i rappresentanti delle maggiori Comunità
territoriali in cui si articola la Federazione. Nel modello costituzionale di
Miglio l’Assemblea federale sarebbe formata dalla riunione periodica delle
Diete (Parlamenti) delle tre Repubbliche i cui membri verrebbero eletti dalle
rispettive popolazioni: 100 deputati dalla Padania, 100 dal Centro Italia, 100
dal Mezzogiorno. A questi 300 deputati si aggiungono i delegati dei Consigli
delle 5 Regioni a Statuto speciale: 15 deputati siciliani, 10 sardi, 10 friulani,
6 dal Trentino Alto Adige/Sud Tirolo, 5 dalla Valle d’Aosta. In tutto 346
deputati con un taglio di 284 parlamentari rispetto ai 630 del nostro
ordinamento.
b) i poteri di
governo e amministrazione sono distribuiti (e costituzionalmente garantiti) su
almeno due livelli territoriali: Cantoni e Federazione.
La netta separazione di funzioni tra potere centrale e
poteri locali era basilare per Miglio. Questo non accade nei falsi federalismi
che si sono accennati. Ad esempio la Costituzione tedesca, quantunque
stabilisca una separazione di funzioni tra Bund e Länder, non è stata in grado
di evitare il netto prevalere dello Stato centrale nella legislazione e – in diversi
casi – nella stessa amministrazione, un intervento reso necessario in Germania
per assicurare su tutto il territorio i livelli di prestazioni pubbliche dello
Stato sociale. Ma lo Stato sociale, scriveva Miglio, “è un sottoprodotto dello
Stato unitario e centralizzato di grandi dimensioni” perchè legato a governi
che dispongono di ingenti risorse finanziarie. “La falsa idea di trovarsi
davanti ‘un corno dell’abbondanza’ di
cui non si vede mai la fine, è infatti il fondamento delle politiche di scambio
di favori e privilegi, contro sicurezza elettorale e permanenza della classe
politica al potere”.
In Germania la revisione costituzionale del 1969 ha fissato
i Gemeinschaftsaufgaben, i compiti comuni che, soprattutto in
materia finanziaria, hanno finito per amputare l’autonomia dei territori
facendo saltare l’originaria coerenza dell’ordinamento tedesco basato sulla
divisione di competenze tra Bund e Länder. Una realtà ben presente a Miglio che
scriveva: “Se l’equilibrio fra gli almeno due livelli di potere non è
solidamente garantito – anche e soprattutto nei confronti degli Stati o Cantoni
– è fatale che chi detiene il potere centrale (federale) tenda ad
allargarlo fino ad assorbire le prerogative dell’altro livello o a ridurlo a un
significato puramente formale. Così deperiscono (e muoiono) le Costituzioni
federali. Il maggior problema tecnico di queste ultime è rappresentato dalla
necessità di stabilire espedienti i quali rendano molto difficile ai cittadini
degli Stati o Cantoni di rinunciare alle loro prerogative. Perciò il miglior
presidio di un ordinamento federale sta nella determinazione con cui il popolo
è deciso a resistere contro le intimidazioni e, soprattutto, le suasioni
dell’autorità centrale” (Federalismi falsi e degenerati, pp.XIV-XV).
c) I Cantoni hanno
dimensioni tali da poter assolvere la parte principale dell’attività
governamentale, resistendo altresì all’eventuale potere di assorbimento
dell’autorità federale.
Le tre macroregioni (Nord, Centro, Sud) fissate dal
professore nel Decalogo di Assago presentato nel dicembre 1993 sono individuate
in base a criteri etno-linguistici, geo-economici e soprattutto funzionali.
Miglio era convinto che non si potesse costruire un vero ordinamento federale
partendo dalle venti Regioni attuali. Nel Modello di Costituzione
federale per gli italiani scriveva: “Se si creasse una Federazione fra
le 20 attuali Regioni, alcune di queste (le più grandi e forti) prenderebbero
il volo, e controbilancerebbero validamente l’autorità federale; mentre le più
piccole e più deboli, incapaci di assolvere i compiti loro attribuiti, si
getterebbero tra le braccia proprio dei poteri federali. Il risultato finale
sarebbe quello di una Repubblica squilibrata e dilacerata, e di una
restaurazione a furor di popolo del governo centralizzato”. Previsione a un
passo dal verificarsi se si pensa alle riforme costituzionali elaborate dal
centro-destra (Lega Nord inclusa) e dal centro-sinistra.
d) Tutte le regole
che disciplinano il funzionamento del sistema sono ispirate al principio del
contratto (negoziato) e della maggioranza qualificata.
