mercoledì 17 aprile 2013

LEGHISTI, NON VOTATE IL CAPO DELLO STATO CHE IMPRIGIONA LA PADANIA




di GILBERTO ONETO

Inizia il tormentone dell’elezione del Presidente della Repubblica italiana, con tutto il solito contorno di tifoserie e di pronostici, come se fosse il Festival di San Remo. E un po’ lo è.

È una kermesse che dovrebbe riguardare solo gli italiani e non i padani perché si tratta della scelta del capo degli italiani e non dei padani, se non nel senso del capo degli oppressori dei padani. Dalla vicenda i padani dovrebbero restarsene fuori: i galeotti non scelgono il direttore del carcere in cui sono imprigionati, non dovrebbero tifare per l’uno o per l’altro. Possono tutt’al più – se proprio non hanno altre speranze – sperare che passi il meno peggio.

Per questo non si capisce come i delegati eletti dai padani possano partecipare all’elezione. Ancora più incomprensibile – e anche molto fastidioso e un po’ ignobile – risulta a questo proposito la partecipazione dei parlamentari della Lega Nord, un partito che si fa votare su un programma chiaramente indipendentista, almeno a giudicare dal primo articolo del suo Statuto che propugna quale unico obiettivo l’indipendenza della Padania. Ora cosa ci fanno  quelli che se ne vogliono andare dallo Stato italiano alle elezioni del capo dello Stato da cui vogliono andarsene?  I catalani o gli irlandesi non mettono il becco nelle questioni dinastiche degli Stati da cui vogliono secedere. Certo, quella italiana è almeno formalmente una repubblica il cui capo viene eletto dai rappresentanti dei cittadini e il primo – più elementare ed evidente – atto di presa di distanza di chi vuole andarsene sta proprio nell’evitare di partecipare alla decisione. Oppure, se si vuole proprio essere presenti, si dovrebbe solo fare casino, contestare o votare qualcuno che per i padani sia la rappresentazione perfetta dell’italianità. C’è solo l’imbarazzo della scelta, da Er Batman a Francesco Schettino.

Invece questa è la quarta elezione presidenziale cui i leghisti partecipano, tramescando e trusonando sopra e sotto banco per scegliere il capo dello Stato che opprime quelli che li hanno eletti. Ci vanno tutti, pettinati e ben rasati, profumati di bagnoschiuma a scrivere il nome del nuovo padrone come bravi soldatini. Alla faccia dei giuramenti, delle ampolle e delle proclamazioni di indipendenza. Ci vanno addirittura i presidenti leghisti di Regione, ci va anche Maroni che dovrebbe essere il capo di quelli che se ne vogliono andare. Caso sempre più singolare e inquietante di sdoppiamento di personalità: mister Hyde capo dei ribelli e dottor Jekyll ministro di polizia che combatte i ribelli.

Questo svacco è il risultato di una vecchia scelta sciagurata, quella di essere Lega di lotta e Lega di governo, che si è trasformata nella tragica farsa di una Lega di lotta per le cadreghe e di sottogoverno. Se si vuole fare una rivoluzione – e la lotta per l’indipendenza è una rivoluzione, pacifica quanto si vuole, ma una rivoluzione – non si può fare “pappa e ciccia” col nemico. Longanesi diceva che gli italiani  pretendono di fare le rivoluzioni con l’autorizzazione della questura. Questi sono anche più furbini:  vogliono scegliere il questore e magari metterci un parente.

Certo Maroni si trova in una posizione personale piuttosto funambolica: fa il capo di una istituzione che si vuole separare da un’altra di cui è stato uno dei più fedeli gendarmi.  Ma può anche rovesciare la stranezza a suo favore dimostrando di essere pacifico e legalitario e trasferendo così tutti i crismi della legalità, oltre che della legittimità, alla separazione cui si aspira. Non sarebbe neppure il primo caso: dal 1985 al 1990 Eduard Shevardnadze era stato ministro degli esteri dell’Urss, dal 1995 al 2003 è stato Presidente della Repubblica della Georgia dopo l’indipendenza.

Questa Italia somiglia sempre più alla vecchia Unione Sovietica in versione Piedigrotta ed è del tutto auspicabile (e sempre più inevitabile) che faccia la stessa fine.

Maroni dice di voler voltare pagina, di riportare la Lega al suo ruolo di difensore del territorio. Lo dimostri cominciando col disertare  l’elezione del Presidente della Repubblica italiana. Sarebbe un gesto carico di grande simbolismo, ridarebbe forza a un cammino un po’ assopito.  Che se lo facciano da soli il loro Presidente, e che somigli il più possibile a Gorbaciov.


Fonte:  srs di Gilbert Oneto, visto su L’Indipendenza del  16 aprile 2013-04-15

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