I crimini nazisti ci sono ricordati ad ogni piè sospinto,
perchè le vittime, altrettanto innocenti, della barbarie rossa sono relegate in
un angolo della nostra memoria?
G.R.
Continua la controversia fra gli storici se abbia ucciso più
persone Hitler o Stalin. Il libro dello storico inglese Frank Dikötter Mao’s
Great Famine. The History of China’s Most Devastating Catastrophe, 1958-1962 (Walker,
New York 2010) ci ricorda che Mao Tse-Tung li batte di gran lunga entrambi,
stabilendo record che forse superano anche Gengis Khan. Una cosa, secondo
Dikötter, è sicura: il “Grande Balzo in Avanti” del 1958-1962 è il più
grande crimine di tutti i tempi, la peggiore catastrofe mai causata da mano
umana nella storia.
Si trattò di una corsa folle allo sviluppo economico, attraverso
la collettivizzazione lanciata da Mao nel 1958, dopo che Khruscev aveva
promesso che in quindici anni l’economia russa avrebbe superato quella degli
Stati Uniti. Mao rispose che nello stesso periodo, anzi prima, la Cina avrebbe
superato la Gran Bretagna. Così, nel 1958 avviò una gigantesca campagna per
concentrare tutti i contadini dell’enorme Cina in soli 28.000 grandi comuni;
imporre ritmi di lavoro forsennati per costruire a tempo di record nuove dighe
e canali; installare in ogni villaggio piccoli altiforni per produrre ghisa e
altri materiali. Il piano era demente.
Le dighe costruite frettolosamente cedettero, facendo, nel
solo caso delle due barriere sul fiume Hua, 230.000 morti.
Gli altiforni (in cui pure i contadini furono costretti a
buttare di tutto, dalle pentole ai rivestimenti delle case, talora distrutte
per questo scopo) produssero materiali ferrosi del tutto inutili. Soprattutto,
si distrussero le famiglie. Uomini e donne furono separati e inviati a lavorare
fino a venti ore al giorno in unità separate, dormendo all’addiaccio o in
casermoni o tende malsane e mangiando, pochissimo, nelle mense.
Uno dei collaboratori di Mao dichiarò che era venuto il
momento di riconoscere che «tutto è collettivo, anche le persone umane».
Dikötter è il primo storico al quale il governo di Pechino
ha consentito di accedere a tredici dei trentuno archivi regionali cinesi, e a
quattordici dei maggiori archivi comunali, fra cui quelli di Nanchino, Canton e
Wuhan. Si tratta di tesori di documentazione, ma non di una ricerca completa.
Difficilmente questa sarà mai consentita dalle autorità cinesi, a meno di un
cambio di regime e se pure lo fosse, molti documenti sono irrimediabilmente
perduti. Il materiale è comunque sufficiente a tracciare un quadro allucinante.
Ben presto i cinesi iniziarono a morire, o di fame o uccisi
dalle milizie che temevano rivolte. Mao giunse perfino a commissionare degli
studi sul numero di persone che, regione per regione, dovevano essere
giustiziate per prevenire ogni rischio di rivolta, e a imporre “quote” di
esecuzioni alle autorità regionali. La fame portò a diffusi episodi di
cannibalismo, rigorosamente documentati negli archivi, e a un vero e proprio
sterminio dei vecchi e dei bambini, separati dai familiari e concentrati in “Case
della felicità” le cui razioni alimentari dal 1960 scesero a livelli così bassi
che quasi tutti morirono. Molti coloro che finirono uccisi dalle milizie.
Dikötter riporta che in un villaggio, dove la maggioranza delle persone era già
morta di fame, furono allestite “trappole” con dolci e riso per vedere chi era
disposto a rubare per sopravvivere.
Chi ci cascava finiva in un sacco, dove era subito bastonato
a morte dalla milizia. Quanti morirono? Nessuno lo saprà mai con certezza,
conclude lo storico, ma oggi le stesse fonti ufficiali cinesi parlano di una
cifra minima di quarantacinque milioni di persone, riferita peraltro ai soli
cinque anni del Grande Balzo in Avanti e non all’intera
carriera di Mao. Nel 1961 era diventato chiaro, anche a molti esponenti del
partito, che la natura stessa si ribellava al folle progetto. «C’è una
nuova battaglia – rispose Mao in un discorso –: abbiamo
dichiarato guerra alla natura».
Ma alla fine, incalzato soprattutto da Liu Shaoqi, che
minacciava di organizzare una rivolta all’interno del partito, Mao nel 1962
dovette cedere e rinunciare al Grande Balzo in Avanti. Ma giurò di
vendicarsi. Nel 1966 scatenò la Rivoluzione Culturale, che uccise almeno altre
700.000 persone: tra cui, nel 1969, Liu Shaoqi, che fu prima imprigionato e poi
lasciato morire, privato delle cure mediche per il suo diabete. Di tutti questi
orrori qualcuno vorrà attribuire la colpa ai soli collaboratori del presidente.
Ma il libro di Dikötter toglie ogni illusione sul suo ruolo. L’immane tragedia
fu voluta e guidata personalmente da Mao.
Fonte: da Excalibur del 7 maggio 2011
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