Il principio della maggioranza semplice, in una repubblica
federale in cui vivono popolazioni diverse per storia, costumi, tradizioni, è
una violenza intollerabile perché attenta i diritti delle minoranze. Nel volume
Federalismo e Secessione (Milano, Mondadori 1997, pp.118-122) il
professore rivolgeva una critica radicale al principio di maggioranza: “Cosa ha
di più saggio la metà più uno degli uomini? Come si può accettare un criterio
tanto rozzo, fondato in definitiva su quell’uno, cioé su di un numero talvolta
piccolissimo, in una divisione del mondo nella quale da una parte vi è la metà,
che soccombe, e dall’altra la metà più uno che vince?
Quell’uno finisce per diventare l’arbitro, il signore della Comunità”. Il principio del contratto, tipico del diritto
privato – in base al quale i territori decidono su un piano di parità,
sforzandosi di convincere le controparti per raggiungere una mediazione che
possa garantire le ragioni di ciascuno – è cosa ben diversa dalla legge o dal
regolamento approvato a maggioranza semplice. Ogni atto giuridico dovrebbe
essere il prodotto di un negoziato tra le parti. Questo spiega per quale
motivo, nel modello di costituzione federale redatto da Miglio il governo è non
solo direttoriale – composto dai governatori delle maggiori Comunità in
cui si compone la Federazione – ma esercita le sue funzioni secondo la regola
della maggioranza qualificata. “Stabilirei
come regola generale la maggioranza dei due terzi e, nel caso in cui non si
raggiunga, richiederei il sorteggio. Si presuppone che una scelta condivisa da
una larga maggioranza sia ‘più vera’ di quella condivisa soltanto da una
minoranza, perché se riduciamo la minoranza ad un terzo o ad un quarto è
evidente che esiste una qualche giustificazione al fatto che l’opinione dei
pochi, eventualmente dei pochissimi, sia messa da parte” (Federalismo e
Secessione, pag122). Il professore proponeva addirittura che il
Direttorio federale approvasse all’unanimità materie cruciali quali
l’introduzione di nuovi tributi a livello federale, il sostegno economico alle
aree svantaggiatate, la legge di bilancio. Il ridotto numero dei membri che
compongono il Direttorio (nel suo progetto non più di cinque o sei persone)
renderebbe assai facile il raggiungimento dell’accordo in tempi certi e
ridotti. Il professore aveva infatti abbozzato una regola d’oro che nel suo
modello era in grado di garantire la governabilità: egli lasciava al Direttorio
federale otto giorni di tempo per approvare un provvedimento, un Regolamento o
un Decreto oggetto di controversie, al termine dei quali sarebbe scattata la
“procedura di emergenza”: se entro una settimana il governo non fosse pervenuto
a una decisione, i membri sarebbero decaduti dall’incarico e non avrebbero
potuto ripresentarsi agli elettori per due legislature. “La minaccia efficace
di togliere ai politici la poltrona su cui siedono – diceva nel presentare il
suo modello – è un ottimo strumento per farli andare d’accordo nell’interesse
del Paese!”.
e) La Costituzione
contiene procedure che rendano sempre certa e rapida la decisione degli affari
di governo: per esempio la presenza di un Presidente coordinatore del
Direttorio, eletto da tutti i cittadini della Federazione.
Qui Miglio mostrava di accettare il presidenzialismo:
pensava a un Presidente federale eletto direttamente dai cittadini, erede in
parte delle funzioni esercitate oggi dal Capo dello Stato e dal Presidente del
Consiglio. Il Presidente federale avrebbe nominato i ministri, che per entrare
in carica avrebbero dovuto godere della fiducia del Direttorio. Il Presidente
federale dovrebbe essere “ingabbiato” nel Direttorio. E’ precisamente
quest’ultimo il vero e unico governo della Confederazione: composto, oltre che
dal Presidente federale, dai Governatori dei tre Cantoni (eletti direttamente
dalle rispettive popolazioni) e da un Presidente (a turno annuale) di Regione a
Statuto Speciale.
f) La struttura
fiscale, coordinata dal Direttorio federale, poggia su due livelli: municipale
e cantonale”.
Come si vede, un principio completamente estraneo al
“federalismo fiscale” italiano, che assegna allo Stato centrale la completa
gestione delle imposte (dirette e indirette).
Fonte: srs di di
GABRIELE COLTORTI, visto su L’Indipedenza del
17 gennaio 2013
Nessun commento:
Posta un commento