Tribunale
dei Khmer rossi: in appello, ergastolo per il compagno Duch
In
primo grado il direttore della prigione S-21, dove sono morte decine di
migliaia di cambogiani, aveva subito una condanna a 30 anni. Per i giudici i
crimini commessi "sono i peggiori nella storia dell'uomo". Egli è
l'unico ad aver ammesso le proprie colpe. Centinaia di sopravvissuti al regime
hanno ascoltato la lettura della sentenza.
Phnom Penh (AsiaNews) - Il tribunale Onu per i crimini di
guerra in Cambogia ha respinto oggi l'appello presentato dai legali di
Kaing Guek Eav - meglio conosciuto come compagno Duch - commutando in ergastolo
la pena a 30 anni di galera inflitta in primo grado. Nel proclamare la sentenza
Kong Srim, presidente della Corte, ha sottolineato che i giudici hanno deciso di
"comminare la pena del carcere a vita" perché i "crimini
commessi [...] sono indubbiamente fra i peggiori registrati nella storia
dell'uomo". E per questo l'ex comandante della famigerata S-21, il carcere
di Tuol Sleng a Phnom Penh, merita "la pena più elevata possibile".
Centinaia di cambogiani - molti dei quali sopravvissuti al genocidio perpetrato
dai Khmer rossi - hanno assistito al verdetto finale del procedimento.
Il 69enne compagno Duch, il solo ad aver ammesso le proprie
colpe e aver chiesto perdono, dopo un lungo cammino che l'ha spinto anche a
convertirsi al cristianesimo, è stato arrestato nel 2010 e condannato a 30 in
primo grado. Nella S-21 sono morte fra le 15mila e le 17mila persone, per fame,
stenti, torture o esecuzioni sommarie. Egli ha appellato la sentenza,
affermando che era "solo" un ufficiale di seconda fascia, costretto a
seguire gli ordini impartiti dai leader Khmer rossi nel "timore di venire
ucciso". Tuttavia, i giudici non hanno creduto alle sue parole e hanno
aumentato l'iniziale pena a 35 anni, poi ridotta a 30, comminando il carcere a
vita.
Alla caduta del regime dei Khmer rossi il 7 gennaio 1979,
con l'invasione di Phnom Penh delle truppe vietnamite, solo sette persone sono
riuscite a fuggire dalla prigione, riuscendo a salvarsi e raccontare poi i
drammi patiti in carcere. Fra questi vi era il famoso artista Van Nath, che è
riuscito a salvarsi dipingendo ritratti di Pol Pot, del compagno Duch e altri
leader dei movimento maoista. Le sue celebri opere hanno inoltre documentato un
drammatico spaccato della vita nelle celle e delle quotidiane torture inflitte
a uomini, donne, bambini e neonati massacrati senza pietà alcuna. Egli è morto
il 5 settembre 2011 all'età di 66 anni (cfr. AsiaNews 07/09/2011 Phnom
Penh: morto Vann Nath, l’artista che ha dipinto le atrocità dei Khmer rossi).
La Cambogia porta ancora le ferite della dominazione dei
Khmer rossi guidati dal sanguinario Pol Pot, che ha governato il Paese dal 1975
al 1979 seminando morte e distruzione. In pochi anni il regime ha eliminato -
per fame o nei famigerati Killing Fields, campi di sterminio alle porte di Phnom
Penh - quasi due milioni di persone (circa un quarto della popolazione). Molte
delle vittime erano intellettuali, medici, insegnanti ed esponenti dell’elite
culturale. Al momento è in corso un secondo processo contro altri tre leader
Khmer rossi: Nuon Chea, conosciuto con il soprannome di “Fratello numero due”;
Khieu Samphan, ex capo di Stato della Kampuchea Democratica; Ieng Sary, ex
ministro degli Esteri del regime.
Tuttavia i critici sottolineano che il Tribunale Onu,
criticato per corruzione e inefficienze, ha colpito - in parte - solo i simboli
del regime ma non ha garantito vera giustizia al popolo cambogiano. Pol Pot è
morto nel 1998 per malattia e non ha mai subito processi né incriminazioni per
le atrocità commesse sotto il suo comando. Inoltre, molti dei vecchi funzionari
di secondo piano e vecchi quadri del movimento maoista sono ancora oggi liberi
e in molti casi ricoprono importanti ruoli di governo.
Fonte: Asia New.it del 3 febbraio 2012
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