domenica 5 maggio 2013

MARO’: I TECNICI CHE IL GOVERNO TECNICO NON HA ASCOLTATO



Natalino Ronzitti

La disastrosa gestione della crisi con l’India per la vicenda che vede protagonisti i fucilieri Salvatore Girone e Massimiliano Latorre copre di ridicolo il governo tecnico italiano, in modo definitivo considerate le (probabilmente) imminenti dimissioni dell’esecutivo. I suoi esponenti, a cominciare dal premier e ministro degli Esteri Mario Monti e dal viceministro degli Esteri Staffan De Mistura, non hanno neppure commentato la conferma che i due militari verranno indagati dall’antiterrorismo indiano e verranno incriminati in base auna legge che punisce il terrorismo e la pirateria marittima in base alla quale è prevista anche la pena di morte. Illustri tecnici (veri, non improvvisati) hanno commentato negli ultimi giorni gli sviluppi recenti della crisi con l’India. Analisi Difesa pubblica oggi un’ampia valutazione del generale Leonardo Tricarico circa i meccanismi istituzionali esistenti per la gestione delle crisi del tutto ignorati dal governo Monti. Qui sotto riportiamo invece le valutazioni di due illustri esperti di diritto internazionale.

L’India sta continuando in un atteggiamento che viola il diritto internazionale. L’Italia deve continuare a battersi perchè i due marò vengano giudicati dai tribunali italiani, se hanno commesso un fatto illecito, o andare davanti a un giudice internazionale” ha affermato ieri Angela Del Vecchio, docente di Diritto internazionale alla Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli di Roma. La docente ha commentato all’agenzia Adnkronos la decisione della Corte Suprema indiana di affidare le indagini sul duplice omicidio di cui sono accusati i due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, alla Nia, la polizia anti-terrorismo nazionale. “Il problema è che l’Italia, non si capisce il perché, non vuole andare davanti a un giudice internazionale, lo potrebbe fare oggi stesso. Dovremmo chiederlo alla politica”, prosegue l’esperta della Luiss. “Abbiamo ratificato delle convenzioni internazionali secondo le quali, in caso di disaccordo di una norma della convenzione, si può andare a discuterne davanti a un giudice internazionale. Se le parti non si sono accordate su quale giudice c’é un rimedio che è un tribunale arbitrale previsto su ricorso unilaterale di uno degli Stati. Non capisco perché’ l’Italia non decide di farlo”. Sulla eventualità che, ai due marò, potrebbe essere comminata possa essere comminata la pena di morte prevista dalla legislazione indiana, Del Vecchio è categorica: “Inutile discuterne, dobbiamo solo ribadire il concetto che non c’è competenza indiana sul caso”.

Invece la linea difensiva di Roma, in costante progressivo ribasso, si è basata inizialmente sul difetto di giurisdizione indiana per poi accontentarsi che ai due non venga comminata la pena di morte, garanzia minima peraltro non ancora assicurata. Il governo Monti non ha mai difeso l’innocenza di Latorre e Girone contro i quali le prove presentate dalla giustizia dello Stato del Kerala risultano deboli quando non artefatte. ”I due marò si presentino in divisa davanti alla Suprema Corte indiana, per affermare la loro funzione. Sono militari e quindi organi dello Stato italiano” aveva detto nei giorni scorsi Natalino Ronzitti (nella foto), docente di Diritto Internazionale e consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali.
“L’Italia sostiene che non c’è giurisdizione indiana nella vicenda, e che i due marò godono di immunità funzionale. La stessa Corte Suprema indiana, il 13 gennaio scorso, sancì che le questioni relative alla giurisdizione dei tribunali indiani sull’incidente, potranno essere riproposte davanti all’istituendo tribunale speciale. E’ essenziale -conclude Ronzitti – che questi due punti vengano riaffermati, in particolare il principio dell’immunità funzionale dei due marò”.

Quando 46 soldati schierati in Congo con le forze dell’Onu, dei quali 12 ufficiali, vennero accusati di stupri e violenze ai danni di bambine congolesi Nuova Delhi non li lasciò certo nelle carceri di Kinshasha né accettò che a processarli fosse la giustizia del Paese africano. I militari vennero rimpatriati e affidati a una corte marziale indiana.

Fonte: srs di Gianandrea Gaiani, visto su Analisi Italia il  27 aprile 2013.


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